𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐕𝐈𝐈𝐈. 𝐋𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐢𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞
Askan posò di fronte a lui una tazza nella quale v'era del sangue riscaldato al punto giusto, poi gli si sedé dinanzi e giunse le mani sul tavolo della cucina. «Allora, com'è andata?» chiese con un lieve sorriso.
Max prese un sorso della linfa scarlatta, anche se aveva lo stomaco chiuso e la testa altrove da quando era tornato da Ashfield Manor senza esser riuscito a rivedere Dario. Era andata proprio come Grace gli aveva detto: non si era ripresentato per tutta la sera e lui, capendo l'antifona, aveva deciso di tornare a casa, solo per poi cambiare idea all'ultimo minuto e passare da Askan. Sospirò. «Fino a un certo punto è andata abbastanza bene, anche se inizialmente non sembrava granché contento di vedermi» rispose a mezza voce. «Poi... uhm... a-abbiamo parlato e...», deglutì a vuoto e prese un altro sorso di sangue per farsi coraggio. In realtà lo fece solo per celare l'imbarazzo.
Askan si accigliò, intenerito dalla sua reazione. «E...?»
«B-Beh... diciamo che a un certo punto la situazione è tracollata e...», Max gesticolò nel tentativo di farsi capire senza dover per forza dire di esser andato a letto con Rio. Solo ripensare a cos'era accaduto fra quelle lenzuola lo riempiva di imbarazzo, sì, ma anche di euforia. In fin dei conti era stata la sua prima volta e la cosa in sé per sé era andata più che bene. Era stato il resto ad aver lasciato a desiderare.
L'altro vampiro capì al volo e ridacchiò, per poi celare la risata con un colpo di tosse. «Di solito non va a letto con le persone che non è felice di vedere» commentò allusivo.
Max si morse il labbro inferiore. «Il punto è che poi si è arrabbiato.» Spiegò ad Askan tutto, senza scendere nei dettagli più privati e piccanti. «Non sapevo avesse capacità del genere né di avergli chiesto di rinunciare a qualcosa per lui molto importante, altrimenti sarei rimasto zitto.»
Reger esalò un sospiro e si massaggiò le tempie. «Ha sempre considerato le sue doti una maledizione, questo è vero. I primi tempi non erano così avanzate, ma a questo purtroppo rimediò mio fratello. Faceva di tutto per spingerlo al limite, sapendo che spesso i vampiri giovani non riescono a calibrare bene i propri doni e sono incapaci di controllarli o porvi dei limiti. Mio fratello era un mostro e Dario fu per un po' la sua vittima preferita. Sapeva di non poter cambiarlo, di avere a che fare con uno che non lo temeva e anzi lo disprezzava, e persone del genere Arwin le vede come una sfida, un muro da abbattere ad ogni costo. Io cercai di minimizzare i danni e di intervenire. Inquadrai sin da subito Dario e tentai di frappormi fra lui e mio fratello, di difenderlo ed evitare il peggio, finché non fu lui stesso a non reggere oltre la situazione e scelse di ribellarsi, di mandare al diavolo i rischi. Era davvero arrivato al punto di rottura: o avrebbe alzato la testa e avrebbe reagito oppure... avrebbe perso la lotta e avrebbe avuto la peggio.»
Max sbatté le palpebre. «Cosa fece, di preciso?»
«Oh, nulla di eclatante, davvero. Fu una cosa molto graduale e in crescendo, come quelle melodie da camera che cominciano in maniera sommessa e finiscono con lo squillare infernale di ottoni. Iniziò a tenergli testa, a resistere e a non permettergli più di torturarlo psicologicamente. Ne aveva sul serio abbastanza.»
«Perché Arwin lo faceva, si può sapere?»
