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76. Litigio

76. Litigio

"Ascoltalo" sogghigna Cesar. "Ascolta il tuo fidanzatino da quattro soldi".

L'ira offusca la mia mente, allora premo il grilletto.

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La mia espressione diviene indescrivibile, quando scopro che... la pistola non è carica.

Le lacrime mi solcano il viso, mentre sento gridare il nome del mio ragazzo da suo padre. Intravedo, ma come se fosse un qualcosa di lontano, il killer dei cuori solitari che entra nella macchina della polizia e scappa via.

Fisso la pistola che ancora tengo stretta tra le mani, ancora puntata sul punto dove poco prima soggnignava un padre, che non è mai esistito per me. L'avrei sparato, avrei ucciso un uomo, avrei ucciso mio padre.

Avrei ammazzato una persona, se solo l'arma che tenevo stretta tra le mani fosse stata carica.

Sarei divenuta un'assassina...

Al solo pensiero le mie mani tremano, non riescono più a tenere salda la pistola, che casca sull'asfalto con un rumore che sento ovattato. Alcuni poliziotti, per qualche metro, cercano di inseguire la volante gridando.

Punto gli occhi su Rooney, che mi fissa deluso come se non fossi io la ragazza che ama.

Dietro di lui suo padre lo stringe per le spalle, mentre ancora quegli occhi verdi non mi riconoscono più.

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Se la pistola fosse stata carica, se solo la pistola fosse stata carica... sarei divenuta un'assasina. Non importa che dalla canna dell'arma non sia uscito nessun proiettile, perchè ad ogni modo quel proiettile mancante, io lo avrei voluto utilizzare per bucare il cuore di mio padre.

Eppure questo desiderio sarebbe stato la mia rovina più grande. Mi avrebbe fatto marcire in galera per anni, mi avrebbe reso come la persona che più odio al mondo.

Questi pensieri mi incombrano la mente, mentre in silenzio Rooney ed io ritorniamo a casa in una volante di polizia, che sarebbe dovuta arrivare in precedenza per fare da rinforzo al padre di Rooney, che ora è seduto affianco al posto del guidatore. Il viaggio lo trascorriamo nel silenzio più totale.

Ogni tanto do un'occhiata al ragazzo accanto a me, che preme del ghiaccio sulla mascella gonfia. Il mio sguardo cade sul sopracciglio, dove poco prima all'ospedale gli hanno messo dei punti. Da quando quella pistola mi è cascata dalle mani, Rooney non mi ha rivolto un solo sguardo.

Mi fa male, terribilmente male, sapere di averlo deluso. Lui mi aveva pregato con lo sguardo di non premere il grilletto, eppure... l'ho fatto.

L'unica cosa positiva, se proprio dovessi trovare del bello in tutta questa situazione, è che Lauren e Gavin sono più al sicuro, ora che il killer dei cuori solitari è scappato via.

Arrivati a destinazione, il padre di Rooney torna in centrale insieme al suo collega, invece Rooney ed io entriamo in casa sempre e solo in assoluto silenzio.

La madre del ragazzo accanto a me apre la porta. "Rooney!" Attira a se il ragazzo. "Mio dio, cosa hai fato in faccia! Papà mi ha detto tutto al telefono. Terribile, terribile! Che paura che mi son presa, che paura! Entra, su su".

Come se fossi un fantasma, cammino dietro Rooney.

"Fratelloneee!" Jade salta dal divano, per poi tuffarsi tra le braccia del fratello che la stringe forte.

Mi sento in più, forse nemmeno dovrei essere qui.

"Cosa hai fatto in faccia! Ti fa molto male? Se vuoi posso provare a curarti con un incantesimo" dice a raffica Jade. "Claire, Claire!" Si scosta tra le braccia del fratello. "Stai bene?".

Non ho neanche il tempo di rispondere, che mi stritola tra le sue piccole, ma ora posso costatare, forti braccia. Mi abbasso alla sua altezza per stringerla meglio. Abbasso le palpebre e le accarezzo le lunghe trecce rosse.

"Rooney, ti preparo un tisana" sento la voce della signora Muller. "La vuoi al limone o allo zenzero e curcuma?".

"Non voglio niente, mamma" risponde il figlio. Apro gli occhi e vedo che si sta tirando indietro delle ciocche di capelli. "Me ne vado in camera".

Mi scosto da Jade, che mi lascia un bacio sulla guancia. Mi rimetto eretta, e quando cerco di seguire Rooney, vengo afferrata per un polso. Mi acciglio voltandomi, e come immaginavo la signora Muller mi fissa inviperita.

"È colpa tua, lo è sempre stata" mi scruta il viso con un'espressione di disgusto. "Sei la rovina di mio figlio e sappi, che se stai qui è solo perché Rooney, non so per quale motivo al mondo, ti vuole con sè".

Dischiudo le labbra non sapendo cosa rispondere. Sono davvero la rovina di suo figlio?

Strattono la sua presa, allontanandomi da lei. Corro verso la camera di Rooney, dove lo trovo quest'ultimo sul letto a fissare la parete dinanzi a sè.

"Rooney..." mormoro entrando in camera. "Non sopporto il fatto che non mi parli" avanzo verso di lui, quando noto che cerca di ignorarmi.

"Anche io non sopporto molte cose di te" mi rivolge lo sguardo. "Sai... come per esempio quando vai a casa di un assassino, oppure quando rubi una pistola di mio padre e cerchi di ammazzare le persone, oppure quando rischi di andare in galera. Devo dirti la verità" si alza dal letto. "Non so quale sia la peggiore".

Serro i denti. "L'ho fatto per mettere fine a tutto".

"No" si avvicina pericolosamente a me. "Lo hai fatto solo perché credi di poter fare tutto da sola. Sei solo una ragazza di diciotto anni e credi di poter sconfiggere, da sola, senza l'aiuto di nessuno, un killer psicopatico? Per me questa è pazzia".

Inarco le sopracciglia. "Adesso sarei pazza?".

Scruta insistentemente i miei occhi. "Non so come la chiamerei una persona del genere, oltre che pazza".

"Ho sbagliato, ma l'ho fatto per una ragione valida".

"Di quale sbaglio stai parlando, ora?" il suo tono è pungente. "Aiutami a capire, perché non li riesco a contare sulle dita di una sola mano".

"Smettila! Lo sai benissimo che sentivo il bisogno di affrontare faccia a faccia il viscido che ha ammazzato mia madre, la mia vera madre. Perchè sai... ti ricordo, che io non ne ho più una a differenza tua! Ma che ne puoi capire tu".

"Stai cercando di dire che io non ti capisco?" Indica sè stesso. "IO NON TI CAPISCO?!".

Indietrreggio spaventata dal suo tono di voce. Non lo avevo mia visto così arrabbiato. Non è da lui perdere il controllo, forse questo è più un qualcosa che caratterizza me.

I suoi occhi verdi diventano scuri, alcuni ciuffi di capelli rossi gli ricadono sulla fronte, il suo sguardo mi inclina a tal punto da zittirmi.

"Tu" continua. "Ti rendi conto che se non fosse stato per la pistola non carica, adesso sarebbero stati guai per te?" Avanza verso di me.

"Rooney" poggio le natiche sul bordo della scrivania, che stringo con le mani sudate. "L'ho fatto solo ler salvarti la vita, lui ti avrebbe-".

"Claire, non mi interessa cosa avrebbe fatto. Mi interessa il fatto che ti saresti fatta del male, ti saresti rovinata la vita... solo per..." il suo tono di voce sembra stanco.

Una lacrima mi solca il viso. "Per te... perchè eri tu...".

"Questo non ha importanza" ribatte serio. "Lo capisci?" Mi prende il viso tra le mani.

"No..." mormoro accarezzando le sue mani sul mio volto. "Se tu fossi morto per mano di- di quel bastardo?".

"Ti sei messa contro un assassino, un assassino psicopatico fissato con sua figlia!" Si allontana da me. "È da quando eravamo bambini che ti cerca, ti osserva da lontano da malato mentale quale è. Secondo te come mi sono sentito quando ho scoperto, grazie a Roxane, che perfortuna non folle come te, che sei andata da tuo padre?".

Mi acciglio. "Cosa intendi 'da quando eravamo bambini'?".

Lui sospira tirandosi indietro delle ciocche di capelli. "Claire...".

"Spiegami" mi scosto dalla scrivania.

"Fuori al cortile della nostra scuola, al di fuori dei cancelli... c'era una panchina. Qui quasi ogni mattina, per almeno un paio di anni all'ora di ricreazione, tuo padre si accomodava su questa panchina. Io ero solito sedermi sull'erba, ero sempre solo e solitamente mi mettevo a disegnare. Ero un tipo che si guardava attorno, allora un giorno mi accorsi che c'era quest'uomo, che fissava un punto ben preciso. Mi accigliai, e seguendo il suo sguardo, capì che osservava te. Io ero solo un bambino, non capivo-".

"Mi stai dicendo che tu avevi già visto mio padre, prima che- ecco, ecco" una lampadina mi si accende nella mente. "Il tuo disegno" lo indico con un indice. "Il tuo disegno".

"Di... cosa stai parla-".

"Tu avevi ritratto il volto di mio padre. Tempo fa trovai il disegno, sì trovai il disegno. In quel cassetto trovai il ritratto" indico il mobiletto affianco al letto.

Assottiglia gli occhi su di me. "Hai rovistato tra le mie cose".

"E tu mi hai mentito ogni santissima volta, quando facevamo l'elaborato per il professor Bernard. Ogni volta che ti mettevo dinanzi la foto di mio padre, te ne uscivi dalla stanza con le solite scusanti 'Vado a bere, 'Vado in bagno oppure 'Non mi sento bene. Ma la verità è che mi hai mentito".

"Non ti ho mentito, ho solo-".

"Avresti dovuto dirmelo. Avresti dovuto dirmi che almeno lo avevi già visto prima!".

"Non volevo farti preoccupare!" Alza le mani come se stesse perdendo la pazienza. "E poi, stai davvero paragonando questo a quello che hai fatto tu? Con un tentato assassinio?".

Sento le lacrime pizzicarmi gli occhi, le linee del mio viso come afflosciarsi.

"Claire... io non-" si avvicina a me.

"Hai ragione, sono un'assassina. E ha ragione anche tua madre".

Si acciglia. "Di cosa parli".

"Del fatto che sono la tua rovina".

"Claire..." mi afferra un braccio. "Tu non sei-".

"Invece sì. Ti sto mettendo in pericolo" strattono la sua presa.

Mi allontano da lui avvicinandomi all'armadio. Apro le ante e afferro la mia borsa che poggio sul letto di Rooney, il letto che per settimane è stato anche mio.

Sarà meglio che me ne vada da qui, che mi separi da Rooney prima che possa succedere un'altra volta una cosa come quella di oggi. Per ora siamo stati fortunati, ma un'eventuale prossima volta potrebbe causare grosse conseguenze, o addirittura far perdere la vita ad uno dei due.

Afferro dalle grucce i pochi vestiti che portai quando scappai di casa. Senza nemmeno piegarli li abbandono nel borsone.

"Cosa diamine stai facendo ora?" Rooney mi afferra i polsi impedendomi di chiudere la borsa.

"Me ne vado, è la cosa migliore".

"E dove? Ritorni da tua ma-zia?"

"No".

"E dove, allora?" Chiede. "A farti uccidere?" Il suo tono è acido e sprezzante.

Strattono la sua presa, lo spingo facendolo indietreggiare di un paio di passi, o forse e lui che si sta arrendono a lasciarmi andare.

Chiudo il borsone, afferro il cellulare e a passo felpato raggiungo la porta della stanza. Deglutisco poggiando le dita sulla maniglia.

Sospiro. Mi volto di nuovo verso Rooney, che però è girato verso la finestra, la schiena tremante. Prima che cambi idea, mi affretto ad uscire dalla stanza richiudendomi la porta alle mie spalle.

///

"Grazie, grazie davvero" sorrido flebile a Joel e Leo. "Forse mi sto approfittando fin troppo di vo-".

"Ma stai zitta, puoi restare tutto il tempo che vuoi" il ragazzo col cappello mi stringe a sè. "Solo che dovrai dormire sul divano, oppure potrei coricarmi io lì e tu dormi qui" indica il suo letto. "Anzi no!".

"Oh, sì" interviene Leo. "Dorme con me, nessun problema".

"Non la lascio da sola con te" dice Joel.

Ridacchio. "Ragazzi va bene tutto, davvero. Siete molto gentili, ma a vostra madre va bene?".

I due gemelli si guardano a vicenda.

"Sì, le andrà bene" mi risponde Leo. "Solitamente lei è sempre nella sua stanza...".

"Sì, non preoccuparti" mi rassicura Joel accarezzandomi i capelli. "Sistema pure le tue cose, e dopo per favore, raccontaci tutto quello che è successo".

Dischiudo le labbra alternando lo sguardo da un fratello all'altro, poi annuisco con un sospiro.

Il pomeriggio lo trascorro a stomaco vuoto, a sistemare per bene i miei vestiti in un angolino dell'armadio di Joel e Leo, e a... pensare. Il solo pensiero di aver perso Rooney mi attanaglia le membra. Sento scorrere il dolore come un veleno, che pian piano contamina ogni parte di me, fino a ridurmi in una piccola massa di niente.

Mi chiedo, come farò a svegliarmi la mattina senza trovare affianco a me Rooney, i suoi occhi già aperti che mi fissano insistentemente, i suoi ciuffi rossi a solleticare il mio viso. Mi chiedo, come potrò continuare ad essere un po'più felice senza le sue labbra ad accarezzare lei mie. Senza le sue mani lungo i miei fianchi, la sua bocca e il suo respiro sul mio collo.

Mi chiedo come riuscirò a non figurarmi il suo volto, dalle lentiggini spruzzate qua e là, nella mia mente che orami è malata di lui. Di lui che amo, senza saperne il motivo. Perchè le motivazioni per amare qualcuno sono troppe, o a volte troppo poche per importante davvero qualcosa.

Prima di cena racconto a Joel e Leo tutto ciò che è successo stamattina. Naturalmente rimangono di stucco. Leo ha sostenuto che ho fatto bene ad aver corso il pericolo, ma credo che non sia stato serio al cento per cento. Invece Joel mi ha ammonito per essermi comportata da incosciente.

A cena ho finalmente conosciuto la madre dei due gemelli, che una volta aver cercato di sorridermi, ha afferrato il suo piatto di pasta cucinato da Joel, e si è rintanata di nuovo in camera sua. Non mi sono permessa di pronunciare una sola parola su di lei, perché è già molto che ospita a casa sua una perfetta sconosciuta.

Poco prima di mezzanotte Joel, Leo ed io decidiamo di andare a dormire. Entrambi i fratelli hanno insistito per farmi dormire su uno dei loro due letti, ma io naturalmente ho categoricamente detto di no. Quindi ho afferrato una coperta dall'armadio, e mi sono distesa sul divano in salotto.

Fisso l'orario sul cellulare, la quale luce mi fa assottigliare le palpebre. Sono passate le due ed io ancora non sono riuscita a dormire.

Ho il cuore troppo pesante, per riuscire ad abbandonarmi al sonno.

Fisso il soffitto, che grazie ad uno spiraglio di luce proveniente dal balcone, riesco a vedere abbastanza chiaramente.

Un rumore e un: "Cazzo! Porca di quella...mmmmhh" mi fanno sobbalzare.

Mi metto a sedere col cellulare tra le mani. Accendo la torcia. "Joel! Che succede?".

"Dio, spegni quella cosa!" Si infila una mano tra i capelli.

"Oh dio, ma sei senza cappello!" Cerco di non alzare la voce. "Ma allora non ce l'hai la pelata" spengo la torcia.

"Cogliona, no. Fammi sedere ora" Si accomoda di fronte a me. "Il mio mignolo... gamba del tavolo" ansima dal dolore. "Volevo solo bere dell'acqua per riuscire a dormire".

"Nemmeno io ci riesco".

"Posso stare qui con te?".

"Certo".

Mi distendo su un fianco facendo spazio anche a Joel, che si posiziona affianco a me a pancia in su.

"Avete litigato pesantemente tu e Rooney?" Mi chiede fissando il soffitto.

"Abbastanza" nella penombra fisso il suo naso all'insù.

"Ma non vi siete lasciati, vero?".

"Perchè non riesci a dormire?".

"Vi siete lasciati?".

"Perchè non riesci a dormire?".

"Claire, sei terribile. Te lo giuro, non ti sopporto" ridacchia.

"Non lo so se ci siamo lasciati. Ora rispondi alla mia domanda".

Mi da un'occhiata. "A volte..." sospira. "Anzi, quasi tutte le notti faccio difficoltà a dormire. I pensieri sono troppo assillanti. Desidererei cancellare tutto, resettare ogni cosa, ogni ricordo".

"Che ricordi?".

Sospira. "Non so se..." mi guarda.

Gli affero la mano sotto le coperte. "Quali ricordi? ".



Spazio noce suprema

Eccomi qui con l'aggiornamento del martedì💜

Avevate fatto mille ipotesi sulle future conseguenze di ciò che avrebbe potuto fare Claire. Ma colpo di scena! La pistola non era carica!

I Claney si sono separati dopo la loro discussione. Cosa succederà tra loro? Chiariranno?

Infine, da come avrete intuito, tra brevissimo Joel ci racconterà della sua storia! So che in molti non vedevano l'ora di sapere un po'di più su di lui.

Ed eccovi qui accontentati! Nel prossimo capitolo ci saranno altri colpi di scena.

Ah, preparatevi la tisanina allo zenzero e curcuma perché vorrete ammazzare una certa persona nel prossimo capitolo.

Instagram @ graffiandoilcielo

A martedì♥️


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