𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐕𝐈. 𝐅𝐚𝐰𝐤𝐞𝐬
Max lanciò un'occhiata al posto del guidatore sul quale si trovava il suo fidanzato. Benché New Orleans fosse una città davvero bella e suggestiva, specialmente di notte, al momento l'espressione di Dario gli dava non poco da pensare: sembrava teso, nient'affatto il solito.
«Rio, dimmi qual è il vero motivo per cui ci troviamo qui.»
Non stavano semplicemente andando a far visita a una vecchia amica di Dario e quest'ultimo non voleva presentargli la famosa strega che rispondeva al nome di Sophie Collins solo per permettere loro finalmente di conoscersi. C'era dell'altro dietro.
Per un po' l'altro vampiro non rispose, poi: «Ogni tanto Sophie vuole che io passi da lei in qualità non solo di vecchio amico e per diletto, ma anche perché spesso non sa con chi altro confidarsi. Sono molte le sue preoccupazioni, credimi».
Max annuì lentamente. «La conosci da molto?»
Dario sorrise appena. «Da quando era una bambina. È passato un po' da quando ci siamo incontrati l'ultima volta. È stato, mi sembra, al matrimonio di Barrera.»
«Quel Barrera? Il Principe Lupo?» incalzò Maximilian, strabuzzando gli occhi.
Rio fece spallucce. «Naturalmente. Conosco Barrera da tanti anni e ci siamo ritrovati a collaborare quando ancora era il Principe Reggente. Siamo tuttora in ottimi rapporti. È un po' matto, ma in fin dei conti è una brava persona e lo stimo molto.»
Il Principe Lupo aveva una maniera di governare del tutto differente da Atlas, per fare un esempio. I licantropi e i lupi mannari potevano avere i loro difetti, ma Dario apprezzava il loro concetto di famiglia e di unità, l'importanza del branco, e per esperienza sapeva che erano molto più propensi ad accettare la diversità ed avevano una mentalità elastica. Quando era stato fidanzato con Gareth la famiglia di quest'ultimo lo aveva accettato senza rimostranze e fatto sentire a casa. Uno dei pochi periodi della sua esistenza in cui si era sentito davvero felice e parte di qualcosa. Era lieto di poter affermare di sentirsi alla stessa maniera in compagnia di Max.
Wildbrook fischiò. «Certo che ne conosci di gente famosa!»
Dario rise appena. «Sì, ma cerco di stare sempre in disparte e all'ombra. Sono amico delle persone, non dei ruoli che ricoprono. Se devo dire a Barrera che si sta comportando da stronzo, fidati che glielo dico senza tanti complimenti.»
Max sorrise di sbieco, poi tornò serio: «Perché Sophie ti ha chiesto di raggiungerla?».
«Onestamente non lo so. Mi ha accennato in maniera molto blanda la questione, ma credo si tratti di nuovo di suo figlio. Sapeva che tu e io saremmo dovuti partire per il Giappone e non mi avrebbe mai chiesto di rinunciarvi per una sciocchezza, credimi.»
Maximilian ammetteva di esser rimasto un po' male quando il fidanzato gli aveva detto che avrebbero dovuto spostare la partenza per quella specie di "luna di miele" che avevano scelto di fare dopo il fidanzamento ufficiale, ma era abbastanza sveglio e serio da capire quando i problemi erano ben altri.
«Il figlio di Sophie è un piantagrane, dunque?»
Rio sospirò. «In teoria... no. Non so se sarà presente, non so neanche se abiti ancora con sua madre e con sua sorella, ma so questo: a primo acchito può sembrare un ragazzo a modo, è uno di quelli che tutti i genitori vorrebbero come figlio; quando studiava la magia aveva sempre voti ottimi, i professori lo lodavano e tutto il resto, ma...»
«Cosa?» incalzò l'altro, un po' nervoso.
«Se ti dico una cosa, giurami che non ne farai parola con Sophie. Non perché lei non ne sia al corrente, ma perché non è bello rigirare il coltello nella piaga.»
«Tranquillo, non dirò niente.»
«André da bambino era inizialmente normale, come tutti gli altri. Solare, allegro, un po' pestifero, poi però è successo qualcosa. Sophie mi ha detto che si ammalò e non appena tornò in forze lei e suo marito si resero conto che era cambiato. Che tu ci creda o no, il primo a pagarne il prezzo fu il loro povero gatto.»
Max si sentì gelare. «Cosa?»
«Non mi va di scendere nei dettagli, dico soltanto che quella povera bestia fece una brutta fine e Sophie capì che era stato lui solo quando rinvenne dei vestiti sporchi di sangue, proprio quelli del figlioletto. André aveva solo otto anni all'epoca. Non so se sia peggiorato da allora, in teoria non ha più fatto niente di simile, però confesso che certe volte, incrociandolo, rabbrividisco per qualche ragione inspiegabile. Non so dirti perché, so solo che non mi piace restare da solo con lui in una stanza. È un ragazzo molto strano e forse... forse possibilmente pericoloso. Non saprei se definirlo disturbato, ma è decisamente sopra le righe ed eccentrico. Non in modo simpatico e alla mano, però.»
«Cristo santo» esalò Maximilian. «Non immaginavo che Sophie...»
«Tutti hanno le proprie croci» si limitò a buttar lì Dario. «A volte mi sono ritrovato a pensare che André potesse aver avuto un ruolo persino nella scomparsa improvvisa di suo padre. Suona orribile, lo so, ma quando lo guardo negli occhi percepisco qualcosa di strano e per niente positivo. Sophie da allora, stranamente, fa di tutto per non perdere di vista André.»
«Quindi... anche lei sospetta che...?»
«Una volta me lo fece capire, seppur indirettamente. Ciò che ora mi preoccupa, tuttavia, è cosa mi ha accennato per telefono: André potrebbe essersi avvicinato alla magia nera e lei non sembra propensa a denunciare alcunché, almeno finché non avrà delle prove concrete.»
«Ma se ha davvero fatto quel che ha fatto quando era appena un ragazzino, mi sembra già qualcosa degno di attenzione. Voglio dire... una persona normale non farebbe mai una cosa del genere! È sì e no da manuale! I serial killer più efferati hanno cominciato la loro infame carriera iniziando proprio col maltrattare e seviziare animali di piccola taglia!»
«Lo so, Max, ma Sophie resta sua madre. Non ho mai avuto figli, va bene, ma la mia avrebbe ucciso pur di tenermi al sicuro e non farmi mai mancare alcunché. André è suo figlio, è normale che voglia concedergli il beneficio del dubbio.»
«I rapporti familiari sono sopravvalutati, Rio. Lo sai meglio di me.»
«Lei però è una madre esemplare, questo te lo posso garantire. Ama i suoi figli e in un certo senso verso André ha sempre mostrato una sorta di preferenza. È ovvio che voglia cercare di aiutarlo, prima di ricorrere a metodi meno gentili ed estremi.»
D'altra parte André aveva solo ventun anni e un'intera vita davanti a sé. Valeva la pena tentare di dargli una mano, finché erano in tempo e i danni potevano esser arginati.
Il silenzio perdurò fino a quando non fu nuovamente Rio a infrangerlo: «So che forse può sembrarti assurdo che io mi stia dando tanta pena per André, ma il fatto è che... non solo sua madre è una mia cara amica, ma ho visto nascere quel ragazzo, per così dire. La prima volta che l'ho conosciuto era appena un neonato e ricordo ancora quando Sophie me lo fece tenere in braccio. Lei aveva lo sguardo di una madre colma di aspettative, progetti e sogni per il figlio e André, nonostante i problemi che presenta, è una persona sveglia e di spiccata intelligenza. Sarebbe orribile vedere qualcuno come lui finire male solo perché non ha ricevuto l'aiuto di cui aveva bisogno. Un enorme potenziale sprecato per i motivi sbagliati».
«Capisco che tu tenga a lui, ma...», Max sospirò. «Ho la sensazione che questo viaggio risulterà a lungo andare pericoloso. Sono preoccupato per te.»
«Me la so cavare, ormai dovrebbe esserti chiaro.»
«A volte neanche quello è sufficiente.»
Max non aveva dubbi sulle capacità del fidanzato, il quale era sicuramente un fuoriclasse, ma non faceva che ripensare alla sera in cui gli era stato detto che Dario era stato portato d'urgenza al Sanatorio; non riusciva a dimenticare il terrore che aveva provato nel sapere di tutte le ferite che Rio aveva riportato durante una missione, ferite che lo avevano quasi ucciso e comunque l'avevano segnato dentro, nell'animo. Come poteva stare tranquillo quando tutte le volte in cui lo vedeva partire temeva sempre di non vederlo tornare più?
Non ha mai voluto dirmi cos'è successo quella volta o... meglio ancora... non è mai entrato nel dettaglio. Non vuole dirmi chi sia stato a ridurlo in quel modo o perché.
«È come se tu, ancora una volta, stessi cercando di rimediare a un errore che hai fatto in passato» disse poi, riflettendo. Si stupì non appena comprese di averci visto giusto. Dario gli lanciò un'occhiata e non subito rispose. «Ventitré anni fa accaddero dei fatti orribili in America. Per la gente comune si trattò solo dell'ennesimo assassino che aveva mietuto vittime e sparso ovunque terrore e morte, ma non per me e altri che seguirono il caso. La città di Topeka per un anno visse nella paura a causa di un uomo che iniziò a uccidere ovunque, senza un filo logico, solo per il gusto di versare sangue innocente. Si chiamava Harrison, ma tutti lo conoscono con il nome di Winston Fawkes. Da quel che mi è stato permesso di sapere, odiava il suo vero nome e tendeva a presentarsi con l'altro; quello di battesimo lo aveva ereditato dal padre che... diciamo... non era esattamente un uomo degno di esser definito tale.»
Max sbatté le palpebre. «Winston Fawkes» ripeté. «Mi è familiare, ma non ne sono sicuro.»
«Beh, c'è da dire che all'epoca cercarono di fare di tutto pur di non fare pubblicità all'accaduto e gettare nel dimenticatoio la faccenda. Parlo sia delle autorità umane che delle nostre.»
«E cosa c'entravano quelli come noi?»
Dario si morse il labbro inferiore. «Hai mai sentito parlare di ‟Lavender Boy?"»
Di nuovo Maximilian ebbe l'impressione di aver presente quel nome. «Non saprei dire.»
«In pratica si tratta di un'entità che sfortunatamente anche gli umani ebbero modo di conoscere dopo gli omicidi di Fawkes. L'unica superstite fu una bambina di nome Josephine Treyson: riuscì a fuggire e sembra che fu proprio Lavender Boy, il Ragazzo delle Lavande, ad aiutarla. Parlò di un giovane uomo dagli occhi e i capelli viola con un'espressione perennemente malinconica stampata in faccia. Tra i Sovrannaturali ci fu un bello scompiglio, perché entità come lui non hanno il permesso di intervenire o cambiare la sorte dei mortali. Non era previsto che aiutasse la piccola, ma lo fece e questo diede modo alle autorità umane di arrestare l'assassino. Quello che però nessuno sa, perché tale informazione rimase riservata come molte altre, è che Fawkes non tentò neppure di fuggire e si arrese immediatamente. Mentre veniva arrestato, sembrò cambiare repentinamente atteggiamento e diventare un'altra persona. I poliziotti quel giorno arrestarono un uomo in stato confusionale, terrorizzato, un uomo che fino all'ultimo, finché non venne condannato a morte, continuò poi a ripetere di non ricordare di aver commesso quei crimini e di essere addirittura innocente.»
Max rabbrividì e non solo per la storia di Fawkes, ma anche perché la descrizione di Lavender Boy gli risultava familiare. «È possibile che abbia visto quell'entità anch'io, quando ancora ero umano?»
In effetti, alcuni giorni prima di uccidersi, gli era parso di intravedere per strada un ragazzo dall'aspetto curioso che rispondeva alla descrizione offerta da Rio. «All'epoca pensai di avere le traveggole o che fosse una persona decisamente strana, ma il fatto che mi lasciò basito fu rendermi conto che ero l'unico a vederlo. Nessun altro lo aveva notato, per quanto bizzarro.»
Dario sorrise amaramente. «Lui è un Rivelatore, un'entità che appare solo a coloro che sono in procinto di morire, specialmente chi magari sta affrontando una grave malattia, un periodo difficile o sta pensando al suicidio.»
Max lo guardò. «In effetti non riuscivo a pensare ad altro se non a voler uccidermi e farla finita per sempre, in quei giorni. Volevo solo che tutto finisse.»
«Allora è probabile che tu lo abbia visto veramente.»
«Credo mi abbia persino parlato, ma non ricordo cosa mi disse» aggiunse Max. «Ho come la sensazione che... insomma... che anche tu abbia avuto modo di incrociarlo.»
Dario gli lanciò una breve occhiata e per secondi che sembrarono in un certo senso dilatarsi e diventare lunghi come interi minuti non disse niente. Poi...
«Sì. Lo vidi anch'io. Se devo essere sincero, non diedi importanza a quell'episodio. Mi era capitato di vedere cose bizzarre sin dall'infanzia e che tu ci creda o meno, Max, un giovane uomo dai capelli e gli occhi viola con un'espressione malinconica stampata sul viso non era fra le stranezze peggiori.»
Max si accigliò, preso in contropiede da quella confessione. «Cosa potevi aver visto di più strano di un essere come il Ragazzo delle Lavande?»
«Ti faccio brevemente un esempio: quando avevo dieci anni, la mia matrigna mi sorprese a parlare in apparenza da solo, ma il punto era che in realtà sembravo conversare con qualcuno o qualcosa che solo io potevo vedere. Lei mi chiese cosa stessi combinando e anni dopo, quando mi raccontò l'accaduto dal suo punto di vista, mi disse cosa le avevo risposto.»
«Ovvero?» incalzò Maximilian.
«Che mia nonna, ovvero sua madre, mi stava rassicurando dicendo che stava bene e che le mancavamo tutti, specialmente il sottoscritto. Il punto, Max, era che mia nonna era morta una settimana prima, eppure io l'avevo vista, le avevo parlato ed ero sicuro che si fosse trattato di qualcosa di reale, proprio come ora sto parlando con te. Descrissi l'abito alla mia matrigna e lei lo riconobbe come quello con cui mia nonna era stata tumulata. Io non avevo partecipato al funerale perché non ero stato bene, perciò no, sono sicuro che non si trattò di suggestione o della mia immaginazione. Specialmente considerando che vedevo quello stesso vestito macchiato di rosso sul torace. Nessuno mi aveva detto che lei se ne era andata per una malattia incurabile e molto grave che oggi sarebbe stata identificata come tumore al seno. Non sapevo niente di niente, ero solo... veramente triste per la sua dipartita. Avevo in un certo senso espresso dentro di me il desiderio di poter rivederla un'ultima volta e lei aveva deciso di accontentarmi.»
«Mio Dio» esalò Wildbrook, scosso. «E non ti spaventasti?»
«Per niente. Ero solo contento che mia nonna fosse tornata, anche se vestita di nero e con quella strana macchia di sangue sul seno. Forse le domandai pure come avesse fatto a sporcarsi, ma non ricordo quasi niente dell'accaduto. È passato troppo tempo e persino i ricordi di un vampiro possono sfumare e scomparire, alla lunga, specie quelli antecedenti alla trasformazione.
«E cosa fecero tuo padre e la tua matrigna?»
«Mio padre non fece niente perché lei non gli raccontò mai l'accaduto. Credo avesse capito che in caso contrario avrei passato dei guai e decise che sarebbe rimasto un segreto fra di noi. Comunque, giusto per stare tranquilla, fece benedire la casa e... beh, finì tutto così.»
«E dopo quell'esperienza ne accaddero altre?»
«Sì, ma cercavo sempre di ignorare quegli episodi. Mi dicevo che forse la mente mi stava solo giocando qualche brutto scherzo o, ancora meglio, che sotto sotto fossi matto come un cavallo. Poi... beh, l'ultima volta che accadde, vidi il Ragazzo delle Lavande.»
«Quando?»
«Alcune settimane prima che la tubercolosi si aggravasse. Mi parlò, anche.»
«E cosa ti disse?»
«Che non avrei dovuto soffrire ancora per molto, per farla breve. So che tanti, quando lo vedono e ricevono da parte sua dei moniti o delle cupe profezie di morte imminente, si spaventano, arrabbiano o si rifiutano di credere che si sia trattato di qualcosa di reale, ma io provai solamente sollievo. Mi dissi che presto sarebbe finito tutto e avrei cessato di essere un peso per chi mi stava attorno. Odiavo quella malattia e odiavo ancora di più vedere il prossimo soffrire per causa mia. Lavender Boy, anziché annunciarmi una cosa terribile, paradossalmente mi diede speranza e conforto. Quella non era più vita, ormai ero un cadavere che camminava. Cos'altro poteva esserci di peggio?»
«Se vuoi ti faccio un riassuntino» commentò Max, sarcastico e allusivo.
Dario gli rifilò un'occhiataccia. «Ovviamente non sapevo ancora che sarei diventato un vampiro, banana.»
Wildbrook sghignazzò, poi tornò serio. «So che non ti sei trasformato in circostanze piacevoli, ma... una parte di me è contenta che sia successo, altrimenti non ti avrei mai potuto conoscere. Vorrei solo che tu non avessi dovuto affrontare così tante cose orribili durante i secoli.»
«Siamo ciò che abbiamo vissuto. Probabilmente, se avessi avuto una vita facile e tranquilla, anche se come vampiro, non ti sarei stato granché simpatico, credimi. Da vivo non ero la persona più amabile del pianeta, Max, fidati. Sono cambiato solo quando mi sono ritrovato senza una posizione sociale agiata e privo di una famiglia che potesse aiutarmi, se avessi mai avuto problemi. Ho fatto parecchie stronzate da ragazzo, cose che al giorno d'oggi non rifarei mai.»
«In sostanza eri un autentico esemplare di principino viziato.»
«All'incirca.»
«Un po' lo sei anche adesso, certe volte.» Che a Dario piacesse esser coccolato e riempito di attenzioni come un sornione gatto di razza non era esattamente un segreto. C'erano occasioni nelle quali ciò che realmente stupiva Max fosse non sentirlo fare le fusa a tutto spiano. «Comunque... tornando alla questione di Topeka... come fai a sapere tutte queste cose sul conto di Fawkes, se sono confidenziali e strettamente riservate?»
«Obyria incaricò me di fare alcuni accertamenti.»
«Per la storia di Lavender Boy?»
«Non solo, c'era anche qualcos'altro, qualcosa che mi fece restare a bocca aperta quando mi recai in prigione e mi fu permesso di parlare da solo con quell'uomo. Non fu semplice. La polizia del Kansas lo trattava come un unicorno radioattivo, se capisci cosa intendo.»
«E cosa ti disse?»
«Lui...» Dario deglutì. Aveva l'aria inquieta. «Lui era la perfetta copia di qualcuno che so per certo esser morto secoli fa. Parlo del Principe Richard, Max.»
Wildbrook lo fissò stralunato. «In che senso?»
«Sarebbero potuti passare per gemelli, te lo giuro. La sola differenza erano i capelli scuri di Harrison. Mi sentii male quando lo vidi e posso assicurare di aver avuto poche volte una reazione del genere. Non mi si presentò un feroce assassino, arrogante e fuori di testa, fiero del proprio operato, ma un uomo distrutto che ripeteva di non avere memoria di ciò che aveva fatto. A un certo punto finì per scoppiare in lacrime. Mi disse che l'ultimo ricordo in assoluto che aveva era di aver attraversato un periodo di forti emicranie, di incubi orribili e... voci, strane e minacciose voci che solo lui poteva sentire. Non era pazzo, però. Certe cose sono bravo a percepirle e lui era sano di mente, Max. Prostrato e annientato, certo, ma senza la minima ombra di pazzia nella mente. Era come se a un certo punto qualcosa o qualcuno si fosse sostituito a lui, capisci? E non parlo di un qualche disturbo della personalità.»
Max aveva lo stomaco sottosopra. «Sicuro che non si stesse solo giustificando o non fosse realmente affetto da una patologia mentale?»
«No, era sincero, purtroppo. Sincero e sano di mente come lo siamo tu ed io. Gli chiesi di raccontarmi la sua storia, perché inizialmente ero scettico e... volevo cercare di capire se qualcosa nel suo passato lo avesse spinto a reagire e a diventare un predatore. Spesso chi è stato una vittima finisce per diventare a sua volta un carnefice.»
«Cosa ti disse?»
«Mi resi poco a poco conto di aver di fronte una persona la cui vita era sempre stata difficile. Nacque da una coppia che fu costretta a sposarsi proprio a causa sua e suo padre si era rivelato essere una bestia. Aveva subito abusi per anni e anni sotto gli occhi di una madre succube che fingeva di non vedere e sin dalla nascita lo aveva tenuto a distanza e additato come la sua rovina. Nonostante questo, però, era cresciuto come un ragazzo remissivo e fragile che aveva persino abbandonato la scuola per andare a lavorare quando il padre alla fine se n'era andato di casa. Aveva una sorella più piccola che aveva convinto a lasciare la casa di famiglia, così che potessero farsi una vita da soli e stare lontani dalla madre che aveva iniziato a bere e a essere a sua volta violenta. Non si era mai sposato, a differenza della sorella.»
Max ascoltò col cuore in gola, senza commentare.
«Anni dopo poi erano iniziate, appunto, le strane emicranie, gli incubi, le voci, finché tutto non si era spento di colpo. Quando mi raccontò la propria esperienza usò proprio queste parole: tutto si era spento e riacceso solo poco prima dell'arresto. Mi disse che il primo ricordo in seguito a quella lunga specie di sonno era stato sentire l'arrivo della polizia. Aveva visto la casa dei Treyson: sangue ovunque e il cadavere di una donna, la madre di Josephine. Quando andai a parlargli, lo condussero nella sala degli interrogatori con una camicia di forza. Una settimana dopo affrontò la sedia elettrica, lasciandosi alle spalle una sorella disperata e piena di vergogna, un cognato nelle stesse condizioni e un nipote che non aveva fatto mai in tempo a veder nascere.»
«Perché ti senti in colpa, allora?» chiese Max, non riuscendo proprio a capire.
«Perché capii di trovarmi di fronte a un caso di possessione, Max: le vittime di possessione non sono responsabili dei crimini delle entità che le soggiogano, sono solo strumenti, feticci umani attraverso i quali vengono perpetrate azioni orribili. Harrison non aveva alcuna colpa, se non di esser stato un uomo fragile, un perfetto bersaglio in pratica. Le persone più forti tendono a resistere. Io mi sentivo in colpa perché non c'era modo di dimostrare alle autorità umane la sua innocenza e Obyria, semplicemente, aveva scelto di lavarsene le mani. Fawkes venne abbandonato da tutti e morì da solo, ricordato come uno dei peggiori assassini della storia americana che era stato però sconfitto in astuzia da una bambina e quello che i giornali avevano definito uno ‟spiritello malinconico". Non potei far niente per lui. Anche se sapevo la verità, anche se avevo letto nel suo animo tutto quanto, fui costretto a dissociarmi, a guardare altrove e a ignorare i fatti.»
«Quindi... vuoi evitare che si ripeta una cosa del genere con André?»
«Esatto.»
«Ancora non capisco, però, la somiglianza di Fawkes con Richard.»
«Neanche io» ammise Dario, pensieroso. «Ancora mi arrovello alla ricerca di una risposta che forse non troverò mai. So solo che le reincarnazioni o simili sono eventi molto rari e mai fino a questo punto accurati. Ho molte teorie, ma sono una più folle dell'altra e prive totalmente di fondamento.»
Max, nonostante tutto, sorrise appena. «Be', finché non arriverai a capo del mistero, sappi che siamo tutti nelle tue mani, Callaghan.»
Dario rise forzatamente. «Davvero spiritoso.»
«Il mio era un complimento!»
