2. who's that guy?
Song: The Power of Love
[Huey Lewis, 1985]
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«[T/n]?»
Mi girai verso l'entrata e mi paralizzai. Porko, con cui avevo sbattuto al concerto solo un'ora prima, mi guardava immobile, con le mani in tasca. Camminò poi verso di me, con le stesse movenze che aveva quindici anni prima, e si sedette di fronte a me.
In quel momento di silenzio tra noi i miei occhi si posarono sulla televisione a tubo catodico poggiata su una mensola rotonda in legno.
«Go back to the past on Saturday 17th, 24th and 31st August! Back to the Future trilogy awaits you in all theaters!»
Lo spot pubblicitario aveva in sottofondo la famosa colonna sonora del primo film,
The Power of Love
In un battito di ciglia la mia mente venne catapultata a un preciso istante della mia vita.
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16 marzo 1987, San Francisco (CA)
Washington High School
Mi costringo a non fare nessun passo di danza nel tragitto verso scuola, ma è quasi più forte di me e per poco non faccio una piroetta appena varco le porte della scuola.
Devo smetterla di ascoltare la musica fuori casa.
Sono più allegra del solito. Il secondo semestre del mio anno da Senior di scuole superiori non è cosa da poco, mi dico, perciò nessuno mi rovinerà questa giornata.
«It's strong and it's sudden and it's cruel sometimes»
Arrivo al mio armadietto e qualcuno mi si affianca, ma lo ignoro e continuo a canticchiare sottovoce, muovendo la testa da una parte all'altra.
«But it might just save your life»
Sempre la stessa persona mi picchietta sulla spalla, ma continuo ad ignorarla e cerco di finire il primo climax della canzone.
«That's the power of-»
Sento la musica fermarsi e vedo la mano di Pieck allontanarsi dal tasto di pausa del mio walkman.
«Hey!»
Mi giro e vedo Pieck guardarmi con un sorriso, mentre io tolgo le cuffie dalla testa e me le porto appese alla nuca.
«Smettila di ascoltare la musica a volume così alto, altrimenti diventerai sorda.»
«Smettila con queste stronzate.» La guardo offesa, ma il suo sorriso mi vieta di esserlo davvero.
«Piuttosto, c'è qualcosa di più importante che devo dirti.»
«Più importante della mia salute uditiva?» Mi fingo sorpresa, ma lei mi tira un leggero spintone.
«Volevo dirtelo prima che tu lo vedessi, perché non voglio che tu muoia di infarto a soli diciassette anni.»
Mi viene da ridere, ma la sua improvvisa espressione seria mi inquieta un poco e trattengo i muscoli del mio viso.
«Dio sembra un affare di stato, cosa c'è? Vedere cosa?»
«Vedere chi, piuttosto.»
Inarco un sopracciglio, impaziente e confusa, ma quando apre bocca sento un ragazzo gridare alle nostre spalle.
«Non ci credo, sei davvero tu Galliard?»
Il mio cuore balza un battito ed anzi, si ferma per qualche istante. Prima ancora di rendermene conto mi sono voltata verso l'entrata e lì, in piedi di fronte ai miei occhi, lo vedo. Sta camminando con quelle movenze tipiche di lui, che gli ho visto fare per due anni: piedi leggermente divaricati; mani affondate nelle tasche dei blue jeans trattati con lavaggio acido; giubbotto in pelle, rigorosamente nero; occhiali Ray Ban e zaino poggiato su una sola spalla; e infine testa alta, come sempre. Si gira verso un gruppo di ragazzi e va loro incontro con un largo sorriso. Si leva gli occhiali e finge insieme a loro di tirarsi pugni sulla bocca dello stomaco, divertito, per poi dare pacche sulle spalle e strette di mano in giro.
«Ecco era proprio questo che ti volevo dire-»
«Che cosa ci fa quel bastardo ficcanaso qua? Che cosa è tornato a fare?!»
"Porko Galliard è in assoluto la persona che meno vorrei vedere sulla faccia della Terra. Quindi la mia reazione è del tutto giustificata." Questo voglio dire a Pieck, non appena mi dice di restare calma, ma dalle mie labbra esce tutt'altro.
«Non voglio rivedere quel pezzo di merda!» Urlo rivolta alla mia amica, attirando l'attenzione degli studenti che mi stanno passando accanto. Mi giro di nuovo verso Porko e lo noto fare lo stesso. I nostri sguardi si incrociano e, per qualche ragione, non riesco a capire cosa stia provando. Non ha il solito ghigno perverso sulle labbra, e nemmeno gli occhi nocciola ricolmi di malizia. Mi guarda sorpreso, squadrandomi attentamente da capo a piedi. Non so cosa provare, se rabbia o disagio, ma lo vedo salutare gli altri ragazzi con lui e venire verso di me.
Quando mi accorgo che il suo prossimo obiettivo sono proprio io, mi giro verso Pieck e prendo un libro dall'armadietto, per poi chiuderlo con un sonoro tonfo.
«Tienimelo lontano. Non m'importa cosa devi fare, basta che non lo fai avvicinare a me.» La avverto e, non lasciando il tempo a Pieck di rispondermi, mi allontano con passo svelto. Mi porto lo zaino sulle spalle e mi rimetto le cuffie alle orecchie, facendo ripartire la canzone.
-love
That's the power of love
Perfetto. Canzone rovinata.
La mattinata passa lenta e noiosa. Ho occupato le ore ad ignorare Porko, ad allontanarmi da lui non appena mi si avvicinava e, all'ora di pranzo, entro in mensa. Col vassoio in mano raggiungo il mio tavolo, dove trovo già Historia e Pieck che chiacchierano. La bionda con in mano la verifica di chimica con una D- in rosso spiaccicata sopra.
«Mio padre mi ammazza. Questa volta mi ammazza sul serio.»
«Tu aspetta a dirglielo.»
«Aspettare cosa?!»
Mi siedo di fronte a loro e, captando il problema, richiamo l'attenzione della bionda.
«Aspetta dopo la partita di football. Tuo padre sarà fiero di te, in quanto capitano della squadra di cheerleaders, quindi non si preoccuperà troppo del voto.»
«E piangi. Quando piangi impetosisci sempre tutti.» Aggiunge Pieck, addentanto i suoi spinaci. Percepisco il sottile sarcasmo nella voce della corvina e la fulmino con gli occhi, ma Historia non sembra notarlo. Pieck non ha mai visto di buon occhio le cheerleaders, in particolare Historia, ma è mia amica e quindi cerca di non farmelo pesare.
Vediamo Historia calmarsi e sento qualcuno pizzicarmi i fianchi dalle mie spalle. Sobbalzo ma non ho il tempo di girarmi che quella stessa persona incolla le sue labbra alle mie, stringendomi a sé.
«No ma dai più spettacolo Reiner, quelli al fondo non ti hanno ancora visto.» Pieck alza gli occhi al cielo, ma io mi limito a ridacchiare e lo saluto, lasciandogli lo spazio per sedersi al mio fianco, di fronte a Historia. Insieme a lui ci sono Eren e Jean, tutti della squadra di football.
«Che c'è, ora non posso nemmeno più baciare la mia ragazza?»
«Sì ma non mentre sto mangiando. Che schifo.»
«Io invece li trovo molto carini.» Historia sorride a me e Reiner, soffermandosi a parlare con quest'ultimo, mentre io guardo Pieck con leggero disappunto. So che non stravede né per le cheerleaders, né per la squadra di football, specialmente per Reiner che è il quarterback, ma non si sforza mai di essere un minimo simpatica e di andarci d'accordo. E ormai è da quasi un anno che sto insieme a Reiner e altrettanto tempo che frequento Historia, quindi non capisco perché continuare ad essere sempre così antipatica con lui.
Sospiro, mentre la conversazione degli altri attira la mia attenzione.
«Avete visto che Porko è tornato?» Jean domanda a tutti, lasciandomi indispettita.
«Sì ho visto. Sapete mica perché?» Reiner mi avvolge un braccio sulle spalle, avvicinandomi di più a sé.
«Ci ho parlato io durante il primo cambio d'ora.» Risponde Eren, non disturbandosi ad alzare la testa dal vassoio. «È tornato insieme ai genitori per il lavoro del padre, esattamente com'erano partiti per Toronto due anni fa.»
«Marcel è rimasto in Canada?» Fa Jean.
Nel nominare il nome di Marcel avverto un tuffo al cuore e Pieck sembra notarlo, cercando in continuazione il mio sguardo.
«Sì, per continuare l'università.» Spiega pacatamente Eren, mentre il mio cuore è segretamente in subbuglio.
L'ultima volta che ho visto Marcel, insieme a Porko, era il suo ultimo anno di superiori.
Mi mordo con forza il labbro, nel tentativo di non rivangare il passato, e continuo silenziosa a mangiare il mio piatto di pasta. Ma sapere che Marcel è rimasto a Toronto, mi tranquillizza un poco.
Alzo gli occhi e vedo Porko venire verso il nostro tavolo. Sto per alzarmi, ma è troppo tardi perché è già a due passi da me. Se mi alzassi ora, tutti si accorgerebbero che l'ho fatto apposta per lui.
Evito di guardarlo e mi limito a rimanere in silenzio, mentre lui saluta tutti.
«È stato un peccato quando te ne sei andato. Eri molto prezioso per la squadra.»
Porko inizia a scherzare con Reiner, dicendogli però con serietà che ora ha intenzione di pensare solo allo studio. Cos'è questa novità?
Percepisco i suoi occhi su di me, ma continuo a non guardarlo, finché non mi è impossibile.
«Ciao [T/n].»
Devo scegliere: continuare ad ignorarlo e creare una situazione imbarazzante per tutti, oppure costringermi ad alzare la testa, guardarlo dritto negli occhi, e dire «Ciao Porko.»
Scelgo la seconda opzione.
Alzo la testa e incrocio gli occhi coi suoi. Non mi abituerò mai all'incredibile somiglianza fisica tra lui e Marcel, e una leggera fitta al cuore mi toglie il respiro.
Dò un leggero cambiamento all'opzione numero due e, sbaragliando il mio sorriso più forzatamente gentile, lo saluto.
«Ciao Pokko.» Dico sprezzante.
Odia quel nomignolo. Lo odia dal primo giorno di scuola quando per errore l'avevo chiamato così. Lui poi mi aveva dato dell'idiota, io del deficiente, e avanti così fino a quando non eravamo quasi passati alle mani. Da allora mi divertivo a chiamarlo Pokko e lui a tormentarmi con battute a sfondo sessuale, ghigni perfidi e varie prese in giro. Fino a quando non si è trasferito a Toronto con la famiglia finito il secondo anno.
In un primo momento penso si stia sforzando di non reagire alla mia provocazione, di rimanere impassibile per non darmela vinta, ma un sorriso gli riempie il viso. Niente malizia. Niente perfidia. Solo sincera felicità che io lo abbia salutato. Ma che succede?
Mentre mi chiedo che gli prenda, lui scambia qualche altra parola con gli altri e poi si allontana, sedendosi con altri suoi vecchi amici.
«Sbaglio o è cambiato?» Fa ad una certa Jean, chiedendo l'opinione di noi altri.
«Assolutamente.» Reiner si gira per guardarlo ed io faccio lo stesso.
«Per un momento mi sono chiesto se non stessi parlando con Marcel.»
«Frena Eren, ce ne vorrà di tempo prima che somigli a suo fratello.»
«Ha ragione Jean.» Si intromette Historia «Porko non sarà mai come suo fratello, per quanto possa essere un ragazzo migliore rispetto a prima.»
Reiner torna a parlare con gli altri, mentre io rimango a guardare Porko per un altro po'. Quando incrocia gli occhi coi miei, mi giro e torno al mio vassoio, fortemente a disagio.
"No. Porko non sarà mai gentile, dolce e maturo come Marcel."
Finita la giornata mi preparo per tornare a casa. Passato un isolato da scuola sto per mettermi le cuffie e far partire un'altra cassetta (me ne porto sempre due dietro), ma sento una mano posarsi sulla mia spalla. Mi giro e ritrovo la faccia di Porko. Gli occhiali sono appesi all'orlo della sua maglietta bianca.
Mi guarda, dall'alto in basso, forse aspettando che sia io la prima a parlare. Si è alzato parecchio durante la sua assenza ed ora gli arrivo alla spalla. Fantastico.
«Possiamo parlare?»
«No.»
Sto per girarmi di nuovo, ma Porko questa volta mi afferra il braccio per tenermi ferma. Mi divincolo ma è più forte di me e riesce a tenermi ferma senza troppa fatica.
«[T/n] puoi ascoltarmi un attimo cazzo?!»
In uno sbuffo strattono via la sua presa e lo guardo, colma di risentimento.
«Insomma ma cosa vuoi?!»
Sembra calmarsi. Vederlo perdere le staffe dopo tutto questo tempo mi riporta ai nostri primi due anni di superiori. Dio solo sa quanto ci siamo odiati.
Lui rimane in silenzio ed io lo guardo spazientita, quando già sto pensando di correre via. Se lui è sempre stato il più forte, io sono sempre stata la più veloce. A pensarci bene, avrei potuto prendere il suo posto nella squadra di football.
«Volevo solo chiederti come stai.»
Non so come reagire. Quand'è l'ultima volta che mi ha chiesto come sto? Forse non è mai successo.
«Stavo molto meglio prima, a dir la verità.»
Porko distoglie lo sguardo dal mio e finalmente la vedo: vedo l'espressione che fa quando sta perdendo la pazienza.
Mandibola serrata; occhi puntati in un punto lontano, alla ricerca di qualcosa che lo possa calmare; mani strette ai fianchi. Socchiude la bocca per premere con forza la lingua sui denti inferiori e si porta una mano alla nuca, premendo con forza anche quella sulla pelle. Mi viene una strana nostalgia a guardarlo.
«Senti [T/n]-»
«No senti tu!» Lo blocco e gli punto un dito contro. «Sono quasi due anni che non ti vedo e che non ti voglio vedere, e indovina? sono stata benissimo! Quindi ora lasciami in pace. Non ho intenzione di parlarti ora, né mai.»
«Davvero mi odi ancora? Cazzo non ti sembra esagerato?!»
«No perché è per colpa tua se Marcel non mi ha più rivolto la parola!» Sbotto infine, senza più riuscire a trattenere le mie emozioni sopite fino ad adesso.
Porko ora sembra confuso, ma lentamente sembra capire.
«Perché dici che è colpa mia?»
Mi avvicino al suo volto, alzandomi sulla punta dei piedi per sussurrargli «Perché vi avevo sentito parlare. Quella volta, prima della partita di fine anno. Quando stavi per scendere in campo e far vincere gli Eagles.»
Porko non dice nulla ed io ne approfitto per girare i tacchi e attraversare la strada. Sono stanca di sentirlo parlare, di anche solo vederlo, ma sento i suoi passi seguirmi.
«[T/n]»
«L'ho sentito chiaramente quella sera, tuo fratello. "Mi sono allontanato da [T/n] per te, quindi vedi di fare qualcosa". Poi non vi siete più detti nulla perché la partita stava per iniziare. Ed io non sono più riuscita a parlare né con te né con Marcel perché siete partiti.»
«[T/n]»
«Sapevi che gli piacevo e quindi gli hai detto di allontanarsi da me! Perché a quanto pare il piccolo Pokko non poteva sopportare di vedermi anche fuori da scuola, no!»
Ormai non trattengo più la mia rabbia e, mentre lui continua a seguirmi, io do sfogo a quasi due anni di rancore.
«Ed io come una stupida che gli avevo pure chiesto di venire con me al ballo. E mi chiedevo perché non era stato lui ad inviarmi per primo!»
«Sai perché non ti ha invitata al ballo?»
«Per lo stesso motivo del perché non solo ha rifiutato il mio invito, ma anche perché mi ha pure assicurato che tra me e lui non ci sarebbe mai stato niente, per poi non farsi più né sentire né vedere! Perché sei stato tu a dirglielo!»
«No.»
Sto aumentando il passo, ma Porko con uno scatto mi raggiunge e si ferma davanti a me in modo tale che io non possa più proseguire.
«Ha scelto lui di allontanarsi da te.»
«E perché cazzo avrebbe dovuto farlo, se eravamo così amici e anzi, avrebbe potuto esserci qualcosa di più?!»
«Perché avevo una cotta per te.»
All'improvviso mi sento come se mi sia appena passato un treno ad alta velocità addosso e mi ammutolisco. Non provo nemmeno più a superarlo e lo stupore mi porta a irrigidire i muscoli. Quasi non riesco a respirare e a fatica tiro fuori la voce per parlare.
«T-tu- tu cosa?»
Porko sospira. «Sì io... io avevo una cotta per te. Se proprio vuoi la verità mi picevi molto.» Si sistema lo zaino sulla spalla e si gratta i capelli, sistemandoseli subito dopo. «Io non me n'ero subito reso conto, ma Marcel sì. Per questo si era allontanato da te e mi aveva detto quella cosa, prima della partita. Voleva che mi dichiarassi prima di partire per Toronto.»
Non so minimamente cosa dire. Sono senza parole. E continuo a guardarlo sperando che le parole si scrivano da sole sulla sua faccia, a quanto pare.
«Ora che sai la verità puoi smetterla di ignorarmi così? È fastidioso e mi fa sentire in colpa.» Mi spiega, forzando una voce pacata.
È agitato. Non l'ho mai visto così agitato e questo basta ad agitare anche me: sento infatti il mio viso scaldarsi spaventosamente.
«Ma scusa tu- tu continuavi a... Mi odiavi!»
«Sì al primo anno ti odiavo. E tanto.»
«E poi? Insomma come... come diavolo è successo?»
Porko si guarda intorno. Forse si è pentito di avermi rivelato i suoi vecchi sentimenti. O molto più semplicemente non vuole incrociare il mio sguardo, troppo imbarazzato.
«Ti ricordi quando ho scoperto che ti piaceva mio fratello?»
«Certo che mi ricordo.»
Mi ricordo eccome. Era il secondo anno e Porko era casa mia per un lavoro di coppia, a febbraio. Mentre io ero al bagno lui ne aveva approfittato per curiosare in giro. Aveva trovato il mio diario segreto e "boom", fine dei segreti. Compresa la mia cotta per Marcel.
«Quando ho scoperto che ti piaceva mio fratello... Non so mi sono sentito strano.»
Mi ricordo anche quello. Ero tornata dal bagno, avevo iniziato a urlargli contro per aver letto il mio diario, ma l'unica cosa che aveva saputo dirmi lui era stata "ti piace mio fratello?"
«Strano?»
«Ero geloso va bene?» Ammette in un sospiro, come se gli stia pesando dirlo.
Mi sento tremendamente scombussolata. Non so più cosa pensare, né di Porko, né di quello che sto provando.
«Non sapevo perché mi sentivo così, ma Marcel l'ha capito e quindi... ha deciso di chiudere i rapporti con te.»
Tipico di Marcel. In qualunque situazione è sempre stato lui quello a fare sacrifici per gli altri. Ecco perché mi piaceva tanto.
«E tu perché non mi hai mai detto nulla? Anzi dopo un po' hai pure ricominciato a comportarti come sempre, a punzecchiarmi.»
«Avevo quindici anni, ero un coglione. E frequentare certi compagni della squadra di football non mi aiutava. Tra cui Reiner.»
Percepisco una nota di avvertimento nella voce di Porko, ma la mia mente è ancora troppo agitata per reagire.
«A che stai pensando?» Mi domanda dopo un po'.
Entrambi ci siamo calmati ormai e siamo fermi sul marciapiede. Mi giro verso il Golden Gate Park ad un isolato da noi, per non doverlo guardare. Volendo sono solo a due minuti da casa, quindi potrei benissimo correre via senza rivolgergli più la parola.
«Sto pensando a come hai fatto a prenderti una cotta per me.»
Porko non mi risponde e rimane in silenzio, mentre ora sono io a chiedermi a cosa stia pensando. Lo guardo da capo a piedi come se non l'avessi mai visto: sembra un'altra persona rispetto a due anni fa. Assomiglia molto di più a Marcel, ma allo stesso tempo non diresti mai che è lui.
«Abiti sempre qua?» Cambia argomento.
«Sì, sempre al fondo della 30th strada.» Dico con una nota nauseata alla fine della frase «Tu?»
«Io ora abito qua vicino, su Fulton street, tra la 23th e la 24th. Marcel è rimasto a Toronto.»
«Non ti ho chiesto dov'è Marcel.»
«Ma so che lo stavi pensando.»
Serro la mandibola e mi giro per andarmene.
«Ora che hai chiarito questo malinteso puoi anche lasciarmi in pace, no?» Dico rabbiosa quando già mi sto allontanando. Non sento i passi di Porko alle mie spalle e questo mi fa capire che ha cambiato strada per tornare a casa sua.
Abita a soli cinque minuti da me. Grandioso.
Non appena apro la porta di casa mia butto lo zaino a terra e vado in camera mia, facendo partire allo stereo una cassetta dei Run DMC a massimo volume. I miei genitori non sono a casa, quindi come sempre le uniche persone a cui do fastidio sono i vicini.
Passo il resto del pomeriggio e successivamente la sera a cercare di studiare, ma tutto quello a cui riesco a pensare è il ritorno di Porko a San Francisco. E al suo drastico cambiamento rispetto a prima. Arrivo persino a dubitare del fatto di aver parlato davvero con Porko, il quindicenne che mi tirava pizzicotti in classe e che mi sbeffeggiava nei corridoi.
"Sai dove staresti bene? Sotto di me."
"Ed io penso che staresti bene con il segno della mia mano sulla faccia."
"Vogliamo provare entrambe?" Ghignava lui, avvicinandosi spaventosamente a me e bloccandomi al mio armadietto.
"Sei per caso masochista, Pokko?"
"No, ma adoro punzecchiarti. È troppo facile farti incazzare."
Si era poi rimesso i suoi occhiali e mi aveva dato un buffetto sulla guancia, per poi allontanarsi. Ed io gli avevo tirato la mia penna addosso, senza però raggiungerlo.
"Sei proprio uno stronzo di merda!"
«Ma chi diavolo è quel ragazzo...?» Mormoro guardando il soffitto, ripensando alla conversazione fuori da scuola per l'ennesima volta.
Nemmeno un po' di musica su MTV riesce a distrarmi.
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