«Per far diventare Dario esattamente come lui. Dopotutto lo aveva scelto, aveva deciso in modo consapevole di renderlo un vampiro, di estendere su di lui una sorta di patria potestà» rispose semplicemente Askan. «Dario era e resta tutt'ora suo figlio, è ciò che diventa un vampiro quando viene creato e il suo Creatore sceglie di prenderlo sotto la propria ala. Il punto è che Arwin trasformò quel ragazzo con la forza e con l'inganno e... beh, lo fece in un momento in cui non poteva essere respinto né contrastato. Si approfittò del suo stato fragile. Sarebbe comunque morto nel giro di pochi giorni, non poteva reagire e, soprattutto, come tutti aveva il terrore della morte.» Il vampiro nordico esitò. «Non parlare con lui di ciò che sto per dirti. Tiene molto alla propria privacy, non sembra ma... è riservato come pochi e ci tiene che la sua vita privata resti tale. La sua è sempre stata una guerra continua per far valere il suo diritto di vivere in santa pace, sai? E da quando il giornalismo e i tabloid hanno iniziato a fioccare anche a Obyria... Dio! Non gli hanno mai dato un po' di tregua!»
«Non mi piace sbattere in faccia agli altri il loro passato, credimi» lo rassicurò Max. Non osava immaginare, comunque, che razza di vita stressante fosse quella di Dario. Sempre sotto i riflettori, sempre soggetto alla pubblica critica, forse a gogne mediatiche. Maximilian mai aveva concepito la sfacciata crudeltà del giornalismo.
Askan fece un lungo sospiro. «Bene. Allora... Dario morì di tubercolosi nel millecinquecentocinquanta, a trent'anni precisi. Mi sembra che li avesse compiuti solo un paio di mesi prima e dubito fosse stato un giorno sereno. Era già malato, la tisi non gli dava tregua e lo costringeva spesso a letto. Credo che il medico che lo aveva visitato avesse stabilito che doveva restare chiuso in una stanza e lontano soprattutto da altre persone per non infettare nessuno. Suppongo che gli ultimi mesi di vita per lui furono atroci e solitari. Quando sei un malato terminale in epoca rinascimentale, una persona istruita e abituata a pensare, amareggiata come lo era lui, di cose su cui riflettere e recriminare ne hai a iosa. Non oso figurarmi quali furono i suoi pensieri.»
Wildbrook annuì. «Ha solo detto di esser morto proprio di tisi, in realtà, oltre ad aver buttato lì di essersi andato a cercare tutto.»
«A rigor di logica questo non è affatto vero o almeno... non fu realmente colpa sua, ma di tanti eventi concatenati e di un padre che lo aveva rinnegato e diseredato. All'epoca non ci voleva molto per cadere dal piedistallo, Max, specie se tuo padre e la tua matrigna venivano a risapere di una tua tresca con una persona del tuo stesso sesso. Nel Cinquecento, specialmente in Italia, si rischiava la prigione a vita o persino la morte. Bastava una sola voce, un pettegolezzo accennato ed era finita.»
Max si sentì gelare. «Quindi... quindi lo allontanarono perché...»
«Sì, esatto. In realtà suo padre lo venne a risapere da un servitore a lui molto fedele che era stato incaricato di sorvegliare Dario, dato che ultimamente aveva cominciato a mostrare ripensamenti sul voler conseguire una carriera religiosa. So che ora ti sembra assurdo che volesse prendere i voti, ma all'epoca era più una questione di prestigio e interesse politico, per non dire economico, e la sua famiglia era molto influente e rispettata a Firenze, così come a Roma e Venezia. Al giorno d'oggi so che è diventato un uomo molto miscredente e disilluso, ma da quel che ha raccontato a me... c'era un tempo in cui la sua fede era solida. Era stata sua madre a instillargli davvero l'amore per le credenze cristiane, quindi non fu semplice per lui venire a patti con la sua reale sessualità.»
Askan fece una pausa.