«Oh, certo!» Il vampiro dai capelli scuri tornò ben presto serio ed esitò. «Comunque... mi dispiace sul serio che non abbiamo potuto fare quel viaggio. Per te era importante e lo era anche per me, credimi.»
Max scosse la testa e sorrise di sbieco. «Non hai ancora capito, vero?»
«Che cosa?»
«Non importa dove ci troviamo o dove andiamo. Se sono al tuo fianco, ogni giorno, persino il più monotono trascorso a casa a non fare niente, per me rappresenta un'avventura. E ogni giorno senza di te, lontano da te, invece per me rappresenta un intero mese di lutto. Non ho bisogno di andare fino in Giappone per sapere questo.»
Dario abbozzò un sorriso, gli occhi scuri che scintillavano. Sembrava sinceramente commosso. «Oh, Max...»
Wildbrook fece spallucce. «È solo ciò che penso. Ti amo e del resto non mi importa un granché.»
L'altro di nuovo ebbe un attimo di esitazione. «Comunque... ho pensato alla proposta che mi hai fatto la settimana scorsa e... la risposta è sì. Credo di amarti così tanto da non poter più tollerare l'idea di non poter svegliarmi ogni singolo giorno accanto a te. Voglio... voglio stare con te. Voglio poter guardarmi in giro e pensare che dove mi trovo è casa nostra, non solo tua. Quindi sì, Max: che convivenza sia.»
Maximilian sentì il cuore fare un triplo salto mortale. «Dici davvero? Ma come farai con il castello?»
«Oh, non ci sono problemi per quello. Sarà Harper a continuare ad amministrarne la manutenzione. Vivrà lì e trascorrerà quel che resta della vecchiaia circondato dall'agio e dal lusso. Se lo merita, dopotutto, e quel castello è troppo grande per me. Il tuo appartamento non sarà così spazioso e di sicuro non è un maniero, ma... sa di casa. Ogni cosa là dentro parla di te, mi sussurra il tuo nome ogni volta che mi guardo in giro e ne osservo i dettagli anche più insignificanti. So di esserti sembrato una persona viziata e venale, un materialista i cui occhi diventano a cuoricino non appena gli vengono offerti dei diamanti, ma non è così, credimi. Sai che non ho vissuto nell'agiatezza, a un certo punto della mia vita, e sai anche che ero lo stesso felice perché mi sentivo amato. Non mi importa se non sono circondato dall'oro e dallo sfarzo, non se ho accanto a me un uomo come te.»
Intanto erano finalmente giunti di fronte a casa di Sophie, un'incantevole villetta dallo stile coloniale d'un azzurro pastello. Era decisamente una bella dimora, ma Max aveva occhi solo per il fidanzato. Ai suoi occhi era lui a risplendere come un sole notturno. Appena lo vide spegnere il motore e fare per scendere, si sporse per fermarlo e attirarlo verso di sé, poi lo baciò con ardore, con tutto l'amore che provava e voleva che lui a sua volta sentisse. Voleva che sentisse il suo amore con tutta l'intensità possibile e immaginabile.
«La prossima volta», sussurrò col fiato corto, «avverti prima di fare discorsi del genere. Sono letali, specie se pronunciati da te.»
Dario sghignazzò debolmente e gemette piano, con vera delizia, non appena l'altro vampiro tornò subito a baciarlo. «Continua così e offriremo uno spettacolo a luci rosse alla povera Sophie e famiglia» scherzò, pur non del tutto. Gli bastava poco per andare su di giri, quando si trattava di Maximilian Robert Wildbrook e i suoi pettorali da urlo.
Max rise. «Ammettilo: non sarebbe una vista così malvagia.»
«Smettila!» Rio si convinse a spingerlo via giocosamente e si risistemò i lunghi capelli un po' scomposti dopo aver amoreggiato appassionatamente a quel modo col fidanzato. «Su, andiamo. Riprenderemo da dove abbiamo interrotto non appena saremo in hotel.» Erano le dieci di sera passate e presentarsi a quell'ora era già abbastanza riprovevole, d'altronde. Fece un bel respiro. «Bene... sono pronto. Andiamo.»
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro