𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐈𝐕. 𝐔𝐧 𝐟𝐚𝐯𝐨𝐫𝐞
~ 𝟏𝟗𝟖𝟔 ~
Dei passi in avvicinamento misero in allarme Grace e la convinsero a chiudere la telefonata in fretta e furia. Quando il suo Creatore, nonché migliore amico, finalmente entrò nell'ampio ed elegante salotto di Ashfield Manor – dove risiedeva attualmente, almeno parlando del territorio inglese – riuscì a dare l'impressione di esser rimasta in panciolle sul divano fino ad allora.
Dario, tuttavia, aveva un udito fin troppo sviluppato e dopo esser entrato e aver salutato Grace, si lasciò cadere sull'altro divano di velluto, si ravviò i capelli ancora un po' scombinati dopo aver dormito per tutto il giorno e con casualità chiese, usando un tono leggero e scherzoso: «Con chi stavi cospirando, si può sapere?»
Nella sua voce simile alla morbida e pregiata stoffa sulla quale giaceva non v'era traccia di rimprovero né di sospetto.
Grace si morse il labbro inferiore e si strinse nelle spalle, recuperando del Bourbon allungato con del sangue fresco. Nessuna vittima, aveva delle conoscenze in ospedale, come tanti altri della sua specie. «Cospirando? A volte sembri non esserti mai lasciato alle spalle il lungo periodo passato alla reggia, Oscuro Carnefice!» L'espressione rilassata dell'altro vampiro subì un cambiamento e i suoi occhi parlarono da soli. Lei subito cercò di riprendersi, aggiungendo: «Buon Dio! Rilassati! Non dicevo sul serio!»
«Sai che non mi piace esser chiamato in quel modo. Te l'avrò detto sì e no mille volte.»
«Be', gioia, è comunque parte del tuo passato e ti ricordo che quello che facevi, lo facevi per conto del Principe che servivi. Non è che te ne andavi in giro a incutere terrore agli altri vampiri per semplice noia!»
Dario cercò di chiudere la questione e di allontanare le oscure ombre del proprio passato agitando una mano. Non aveva alcuna voglia di contraddire la vampira e sapeva che in caso contrario avrebbero iniziato a discutere. Riguardo a certe cose erano sempre stati di opinioni molto differenti. «Dunque? Come mai sembri così in fermento?» Nel parlare si alzò e andò a versarsi per sé il sangue aromatizzato al Bourbon, poi tornò a sedersi.
Grace posò il calice di vetro sul basso tavolino poco più avanti e gli sorrise. «Non lo indovini?»
Lui storse appena le labbra e roteò gli occhi. «Non ho il dono dell'onniscienza, che tu ci creda o meno.»
«Cielo mio! Ti basterebbe guardare un calendario, bel tenebroso!»
«Falla breve, Grace» si arrese Rio, il tono annoiato. Non apprezzava particolarmente gli indovinelli ed era in ogni caso già di pessimo umore.
«Domani sarà il primo di settembre, stellina, e da quel che so è anche il giorno in cui sei nato. Non credere che lascerò passare inosservata una ricorrenza così importante! Finché sarò presente io, non ti consentirò di ignorare il tuo compleanno!»
Lo guardò stirare i muscoli, quest'ultimi flettersi e contrarsi sotto la pelle nuda del torace atletico e magro. Le spalle, invece, erano coperte da una cascata di ricci capelli castani e da quello che dava l'idea di essere un kimono bianco lungo fino alle cosce e di autentica seta. Era chiaro, specie per via della chioma in disordine e più ribelle del solito, che se la fosse spassata con qualcuno la notte precedente. Come al solito, però, doveva aver liquidato l'amante di turno quasi subito dopo aver finito di fare quel che dovevano, altrimenti Grace sicuramente si sarebbe accorta della presenza di un ospite.
«Con chi hai fatto bisboccia? Sono curiosa!»
«Con chi mi pare. Contenta?»
«Dimmi che almeno hai smesso di far uso dei Fiori. Non ti fanno bene, lo sai.»
Di nuovo il vampiro più anziano non replicò e anziché imprecare, con un ultimo sorso terminò la razione di sangue. Un attimo dopo, tuttavia, disse: «Dosi minori, tranquilla. Giusto per essere più sciolto».
Grace lo osservò di nuovo. «Sei così da quando hai rotto con Cassian e ormai sono passati cinque anni. Forse... forse dovresti parlarne con qualcuno, magari ti sentiresti meglio. Tenevi molto a lui ed è terribile il modo in cui vi siete lasciati. I Fiori del Buio non cancelleranno il suo ricordo, Dario. Sono pericolosi anche per noi, a lungo andare.»
Incredibile a dirsi, ma quell'estratto floreale era letale perfino per i vampiri se usato in quantità massicce o per troppo tempo. Pur venendo utilizzato anche al Sanatorio, in realtà era un pericolo costante e sin dai tempi antichi era conosciuto per esser stato spesso usato da persone alle quali non importava più di vivere granché a lungo. Non era diverso dalla morfina e dipendeva sempre dall'uso che se ne faceva. C'era chi lo utilizzava per curarsi e poi c'era chi lo sceglieva per distruggersi. Grace non era sicura riguardo a quale categoria appartenesse Dario e aveva paura di vederlo prendere una brutta strada che non portava ad altro se non a un triste epilogo.
Rio posò il proprio calice. «Credimi, Grace: Cassian mi manca come potrebbe mancarmi la tubercolosi che mi uccise quattro secoli fa.»
«Mi sento in colpa. Sono stata io a farvi conoscere. Sembrava un uomo serio e rispettabile, non pensavo sarebbe stato capace di tradirti.»
Le faceva male ricordare quanto quei due fossero stati una coppia felice e affiatata, ben vista persino a Obyria, seppur a volte avessero scandalizzato un bel po' di gente. Mai avrebbe immaginato di venire a sapere che si erano lasciati e in modo alquanto spiacevole. Prima di quel giorno, ricordava un Dario che era tornato a sorridere e a scherzare come un ragazzino alle prese con il primo amore, rapito totalmente da un vampiro splendido di settecento anni e qualcosa. Si erano conosciuti tramite Grace perché Cassian, all'epoca, aveva bisogno di qualcuno al quale affidare un compito importante, essendo uno stretto collaboratore del Principe Atlas. Dario aveva accettato l'incarico, da cosa nasce cosa e tre anni dopo si erano fidanzati in modo ufficiale e presi un serio impegno.
Poi... poi lei, a distanza di cinque anni dal giorno in cui Cassian era stato messo alla porta, ancora stentava a capire, a unire certi pezzi di quel triste puzzle. C'erano cose che non le tornavano, incongruenze che Dario non aveva mai voluto chiarire e Wade Thorne, uno dei pochi e veri amici che il vampiro aveva, era d'accordo con lei. Non si era trattato di una lite per via del tradimento di Cassian. Era successo qualcos'altro e anche in quel momento non poteva non credere che Dario avesse bisogno di aiuto per superare tutto.
Rio fece spallucce, lo sguardo puntato sul basso tavolino, le braccia incrociate sul torace. «Per nostra sfortuna, non siamo dei veggenti. È inutile star ancora a parlarne, Grace. Quel che è fatto è fatto. Mi è servito da lezione.»
«Beh... pensaci un po' su. Sai, no, sul cercare di farti dare una mano, anche solo per parlare e sfogarti.»
«Sto bene. Okay? Sto magnificamente bene.»
«Allora» gli fece eco Grace, la voce dura, «smettila di prendere quella roba, perché un giorno di questi finirai per ammazzarti, volente o nolente. Non c'è riuscito nessuno, neppure quel bastardo di Arwin, in tutti questi secoli, e andrà a finire che morirai per tua stessa mano e da emerito incosciente, per giunta».
«E sai quanto me ne frega!» la rimbeccò lui, perdendo la pazienza. «Che accada pure! Sono pronto in qualsiasi momento, fidati!»
Grace decise di lasciar perdere quella sua pessima uscita. Sperava solo che non dicesse sul serio. Scelse, piuttosto, di riportare la conversazione sul sentiero iniziale. Era famosa non solo per il carattere, per la bellezza sbarazzina e la lingua tenace, ma anche per la testardaggine proverbiale. «Ci vorrebbe proprio una bella festa per ravvivare questo posto.» Lo osservò accendersi una sigaretta ed espirare il fumo dalla lieve tonalità rosata. Abbozzò un sorriso. Nonostante tutto, gli voleva bene e sempre gliene avrebbe voluto. «Parlo con te, sai?» lo apostrofò, accarezzando il bordo del proprio calice con l'indice. «L'anno scorso non se n'è fatto niente perché avevi ben altro a cui pensare, ma dato che adesso c'è tranquillità nell'aria e hai finalmente messo via la spada da giustiziere dopo l'ultima cattura, direi che potresti anche prenderti un lusso come una semplice festa di compleanno.»
«Ho da fare.»
«Eppure non mi sembri granché impegnato.»
Era chiaro che Dario stava cercando in ogni maniera una scusa pur di non festeggiare il proprio compleanno né pensare in alcun modo ad esso, ma Grace non aveva intenzione di dargliela vinta come al solito e dato che gli era affezionata e riteneva giusto rendere omaggio al miglior Creatore che avrebbe mai potuto avere, in una maniera o nell'altra avrebbe ottenuto la sua approvazione, magari con qualche omissione qui e là, solo per assicurarsi che non avrebbe cominciato a fare il solito guastafeste. «Andiamo! Una piccola festicciola non ha mai ucciso nessuno!»
Gli occhi scuri di Rio tornarono a squadrarla. «Preferisco evitare, e in ogni caso non avrei nessuno da invitare.»
«Sciocchezze!» Grace scacciò la questione con la mano. «Sei tra i non-morti più conosciuti, tesoro! Si parla di te persino nei libri di storia di Obyria e che tu lo voglia o meno, sei una celebrità! Estendiamo l'invito ad ogni vampiro del circondario e vedrai che la sala al piano di sotto, compresa la piscina sul retro, si riempiranno come alveari!» Schioccò le dita e scattò in piedi. «Ho deciso! Farò questa festa, che tu lo voglia o no!»
«Oh, fa' pure, poi vedremo cosa succederà quando il sottoscritto non si presenterà!» cinguettò Dario con un lieve sorriso da stronzo, per poi farle ciao ciao con le dita ornate di smalto nero e lucido. «Buon divertimento! Io me ne vado in Giappone! Volevo giusto tornarci!» Si alzò e fece per uscire dal salotto. «Dirò ad Harper di prendermi un biglietto per il primo volo, domattina!»
«Signore?» Il maggiordomo, per l'appunto Harper, stava entrando e si fermò appena il padrone di casa lo chiamò in causa.
Dario fece un lieve sorriso e ripeté: «Domani sera partirò per il Giappone. Sei pregato di farmi trovare tutto pronto entro le sei».
«Non ascoltarlo, Harper» s'intromise Grace. «Sappiamo tutti e due che adora fare la diva.»
Harper era un uomo di mezz'età arguto, ma anche umile e rispettoso, e ormai era di famiglia e ovviamente era a conoscenza del loro segreto. Dario, scherzosamente, una volta l'aveva paragonato al maggiordomo di Batman: stessa lealtà, stesso rispetto per la privacy, stesso rapporto di reciproco rispetto da entrambe le parti. Sin dal principio gli era stato chiesto di essere sempre sincero e onesto, di dire la propria se sentiva di doverlo fare e anche in quel momento parlò senza fronzoli: «Io... Io sono d'accordo con la signorina Linderson. Non c'è nulla di male, in fondo». Deglutì all'occhiata penetrante che gli rivolse il padrone di casa. «Vi siete messi d'accordo, per caso?»
«No, signore. Penso solo che il giorno della propria nascita, anche per un vampiro, sia un giorno che valga la pena esser ricordato.»
«Dillo al bastardo che ha fatto me e poi ne riparliamo» replicò secco Dario.
«Ma lei non è Reger e noi ci riferiamo alla sua nascita come essere umano, dopotutto» gli ricordò con un sorriso affettuoso Harper. «Vero, signorina Linderson?»
«Non avrei saputo dire di meglio!»
Rio aguzzò le labbra in una posa profondamente seccata e innervosita, ma Grace si limitò a sprimacciargli una guancia e a sorridere vittoriosa. «Siamo due contro uno, gioia. Andrà tutto bene. Dovrai solo rilassarti e goderti la serata.»
«L'ultima volta che me l'hanno detto» replicò lui, sorridendo per finta, «per qualche giorno ho ribattezzato tutti i santi del mondo, dato che non riuscivo a sedermi come si deve». La superò e disse ad Harper di fargli trovare un bel bagno caldo, dato che ne sentiva un gran bisogno.
Grace lo seguì fuori dal salotto e gli camminò appresso. «Magari potrebbe venire anche quel biondino. Chissà, forse qualche suo amico lo trascinerà con sé e allora...!»
Rio si accigliò. «Quale biondino?» chiese stizzito, iniziando ad averne sul serio abbastanza.
«Quello di un paio di mesi fa, Madama Butterfly!» precisò lei, sorniona. «Te lo ricordi, adesso? Capelli biondi, occhi da cucciolo smarrito, occhiali da vista... un po' somiglia a James Dean, ed è tutto dire!» Continuò a seguirlo anche al piano di sopra e fino in camera da letto, guardandolo poi recuperare dei vestiti da indossare dopo il bagno. Lui si fermò nel tentativo di rimembrare il luogo e la data precisi, e soprattutto il tizio, poi tuttavia scrollò le spalle con disinteresse e tornò agli affari propri. «Parli come se non sapessi con quanta gente sono capace di scopare in due mesi» rispose, indifferente.
«Quello non te lo sei affatto portato a letto, strano ma vero! Avete solo parlato, mio caro, e sei stato tu a prendere l'iniziativa, cosa ancora più bizzarra! Andiamo! Non puoi averlo dimenticato! Lo hai conosciuto la stessa sera in cui hai abbordato quel tizio per conto di Atlas!»
«Senti, Grace, non so di chi diavolo stai parlando» rimbeccò esasperato Rio.
«Mi sembra che il suo nome fosse Michael o Max.»
«Può darsi che abbia incontrato qualcuno che si chiamava così. Dio solo sa quante persone andranno in giro con quei nomi!»
«Be', mi sembra che quando siamo tornati a casa, dopo quella serata, per qualche giorno tu non sia stato più il solito, almeno finché non hai ricominciato a campare come di consueto. Quel Max sembrava averti colpito, in qualche maniera.»
Dario, finalmente, parve ricordare, perché si fermò di nuovo e la sua espressione, da indifferente, divenne corrucciata. «Ah, sì. Quello là.»
«Evidentemente aveva qualcosa di speciale, se non l'hai usato e gettato via come fai con gli altri» buttò lì Grace. «Ha detto il suo cognome?»
«No.»
Il sorrisetto di Grace non accennò a svanire, anzi. «Bugiardo! Te lo ha detto eccome, secondo me! Ti da solo un gran fastidio che io stia parlando di lui!»
«Non ricordo se si è presentato per filo o per segno e non me lo sono portato a letto perché... beh, perché era il tipico campagnolo ingenuo! Talmente ottimista da darmi sui nervi! Abbiamo finito?» Dario si stava chiaramente innervosendo, in parte senza una ragione precisa, in parte perché odiava essere torchiato. Forse aveva esagerato un po' nel definire Max a quel modo, ma ne aveva abbastanza di parlare di uno che aveva conosciuto due mesi addietro e mai più rivisto.
Grace inclinò la testa. «Di cosa hai paura, scusa?»
Lui chiuse l'armadio con un tonfo, aggirò l'amica e bofonchiò inasprito che sarebbe andato a farsi quel benedetto bagno, proprio come da programma. «Da solo» aggiunse, non appena capì che lei era sul punto di seguirlo di nuovo. «Paura un corno» borbottò, chiudendosi le porte del bagno alle spalle con un tonfo secco.
C'era ben altro, a quel mondo, capace di spaventarlo. Un ragazzino, un vampiro che si poteva quasi dire che avesse ancora il sangue caldo nelle vene, era l'ultima delle sue preoccupazioni.
