Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

I. 𝑰𝒍 𝑷𝒓𝒆𝒛𝒛𝒐 𝒅𝒆𝒍𝒍'𝑰𝒕𝒂𝒍𝒊𝒂𝒏𝒐.

5 𝐴𝑔𝑜𝑠𝑡𝑜 2018.
𝐷𝑎𝑛𝑒𝑤𝑖𝑠, 𝑀𝑎𝑖𝑛𝑒.


𝐷𝑖𝑠𝑡𝑟𝑒𝑡𝑡𝑜 𝐹𝑒𝑠𝑡𝑢𝑐𝑘𝑦.


𝑨lle ore sette e cinquantanove, proprio nel parcheggio davanti alla stazione di polizia, dentro la Mercedes del '99 di mio fratello maggiore, Salvatore stringeva il volante della macchin.

Era fermo, bloccato dietro il finestrino.

Era indeciso se fare inversione e scappare il più lontano possibile in un'altra città e cambiare vita, oltre a non farsi rivedere mai più o rimanere dov'era ed entrare in quel dannato edificio.

Ma, mio fratello - stupido com'è - cambiò idea solo voltando lo sguardo sul sedile affianco a quello del conducente per vedere il mio zainetto nero, colmo delle mie cose. L'odore sapeva così tanto d'alcool che lo nauseava.

Lanciò con una mano lo zaino sui sedili posteriori infastidito.

Se avesse scelto la prima idea sinceramente gli avrei dato corda.

Avrei accettato di meno il fatto che magari mi avesse dovuto svegliare ma dopo avermi chiesto se avessi voluto seguirlo, di certo, gli avrei dato retta.

Era la prima - e sola - macchina che a quel tempo avevo il permesso di portare ed era già impregnata di quell'odore.

Pur di non sentirlo più, Salvatore scese in fretta dalla macchina e la chiuse.

Ricordo quella macchina come una di stampo vecchio, presa agli albori di quando Maurizio era solo un adolescente e guidava spericolato tra le strade di Olbia, e ancor prima, di mia madre, siccome i soldi mancavano e non poteva permettersene una nuova.

Senza voltarsi più, respirò aria pulita.

Arrivava sempre un po' prima di tutti gli altri.

Stava meglio solo, che, con tutti i suoi colleghi e spesso aspettava lo sceriffo fuori fino alle otto e tredici mentre parcheggiava, si scambiavano una cacchierata, a volte una sigaretta.

Almeno loro avevano un buon rapporto non come gli altri colleghi che come tutto il resto dei giorni non facevano altro che prenderlo per il culo.

«Il novellino si è dimenticato i pennellini a casa, Vertigo, vaglieli a prendere!» gridava Hortens ridendo a gran voce con tutti gli altri che ridevano.

Lui era solito fare una smorfia e rifilargli un dito medio proprio dalla tasca anteriore dei suoi pantaloni beige.

Lo prendevano in giro per il suo fare sbadato, disordinato e artistico.

Aveva la scrivania piena di schizzi e disegni mai finiti. Mio fratello era solitamente pacato sopratutto a quell'ora del mattino, quando era stordito e nessuno osava avvicinarsi. 

La signora Wessberg, lo salutò da lontano mentre alzò gli occhi verso di lei si appoggiò con la schiena al veicolo o "rottame" come lo chiamava Manuele Murtas.

La donna non gl'era mai piaciuta, la conosceva solo perché la figlia, June Wessberg, aveva molti corsi di scuola con me ed eravamo molto amici... entrambi europei, poi.

Salvatore sperava che comunque qualcosa potesse nascere ma se nacque, allora, morì immediatamente.

A volte raccontavo di come la madre sembrava totalmente pazza e, di come June si confidava con me della donna.

Era follemente gelosa di lei e né io né June ne potevamo intendere il perché ma, l'avevo avvertita che appena compiuti i diciotto anni se ne sarebbe dovuta andare, per la sua sicurezza.

Avevo una folle paura che le potesse fare del male.

C'era stata una volta... in cui era mattino avevo le occhiaie pesanti e gli occhi sembravano cascarmi dalle orbite.

Un periodo in cui soffrivo parecchio il sonno e quella sera in particolare, ero rimasto sveglio fino alle due e quaranta del mattino per osservare i disegni di Salvatore e decidere quale sarebbe stato il mio prossimo tatuaggio.

