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𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐕𝐈𝐈𝐈. 𝐋'𝐢𝐫𝐨𝐧𝐢𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐮𝐜𝐜𝐢𝐝𝐞


La stanza dell'hotel nella quale si erano sistemati era a dir poco incantevole. Non v'era un lusso esagerato, solo quel che bastava a far capire a chiunque di trovarsi in un albergo a cinque stelle.
Vi erano giunti dopo essersi congedati da Sophie, Wade e gli altri. La tensione fra loro era svanita solamente quando André aveva annunciato che sarebbe andato a dormire. Da quel che era stato riferito a Cindy per telefono, Scarlett invece era rimasta a casa Thorne per una sorta di pigiama-party con Markus.
Maximilian si era trovato bene con ognuna delle persone che aveva conosciuto quella sera, a parte André. Per quel che lo riguardava, meno quel ragazzo si trovava nei paraggi in sua presenza e meglio era.

Si tolse la camicia, si affacciò nel bagno e rimase per un attimo a guardare il fidanzato: sembrava immerso nei pensieri, non stava guardando il riflesso nello specchio. Le mani, entrambe posate sul ripiano di marmo nero, tremavano. Sotto la luce fredda degli eleganti e piccoli fanali di ceramica ai lati dello specchio il viso di Rio appariva più magro del solito, decisamente scavato. Max non ci faceva più molto caso, ma v'erano attimi come quello in cui non poteva non rabbrividire e domandarsi quanto l'agonia di quell'uomo dovesse esser stata terribile, sia nel corpo che nella psiche. Se poi ricordava che subito dopo la trasformazione Dario, a detta di quest'ultimo stesso, fosse apparso di aspetto ancora più provato e spettrale, non osava immaginare quanto potesse esser migliorato con l'andare degli anni e dei secoli.

Eppure non era quello il problema. Dario era in quello stato meditabondo e cupo da quando erano usciti dalla casa di Sophie. Per tutto il tragitto verso l'hotel non aveva più parlato, limitandosi a guardare un punto imprecisato oltre il finestrino, visto che Max si era offerto di guidare al suo posto, vedendo che non sembrava nelle esatte condizioni di condurre l'auto.

Maximilian esitò, poi entrò nel bagno e si avvicinò, abbracciandolo con delicatezza da dietro. Lo sentì sussultare, come se neppure si fosse accorto della sua presenza fino a quel momento. Il biondo, non facendocela più a vederlo così, decise di affrontare l'argomento e chiese: «Sei così da quando sei tornato al piano di sotto, dopo aver parlato con quel ragazzo. Dario, che succede?»

L'altro non rispose subito, come se neppure lui fosse del tutto consapevole di cosa lo preoccupasse. «Non lo so. Non ne sono sicuro.»

«Prova a spiegarmelo lo stesso, dai. Ne hai bisogno, lo vedo.»

Rio esitò e girò su se stesso, appoggiandosi poi di nuovo con le mani al ripiano e guardando in faccia il fidanzato. «Come ho già detto, non mi sento a mio agio quando sono nella stessa stanza con André e stasera, a casa di Sophie, in camera del ragazzo, quella sensazione non mi ha abbandonato, si è fatta solo più insistente e opprimente. Ha detto che avrebbe riflettuto su ciò che aveva fatto e di essere solo un po' smarrito, ultimamente, ma io non gli credo e mi odio per questo. Detesto non poter fidarmi di una persona che conosco da tanto tempo e André... accidenti, Max, ho visto nascere quel ragazzo! Non dovrei nutrire alcun sospetto sul suo conto. Mi fa sentire una persona spregevole dubitare della sua sincerità, credimi.» Pareva innervosito. «Qualcosa prima o poi accadrà, me lo sento nelle ossa. Succederà ed è come se sapessi che nessuno potrà far niente per evitarlo. Quando si tratta di André, il futuro non può che spaventarmi. Odio l'ignoto più di qualsiasi altra cosa e detesto ancora di più ciò che si cela nelle sue buie coltri. Non mi piace vivere con il pensiero martellante che presto o tardi potrebbe succedere qualcosa di irreparabile.»

Max pose le mani delicatamente sulle sue spalle. «Ehi, ehi! Ora non saltare a conclusioni fataliste, va bene?»

«Non è fatalismo, credimi» replicò il bruno mentre l'altro lo faceva uscire dal bagno e lo conduceva al letto, dove lo fece accomodare.

Wildbrook prese posto al suo fianco e gli scostò i capelli bagnati dal viso. «A volte una paura resta solo tale. Non per forza si trasforma in certezza o in realtà. Sei preoccupato, è normale, però...»

«E se non fosse questo il caso? Se dovesse invece concretizzarsi, un giorno?»

«Allora vorrà dire che aiuterai quella famiglia a fronteggiare qualunque sfida si presenterà. Non so come la pensi tu, ma ai miei occhi sei fra le persone più capaci e sveglie che abbia avuto modo di conoscere da quando sono diventato un vampiro. Non lasciarti spaventare da quelle che sono semplici congetture, almeno per ora.»

Dario scosse la testa e si passò due dita sugli occhi, stremato dal rimuginare. «Forse mi sto facendo tanti problemi per niente, hai ragione. È solo che...»

«Lo capisco, non preoccuparti.» Max sorrise appena. «Hai un rapporto stretto e familiare con loro. Non ti avevo mai visto comportarti... insomma, quasi come un padre.» Vide il fidanzato incupirsi, ma solo per alcuni secondi. «Uhm... beh... mi viene naturale, specie con Scarlett» borbottò vago Dario. «Ogni tanto Sophie mi chiedeva di badare a lei, quando era neonata e anche dopo. In quei momenti mi sono quasi sentito una persona normale, un essere umano qualsiasi e non...»

«... non un vampiro» terminò al suo posto Maximilian. Fino ad allora Dario non aveva mai parlato con tanta amarezza e nostalgia della propria condizione di non-morto. Aveva sempre preso tutto in chiave molto cinica o scherzosa.

Rio sospirò. «Sai... Scarlett purtroppo non è riuscita a far sviluppare i suoi poteri più di tanto, non come avrebbe dovuto fare una ragazzina della sua età. Questo spesso la fa tuttora sentire diversa, come se le mancasse qualcosa rispetto al resto della sua famiglia, specialmente suo fratello. Una volta mi ha detto di essere un po' invidiosa di André e questo mi fa star male. Non bisogna essere dei maghi provetti per essere speciali e non c'è niente che non vada in lei. È intelligente e ha un grande cuore, deve solo avere più fiducia in se stessa e avere pazienza. Sono sicuro che prima o poi sboccerà anche lei. Ce l'ha nel sangue la stoffa per diventare una grande strega, dopotutto, e se anche così non fosse, Sophie la amerebbe comunque. Quella donna farebbe qualsiasi cosa per i suoi figli, li ama, sono la sua vita.»

Maximilian sorrise tra sé, intenerito e un po' sorpreso da quell'accesso di dolcezza spontanea nel suo compagno. Più stava con lui e più gli sembrava di non conoscerlo mai fino in fondo e di aver sempre qualcosa da scoprire sulla sua personalità. Dario era davvero come un diamante: a seconda della luce presentava diverse sfaccettature che mai si rivelavano uguali le une alle altre; quando poi si lasciava andare a quel modo, rivelando una ben celata tenerezza dietro agli atteggiamenti sarcastici e a volte da arrogante spaccone, splendeva e scintillava più che mai, tanto da apparire una stella, non un semplice diamante. «Be', semmai dovesse saltarti in mente lo schiribizzo, sappiamo che saresti un buon padre» buttò lì Wildbrook, tra il serio e il faceto. La risata amara appena vibrata dall'altro, tuttavia, lo fece accigliare. «Ho detto qualcosa di divertente?»

«Sei ancora così innocente sulla natura dei vampiri!» Rio scosse il capo e per qualche istante alzò gli occhi al cielo con un che di indulgente e infelice.

«Come sarebbe a dire? Di che parli?»

«Max, i vampiri non possono avere figli» rispose Dario, sincero. «Siamo sterili per natura. Insomma, hai per caso mai visto un vampiro andarsene in giro con un figlioletto dentro a un passeggino o una vampira in dolce attesa? Pensavo lo avessi capito da tempo, ormai.»

Wildbrook si sentì uno stupido. «I-Io credevo... v-voglio dire...»

«Qualunque ipotesi strampalata tu abbia potuto concepire in questi anni sull'argomento, ti consiglio di fare subito tabula rasa. D'altra parte, con tutte le donne che ad esempio il sottoscritto si è portato a letto, a quest'ora mi sarei lasciato alle spalle un esercito di figli illegittimi! Mi basta pensarci per rabbrividire, in tutta franchezza! Te lo immagini?»

Max cercò di prenderla a sua volta sullo scherzo, ma non ci riuscì del tutto. «Quindi... è appurato che a te piacciono anche le donne? Cioè...»

«Non bado a certe sottigliezze» replicò Dario. «Per me conta la compagnia, come mi trovo in presenza di una persona. Maschio o femmina che sia, l'importante è che non mi faccia morire di nuovo, e stavolta per la noia!»

Max rinunciò a chiedergli con quante persone, soprattutto donne, fosse stato in tutti quei secoli. Era logico che quel vampiro avesse avuto un bel po' di avventure e di partner, d'altronde. Non era il caso di provare gelosia. Interessato ad approfondire il discorso precedente, chiese ancora: «Quindi non c'è mai stata una... chiamiamola gravidanza miracolosa, nella nostra specie?»

«Il discorso non dovrebbe in ogni caso preoccuparti, da quel che so» commentò ironico Rio, ma riconoscendo che il fidanzato avesse posto una domanda tutt'altro che scherzosa, cercò di rispondere come meglio poteva, anche se per qualche secondo parve tuffarsi alla ricerca di parole adeguate e non troppo brutali. «Non chiamerei avvenimenti di quel tipo gravidanze miracolose, Max. Nessun miracolo. Dubito potrebbe mai venire fuori qualcosa di buono dall'unione di un vampiro con un essere umano o una creatura sovrannaturale in ogni caso diversa da un non-morto e in grado di portare a compimento una gestazione. Raccontano di alcuni casi, eccezioni in cui un risultato sembrerebbe esserci stato, ma a mio parere sono nient'altro baggianate. Le dicerie stabiliscono che una cosa del genere possa solo accadere tramite l'intervento della magia, di una specie di rituale, ma tutti sanno che la magia ha un prezzo, quasi sempre alto.»

«Prezzo di che tipo?»

«Beh, mettiamola così: per creare la vita da una parte, in teoria dovresti poi toglierla da un'altra. La magia si basa su un equilibrio costante e perfetto, Max, e nel momento in cui lo si va a disturbare ecco che accadono gli eventi più impensabili e catastrofici. I vampiri non sono naturalmente predisposti a certe cose. Che senso avrebbe voler proseguire la propria linea di sangue, quando si ha la vita eterna? Solo le creature ancora capaci di morire vivono nel costante affanno del lasciare tracce così indelebili del loro passaggio. Un vampiro non è tenuto a farlo, non ha nulla da tramandare o da far ereditare, se non la sete di sangue, canini più affilati del consueto e una pessima reputazione.»

«Non mi sembra granché giusto» insisté Max. «Tutti hanno il diritto di avere dei figli e una famiglia, no?»

Dario sorrise sardonico. «Quale diritto del genere potrebbero mai avere creature che per natura lo tolgono agli esseri viventi? Ogni vampiro che uccide una creatura vivente le nega la possibilità di andare avanti, di avere a volte una discendenza, una vita lunga e magari felice. Siamo pur sempre mostri, Maximilian, poco importa se fuori siamo attraenti. Pare, anzi, che la nostra stessa avvenenza magnetica sia uno strumento come un altro per cacciare e attirare prede con facilità. Non tutti i vampiri uccidono, è vero, ma è nella nostra indole, nel nostro corredo genetico impazzito e regredito a uno stadio direi primordiale e aggressivo in seguito alla trasformazione. È nella nostra natura farlo. Scegliere di resistere all'impulso, invece, è un altro paio di maniche, frutto del libero arbitrio e delle esperienze personali che accumuliamo. Un vampiro ha la possibilità di scegliere da che parte stare, se essere un mostro o rimanere ancorato ai principi morali del mondo umano.» Si voltò del tutto per guardare il compagno e gesticolando aggiunse, capendo di dover essere chiaro ed esaustivo: «Da questa parte c'è la vita e da quest'altra la morte. Noi, Max, siamo qui, proprio nel mezzo, ed è una condizione permanente. Non possiamo farci niente. Che ci piaccia o meno, siamo fuori dai giochi e non c'è verso di guarire dalla sterilità che sopraggiunge con la trasformazione. Reputo insensato, ridicolo e ingiusto scomodare un equilibrio ancestrale e delicato solo per il capriccio di avere un marmocchio al quale raccontare la storiella della buonanotte».

Maximilian annuì, un po' rattristato. Non che fosse interessato a metter su famiglia, ma... era davvero triste pensare che i vampiri fossero stati privati della possibilità di essere dei genitori.

«Se le dicerie fossero vere... tu, ad esempio, proveresti quel rituale?»

«No.» La risposta di Rio fu repentina e dura, priva di mezzi termini. «Se anche per assurdo quelle leggende avessero un fondo di verità, non farei mai una cosa del genere. E comunque, a esser onesto, non provo alcun interesse nell'avere dei figli, mai provato in vita mia, neanche quand'ero umano. Non ero esattamente quel tipo di persona alla quale importava di avere dei mocciosi sbraitanti in giro per casa. Un conto è tenere con te per un paio d'ore un bambino, un altro è avere un umano in miniatura che sai dipendere solo ed esclusivamente da te, dalle tue scelte e dalle tue azioni. Quando ci penso, ed è cosa rara, quasi ringrazio di esser stato trasformato in vampiro. Mi è stata tolta una funzionalità che persone come me non meritano di avere. Credimi, Max: sarei stato un pessimo padre. Badare per un po' ai figli altrui e improvvisarmi baby-sitter è qualcosa che posso tollerare, un altro è prestar fede a un impegno del genere ogni singolo giorno. Ne uscirei matto.»

Quel discorso così gelido e asettico scoraggiò Max dall'indugiare ancora nell'argomento. Era chiaro che Rio provasse fastidio quando si scendeva in dettagli di quel tipo e lui, ovviamente, non intendeva tediarlo. Tuttavia una cosa volle dirla: «Non so se a Obyria quelli come me hanno la possibilità di fare domanda di adozione, ma un giorno o l'altro vorrei prendere con me un orfano o un'orfana. Voglio dire... è sempre un bene rendere felice qualcuno che non per sua scelta non ha né una casa né qualcuno che lo ami».

«Le adozioni sono un discorso differente,» concesse l'altro, «ma le scartoffie sono tante, Max, e dovresti assicurarti di avere una fedina penale immacolata. Un pregiudicato non potrebbe in alcun modo adottare un bambino. Laggiù una volta che sei stato etichettato in un certo modo, faranno sempre di tutto per non farti dimenticare chi sei ai loro occhi e cosa hai fatto.» Intanto prese a rivestirsi.

Max si morse il labbro inferiore. «Se un giorno tornassi con un orfanello al seguito tu lo accetteresti, pur sapendo la tua opinione a riguardo?»

Il moro si fermò mentre era intento a mettersi una maglietta nera a maniche lunghe. Si voltò lentamente e fissò stralunato il compagno. «Chiedo scusa?» incalzò, sbattendo le palpebre un paio di volte. In circostanze diverse Max avrebbe trovato la sua espressione decisamente buffa, ma quello era un discorso serio. Deglutì. «B-Beh... ecco...»

«Okay, okay...» Dario si avvicinò e si inginocchiò di fronte a lui, guardandolo negli occhi. «Prima ho cercato di essere il meno diretto possibile, ma quando ho parlato di fedine penali e roba del genere, Max, in un certo senso alludevo anche al sottoscritto.»

«Ma tu non sei un pregiudicato.»

«Oh, Cristo! Certo che lo sono, Max!» esclamò Rio, sconvolto ed esasperato. «Ne abbiamo già parlato e torno a ripetere questo: solo perché sono libero di saltellare e scorrazzare dove mi pare e quando mi pare, non vuol dire che io non sia un ex-criminale. Lo sono e lo rimarrò sempre, non importa quanto ora la mia condotta possa essere irreprensibile. Quello che ho fatto in passato ha il suo peso e lo avrà per sempre. Ho catene che non si possono vedere né sentire, ma restano pur sempre catene.» Non gli piaceva esser diretto fino al punto da risultare crudele, non con Max, ma voleva che capisse le implicazioni del stare insieme a uno come lui. «Ci sono altre due cose che dovresti considerare. La prima: a una coppia come la nostra per legge non affiderebbero mai un bambino. Quelli come noi vengono semplicemente tollerati, Max, ma mai sono stati accettati e mai lo saranno. Punto secondo: non ti impedirò di fare una scelta del genere, non se desideri con tutto il cuore adottare un bambino. È un gesto bello, senza dubbio, ma a quel punto sarò costretto a dirti addio. Sarei un intralcio alla tua felicità. Non appena salterebbe fuori che hai una relazione con me, fidati che sorgerebbero le prime grane; ti toglierebbero la custodia del piccolo e a quel punto tu staresti male, e non voglio che succeda. Non per colpa mia.» Esitò. «Perciò... se dovessi mai prendere una decisione, fammelo sapere con un po' di anticipo. Gli addii non sono mai facili da pronunciare.»

Max non fece in tempo a replicare e con aria affranta lo guardò andare alla porta e dire che sarebbe uscito, perché aveva bisogno di prendere un po' d'aria. Non lo fermò, rendendosi conto del tremore nella sua voce. Ormai lo sapeva: a volte era meglio lasciarlo da solo. Per un momento, tuttavia, gli sorse un dubbio: Dario aveva detto quelle cose perché sul serio non gli importava di certe questioni o solo per celare il fatto che quelli come lui, volenti o meno, per legge non avessero il diritto neppure di prendere in custodia un orfano?

Dubitava che l'arcano sarebbe mai stato risolto e, del resto, c'erano segreti che era molto meglio lasciare in pace.

~ 𝟐𝟎𝟑𝟎 ~

Che ci si credesse o meno, Max non aveva più osato affrontare quel discorso spinoso con Dario.

Quando quest'ultimo era tornato, Maximilian gli aveva chiesto scusa ed era finita in quel modo, anche se per diversi giorni gli era capitato più volte di vedere un'ombra di tristezza nello sguardo di quello che all'epoca era ancora il suo fidanzato. In certe occasioni gli era quasi sembrato che si sentisse in colpa per qualcosa, forse per essere chi era e aver ridotto alcuni suoi sogni in cenere.

A poco era servito ribadirgli che non fosse la fine del mondo e non lo incolpava di niente, che per lui andava bene anche a quella maniera.

Solo il tempo aveva cancellato, o meglio attenuato, quello spettro di malinconia.

A un certo punto Max aveva cominciato a credere, per via dello strano atteggiamento di Dario, che quest'ultimo si fosse messo in testa di mandare la loro relazione in frantumi appositamente. Aveva cercato di parlarne con lui, ma non era servito a niente. Ogni volta la risposta si era rivelata essere un muro di silenzio o di apparente innocenza, quella tipica ignoranza di chi sembrava cadere dalle nuvole.

Nel frattempo sia a Obyria che nel mondo umano quelle strane aggressioni, le sparizioni e tanto altro, erano proseguite, facendosi sempre più sospette e assurde, nonché inquietanti. A fronte di un tale scompiglio, del panico che era andato diffondendosi gradualmente fra i sovrannaturali e persino gli esseri umani, il Consiglio Obyriano aveva iniziato a fare pressione su Dario, dicendo che non stava facendo abbastanza, che quello fosse un compito della massima importanza, che avrebbe dovuto scovare il colpevole e mettere fine a tutto, anche a costo della vita.

Max, ripensando a quei pochi, ultimi anni di vicinanza con il vampiro che in quel momento era a un passo dalla morte, aveva decretato quel periodo in particolare come l'inizio della fine, la discesa dal Paradiso verso l'Inferno. Non che fosse successo chissà cosa di grave, a parte il tradimento, ma fino all'ultimo era riuscito ad avvertire la nascita del grande e incolmabile divario fra lui e l'uomo che ancora amava.

Quei tempi bui e di grande stress non erano stati altro che la scintilla, la piccola spinta che aveva preceduto una rovinosa caduta.

Le difficoltà e le pressione esterne li avevano allontanati, ma Maximilian sapeva di aver dato lui stesso l'ultima spinta alla relazione all'epoca traballante con Dario, gravida di alti e bassi, di ricadute e flebili attimi di resurrezione dalle ceneri. Ricordava molto, molto bene e con dolore quegli anni. La lontananza non solo fisica di Dario, ma anche mentale e spirituale. Il raffreddamento nel loro rapporto di coppia, il gelo che era calato fra di loro come una venefica e invisibile coltre.

Davvero orribile. Avevano sofferto tutti e due. In modi diversi, certo, ma lo avevano fatto. Invece di restare uniti, si erano separati e avevano permesso alla frustrazione di avere la meglio su tutto il resto.

Serrò le palpebre con forza.

Non voleva ripensarci, ma ormai, loro malgrado, di anni ne avevano ripercorsi e solo perché non avevano mai voluto affrontare il passato prima di quel momento, prima di quell'addio inevitabile che si avvicinava sempre di più minuto dopo minuto.

Tornò a guardare il Principe della Notte e vide che i suoi occhi era puntati in direzione della finestra. Si stupì nel sentirlo parlare: «C'è troppa calma». Benché davvero privo di forze, era ancora cosciente. «Non è normale affatto. Qualcosa non va.»

Max, che lo conosceva bene, riconobbe subito quello sguardo. «Non pensarci nemmeno. E comunque non ce la faresti neanche a camminare fino a quelle porte, figuriamoci ad andare fin laggiù!»

Rio, testardo com'era sempre stato, riuscì a tirarsi leggermente su con la chiara e pindarica intenzione di supervisionare le rischiose nozze di persona. Pareva assurdo, considerando il suo attuale stato di precaria salute, ma eccolo lì, ben deciso a sfidare la morte sempre più incombente. «Qui non si tratta solo di me, Max. Possibile che tu non...»

«Ma dove vorresti andare, me lo spieghi?» Max alzò gli occhi al cielo e lo fermò. Certe volte gli sembrava di aver a che fare con un bambino di dieci anni, altro che un vampiro vecchio di secoli. «Per l'amor del cielo! Fare le bizze, alla tua età! Ti prenderei a sberle, se solo già non fossi mezzo tramortito di tuo! In queste condizioni sei più inutile di un annaffiatoio senza fondo, fidati!» Da dove quel vampiro riuscisse a trarre quel po' di energia, per lui restava un vero mistero. Riuscì a farlo restare giù. «E guai a te se riprovi ad alzarti» lo ammonì. «Devi risparmiare le forze.» Vide che stava di nuovo per sciorinare un'altra delle sue proteste e allora gli coprì la bocca con la mano. «Zitto un po'! Per una volta dammi retta e smettila di preoccuparti sempre e solo delle sorti del mondo.» Lo vedeva che era alterato, ma poco gli importava. Per una volta, una soltanto, gli altri potevano anche cavarsela da soli. «A volte bisogna essere egoisti e va bene esser tali. Parole tue, queste, non mie.»

Come lo vide metter su uno sbiadito e ironico sorriso, di colpo gli venne una voglia matta di prenderlo davvero a ceffoni.

«Parole che risalgono a un bel po' di tempo fa, mi permetto di aggiungere.»

«Già» ammise Max, cupo. «Forse avresti dovuto ricordarle a te stesso, una volta ogni tanto. Forse ora non saresti qui, ci hai mai pensato?» Il suo silenzio lo fece innervosire più che mai. «Non ci credo che non hai un bel niente da dire in proposito. Hai sempre la risposta pronta e ora fai scena muta?»

«Non mi pento di tutto quello che ho fatto per la nostra specie e per Obyria, se è ciò che speravi di sentire» replicò Dario, ancora una volta con un'inflessione glaciale nella voce. «I miei sforzi non sono stati vani né lo saranno quando tutto questo casino sarà finito.» La tosse che per un momento parve sì e no privarlo completamente del poco fiato rimasto, però, fece sorridere Max con amaro sarcasmo. «Già, lo vedo. Magari la tua aspirazione segreta era proprio trovare una via d'uscita da una vita che non hai mai desiderato veramente. Forse era quel che davvero speravi di ottenere.»

«Ringrazia che io sia troppo debole per fare alcunché» lo apostrofò con ancora un po' di affanno l'altro. «Devi essere veramente grato o a quest'ora non so dirti se avrei già fatto qualcosa di cui poi uno di noi si sarebbe pentito.»

«Scommetto che non intendevi dire, con questo, che mi avresti baciato o altro.»

«Il tuo scopo è quello di torturarmi, dimmi?»

«Il mio scopo» ribatté Max, tagliente a sua volta, «è quello di ricordarti che finché non avrai esalato l'ultimo respiro, tu sarai vivo. Voglio solo farti presente che negli ultimi tempi, invece di vivere come tale, hai preferito seguire Leda nella tomba, almeno per quanto riguarda lo spirito! Non c'è crimine più grande che avresti potuto commettere, Dario! Non c'è! Lo sai benissimo!» Se quell'uomo pensava di esser riuscito a ingannare tutti, ebbene si sbagliava. L'infermiere guardò altrove, poi ancora lui. «Lei sapeva cosa stava rischiando. Lo sapeva benissimo, eppure ti comporti come se fosse stata solo colpa tua e questo, mi dispiace dirtelo, non lo accetto! Non da te! È un affronto verso te stesso, non lo capisci?»

«Allora ti auguro con tutto il cuore di non poter mai comprendere ciò che provo anche adesso. Te lo auguro, Max, davvero.»

«E allora ancora una volta devo scusarmi con te! Tra non molto, purtroppo, saprò di persona come ci si sente e il peggio è che non potrò rinfacciartelo!»

«Bene! Almeno finirà per sempre questo strazio! Ne ho abbastanza di stare qui a farmi sbattere in faccia certe cose da uno che dopo essere stato sorpreso a scopare con un altro, se ne è uscito dicendo che ero tornato prima del previsto! Nessun veleno riuscirebbe a farmi dimenticare quelle parole, fidati! Avrebbero dovuto incoronare anche te, ma come Principe dell'Idiozia Abissale! Ecco cosa penso!»

«Oh! Senti un po' da chi viene la predica!» esclamò sardonico Max. «Io mi sarò pure scopato uno di cui ormai neanche ricordo il viso, ma tu nel frattempo te la intendevi con Leda, caro il mio santarellino, e lo hai persino ammesso!»

«Non ti azzardare più a mettere in mezzo mia moglie!» sbottò Dario. «Lei era lì quando si trattava di darmi un sostegno mentre il resto di Obyria continuava a dire che ero un incapace e non stavo facendo abbastanza! Tu invece dov'eri, a parte fra le braccia di quel tizio? Dillo, forza! Dove diavolo eri mentre venivo coperto di insulti e scherno?»

«Sei stato tu ad allontanarti per primo!»

«E tu non hai fatto niente per trattenermi! Niente! Sei rimasto a guardare mentre tutto andava in pezzi, esattamente come il resto del mondo! Non osare affibbiare a me la responsabilità di ogni cosa, Maximilian! Siamo colpevoli tutti e due!» Max, a tali parole, ammutolì. «Allora? Hai già finito di buttare tutte le colpe su di me?»

Wildbrook non disse niente e, alzatosi, uscì dalla stanza.

«Bravo.» Dario si voltò dalla parte opposta e desiderò solo di poter sprofondare fra quelle maledette lenzuola. «Tanto sai fare solo questo. Prendi e te ne vai, e al diavolo tutto il resto.» Come al solito, quando davvero aveva bisogno di lui, Max non c'era mai o, semplicemente, gli era sufficiente un niente per voltare le spalle e andarsene. Era così che risolveva i problemi: si rifugiava dietro a un dito, convinto di essere sempre e solo la vittima, mai il carnefice, oppure scappava.

Già, a parte quando si tratta di Jake. Non ha avuto il coraggio di ammettere le sue colpe con me o di riconquistarmi quando poteva, ma per lui ha rischiato più volte la vita. E ha pure il coraggio di spiattellarmi quelle stronzate anche quando mi trovo sul letto di morte.

La sua non era gelosia, ma solo delusione. Max diceva di amarlo ancora, ma i fatti parlavano diversamente. Se davvero fosse stato così, sarebbe rimasto, anziché prendere e uscire, sbattendo persino le porte.

Ormai non importa più. È finita.

Nascose il viso nel cuscino e solo grazie a quello riuscì a soffocare i singhiozzi.

Davvero ironico come tutti gli ripetessero che non era solo, che poteva aggrapparsi a qualcuno e trovare conforto fra braccia amiche, e poi in momenti come quello si ritrovasse però sempre in compagnia unicamente di se stesso.

Quale parte della sua esistenza, tuttavia, non aveva spesso rasentato l'ironia? Era stata proprio quella a fregarlo, a conti fatti.

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