Max si guardò ancora una volta in giro mentre aspettava di veder tornare quell'uomo che meno di mezz'ora prima lo aveva aiutato a uscire da una situazione non poco spiacevole e poi aveva insistito per dargli una controllata. Poco dopo, però, si era reso conto di aver a che fare con un proprio simile, un vampiro che, esattamente come quello che aveva conosciuto due mesi prima, Dario, non lo aveva trattato come se fosse stato fango sotto le scarpe, ma alla stregua di un suo pari. Un vampiro che si era messo fra lui e un gruppo di lupi mannari. Per fortuna Max non li aveva incrociati in una sera di luna piena né comunque trasformati, ma non c'era niente di peggio di un lupo mannaro che aveva alzato troppo il gomito.
Eccolo dunque lì, nella casa di quel tale che si era presentato come Askan. Max aveva l'impressione di aver già visto la sua faccia da qualche parte, ma non riusciva proprio a ricordare dove.
L'abitazione di Askan era semplice, ma confortevole e tenuta al meglio.
Lo vide finalmente tornare in salotto con in mano una scatola di metallo opaco. «È solo un graffio» cercò di dire, non essendo proprio abituato a tutte quelle attenzioni e premure. Nessuno si era mai preoccupato così per lui, in realtà; forse sua sorella lo aveva fatto, ma non di certo il resto dei suoi genitori e parenti. Quelli, piuttosto, erano una delle cause per le quali si era ritrovato a dover temere il sole e a bere il sangue umano.
Askan scosse la testa. «Ora ti sembra un graffio, ma tra un paio di giorni quella piccola ferita potrebbe portarti alla seconda e definitiva morte, Max. Per fortuna non sei stato morso, sarebbe stato molto più complicato darti una mano.» Gli fece cenno di avvicinare il braccio sul quale c'erano ben quattro graffi che parevano esser stati provocati da artigli parecchio affilati. «Certe volte quegli scalmanati sanno essere dei macellai, quando gli gira storto» commentò fra sé la nuova conoscenza di Wildbrook, per poi prendere dell'ovatta dalla scatola e versarvi sopra un liquido azzurro chiaro che non aveva un odore molto gradevole. «Potrebbe bruciare un po', ti avverto.»
Max fece spallucce. «Ho sopportato di peggio.»
«Oh, be'!» Askan fece una prova e l'altro, come l'ovatta si posò sulle ferite, ritrasse il braccio e trattenne un lamento ben poco virile. «Cavolo! Che roba è? Acido muriatico?» si lagnò.
«È un disinfettante speciale» rispose divertito Askan, poi decise di proseguire e di fare conversazione, così da distrarre Max. «Perché quei lupi mannari ce l'avevano con te, se posso chiedere?»
Max deglutì. «Non lo so. Camminavo per i fatti miei per strada e... credo abbiano riconosciuto la mia specie, forse per l'odore, e si sono incazzati.»
«Probabilmente quello era il loro territorio, anche se in Inghilterra non ci sono tutte le faide che invece ci sono ad esempio in America. A Miami non si vive proprio, sai? C'è sempre qualche grana, qualche gang che si fa la guerra e purtroppo sembra non importare più a nessuno.»
«Credevo ci fossero delle autorità.»
«Se intendi quelle di Obyria, Max, hanno altro a cui pensare. La polizia laggiù ha il suo bel daffare e non è comunque compito suo occuparsi dei Sovrannaturali del Sottomondo.»
«Non ce ne sono altre?»
«Sì, in teoria ci sarebbe l'Ordine dei Cacciatori, ma ormai sono più delle figure per spaventare i ragazzini, che veri e propri mastini della legge. Ne restano pochi realmente affidabili e ligi al dovere e... in realtà credo che nessuno vegli più sui Sovrannaturali rimasti nel mondo umano, per quanto ci sarebbe molto da risolvere e da migliorare. I Cacciatori hanno avuto il loro periodo di splendore e, infine, quello di caduta libera.» Askan mise via l'ovatta divenuta rossa a furia di catturare sangue e recuperò delle bende. «Dovrebbero guarire entro qualche giorno. Se puoi, Max, evita di togliere i bendaggi» disse mentre lo medicava.
Max annuì. «Chi sarebbero questi Cacciatori? Ho sentito parlare di loro solo vagamente.» Si sentiva scemo a chiedere, ma non era informato fino a tal punto e nessuno si era preso la briga di spiegargli alcunché.
Askan, dopo aver finito e rimesso a posto tutto, si ravviò i capelli biondi e i suoi profondi occhi azzurri tornarono a guardare il giovane vampiro. Erano occhi buoni, Max sin da subito lo aveva capito. «Un tempo erano le autorità più temute, sia qui che a Obyria, se si tolgono i capi di stato laggiù come il Principe della Notte, il Principe Lupo o gli Imperatori, quando ancora erano in vita. Un Cacciatore in particolare era il terrore di tutti. Io già esistevo da molto tempo quando quell'uomo arrivò all'apice della sua carriera. Non c'era creatura che non lo temesse almeno un po', se si toglieva il Principe dei Vampiri dell'epoca: Richard Esper. Era uno dei pochi a non aver paura di quell'uomo, forse perché, a pensarci bene, era lui il solo e unico grande spauracchio di Obyria e del Sottomondo. Fidati, Max, quando ti dico che era meglio non inimicarsi Richard. Sapeva vendicarsi bene e aveva l'abitudine di farlo a tempo debito, di aspettare con la stessa pazienza di un coccodrillo il momento in cui la sua preda pensava di averla fatta franca e di essere fuori dai pasticci. Colpiva e raramente sbagliava.»
Max deglutì, affascinato e intimorito dalla descrizione di Richard Esper, ma si scoprì più interessato all'altro soggetto della conversazione. «Chi era questo Cacciatore tanto temuto?»
Askan tacque, quasi temendo di pronunciare il nome di quell'uomo, poi si convinse e disse: «Athanase Allaire e... c'è un motivo se non troverai il suo nome da nessuna parte, se mai volessi fare una ricerca sul suo conto.»
«Ossia quale?»
«Inizialmente era fra i Cacciatori migliori, forse il più bravo che l'Ordine avesse mai visto, poi... non lo so cosa accadde di preciso, so solo che impazzì, perse la testa e avvenne proprio quando raggiunse il massimo del successo. Iniziò tutto con un evento che venne poi cancellato dalla storia umana e dalle menti degli uomini che assistettero a tutto, quel giorno. Accadde a Firenze, nel Diciottesimo secolo. Che tu ci creda o meno, un drago attaccò la città presso la quale, casualmente, si trovava proprio Allaire. Sembrava avercela con lui in particolare, voleva ucciderlo e lui decise di fronteggiarlo. Scoprimmo poi che dietro a quelle sembianze di rettile si celava qualcosa di ancora peggio: un Efialte.»
Max, incredulo, represse un brivido e gesticolò. «E c-cos'è un Efialte?» Già il nome non gli lasciava presagire niente di buono. Aveva un suono sinistro, occulto.
«Nulla che ormai tu potresti incrociare, tranquillo. Se c'è una cosa buona che Allaire fece, fu rispedire per sempre quegli esseri nel nero inferno dal quale provenivano e fare in modo che vi restassero per sempre, dopo la loro ultima fuga dal mondo in cui erano stati imprigionati. Forse hai sentito parlare dei Doppelgänger e... be', diciamo che gli Efialti, diversamente da loro, sono la versione peggiore di tali entità e per giunta riconoscibili: occhi e capelli neri, una corona di luce dorata attorno alle pupille, pelle bianca come il marmo e un cuore nero pieno di odio e tenebre. Esseri spregevoli, credimi. Spettri in carne e ossa che portano solo guai e malefatte ovunque vadano. È una fortuna che ormai siano solo una leggenda, perché in tempi molto antichi si macchiarono di atti orribili, Max, atti per i quali vennero esiliati in un luogo di punizione lontano dal mondo umano e da Obyria, un mondo dove sono tutt'ora prigionieri e rimarranno tali per sempre, proprio come meritano: l'Oltrespecchio.»
Wildbrook deglutì a fatica. Sembrava una storia dell'orrore, quella, ma era felice di sapere che esseri del genere non potessero più fare dal male a nessuno. «E chi era l'Efialte che sfidò Allaire e attaccò Firenze?»
Askan esitò di nuovo. «Pare che si chiamasse Iago e secondo le testimonianze, ciò che io stesso potei vedere, era tra i peggiori della sua specie, forse il più malvagio e crudele di tutti. Dato che si tratta sempre di un Doppelgänger, seppur estremamente cattivo, il contrario di ciò che siamo noi, era uguale in tutto e per tutto ad Allaire, tranne per i particolari che ti ho detto prima. Era la sua controparte e gli diede molto filo da torcere, ma Allaire alla fine vinse, eppure da allora ebbe inizio la sua caduta, finché non si giunse agli eventi che ancora ricordano tutti, ovvero gli attacchi della Bestia del Gévaudan, in Francia.»
Max si accigliò. «La Bestia del Gévaudan» ripeté. «Mi sembra di averne sentito parlare.»
«Ebbene, era proprio lui e per questo venne imprigionato e condannato non solo a morte, ma all'oblio dei posteri. Non troverai mai un trafiletto nei libri di Storia Sovrannaturale né un suo ritratto, un'insegna a suo nome, niente di niente. Ciò che fece gli procurò un viaggio di sola andata per la disfatta e la vergogna e mi spiace dire che trascinò nel fango anche una moglie e un figlio innocenti.»
«Mio Dio» esalò Wildbrook, sconvolto. «Non immaginavo che dietro ci fosse una storia simile!»
«Lo so, è incredibile, eppure è la verità. Io una volta lo incontrai, ma... diciamo che era più giovane e molto più sano di mente. Una cosa che rimase sempre invariata di lui, da quel che so e anche per esperienza personale? L'arroganza, nonché la sua sconfinata superbia e come si suol dire, è quella a precedere la caduta. Athanase Allaire era il Cacciatore migliore del suo tempo, ma c'erano altre cose riguardo le quali era spaventosamente ignorante: la compassione, il rispetto e l'amore inteso come concetto universale.»
«Era bravo e sapeva di esserlo.»
«Esatto. Non era un simpaticone, a me non piaceva per niente in tutta franchezza, ma aveva un particolare ascendente sulle signore di ogni età ed estrazione sociale, alcuni dicono anche sugli uomini. In effetti era un tipo avvenente, non c'è dubbio, ma quando la bellezza è un guscio vuoto privo di anima, si riduce a mera vanità. Era bello fuori e orribile dentro. Non dico sempre, però in certi casi ti fermavi a domandarti se in lui fosse rimasto un briciolo d'umanità. A lui piaceva scherzare con il fuoco e non disdegnava l'idea di poter un giorno divenire un uomo potente. Temuto lo era eccome, ma la paura non instilla nel cuore altrui il rispetto, bensì la diffidenza e l'odio. Allaire, Max, era non solo il Cacciatore migliore del Diciottesimo secolo, ma anche il più odiato.»
Quel discorso sulla bellezza ricordò a Max Dario, il vampiro che due mesi addietro aveva conosciuto in un locale a Covent Garden. «Hai ragione, Askan: è ciò che abbiamo dentro a renderci belli, belli per davvero» commentò, un piccolo sorriso in parte trasognato campeggiava sulle sue labbra. Avrebbe voluto chiedere di più ad Askan, ma nel ripensare a Rio sentiva di aver di nuovo perso un po' la bussola. «Non sei il primo vampiro gentile che ho conosciuto. Con te siamo a due miei simili che non hanno la puzza sotto il naso.»
«Chi è l'altro?» chiese incuriosito Askan, sorridendo.
«Uh... conosco solo il suo nome» ammise Max, imbarazzato. «Si chiama Dario.»
L'altro si accigliò, pensieroso e incuriosito. «Descrivilo.»
«B-Be'... l-lui è... era...», biascicò Wildbrook, cercando di spiegarsi anche tramite i gesti. «M-Molto bello, i-insomma... occhi e capelli scuri, fisico impeccabile, una voce musicale...»
Desiderò di sotterrarsi per aver appena parlato come una ragazzina svenevole, tuttavia Askan non parve volerlo giudicare e, anzi, sembrò capire. «Forse so di chi parli e se è chi penso che sia, lo conosco anche da molto tempo. Eccome se lo conosco!»
«Cosa? Dici davvero?»
«Sì» confermò Askan, lo sguardo velato di colpo di amarezza. «Il primo incontro non è stato dei migliori né durante circostanze piacevoli, devo ammettere.»
«Perché?»
L'interpellato deglutì. «Se ti dico una cosa, devi promettere di non farne parola con nessuno, neanche con lui. A lui non piace parlarne né ricordare, e non voglio che le sue faccende personali vengano riferite a chicchessia. Probabilmente, se si venisse a sapere in giro, un retroscena come questo potrebbe distruggere la sua reputazione e già abbastanza gente non aspetta altro se non il giusto pretesto per demolirlo. Si è fatto diversi nemici durante i secoli, fidati.»
Max, in parte amareggiato, scosse il capo. «Non c'è problema e poi... l'ho visto una sola volta e lo conosco appena. Non penso lo rivedrò mai. L'universo non è mai fino a tal punto pigro.»
«Mai dire mai!» disse Askan incoraggiante, quasi avendo capito che per Max quell'incontro non era stato così privo di importanza, ma tutt'altro. «Comunque... per fartela breve... ho un fratello e si dà il caso che fu lui a trasformare Dario.»
«Cosa?» esclamò Max, a bocca aperta. «C-Come sarebbe a dire che...»
«Shh!» Askan gli fece cenno di abbassare la voce. «È proprio come ho detto. Lo so, ti sembrerà assurdo, ma è la verità.»
«Ma... perché allora hai parlato di circostanze brutte?»
«Perché mio fratello, Max, non è esattamente uno zuccherino. È fra le creature più crudeli, ripugnanti e perverse che esistano e purtroppo Dario imparò a conoscerlo fin troppo bene. Mio fratello lo trasformò e lo fece con l'inganno. Credo gli promise che lo avrebbe guarito e invece servì solo a trasformarlo. Puoi immaginare quale shock sia stato per lui risvegliarsi dopo la morte e scoprire di esser stato ingannato.»
Max quasi si sentì male. «Neanche immagini quanto possa capire, fidati» rispose a mezza voce, sentendo una forte empatia nei confronti di quel vampiro che in effetti aveva a sua volta una tragica storia alle spalle; una storia di speranze tradite e sicuramente di fin troppe cose andate perdute nel tempo. Ricordò le parole che Dario aveva pronunciato quella sera a Covent Garden: aveva detto di avere degli scheletri nell'armadio, che la sua era una storia dell'orrore. «Cosa successe, dopo?»
«Mio fratello non è mai stato un campione di empatia e responsabilità e... credo che alla fine non tollerò oltre il carattere ribelle di Dario o il suo astio, il suo voler restare ancorato all'umanità, e gli disse di tornare pure dalla famiglia, per quanto tutti sappiano che è meglio lasciarsi alle spalle la vita di quando si era ancora umani. Dario tornò a Firenze dal padre, dalla matrigna e il fratello e le sorelle minori, ma dopo alcuni giorni accadde ciò che ormai si evita grazie alle nostre leggi.»
«Ovvero?»
«Confido tu conosca almeno la legge più ferrea dei vampiri: mai e poi mai rivelarsi alla propria famiglia umana, mai tornare dai propri cari, pena la prigione o la condanna a morte sia del trasgressore che della famiglia, così da preservare il nostro segreto e la sicurezza di Obyria. All'epoca, però, non c'era ancora questa legge e Dario, purtroppo, non conosceva tutti gli aspetti più oscuri dell'essere un vampiro. Pensava di poter tornare a essere chi era un tempo, di poter ricominciare da zero e approfittare della nuova vita, della salute riacquistata, per riallacciare i rapporti con il padre, ma la sete cresceva e lui probabilmente si ostinava a non volerla placare, forse non sapeva neanche come o cosa fare. Mio fratello lo aveva abbandonato a se stesso senza indottrinarlo e questo è un errore che nessuno dovrebbe commettere. Non c'è cosa più pericolosa di un vampiro appena tornato dalla morte ignaro degli aspetti più macabri e dannosi della sua nuova condizione.»
Max sbatté le palpebre. Non poteva essere. «A-Aspetta... non dirmi che...»
Askan agitò una mano come un professore che stava esponendo un punto focale della lezione al proprio alunno. «Immagina un uomo di appena trent'anni, Max. Immagina questa persona che muore nel fiore degli anni e che ha alle spalle un carattere forte e prorompente, una gran sete di vita, di amore e tanto altro, come tutte le persone giovani. Muore in miseria, lontano dalla famiglia con la quale non è riuscito a pacificarsi prima della dipartita, consumato da un male all'epoca incurabile che se lo porta via in meno di un anno. Aggiungi un vampiro Creatore inaffidabile e sadico che ha preso in odio la propria creatura. Immagina anche un padre severo, così severo da sconfinare nella crudeltà vera e propria. Un padre che non ammette scuse né giustificazioni e fa troppe domande. Accanto a quell'uomo, il resto della famiglia: sangue fresco, sangue giovane e innocente, un richiamo di sirena per un non-morto appena rinato. Metti insieme tutto questo, Maximilian, e avrai una miscela esplosiva, dannosa e inarrestabile. Producono quelli che noi vampiri, ironicamente, definiamo ‟spettri vendicativi". Hai presente, no? Quegli spiriti che risorgono dalla tomba per fare giustizia, per regolare i conti, e lo fanno nel modo peggiore. Dario apparteneva a questa tipologia: non si era separato dalla vita in pace, non era stato trasformato con rispetto, sapendo a cosa andava incontro. Non sapeva niente all'epoca, mio fratello non aveva voluto spiegargli alcunché. Solo un epilogo era possibile e non tardò ad arrivare.»
Maximilian si sentì quasi male. Non solo per ciò che aveva intuito, ma anche per il resto di quella storia orribile. «N-Non ci credo...» esalò.
«Sì, Max. È ciò che avvenne.»
«Uccise la sua famiglia. Dio santo!» Max finalmente capì a cosa aveva voluto alludere Dario la sera in cui si erano incrociati. Era davvero una storia dell'orrore, quella.
«Purtroppo è tutto vero. Fu un bagno di sangue e io, appena venni a sapere che mio fratello aveva un nuovo ‟figlio", per così dire, che poi aveva scelto di lasciar andare, lo costrinsi a dirmi tutto, ma quando arrivai era già tardi. La sete di un vampiro neonato è terribile, ma spesso dipende anche dal carattere, come già ti ho detto poco fa, e Dario era sotto sotto un gran bell'attaccabrighe. Non che fosse un teppista o simili. Aveva un temperamento in apparenza tranquillo, ma è tutt'ora uno di quelli che è sempre meglio non provocare troppo. Ride e scherza, ma se lo si fa arrabbiare sul serio...! Basti pensare che a sedici anni andò in guerra e tornò sano e salvo, scavalcando la volontà del padre che avrebbe voluto invece mandare il fratello maggiore di Dario, secondo lui più adatto alla battaglia, sia per l'abilità che per l'età. All'epoca la sua famiglia si era spostata a Milano e in quel periodo infuriava una delle Guerre d'Italia. Dario decise di sua spontanea volontà di prestare servizio militare all'insaputa del padre, finse di essere suo fratello Filippo e combatté sotto tale nome. Solo alla fine si scoprì la verità. Lui e Filippo, per quanto il primogenito di famiglia avesse ormai ventun anni, un po' si somigliavano e questo rese più semplice la riuscita del piano.»
«Sbaglio o moriva dalla voglia di andare a combattere?» Max era attonito. Possibile che Dario, da ragazzo, avesse avuto tanta di quell'impazienza da voler sostituirsi al fratello? E possibile che fosse stato tanto sconsiderato e spericolato da andare in guerra, infischiandosene del rischio di restare ucciso?
Askan scosse il capo. «Non fu un'azione dettata solo dalla voglia di mettersi alla prova e dimostrare a tutti chi era. Lo fece perché Filippo stava già dando i primi segni di una malattia che poco meno di un anno dopo lo avrebbe condotto a una morte prematura. I primi sintomi comparvero allora, prima dello scoppio della guerra, ma Filippo non voleva saperne di deludere la propria famiglia né di restare a casa mentre gli altri erano là fuori a rischiare la vita. Disse che sarebbe andato comunque. Dario, però, angosciato com'era, prese una decisione impulsiva e partì di notte all'insaputa di tutti. Era molto affezionato a suo fratello e non voleva che morisse perché non era nelle condizioni di combattere. Era solo un ragazzo, eppure riuscì a tornare vivo. Fu un atto rischioso, certo, ma dettato dall'affetto.»
Wildbrook, il quale sin dal principio si era sentito una specie di nullità a confronto del vampiro che dopo ben due mesi ancora non era riuscito a dimenticare, di fronte a tale racconto perse ogni speranza. «Deve averne fatte di cose, in così tanti secoli di esistenza.»
«Ne ha fatte tante, sì» replicò Askan, «ma in ogni caso sono certo di una cosa: è un bravo ragazzo, anche se ultimamente si è lasciato trasportare dalla frenesia di questi ultimi anni e... oggi pomeriggio ho sentito dire che domani sera ci sarà una festa presso Ashfield Manor, la sua residenza privata. Stando al calendario, direi che ha finalmente deciso di festeggiare un compleanno in grande stile. D'altro canto, non tutti i giorni si compiono quattrocentosessantasei anni!»
Max spalancò gli occhi. «Aspetta... Ashfield Manor appartiene a lui? Sul serio?»
«Sì, e da molti anni ormai. Al tuo posto coglierei l'occasione.»
«M-Ma perché mai dovrei...»
«Oh, suvvia, Max! Da come ne parli ti ha stregato ben bene e se è così, beh... credo potresti essere la persona adatta a riportarlo un po' sui binari. Lo rispetto molto, in passato quando ci incrociavamo ci davamo del lei, puoi capire da solo quale rapporto ci sia fra di noi, ma dubito mi starebbe a sentire. Quando vuole è testardo come un mulo e non voglio che certi suoi atteggiamenti lo conducano su una brutta strada. È uno dei vampiri più longevi e rispettati, non da tutti purtroppo, ma quelli come me e te, i vampiri normali che non hanno titoli nobiliari da sventolare sotto il naso altrui, lo tengono molto in considerazione.»
Max si accigliò. «Cosa... cosa dovrei fare, esattamente?» Non era granché convinto, specie perché Dario non aveva proprio l'aria di uno che si lasciava ingannare con facilità.
Askan, alla fine, si decise a parlare chiaro e gli strinse una spalla. «Ha bisogno di un amico, un amico vero, Max. La solitudine per noi vampiri è orribile e lui... lui è da solo, ha una cara amica accanto, ma lei è una ragazza che va e viene, è uno spirito libero e Dario ha bisogno di una presenza fissa, di qualcuno di cui fidarsi. Tu sei un volto nuovo, una presenza fresca ed energica.»
Maximilian non riusciva a capire. «Ma perché, allora, non vai tu a dirgli quelle cose? Lo conosci bene, si sente da come ne parli, perché non provi tu a stargli vicino e a farlo restare sui binari?» Non che una cosa del genere non gli avrebbe fatto piacere, anzi, ma in quel caso era una questione diversa e a tratti spinosa. Eppure... Dio! Quanto avrebbe dato per poter rivederlo, anche solo per un istante!
Askan sospirò, sconfortato. «Il punto è che mio fratello non ha minato solo la sua esistenza, ma anche la mia. Sono anni che non posso più metter piede a Obyria e sono costretto a nascondermi perché lui ha sparso in giro a bella posta la voce che siamo in combutta o addirittura si spaccia per me, a volte. È una situazione drammatica, Max, non lo nascondo, e Dario purtroppo è fra quelli che alla fine si sono convinti della mia colpevolezza. Vorrei tanto poterlo aiutare, stargli accanto, ma non è possibile, non adesso. Prima o poi avrò la possibilità di dimostrare che sono innocente e che non ho nulla a che fare con i loschi affari di mio fratello, ma...»
«Come fa a spacciarsi per te, scusa?» lo interruppe Max, ancora sbalordito dopo quella confessione.
«Perché siamo gemelli, purtroppo, ma ringrazio il cielo che la nostra somiglianza sia limitata solo all'aspetto esteriore. Ormai sono tanti anni che va avanti questa situazione e un giorno o l'altro so che mio fratello farà un passo falso e allora potrò finalmente far vedere a tutti che io sono diverso da lui.»
Max fece un lungo sospiro e tentò di assimilare tutto. «Non dirò più di avere una vita noiosa, dopo stasera.»
Credeva ad Askan, gli leggeva negli occhi che era sincero, ma davvero poteva farsi avanti con Dario con alle spalle una sorta di missione sotto copertura atta a riportarlo sulla retta via? Non era diverso dal prendersi gioco di qualcuno, in un certo senso. Quel che era certo, era che mai avrebbe immaginato che quel vampiro potesse essere tanto influente e conosciuto. Sospirò di nuovo. «Posso tentare, voglio dire... la verità è che mi piacerebbe essere almeno suo amico, non lo nascondo, ma se accetterò lo farò per semplice volontà di conoscerlo meglio, non per una specie di missione. Mi piace come persona, la sera in cui l'ho conosciuto l'ho guardato negli occhi e ho capito che non era come gli altri, che in un certo senso era speciale e... lo ammetto, da quella notte penso a lui spesso, non so cosa darei per rivederlo.» Raccontò ad Askan dell'incontro con Dario, di ciò che si erano detti, della propria buona impressione nei confronti di quell'uomo e di tanto altro ancora.
Askan sorrise quasi dolcemente, sembrava un sorriso paterno, uno che Max raramente aveva visto. «Molto bene. Siamo già a buon punto! Se è stato lui ad approcciarti per primo, quella sera, allora significa che gli piacevi, che gli andavi a genio e avevi catturato la sua attenzione. Non è cosa da poco, fidati. Pertanto, Maximilian Wildbrook, tirati a lucido in vista di domani sera. Penso tu conosca già l'indirizzo per Ashfield Manor, giusto?»
Max annuì, quasi timidamente. «Conosco di vista quel castello. Non pensavo, però, che fosse di sua proprietà.»
Reger sorrise di sbieco. «In effetti ha molte residenze, ma Ashfield è tra le sue preferite. Credo sia per il clima dell'Inghilterra.»
Wildbrook si morse il labbro inferiore. «Non mi ha detto il suo cognome, la sera in cui l'ho conosciuto.»
«Teoricamente, il suo vero cognome sarebbe De Piacentis, ma lo abbandonò diverso tempo fa. Credo lo fece per distanziarsi il più possibile dal passato.»
«E ora, quindi, come si fa chiamare?»
«Jones. Sì, lo so, piuttosto banale, ma per uno come lui la banalità è essenziale.»
«Dario Jones» ripeté fra sé Max, come a voler imprimerselo bene nella mente. Scoprì che gli piaceva molto il suono. Guardò infine Askan. «Dimmi cosa fare. Voglio rivederlo, Askan. A qualunque costo.»
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