Epilogo pt1
Epilogo parte 1
6 anni dopo...
Alix's Pov
"Alix tra due minuti in scena" mi ricorda una mia collega dietro le quinte.
Annuisco per poi respirare profondamente.
Alix ce la puoi fare, Alix ce la puoi fare.
Oggi dovrò ballare "La morte del cigno", qui al teatro Opera de Paris.
Il cuore mi martella forte nel petto, mentre cerco di stirare con le mani le pieghe del mio tutù.
Abbasso lo sguardo sulla mia gamba di metallo.
"Non mollarmi proprio oggi, ti prego" mormoro fissandola.
Che poi tanto metallo non è.
Perchè non c'è niente di più autentico della mia gamba finta.
È stata tutta una lotta, una lotta alla sopravvivenza, ma soprattutto una vera è propria guerra per fare del mio sogno una realtà.
Sei anni anni fa lottavo contro il cancro, che malvagio mi divorava dall'interno. Nè la chemioterapia e nè la radioterapia hanno avuto i risultati che i medici ed io speravamo.
Quei mesi sono stati dolorosi.
Il mondo mi sembrava un enorme cosa estranea, pronto a schiacciarmi. Mi immaginavo inerme sotto quella massa, che mi impediva di respirare.
Infine i medici sono dovuti ricorrere per forza all'amputarmi la gamba, all'incirca quattro anni fa.
Era l'unica soluzione se non volevo porre fine alla mia stessa vita. Il cancro si era esteso così tanto, che non c'era via d'uscita. Una era il rimedio: dire addio a uno dei due mie strumenti per fare la mia arte.
Così feci.
Ero distesa sul lettino, e prima di entrare in sala operatoria strinsi la mano di mia madre, poi quella di mia sorella, mentre guardavo mio padre che forzava un sorriso.
Claire mi diede un bacio sulla guancia, Roxy e Farah mi carezzarono i capelli, mentre Rooney e Leo mi guardavano da lontano con un'espressione preoccupata dipinta sul volto.
L'intervento andò nei modi migliori, ma una parte di me non l'avrei mai più rivista.
E più ci pensavo, e più avrei desiderato tornare indietro e morire.
Morire anziché sopravvivere senza la gamba, per la quale avevo lottato per mesi e mesi.
Il pensiero che era stato tutto inutile mi consumava. A pensare che la vergogna che avevo provato per i miei capelli corti era stata vana. A pensare che i dolori allo stomaco, al vomito e alla gola bruciante dopo le chemioterapie erano stati vani. A pensare alla mia reclusione in quella stanza di ospedale era stata vana. A pensare che tutto questo era stato vano mi faceva morire dentro.
Subito dopo l'operazione non avevo avuto nemmeno il coraggio di guardarmi, di scoprire dal lenzuolo quella parte di me, che mi stava facendo troppo male... e che da quel momento non avrei avuto più.
È stato proprio da lì che cominciarono le mie vere lotte.
La prima lotta fu quella di guardarmi. Guardare com'era la nuova Alix. Accettare cosa aveva cambiato l'operazione, un'operazione che mia aveva mutata sia fisicamente che mentalmente.
Vorrei poter dire che il solo aiuto dei miei familari, dei miei amici e del gruppo di sostegno mi sia servito per accertarmi, ma in realtà c'è stato bisogno di molto più di questo.
Ho dovuto figurarmi bene nella mente qual era il mio obiettivo, le ragioni per le quali lo volevo raggiungere. Una volta fatto ciò, la scalata verso le mie piccole grandi conquiste sono state un po'più semplici.
"In scena! In scena!" L'orda delle ballerine esce dalle quinte per entrare sul palco.
Le raggiungo e appena l'enorme platea si palesa ai miei occhi, mi si smorza il respiro. La musica inizia ed io mi lascio andare. Danzo con tutte le forze che ho in corpo, con tutta la determinazione che possiedo.
La gamba non può e non deve cedere, perché quello che voglio è concludere il ballo. Alle prove sono cascata sul pavimento decine di volte, ma ora deve essere diverso.
Ogni tanto incrocio lo sguardo di Claire in prima fila.
Quanto è bella con i suoi capelli biondi, proprio come i miei.
Ricordo che se li tinse, per la prima volta di questo colore, cinque anni fa, quando purtroppo si lasciò con Rooney.
Dopo la conclusione del balletto, gli applausi della platea non tardano ad arrivare. Le mie colleghe, nonché amiche, si inchinano e la stessa cosa faccio io. Ritorniamo nelle quinte, dove ognuna di noi si dirige verso il proprio camerino.
Una volta rinchiusa nel mio, la porta di quest'ultimo si spalanca. "Hai fatto colpo" la voce di Claire mi fa voltare di scatto.
"Cosa?" Mi sciolgo i capelli dallo chignon.
Si chiude la porta alle spalle. "Il ragazzo seduto affianco a me non smetteva di fissarti".
Faccio scivolare il mio tutù lungo le gambe, e dopo di esso il body. "Come fai a dire, che guardava me se eravamo in dieci sul palco".
Si avvicina a me. "Fidati, fidati di me. Quello ti saltava addosso se non era per me che lo mantenevo".
Scoppio a ridere. Mi sta prendendo in giro, come suo solito.
Mi rivesto mentre Claire fissa il suo riflesso allo specchio, passandosi le mani nelle sue ciocche bionde.
Una volta pronta per uscire dal camerino, saluto la mia migliore amica e mi dirigo verso il mio posto preferito.
Il posto nel quale posso essere me stessa fino infondo. Dove posso piangere senza essere giudicata, dove posso gridare senza essere ascoltata da nessuno apparte dal mare.
Joel, sto per venirti a parlare.
Anche oggi.
Anche domani.
E per sempre.
Farah's Pov
"Continua... ti prego" ansimo mentre inarco la schiena.
Roxy continua a procurarmi piacere sul mio punto più sensibile.
Quando lo facciamo, tutti i miei pensieri volano via lasciando lo spazio solo alla mia ragazza, della quale sono pazza da cinque anni.
Mi stringe le cosce, mentre le afferro in un pugno i capelli castani.
Ad interromperci è il cellulare di Roxy, che inizia a suonare sul suo comodino.
"Mmh" mi lamento.
Roxy inizialmente non fa caso al suo telefono, ma quando inizia a suonare per la terza volta si alza dal letto con uno sbuffo e risponde alla chiamata.
"Oh, sì. Certo!" Roxy si passa una mano sul viso. "Ma certo! Stiamo giusto venendo, stiamo... siamo... bloccate nel traffico. Sì, sì. Cinque minuti e siamo da lei. Arri- sìsì, arrivederci".
"Cosa?" Sbuffo mentre mi rialzo le mutandine.
"Muoviti, rivestiti. La signora Durand ci sta aspettando per la casa". Si infila la sua maglietta.
Sbatto più volte gli occhi. "La signo- LA CASA! CAZZO!".
Di scatto mi metto in piedi. Mi infilo gli jeans di fretta e infuria seguiti poi dalla mia maglietta.
Circa mezz'ora fa, dovevamo già presentarci alla signora Dorand come inquilini della sua casa, che abbiamo intenzione di affittare.
Perche sì... Roxy ed io abbiamo deciso di convivere.
Lei ha lasciato l'università tre anni fa, e adesso lavora in un pub, mentre io, ho lasciato gli studi quattro anni fa, quando la mia anoressia mi ha portato ad un ricovero in ospedale durato per mesi.
Sei anni fa iniziai un percorso con una psicologa, ma che non si concluse nei migliori dei modi.
Decisi di abbandonare le sedute.
La fissa per il calcolo maniacale per le calorie si radicò dentro di me, mise le sue radici e niente e nessuno riusciva a sradicare quest'ultime.
Lo sport nella mia vita era la mia priorità.
Mangiavo? Subito dopo sapevo che ad aspettarmi c'era un'ora di Tapis Roulant.
Durante il ricovero pensavo di morire.
Non avevo nè le forze fisiche nè quelle mentali.
Ero incatenata al letto con dieci fili ad attorcigliare le mie braccia, il sondino nel naso.
Il cibo per me era il nemico, era l'incarnazione del male. Il cibo era letale, era una tentazione alla quale non dovevo abbandonarmi. Era una tentazione che avrebbe comportato un aumento di peso, che mi avrebbe imbruttita ancora di più. La pancia sarebbe ingrossata, i fianchi si sarebbero allargati, lo spazio tra le cosce si sarebbe ristretto.
Ed ero così maledettamente magra... eppure la mia mente mi mostrava un'immagine di me così distorta, e così grossa da farmela ripudiare.
Con le dita mi tastavo l'addome, anzi le ossa, e sentivo che troppo grasso copriva una pancia che sarebbe dovuta essere più magra, e ancora più magra.
E gli anelli... li persi tutti pian piano perchè troppo larghi alle dita.
Dopo due anni e mezzo sono riuscita a rimettermi in forze, a mangiare normalmente senza che nessuno mi dicesse continuamente di farlo. Durante tutto il mio percorso di rinascita, Roxy mi è sempre stata vicina. Mi stringeva la mano quando fissavo il soffitto e piangevo, mi teneva all'indietro i capelli, quando odiavo così tanto il cibo da volerlo espellere. Mi ha accompagnata ad ogni seduta dalla psicologa, dalla quale vado tutt'ora.
Ad oggi mi sento bene, davvero bene. Lavoro nell'azienda edile di famiglia e sono pronta a vivere una vita insieme alla ragazza che amo.
"Dov'è? Ah eccola!" Roxy afferra la sua borsa.
Entrambe usciamo dalla sua stanza, e una volta in salotto Chanel ci blocca.
"Cenate qui?" Ci chiede mentre si mantiene il pancione.
Eh già! Chanel è incinta!
"Mamma, non lo so" interviene Roxy. "Siamo di fretta" sfila dalla borsa le chiavi della sua macchina.
"Dove andate?" Chiede Harry, il fidanzato di Chanel, nonché padre della bambina nel grembo della donna, che continua ad accarezzare la sua pancia.
"A vedere la casa" risponde Roxy. "Così finalmente me ne andrò di qui e non ti vedrò più" scherza.
"Lo so che mi adori" Harry incrocia le caviglie, e poggia un gomito sul bracciolo del divano.
"GERALDINA!" Tutti sentiamo le grida di Bridgette.
Dopo un paio di secondi, l'anatra di Roxy entra nel salotto starnazzando, seguita da una Bridgette con una ciabatta stretta in una mano.
"Noi scappiamo" la mia ragazza mi tira per un braccio, ed io la seguo verso la porta.
"Faremo il Natale a casa nostra!" dico una volta in macchina.
Roxy mi schiocca un bacio sulle labbra "Ti amo".
Leo's Pov
"Amico, vieni con me stasera?" Mi chiede Tom.
"No, ho da fare" mi siedo sul divano, portandomi alle labbra il bordo della bottiglia di birra.
"Non ce l'avevi domani il turno di sera al bar?" Mi domanda, incrociando le braccia al petto.
"Esatto" incrocio le caviglie. "Ma ho altro da fare".
Ridacchia. "Va bene, tieniti pure i tuoi segreti" alza spallucce, per poi afferrare la sua giacca dall'attaccapanni. "Ci vediamo dopo" mi saluta.
Ricambio con un cenno del mento.
Apre la porta ed esce, lasciandomi da solo nel nostro bilocale a Londra.
Sei anni fa, dopo la morte di Joel, nella mia vita sono successe una serie di cose, che mi hanno portato ad essere la peggior parte di me.
Devo ammettere che non sono mai stato bravo a rivelare al mondo di avere, seppur piccolissima, una parte buona, ma negli ultimi anni non c'ho nemmeno provato.
Sei anni fa, le ultime speranze di un futuro migliore si sono spente.
Mia madre non ce l'ha fatta a sopportare la morte di Joel.
Molto tempo prima aveva perso suo marito, mio padre, e questa cosa l'aveva segnata, marchiata di un destino enternamente infelice, ma con la scomparsa di uno dei suoi figli non ce l'ha fatta.
Ha deciso di porre per sempre fine alla sua vita.
Una sera la ritrovai distesa sul pavimento, e sul tavolino del salotto c'era una scatoletta di medicinali scaduti, completamente vuota.
Decise di spegnere il suo dolore, mettendo un punto alla sua esistenza, che era diventata fin troppo dolorosa da sopportare.
Ma non pensò a me.
Lei era l'unica che mi rimaneva.
Rimasi da solo con le lacrime a solcarmi gli zigomi.
Niente più aveva senso oramai, allora decisi di iniziare una nuova vita.
Abbandonai l'università, e dissi addio a chiunque conoscessi a Parigi.
Una mattina feci le valige, spezzai la sim del mio cellulare e partì per Londra.
Da solo.
Sempre da solo.
Nella nuova città mi trovai subito un lavoro in un bar, e un conquilino con il quale pagare l'affitto di un piccolo appartamento.
Pian piano mi costruii la mia nuova vita e la nuova persona che sono adesso.
Se prima conservavo ancora un briciolo di umanità, adesso ho imparato a reprimere ogni tipo di sentimento.
Non mi interessa più di nulla.
Esisto... e forse questo può bastarmi.
Sbuffo quando mi accorgo di aver finito la mia birra.
Mi alzo dal divano e mi dirigo verso il frigo, apro la portiera per poi richiuderla malamente, quando mi accorgo di essermi scolato tutte le bottiglie di birra.
Afferro la mia giacca di pelle, la indosso, e poi esco di casa, per dirigermi al primo supermercato ancora aperto.
Mentre cammino per la strada buia, controllo l'orario sul mio orologio da polso: sono le nove passate.
Sospiro.
Nessun supermercato sarà aperto a quest'ora e non mi va di andare in nessun locale.
Quando mi ritrovo in un parchetto, mi siedo sulla prima panchina che vedo.
Il freddo di dicembre si fa sentire.
Mi stringo nel mio giubbotto, mentre mi guardo intorno.
Non c'è anima viva.
Forse non è molto raccomandabile restare qui. Il mio quartiere si trova in periferia e devo ammettere, che non è molto tranquillo nè sicuro.
Mi alzo dalla panchina.
Quando per la mente mi passa il pensiero di andarmene via, sento delle voci.
Aggrotto le sopracciglia.
"Non ti faccio niente, vieni qui" è un uomo.
"Ti prego..." il mormorio è di una ragazza.
Mi metto in allerta. Mi giro intorno, finché non capisco che le voci provengono da dietro un albero non molto lontano da me.
Mi avvicino pian piano, facendo attenzione a non far rumore con le suole delle scarpe, che calpestano alcuni rametti sull'asfalto.
"E vieni qui, dai".
Riesco a vedere l'uomo di schiena, che tiene la ragazza stretta tra il suo corpo e l'albero.
"Ho detto di no! Vai via-".
L'uomo le sferra uno schiaffo così violento e poi le afferra i capelli e la spinge a terra.
Corro verso i due.
Afferro l'uomo per la giacca e lo faccio voltare verso di me. Lo prendo a pugni fino a farlo traballare.
"Chi cazzo sei tu?" Mi fissa, mentre si asciuga con le nocche il rivolo di sangue, che copioso, gli scorre sul volto.
"Uno che ti dice che te ne devi andare" serro la mascella.
"Ragazzino, è meglio che ti fai gli affari tuoi e te ne vai tu. Fidati".
Lancio un'occhiata alla ragazza, che ora si sta rialzando anche se con un po'di fatica.
"Io dico..." punto i miei occhi in quelli dell'uomo. "Che è meglio che te ne vai tu" dallo stivale destro sfilo un coltellino, che porto sempre con me.
L'uomo alterna lo sguardo da me all'arma, che tengo stretta in una mano, poi velocemente si allontana lasciando da soli la ragazza e me.
"Grazie..." mormora prorpio quest'ultima.
"Non c'è di che" fisso le punte delle mie scarpe.
Si posa un mano sullo zigomo, dal quale scorre un rivolo di sangue. Maledetto quell'uomo!
"Ti ha conciata per bene" col mento indico la sua ferita, per poi fare un passo verso di lei.
Una smorfia di dolore si dipinge sul suo volto. "Non è niente".
"Mi sembra un po'più di niente, ma fai tu" alzo le mani.
Lei per la prima volta tuffa i suoi occhi nei miei, per poi lanciare un'occhiata al coltellino che tengo ancora in una mano.
"Cosa c'è?" Ridacchio. "Hai paura che ti faccia del male?" Le mostro la mia arma. "Tranquilla" lancio il coltellino lontano da me. "Ecco qui. Sono disarmato".
La ragazza posa di nuovo gli occhi su di me. "Va bene... è meglio che me ne vada".
"Non è il caso, dopo quello che ti è successo, di tornare da sola.
Non fare quella faccia, te lo dico perchè mi sembri parecchio scossa" ribatto.
"Chi mi dice che non hai un altro coltello?" Fa un passo indietro.
Inarco un sopracciglio. "Sei seria?" Ridacchio. "E va bene" mi sfilo lo stivale sinistro e lo capovolgo. "Qui non c'è niente" me lo infilo di nuovo, per poi sfilarmi la giacca di pelle e farla cascare a terra. "Niente nemmeno qui" mi tasto l'addome. "Devo continuare? Inzio a sfilarmi anche la cintura degli jeans.
"Fermo!" Mi blocca con un gesto della mano. "Buffone" ridacchia.
Mi faccio scappare un ghigno, per poi rialzare la giacca di pelle da terra.
"Facciamo un giro?" Mi chiede.
Mi infilo il giubbotto fissandola in viso. "Pure due".
Spazio noce
Ed eccomi qui ritornata con la PRIMA parte dell'epilogo di "My life is a comedy".
Stento a credere che siamo giunti, ormai, alla conclusione di questa storia.
Piango.
In questa prima parte abbiamo dato una conclusione alle storie di:
Alix, che è viva e balla!
Farah e Roxy, che andranno a vivere insieme.
E non dimentichiamo Chanel che è incinta😍
Infine avete letto il pov's Leo.
Purtroppo la madre ha deciso di porre fine alla sua vita, che, ormai, era diventata un'inferno💔
La seconda parte dell'epilogo arriverà MARTEDÌ PROSSIMO.
Vi anticipo che ci saranno anche Gavin e Jade🙊
Una Claire BIONDA vi saluta
A presto💜
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