«Il rapporto con suo padre si era già parecchio inasprito quando qualche anno prima si era rifiutato di sposare la ragazza che avevano scelto per lui sin dalla tenera età sua e della promessa sposa; non aveva voluto saperne di prenderla in moglie e suo padre si era infuriato ed erano quasi arrivati alle mani. Puoi immaginare cosa accadde quando quel vecchio testardo lesse quelle lettere in cui era chiaro che fra suo figlio e il destinatario v'era del tenero: parole dolci, un disperato e ardente desiderio di lasciar tutto e scappare lontano assieme, discorsi che solo due amanti avrebbero potuto fare. Amanti ingenui e dai sentimenti sinceri. In realtà, cosa non rara, finì per invaghirsi, innamorarsi anzi, di un uomo molto più maturo di lui, un uomo di cui... beh... già altre volte si era vociferato in giro riguardo a quella che veniva definita una perversione, ovvero l'omosessualità.»
Max finalmente capì quella vaga comprensione che aveva scorto negli occhi di Rio la sera precedente. Lo capiva perché in un certo senso aveva vissuto sulla sua stessa pelle il terribile peso del rifiuto della famiglia, il sentirsi sbagliato e in errore. La condanna sociale, soprattutto. La moralità becera e ipocrita che non perdonava chi non si amalgamava alla massa.
«Cosa accadde?»
«Scelse di abbandonare gli studi ecclesiastici, ormai consapevole di star solo prendendo in giro tutti quanti, e poi se ne andò anche dalla casa di suo padre. Lo fece spontaneamente, prima ancora di essere cacciato e bandito da quella dimora. Per quanto avvilito e confuso, pieno di domande e incertezze su se stesso, non rinunciò ai sentimenti per l'uomo di cui si era innamorato e decise di vivere assieme a lui. Per un po' riuscirono a condurre una vita abbastanza agiata, per circa quattro anni tutto sembrò andare bene, poi però arrivarono i problemi. Si era invaghito di un pittore e poteva capitare che un artista attraversasse un periodo di crisi, che fosse per mancanza di committenti o di ispirazione.»
«Come si chiamava questo pittore?» chiese Max, incuriosito. Sarebbe stato pazzesco se quel vampiro avesse avuto una relazione con qualche nome famoso nel campo artistico del Rinascimento.
«Jacopo Arrighi, ma di lui non ci è pervenuto nulla e quel poco che è rimasto appartiene a Dario e lui custodisce gelosamente quelle opere. Ben pochi sono riusciti a vederle, ma io che le ho viste posso dire questo: Jacopo aveva un talento innato, Max, il suo sembrava un dono divino. I suoi dipinti, i soggetti di essi, sembrano vivi, reali, coi loro sguardi scavano nell'anima di chi li osserva. Erano veri capolavori e Dario non ha mai voluto dire perché ci tenga così tanto a nascondere a tutti i ritratti sopravvissuti fino ad ora. Una volta mi diede una risposta molto criptica che quasi lasciava intendere che fosse stato Jacopo a dirgli di non mostrare al pubblico quei lavori. Semplicemente aborrisce la sola idea di condividere con altri quei tesori artistici.»
Wildbrook esitò. «Puoi descrivermene uno?» chiese, avido di saperne di più. L'arte lo aveva sempre affascinato e andava a nozze con argomenti del genere.
«Beh... in ogni caso avrei dovuto farlo. Ricordo che quando mi mostrò quella sala, mi fermai di fronte a un dipinto alquanto grande ed elaborato. Fu il soggetto a catturarmi, in realtà: una giovane donna dai lineamenti dolci e familiari completamente nuda, distesa con lo stomaco su di un giardino fiorito, talmente incantevole da sembrare l'Eden, ma era lei la vera protagonista. Una versione più innocente e vagamente sensuale di Venere dalla lunga e scura chioma, occhi grandi d'ebano che ricambiavano senza pudore lo sguardo dello spettatore, quasi come una sirena che tenta di attrarre i marinai da lontano. La cosa strana è che quella scena era ambientata di notte, perciò era stupendo come Arrighi fosse riuscito a ricreare i giochi di luce e oscurità, il contrasto fra il riverbero della luna e il buio. La modella, però, risaltava, la sua pelle sembrava risplendere come il tenue bagliore lunare.» Askan sorrise tra sé debolmente. «Gli chiesi per curiosità chi fosse la donna e lui non volle subito rispondere, ma quando lo fece rimasi un po' di sasso. Non lo nascondo: lo fissai a bocca aperta, incapace di credere a quanto stavo sentendo.»
«Cosa disse?»
«Arrighi, in realtà, insisté per voler ritrarre lui, poi però fu proprio Dario a suggerirgli di fare in modo di cambiare il tutto quanto bastava a far credere all'osservatore di star guardando una donna. I lineamenti erano familiari perché corrispondevano a quelli suoi, leggermente cambiati per essere ancora più femminili, ma era senza dubbio lui. C'era un accenno di seno, il fisico raddolcito e privato della mascolinità, il volto appena reso più rotondo, tuttavia la somiglianza era palese e spudorata. Era la sua gemella, la sua fedele versione al femminile. Assurdo che non mi fosse stato sin da subito chiaro.»
Maximilian non poté non ripensare alla notte trascorsa nel letto di Rio né fare a meno di ricordare ogni particolare del suo corpo sotto il proprio, la sua voce, i suoi sospiri, tutto. Deglutì a fatica. Ci aveva preso, però, quando si era domandato se qualcuno fosse riuscito a immortalare la bellezza di Dario in un dipinto. «Doveva amarlo davvero tanto per aver proposto e tollerato un cambiamento del genere. Insomma, non tutti sarebbero scesi a un tale compromesso.»
«Sì, fu il suo primo amore viscerale e incondizionato e Jacopo lo rese il suo soggetto preferito, la sua musa ispiratrice, poi però arrivò qualcosa di molto peggio della difficoltà economica, qualcosa che spinse Arrighi a interrompere la carriera di pittore e pensare a ben altro. Dario mi disse che Jacopo, da quel momento in avanti, non ebbe nient'altro per la testa se non quel problema e la ricerca disperata di una soluzione.»
«La tubercolosi?»
«Sì, Dario si ammalò, ma all'inizio neppure si accorse di aver contratto quella malattia mortale in un modo tra l'altro ben poco dignitoso. Non se ne rese conto finché non fu troppo tardi.»
«Ossia?» incalzò Max, col cuore in gola.
Askan si passò una mano fra i capelli. «Jacopo una sera litigò pesantemente con un uomo. Dario era presente e quando si accorse che la situazione stava degenerando, si frappose fra il suo amante e quel tizio e per sbaglio lo spintonò e gli fece battere la testa. L'uomo morì sul colpo e Dario finì in prigione, anche se si era trattato di un incidente. Non so cosa accadde, so solo che lì dentro contrasse la tubercolosi e poi, per qualche ragione ignota sia a lui che a me, lo rilasciarono. Si accorse di essere malato solo alcuni mesi dopo, quando cominciò a peggiorare, a indebolirsi e alla fine a non mangiare più né a respirare correttamente. Jacopo gli rimase vicino fino alla fine e fu allora che mio fratello entrò in scena, camuffato dietro alla professione di medico, l'ennesimo convocato dal pittore affinché salvasse il suo amato angelo. Lo chiamava così. Arwin fece bere a Dario il proprio sangue, riuscì a convincerlo dicendogli che era una cura per la consunzione, ma in realtà era la sua linfa mista a una piccola dose di veleno, poche gocce che bastarono a uccidere il poveretto alcune ore dopo e a trasformarlo. Credo lo ritenesse sprecato per qualcosa come la morte. Fu il suo aspetto esteriore la sua condanna, temo. Era una creatura troppo rara e appetitosa perché andasse perduta in una bara o in una fossa comune. Nella sua mente contorta volle preservare per sempre Dario.»
«Poi cosa successe?»
«Si risvegliò dal sonno di morte e tornò nel nostro mondo come vampiro e il primo ad accoglierlo fu mio fratello. Si fidò di lui finché non capì con chi aveva davvero a che fare e e quale mostro si celasse dietro quell'apparente gentilezza. Io entrai in gioco tempo dopo, quando avvenne il massacro e Dario comprese che razza di vita lo aspettava. Da quel momento odiò per sempre Arwin e ancora lo detesta. Si odiano così tanto che penso... penso che prima o poi arriveranno a un punto in cui uno dei due dovrà eliminare per forza l'altro.»
Max si accigliò, anche se l'ultima frase gli aveva fatto venire i brividi. «E Jacopo, invece?»
«Fece in tempo a rivederlo, ma quando ormai Arrighi era sul letto di morte, colpito dalla tubercolosi a sua volta. Avrebbe potuto trasformarlo, ma non lo sapeva e dubito lo avrebbe in ogni caso fatto. In tutti i suoi secoli di esistenza ha vampirizzato una sola persona, ovvero Grace. Non c'è nessun altro. Grace, tra l'altro, lo convinse di sua sponte a trasformarla. Lui mai lo avrebbe fatto per sua stessa volontà. Mai condannerebbe una persona al suo medesimo destino.»
Wildbrook finì con un ultimo sorso quella piccola razione di sangue, poi: «Come fai a sapere tutte queste cose, Askan?»
Askan sorrise amaramente. «Fu lui a raccontarmele. Sapevo che aveva bisogno di sfogarsi e di parlare con qualcuno e all'epoca c'ero solo io, perciò perché non aiutarlo, se potevo?»
Maximilian fece un lungo sospiro. «Che cosa avvenne quando abbandonò tuo fratello?»
«Non lo so, onestamente. Per molti anni vagò, credo. Penso che esplorò molti posti e lo fece per sfuggire al vuoto che alcuni di noi percepiscono dopo esser stati trasformati contro la propria volontà e in situazioni drammatiche. La maggior parte dei vampiri non viene trasformata in maniera del tutto consenziente e alcuni di noi sono più fragili degli altri, non è raro che cadano in depressione. Credo che questo successe anche a lui.»
«Scusa se te lo dico, ma sembri... non lo so, parli come se tu per primo conoscessi bene certe cose.»
L'altro vampiro deglutì e abbassò lo sguardo e Max, per un momento, ebbe modo di intravedere in lui una straziante fragilità, una crepa in quella maschera di pacatezza e buone maniere. Lo vide torturarsi di tanto in tanto le mani e lottare per rispondergli. Vedendolo in uno stato del genere, Max gli disse di ignorare la domanda. Non voleva che stesse male per colpa sua.
«N-No, tranquillo, non c'è problema» replicò Askan. «Non mi aspettavo di essere smascherato così, su due piedi, tutto qui!» Era chiaro che stesse cercando di sdrammatizzare.
«Askan, sul serio, non sei obbligato a parlare della tua vita, se non te la senti.»
Reger si sfregò la fronte. «Hai ragione, ci sono passato anch'io. Nemmeno io immaginavo un giorno di diventare una creatura costretta a vivere nelle tenebre e a nutrirsi di sangue, ma la notte in cui mio fratello mi forzò a bere quella disgustosa linfa, dopo che aveva assassinato la nostra famiglia al completo in un impeto di rabbia feroce, tutto cambiò per sempre. Dovetti cambiare i miei piani e dire addio, volente o nolente, alla mia sposa e ai miei quattro bambini. Il più grande aveva appena dieci anni, il più piccolo era nato solo da quattro mesi. Nessuno si salvò quella maledetta notte. Nessuno, tranne me. Non ho mai compreso perché venni risparmiato da Arwin, quale sadico destino avesse in mente per me. Ora eccomi qui, solo in una costante lotta per trovare un posto in un mondo che continua a cambiare e che, certe volte, stento a comprendere. Non è facile, ma tutte le volte in cui ho pensato di farla finita... mi sono sempre fermato e mi sono detto che non sarebbe stato giusto nei confronti dei miei cari. La vita è comunque un dono, giusto? Pertanto è maleducazione e un segno di ingratitudine gettarlo via.»
Max sbatté le palpebre, angosciato. «Porca miseria, io... mi dispiace, Askan. Dio... n-non immaginavo che tu... cavolo!»
«Ormai è acqua passata» lo rassicurò Askan, anche se i suoi occhi avevano una sfumatura rosata ed erano lucidi. Schiarì la voce. «Prima che tu me lo chieda, perché so che lo chiederai: nessuno ha mai scoperto chi abbia trasformato mio fratello. Lui sa molte cose di tutti, ma nessuno è riuscito a carpirgli mezza informazione in più. Chiunque si trovi dietro alla sua vampirizzazione, spero che al giorno d'oggi sia consapevole di aver dato vita a un mostro e di averlo per giunta lasciato a guinzaglio sciolto in modo deliberato.»
Quando riattaccò, capì di non averlo fatto abbastanza in fretta da impedire a Grace di ascoltare stralci della conversazione. Eccola là, appoggiata allo stipite dell'ingresso dello studio dove lui, di solito, tendeva a rifugiarsi per leggere in santa pace o farsi gli affari propri in generale.
«Chi era?» cinguettò lei, avvicinandosi.
Dario evitò di sbuffare come una locomotiva a vapore. «Nessuno» mugugnò, per nulla desideroso di fare due chiacchiere.
«Quindi parlavi da solo?» lo punzecchiò Grace. «Matto lo sei sempre stato, almeno un pochino, ma non credevo fino a tal punto!»
«Dio mio, che...!» Rio alzò gli occhi al cielo. «E va bene, va bene! Era Coso o come si chiama! Contenta?»
«Difficile capire di chi parli. Per te tutti quelli che non ti garbano si chiamano Coso!» rise Grace.
«Giuro che parto davvero per il Giappone e non torno per i prossimi cinquant'anni» bofonchiò lui, uscendo dallo studio nel tentativo di svignarsela ed evitare quella conversazione, ma lei lo seguì, instancabile. «Okay, lasciami indovinare: era Max, vero?»
Dario si fermò, poi si voltò lentamente e sorrise in modo forzato, prima di mostrarle il dito medio: «E questo sono io che ti mando a fanculo».
«Ah, lo sapevo!» esclamò lei entusiasta. «Che ti ha detto? Che voleva? Oh, non me lo dire, non me lo dire! Ti ha invitato a uscire, sì?» Sembrava una ragazzina pettegola e sovreccitata.
«Cosa voleva? Semplice: un calcio nel culo, proprio come te.»
«Quanta grazia in una sola frase, sono commossa! È già il mio compleanno?»
Rio scelse di ignorarla e borbottando sottovoce qualcosa, tentò di tagliare la corda e metter un bel po' di distanza fra loro nel corridoio.
«Inutile che scappi, signorino! Tanto lo sai che prima o poi vengo a risapere tutto! Mi basta solo esasperarti o farti ubriacare!»
Dario si fermò, imprecò in spagnolo e: «Sto andando a riprendermi i vestiti che gli ho prestato, tutto qui! Non mi ha invitato da nessuna parte!» sbottò, gesticolando.
«Quindi ti ha invitato, ma a casa sua? Davvero sei così ingenuo da non aver capito che è una scusa per vederti e forse per fare qualcos'altro? Oh, Rì-Rì, ti credevo meno sprovveduto!»
«Falla finita, Grace. Oggi non sono proprio in vena di cazzate.»
Grace lo raggiunse. «Non sto dicendo una stupidaggine! Stravede per te, persino un cieco sordomuto se ne accorgerebbe! Non puoi essere fino a tal punto ottuso!»
«Beh, io non ho tempo da perdere coi marmocchi come lui» brontolò Dario in risposta. «Vado, torno e fine della storia. Finirò in bellezza la serata andando a sbronzarmi e a sbattermi il primo che trovo, punto.»
Grace lo squadrò. «Te la sei fatta con uno scemo come Cassian e poi rifiuti un ragazzo perbene come Max perché, testuali parole, è un marmocchio? Sei serio? Se solo non fosse gay e a me non piacessero molto di più le donne, credo che te lo fregherei subito! Cavolo, farei carte false per un bravo ragazzo come lui! Sono sempre più rari al giorno d'oggi!»
«Accomodati, allora. Sai quanto me ne importa!»
«Abbastanza da averlo fatto dormire nel tuo letto, invece di spedirlo subito di nuovo a casa sua come fai sempre con le tue conquiste usa e getta» replicò retorica Grace.
«Stava per albeggiare! Chiunque avrebbe...»
«Potevi chiamare Harper e far dormire Max in una delle stanze per gli ospiti, allora» insisté la vampira, quasi come se stesse parlando a un bambino.
Dario si fermò e la fissò. «A che gioco stai giocando, Grace, me lo spieghi?» le chiese sospettoso.
Lei tornò seria e gli puntellò il petto con l'indice: «Al gioco che ti prendo a mazzate come una pignatta se non darai almeno una possibilità a quel ragazzo. Magari non te ne sarai reso conto, ma io penso ci sia un buon motivo se tu due mesi fa ti sei seduto di fronte a lui e ci hai parlato per quasi un'ora senza fare lo stronzo come al solito e questo lo sappiamo tutti e due. Non fare il finto tonto proprio con me!»
Rio ancora una volta non le rispose, si scostò e scese i primi scalini della gradinata che portava all'atrio principale. Non tollerava che Grace gli ribadisse certe cose in un momento in cui era a dir poco confuso e sottosopra. Lui non provava niente per Max e su questo ci avrebbe messo allegramente la mano sul fuoco. Forse gli faceva giusto un po' tenerezza, ma niente di più e in ogni caso non gli interessava chi aveva poca esperienza sia come vampiro che come uomo. Era abituato a ben altri livelli e, in ogni caso, non voleva storie a lungo termine. Voleva solo esser lasciato in pace, a dire la verità.
Guardò alla propria sinistra e incrociò gli occhi seri di Grace.
«Se non altro comportati bene con lui. Quando vuoi sai essere un gentiluomo, è solo la voglia d'esser tale a scarseggiare.»
«Non mi sembra di averlo preso a bastonate» replicò lui caustico.
«Ci sono tanti modi di prendere qualcuno a bastonate, lo sai.»
Dario si fermò e le rivolse un'occhiata di sbieco: «Ci sono altre cose del mio passato che desideri sbattermi in faccia? Giusto per saperlo e non esser più colto di sorpresa».
«Non voglio sbatterti nulla in faccia, voglio solo che tu la smetta di indossare la maledetta maschera che ormai hai addosso da troppo tempo» lo rimbeccò schietta Grace, per poi estrarre dalla tasca le chiavi della sua auto. «Ora, se non ti spiace, ho un appuntamento con una bellissima ragazza, simpatica e tutto il resto. Al contrario tuo, Mister Tenebra, non ho paura di giocarmi per l'ennesima volta i brandelli di cuore e anima che mi sono rimasti. Ricorda questo: la solitudine a lungo andare è intollerabile, ma questo dovresti saperlo più di chiunque altro. Prima o poi dovrai sbatterci il muso.» Lo superò e si diresse alle porte, uscendo un attimo dopo.
Rio attese di sentirla partire, poi raggiunse a sua volta l'esterno e controvoglia si diresse in macchina verso casa di Max, seguendo le indicazioni che gli erano state fornite. Nell'abitacolo dell'auto sportiva e nera, intanto, risuonava Shout dei Tears for Fears. Credendo che la musica sarebbe riuscita a scacciare i pensieri, il vampiro allungò una mano e alzò il volume.
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