Ero nel cortile con Manuele Murtas avevamo entrambi le sigarette ma ne scroccai una a lui: una Chesterfield blu, forse, e appena l'accesi.vidi June camminare davanti a me senza neanche alzare il viso per salutarmi.

Quello che mi ha raggelò il cuore e mi smorzò il respiro solo a vederla, però, fu che appena alzai la voce per salutarla e lei mi raggiunse, i suoi capelli - se prima lunghi, biondo platino e lucenti - erano stati rasati fino a essere di una lunghezza massimo di due o tre centimetri.

Gli occhi vuoti e i piedi che strisciavano sull'asfalto ruvido come se non avesse voglia di camminare.

Le chiesi che cosa fosse successo andandole vicino e salutandola.

Non volevo né forzarla né restare troppo tempo ad osservare il suo aspetto.

Prima che mi rispondesse, infatti, dovetti un po' insistere poiché non la vedevo così triste da qualche settimana. 

La risposta mi scioccò.

Il racconto fu così colmo di dettagli che avrebbe potuto riempire un tema.

Appena il padre uscì per raggiungere il lavoro, la madre la chiuse in un armadio a due ante bloccandole, nella camera matrimoniale per quasi due ore e mezza.

Trovò un libro che riuscì a leggere per così poco tempo che le sembrarono solo due frasi quelle appena lette.

Fu scaraventata fuori violentemente tanto che sbatté la testa contro il bordo del suo letto matrimoniale. Le si aprì una ferita talmente dolorosa che, senza sapersi cosa aspettare, delle lacrime premevano per uscire.

La madre la trascinò per un braccio verso il bagno, la fece sedere su uno sgabello di legno e cominciò con delle forbici a tagliare i capelli della figlia in modo bizzarro e poco ordinato.

Riuscì a fuggire dalle mani di sua madre solo quando ormai, di ciuffi lunghi ne erano rimasti pochi ma riuscì comunque a chiudersi in bagno a chiave.

Si guardò allo specchio.

Tirò più volte su con il naso e senza controllare il moto delle lacrime - che ormai uscivano da sole - osservò la grossa lacerazione che aveva sulla fronte.

Servivano dei punti.

Pulsava così tanto che subito ebbe un forte mal di testa, tanto da diversi tenere al lavandino.

Mancava poco che svenisse, avrebbe dovuto dirigersi da Melany immediatamente, tra le sue tante qualità c'era anche quella di essere un infermiera improvvisata, ma che ogni volta ti poteva salvare la vita dalle telefonate al pronto soccorso inutili e le domande invasive dei genitori. 

Tanto che a Melany - tramite Breen Oaktree - chiedevamo anche io e Manuele quando ne avevamo più bisogno... quasi tutti i venerdì e i sabato sera alle tre del mattino dopo una violenta rissa in discoteca.

Prima di uscire, June, afferrò la macchinetta del padre. Trovata in qualche cassetto sotto il lavello.

E, decise di rasarsi tutti i capelli rimasti, solo in quel momento non verso una lacrima.

La testa le stava letteralmente scoppiando ma rimaneva rigida e severa contro sé stessa.

Era così dura nel raccontarlo che non riuscì nemmeno a piangere, l'unica cosa che mi venne in mente era di passargli la sigaretta e abbracciarla, accarezzandogli la nuca.

Non glielo raccontai mai a Salvo.

June mi aveva chiesto espressamente di tenere la bocca chiusa su questo, ma le avevo giurato che se solo avesse alzato le mani un'altra volta su di lei, avrei detto tutto a mio fratello.

Insomma era la mia migliore amica, l'avrei fatto solo per il suo bene. Peccato che da quel giorno, mi ignorò per i corridoi di scuola e evitò il mio sguardo per il resto delle lezioni.

In tutta l'estate l'avevo vista poche volte, non era finita sicuramente in buone compagnie.

Comunque Salvatore aveva compreso dai miei brevi racconti che aveva sempre una certa puzza sotto il naso la donna.

Anche quando alle otto in punto del mattino ogni volta che Salvo scendeva dalla macchina, lei lo salutava mentre buttava l'immondizia.

I capelli le cadevano sempre allo stesso modo come delle piccole onde sulle spalle, biondo platino come quelli che una volta, portava la figlia.

Le rughe segnavano appena il suo viso. Non dimostrava i quasi cinquanta che la signora Wessberg portava.

Mio fratello accese una sigaretta, trovò uno dei miei pacchetti sotto il cruscotto, era sicuramente uno delle Camel era l'unico marchio che rischiavo di dimenticare ovunque.

E subito non so cosa lo premette dal pensarmi ma iniziò a rimembrare cosa dovevo fare.

Si chiedeva se quel giorno avessi trovato il nuovo "lavoretto part-time", come lo chiamavamo io e Murtas.

Era solo per far qualche spicciolo in più per una nuova auto o per aiutare la famiglia prima che ricominciasse la scuola.

Improvvisamente i suoi pensieri furono interrotti dallo Sceriffo Butler, unico membro della polizia che voleva a tutti costi Orrù nella squadra.

Lo vedeva come un figlio nonostante lo sceriffo aveva solo dieci anni in più di Salvatore.

Gli occhi grigio-azzurri del più vecchio incontrarono quelli di mio fratello. 

«Allora Orrù, la giornata come procede?» chiese gentilmente quasi fosse un "buongiorno" il suo.

Stavo per rispondere: "bene se non fosse iniziata da poco", ma si diede contegno, era sempre un suo superiore.

«Discretamente», accennò un sorriso, «la sua?» domandò subito dopo. 

«Mia figlia si è lamentata di un brutto mal di testa e non voleva andare a scuola.» rispose lui abbassando gli occhi e agganciando le mani alla fondina e la cintura. Alcuni capelli ricci cascarono sopra i suoi occhi mentre poi lo guardò di nuovo negli occhi. «Sai com'è i ragazzi... essere un padre single e sceriffo non è il massimo quando succedono queste cose. Da quando io e mia moglie ci siamo separati...», lasciò la risposta a metà.

Si sfiorò il naso con la fede mancante, capì subito che non era stata sua la decisione di lasciarsi.

Butler prese a camminare verso il piccolo edificio davanti a loro.

«Come si chiama?», mio fratello lo raggiunse aumentando il passo, incuriosito.

L'altro gli rivolse uno sguardo sorpreso. 

«Melany» sorrise.

Salvatore riuscì a immaginarla con i capelli color terra uguali a quelli della madre e gli occhi celesti simili a quelli del padre.

Il capo aprì la porta, lasciando entrare il leggero fresco che quella mattinata riservava per poi far chiudere a Salvo che dietro di lui.

Si godette per pochi istanti gli occhi indiscreti dei suoi colleghi che pian piano arrivavano a destinazione.

Non lo degnarono di un saluto. 

Compiuti i miei diciassette anni io misuravo circa un metro e ottant'otto mentre Salvo compiuti i suoi ventiquattro rimaneva sull'uno e ottanta scarso.

Era pur sempre la caratteristica principale degli Orrù: il fisico.

Spalle larghe e il fisico asciutto avevano perseguitato mio padre fino ai cinquanta quando si diede alla birra e ai programmi televisivi.

Nonostante avessimo tutti un carattere completamente opposto l'uno dell'altro, andavamo tutti d'accordo. 

Comunque era questo che Clint Butler voleva, portamento educato e rispettoso.

Non degli idioti che in stazione si lanciavano aereoplanini di carta aspettando che qualcuno arrivasse in stazione, per agire.

Vedeva quanto il collega fosse punzecchiato ma a volte ignorava il fatto. Non voleva rimproverare quelli di grado più alto ma sapeva anche che, Salvatore manteneva una certa pacatezza nei loro confronti.

Aveva un gran rispetto ai suoi occhi, lo considerava superiore nonostante fosse il più giovane.

Ebbe il tempo di sedersi su una comoda sedia girevole e osservare come la quiete prima della tempesta agiva nella Stazione di Polizia di Danewis.

Prima che s'innescasse una bomba orologeria, tutti pativano il caldo, s'annoiavano e cercavano di disturbarsi a vicenda cosicché il tempo passasse velocemente.

All'ora della prima telefonata: le 08.19 del mattino, Dolly aveva una limetta per unghie in mano e discuteva di che cereali la sera prima avesse comprato con Pedro Vertigo e Richard Hortes.

Hortes stava mangiando una mela era appoggiato con una mano sul tavolo degli interrogatori.

Lo sguardo dei due colleghi si incontrarono fulminanti.

Le voci scocciate si accumularono sopra un solo squillo, che poco dopo, avrebbe seminato il panico.

Rispose Dolly con una faccia assonnata, rugosa e piena di occhiaie.

«È ora che si prende un caffé quella eh», si appoggiò con la schiena alla scrivania di Salvatore, che gli lanciò una smorfia infastidito e piuttosto disgustato, mentre l'altro la indicava.

Fastidioso come pochi, pensò.

Non capì perché Dolly avesse dovuto prendere un altro stramaledetto caffé quando già ne prendeva quattro al giorno, ma lasciò al caso quelle uscite imbarazzanti di Hortes, senza darci peso.

Improvvisamente poi, il suo cuore perse un battito.

La sua mente non riuscì più ad elaborare un concetto o una parola, quando in men che non si dica, appena Dolly Peter alzò la cornetta di quel telefono, per avvicinarselo all'orecchio. 

Una voce gli digrignò l'orecchio, l'aria che prima respirava ora sembrava putrefatta e, in quel mezzo secondo sentì le sue iridi scure rivoltarsi.

«Che cazzo urli?» gridò e nell'alzarsi fece sbattere la sedia al suolo.

Pensava fosse stato Hortes a tirargli via l'udito per quella frazione di tempo.

Ogni componente - compreso Butler - gli rivolsero lo sguardo.

Lui sentì solo due parole rimbombargli in testa, nelle tempie, nella nuca, ovunque.

Bambino maschio.

La chiamata chiedeva un disperato bisogno di aiuto: Alessandro Loi.
Nove anni. Italiano.
Sparito nel vuoto come fosse un granello di sabbia in un deserto.

Porca di quella Puttana, pensò Salvatore trattenendosi dal sussurrarlo.


Arrivarono i colleghi della polizia di Loomore, città vicina poco più grande di quest'ultima.

Butler e mio fratello raggiunsero la famiglia nello stesso quartiere in cui noi abitavamo noi.

L'altra parte della squadra controllava ogni traccia lasciata come le videocamere di sicurezza che avessero potuto catturare la figura del bambino.

Salvatore tornò a casa all'una e mezza del pomeriggio per pranzare.

Mi raccontò dell'accaduto e cercò di farmi immaginare la faccia di questa donna afflitta dal dolore, la madre.

Voleva capire solo dall'istinto, come i grandi agenti dell'FBI, di qualche film o serie tv poliziesca che guardavamo, se i genitori del ragazzino scomparso fossero coinvolti.

«Secondo me no, anche se sono i primi su cui indagare, li escluderei», cominciò. «Erano troppo spaventati. Sembrava che non riposassero da settimane invece che giorni».

Ad un'tratto mi ritrovai a viaggiare nella mia immaginazione: «Collega Murtas, conduci le indagini verso i Quartieri degli spagnoli, non ci possiamo fidare di loro» e, mi sarei immaginato con un giubbotto antiproiettile addosso, sopra la giacca della polizia di Danewis, con un'amabile Marlboro in bocca.

In realtà... la Marlboro poteva essere Gold, Rossa, Light, Gold Touch... l'importante in quel momento, era immaginarmi in un inseguimento pericolossimo e adrenalinico.

Prima che mio fratello, potesse risvegliarmi schioccandomi le dita davanti agli occhi.

«Dovevi vederla era terr- Dome, Domé!» continuava a chiamarmi ma guardavo il muro, immerso nei miei pensieri e a gustarmi gli spaghetti aglio, olio e peperoncino.

Mi scusai.

Arrivò una chiamata.

Salvatore continuandomi a guardare si alzò e rispose.

Avevano trovato un corpo deceduto di un bambino.

La scentifica era arrivata sul posto.

La sua faccia mutò completamente da normale si fece abbastanza preoccupata.

Acciuffò le sue cose con una mano.

Lo guardai stralunato, pensando ancora a quel che stava per succedere.

Fece per salutarmi e chiudersi la porta alle spalle.

Sentì il motore della macchina partire e sgommare via, ad una velocità che non pareva per nulla essere da mio fratello.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro