𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟕: 𝐓𝐄𝐀𝐂𝐇 𝐌𝐄 𝐇𝐎𝐖 𝐓𝐎 𝐁𝐄 𝐏𝐀𝐒𝐒𝐈𝐎𝐍𝐀𝐓𝐄
𝘚𝘢𝘯𝘵𝘢 𝘔𝘢𝘳𝘪𝘢:
𝘎𝘰𝘵𝘢𝘯 𝘗𝘳𝘰𝘫𝘦𝘤𝘵
Nonostante il freddo e i miseri gradi che occupavano il settore vicino allo zero, non avvertì il minimo disagio corporeo quando decise di levarsi la lunga maglia elastica dal busto. Col Bluetooth fece partire rapidamente una playlist ben distante dal classico; i pantaloni larghi scesero giù lungo le cosce definite — queste erano spesse nel contorno dei flessori e nei quadricipiti, poi il tessuto continuò a scendere fino al ginocchio stretto e al polpaccio smussato dal ferro.
Oltre a essere uno stronzo egocentrico — definizione nata sulla bocca di tutti quanti — era anche consapevole di avere delle gambe artisticamente perfette. E se c'è le aveva, perché mai avrebbe dovute nasconderle?
Lanciò il pantalone lungo lo specchio, un po' appallottolato su se stesso, e proseguì a chinarsi verso il pavimento per iniziare con i primi allungamenti. Afferrò l'elastico e cominciò a spingere le punte dei piedi nella direzione opposta con estrema intransigenza: sentiva le unghie appena rinsavite grattare le bende tra le dita dei piedi.
Ma, sospirando, ignorò quel fitto dolore per trapassare i fori degli elastici con i piedi e dividersi in una pericolosa spaccata frontale per mezzo minuto, ripetendo la stessa cosa con la schiena appoggiata sul pavimento e con l'ennesimo esercizio.
Rimembrava ancora lo sguardo allibito del suo lontano fratello, a Seoul, quando praticava stretching nella camera da letto condivisa e lo vedeva per terra, steso su un tappetino, a fare le spaccate più impossibili.
Non ti fanno male le palle? — chiedeva ogni volta senza il minimo ritegno. E Jimin nemmeno gli rispondeva più: suo fratello, quando si impegnava a dovere, era più idiota di Igor Kuznetsov.
Passò a eseguire la sequenza con la spaccata sagittale, allungò la schiena e le gambe, fino a sollevarsi in piedi e stirarsi il collo.
A occhi chiusi gorgheggiò, con la bocca schiusa, ripetendo Houdini senza pensieri. Doveva abituarsi a quel tipo di approccio sensuale e disinibito perché a breve avrebbe avuto lo spettacolo per uno sponsor dell'accademia. Avevano scelto lui, tra tanti volti più freschi e gioviali, per invogliare i bambini e i ragazzi a inscriversi nel ramo dell'ABT.
Anche se non era bravo a sorridere, sapeva come conquistare il cuore dei futuri ballerini con la danza mettendosi in gioco con stili e sinfonie distanti dal classico; la sua sarebbe stata una coreografia accattivante e dinamica.
Quello era un compito che gli avrebbe permesso di scappare e fuggire dalla dura realtà di Don José, dall'arduo ruolo nel quale si sentiva costretto a vestire con l'acqua alla gola. Per la prima volta, dopo tanti anni di carriera, si trovava in difficoltà.
Non nell'ambito fisico, ormai il suo corpo era diventato una macchina perfetta nella tecnica, ma nell'ambito emotivo e spirituale era letteralmente spaccato in due. Non si ergeva nessun equilibrio e l'ambivalenza della perfezione, con la distruzione, lo stava facendo impazzire.
Avrebbe voluto dire a Janssens di non assumere Nora Smith per quella parte; non solo non ne sarebbe stata in grado, lo spettacolo ne avrebbe risentito enormemente e forse alla giovane nemmeno importava di chi fosse Carmen, ma lui non avrebbe mai potuto ballare il pass de duex con lei. Non quando lei lo guardava con quegli occhi.
I dubbi però, nati nel bel mezzo dello stretching, vennero messi a tacere dai suoi sensi: ovvero, un rumore sordo e una presenza estranea. Anche se la musica era così forte da coprire i suoi stessi passi, percepiva che qualcosa non andava.
Perciò aprì gli occhi, mise a fuoco la vista attraverso lo specchio e vide un punto nero nascosto nel mezzo della porta, più fuori che dentro, con una cascata di capelli sottili a incorniciare un volto imbarazzato.
Ray Morgan aveva la tonalità di pelle di mille colori diversi, una marea di sfumature violacee e rosse dalla fronte fino al mento. Mentre Jimin, tra lo shock inaspettato, si limitò a guardarla allibito.
«Immagino che questa non sia la lezione di punte con il sostituto della signora Walls, vero?»
Ma che cazzo...
Jimin chiuse la bocca e la guardò malissimo: «Mi stai prendendo per il culo?» chiese senza preoccuparsi di risultare rude ai suoi occhi.
Ray si mordicchiò le labbra frastornata: a quanto pare era un evidente no il suo. Jimin ruotò gli occhi verso il cielo e si affrettò ad abbassare la musica dal telefono con uno sbuffo: «Cosa ci fai qui?» chiese più garbato, anche se innervosito all'ennesima potenza.
La giovane, senza il frastuono della pop star, si sentì già meglio: «Te l'ho detto...» disse, «credevo che ci fosse la lezione di punte con il sostituto della signora Walls»
Jimin inarcò un sopracciglio, facendosi venire le grinze sulle fronte; mise le mani sui fianchi per regolarizzare il respiro ancora un po' alterato: «Non é qui»
Ray sbatté le palpebre un paio di volte: «... Cosa?!»
«La lezione con Sanders, il suo sostituto, non é qui. É al primo piano» le spiegò, indicandole col dito il pavimento e dicendole l'esatto contrario di quello che Katherine le aveva detto il giorno prima. Di fatti Ray restò impalata sul posto: «Stai scherzando spero...» sussultò col volto bianchiccio.
Jimin si mise una mano sulla fronte, contando disperatamente fino a dieci, prima di risponderle senza rischiare una denuncia per ingiuria: non era possibile che ora fosse lei quella risentita.
«Sì» affermò sarcasticamente di getto, «ti sto prendendo in giro. Per me é uno spasso perdere del tempo così, dicendo stronzate a chi interrompe i miei allenamenti» era decisamente alterato. Anche se, da una settimana a questa parte, i giorni in cui Park Jimin non fosse stato circondato da un cipiglio austero erano stati miseri.
Se non inesistenti.
«Okay, non stai scherzando» mormorò infine la castana con un piccolo lamento. «Secondo te faccio ancora in tempo?» voleva tentare, sarebbe stata disposta anche a rotolare giù dalle scale.
«Parli della lezione?» la guardò con un guizzò di derisione, «é iniziata mezz'ora fa. Se vuoi entrare ora fai pure, sappi solo che Sanders odia i ritardatari» e Ray lo guardò un po' storto, tant'è che Jimin la sdegnò con una smorfia: pensava che fosse uno da predica mentre si comportava allo stesso modo?
Ingenua. Ray Morgan non aveva idea di che fottuto babbeo fosse Sanders.
«Oh no no. Non guardarmi così, anch'io odio i ritardatari, ma non vieto ai miei allievi di praticare la lezione. Cosa che lui invece fa: tende a esercitare questa punizione come un despota» anche se avrebbe voluto tanto farlo a volte; almeno per quei mocciosi, che entravano dopo l'ora prestabilita con i vestiti fuori posto e masticando gomme di continuo, avrebbero imparato la lezione.
Ma ora Ray era in alto mare, quella era una notizia agghiacciante e si incupì drasticamente: le informazioni erano sbagliate, Katherine aveva giocato in maniera sleale con lei solamente per salvaguardare le sue pupille, come Nora Smith? Sentiva gli occhi inumidirsi per il nervoso quando questa opzione le balenò drammaticamente in testa.
«Mi dispiace» disse dal nulla Ray, col viso basso e la mente totalmente dispersa, «scusami per averti interrotto e disturbato il tuo lavoro» si scusò sinceramente tra i balbettii.
Jimin la guardò assorto e con un'espressione indecifrabile sul viso. Esitò per altri secondi prima di parlare, fino a quando Ray non fece marcia indietro per lasciare la stanza. Fu allora che mise da parte il suo orgoglio per fermarla: «Perché dei venuta proprio qui?»
Ray non poté che fermarsi e fronteggiarsi contro il muro del corridoio. Mosse un passo indietro e si girò per affrontarlo, proprio come aveva iniziato a fare da un mese a questa parte.
Eppure non riusciva ancora a guardarlo dritto negli occhi senza sentirsi sopraffatta. «Katherine mi ha detto di venire qui. Secondo piano e ultima sala del corridoio, alle otto in punto» ripeté esattamente nel dettaglio tutto ciò che le aveva detto sua maître. A quella rivelazione Jimin si leccò le labbra in difficoltà. «Ne sei sicura?»
«Certo... sennò non me ne starei qui a farmi uccidere dal tuo sguardo o prendere per il culo, ma sarei a ballare con Sanders» e usò anche una leggera ironia, cosa che fece divertire Jimin nel profondo. Ma non l'avrebbe dato a vedere nemmeno sotto tortura.
«Era una domanda semplice Morgan, fatti passare in fretta la paranoia» esordì fin troppo sprezzante mentre decideva di avvicinarsi a lei. «E io ho risposto con altrettanta semplicità Park Jimin, ma scusami se non riesco a...» balbettò offesa, «a farmi scivolare addosso i problemi come te. Ho appena realizzato che forse la mia maître voleva sabotarmi per farmi saltare una lezione» e non avere quella parte.
In quel caso Jimin incrociò le braccia al petto, incapace di stare dietro ai suoi drammi — sicuramente non ne aveva nemmeno voglia — e si limitò a studiarla saccente. «Mi faccio scivolare addosso i problemi inutili, Morgan, ma non per superbia, si tratta di sopravvivenza intellettuale» e senza rendersene conto si ritrovò davanti a lei, a un passo dalla sua figura minuta. All'improvviso alzò una mano per premerle l'indice e il medio sulla sua fronte, poi fece pressione, «Cosa che dovresti fare anche tu se vuoi tutelare gli ultimi neuroni che girano qui dentro» e le fece fare un piccolissimo rimbalzo verso l'indietro.
Quel contatto, seppur misero e sterile di vissuto, fu più caldo del fuoco.
Ray, scioccata e in soggezione per averlo così vicino, si ritrovò a chiudere gli occhi dopo che le beccò la fronte. E quando li riaprì, poco dopo, scorse appena un sottile sogghigno compiaciuto sulle labbra dell'etoile. Si massaggiò la zona e lo guardò confusa, con le guance infuocate.
«Sappi che Katherine sa dei miei allenamenti» di punto in bianco Jimin ruppe quel pesante silenzio.
Ray cascò dalle nuvole e sbarrò letteralmente la bocca, tanto che le labbra screpolate si strinsero doloranti: «Lei lo sa?...» bofonchiò.
«Sa che mi alleno in questa sala quasi ogni giorno quando non ho corsi o lezioni con Janssens, ma lei é a conoscenza di ogni mio movimento. E di ogni mio orario» dichiarò cristallino, senza esitazione e dannatamente pulito. Quel ragazzo non sapeva cosa significasse balbettare per l'insicurezza, nonostante l'inglese non fosse la sua prima lingua.
Le sue gambe iniziarono a tremare e dovette reggersi per qualche secondo sulla porta della sala. Perché? — si stava strappando l'anima con questa domanda — perché l'aveva fatto?
«E se deve averti mandato qui, al posto di farti spaccare i piedi da quell'incompetente del suo sostituto, un motivo ci deve essere» però, più che rivolgersi a Ray, sembrò rimuginare ad alta voce per conto suo. «E se avesse solamente sbagliato?» chiese con un briciolo di buona fede addosso, ma Jimin lo spazzò via immediatamente.
«Katherine Walls non fa mai nulla per caso» ribatté con una smorfia.
«Okay, va bene...» sussurrò senza capirci niente, «quindi?»
Jimin ruotò gli occhi al cielo: «Quindi significa che ti ha mandato di proposito da me, Morgan. Devi dargli da mangiare a quei criceti che hai in testa o finiscono per renderti così»
«Smettila!» scoppiò mettendosi le mani tra i capelli, «finiscila di prendermi in giro Jimin! Non sono in vena di scherzare» alzò la voce avvicinandosi senza controllo e a quel punto l'etoile, piegando le sopracciglia verso il centro, la guardò con distacco: «Pensi che io stia scherzando?» incrociò un'altra volta le braccia all'altezza del petto e fletté i bicipiti, «dichiaro il vero: lì dentro hai un paio di ruote con un criceto e mezzo»
«Dio Santo...» si morse le labbra per non insultarlo ma Jimin la colse alla sprovvista.
A un tratto le chiese: «Che cosa ti ha detto Katherine durante le prove per Carmen?» andò dritto al punto.
Oh... non si aspettava una domanda del genere.
«Ha detto che ho fatto schifo, come le altre»
Jimin sbatté le palpebre un po' stecchito, decisamente, non si aspettava tutta questa sincerità.
«Ma...» continuò mordendosi le labbra e guardando per terra, sempre sotto il suo sguardo inquisitore e felino, «ha anche detto che sono stata l'unica che ha cercato di amalgamarsi con Carmen. Ho una buona base, insomma»
Jimin annuì schematico, lo credeva anche lui che forse Ray avesse la voglia giusta, assieme al bisogno personale, per interpretare quella parte, ma ovviamente questo non era abbastanza per eguagliare quella donna, dunque le fece cenno di proseguire; finora non era riuscito ancora a trovare il collegamento con lui: perché Katherine aveva richiesto il suo aiuto? Non erano dei dissapori sui quali la maître poteva aggiustare da sola?
«Ma... ?» andò avanti per capirci di più.
Ray chiuse gli occhi mentre le parole della maître tornarono a investirla come un pullman sulla carreggiata. Doveva seriamente dirlo ad alta voce?
«Ma non sono abbastanza insolente»
Tutto qui? — pensò l'etoile.
Si fece beffardo: «Dipende dai punti di vista, sai esserlo molto bene quando fai stronzate»
Ray lo ignorò: «E poi non sono spavalda»
«Concordo pienamente»
«Sono insicura»
«Vero»
«Non sono disinibita»
«Vero»
«Non mi mostro indipendente»
«Altrettanto vero, c'è altro?»
«Sì...» deglutì.
«Cosa?»
«Devo imparare a... sedurre»
Oh...
Tutto qui, il cazzo.
La faccia beffarda di Jimin sparì all'istante mentre davanti a lui, la piccola Ray, voleva sotterrarsi nella fossa più profonda della Terra. Le guance non solo sembravano in procinto di esplodere col rischio di surriscaldarsi, ma lo era ogni sua parte del corpo dinanzi a quella confessione.
«Okay non ci sto» esordì dal nulla, si girò dandole le spalle per andare verso il suo borsone e raccattare i vestiti. Ray sgranò gli occhi e scimmiottò formando parole a caso: «Cosa!? Ma cosa che ti é preso!?»
Jimin sbuffò sonoramente mentre si piegò verso il basso per afferrare i pantaloni della tuta: «Mi é preso che non farò parte di questo giochetto, Morgan» le disse senza guardarla.
Ray allargò le braccia esasperata: «Giochetto? Mi spieghi qual é il problema ora!?»
Le lanciò un'occhiata tenebrosa e si fermò con i pantaloni ancora appallottolati: «Davvero non ci arrivi!?» domandò alzando la voce.
La castana sussultò, ormai fuori di testa: «Non posso perché a quanto pare ho due ruote e un criceto e mezzo in testa!» urlò, rispondendogli nella stessa maniera. Aveva il petto che faceva a lotta con entrambi i polmoni e persino che lacrime, che ancora — e stranamente — non si erano fatte vive, iniziarono a tormentarle gli occhi dai bordi.
E Jimin colse, nel frastuono e nell'eco della stanza, quella disperazione accartocciata meschinamente nella sua voce. Perciò fece un paio di lunghi respiri e si strinse in capelli con una mano, guardò prima in basso e poi lei.
«Carmen é passione Morgan. L'intera storia lo é. C'è passione nelle loro intenzioni, nei pensieri, nel credo spirituale, nella musica e nel ballo» fece una lunga pausa per farle assimilare quante più informazioni possibili, «ma prima di tutto ciò, la passione, é un principio che rende Carmen la donna che noi tutti conosciamo. Don José si innamora di lei e di quel lato sfuggente fino a perdere completamente il senno»
Ray avvertì un lungo brivido su tutta la schiena.
«Ora hai capito perché Katherine ti ha portata qui con l'inganno, Morgan?»
Aveva capito eccome: Katherine le aveva detto di non tornare da lei se non fosse riuscita a far cascare un uomo col solo sguardo voluttuoso. E credeva veramente che uno come Park Jimin, la freddezza e la perfezione artistica in persona, avrebbe sbloccato questo ostacolo?
«Sì» sussurrò solamente, «ho capito»
«Bene, ne sono contento» esordì sarcastico, «perciò mi trovo a replicare la frase precedente dopo questa rivelazione: non lo farò» disse irremovibile, «ho troppo in ballo per perdere del tempo con queste stronzate»
L'idea di passare del tempo con Jimin non le piaceva per niente, le metteva ansia e soggezione — anche un po' di rabbia in realtà —, ma se era in accordo con il suo rifiuto, d'altra parte non poteva che avvertire quest'ultima cosa come l'ennesima opportunità mancata. Dentro di lei sapeva che Jimin avrebbe potuto darle una vera chance di vittoria, forse ci sperava per la prima volta dopo tanto tempo.
Era... fame? Fame di farcela. Fame di successo. Fame di cambiamento.
Fame di salire sul palco.
«Insegnami come essere passionale»
Questa volta fu Jimin a percepire un brivido addosso, tant'è che si perse a guardarla negli occhi. Dove al posto della vividezza, la bontà e timidezza, c'era un'ombra di volontà a renderla meno bambina de solito e più donna.
«Non hai nemmeno idea di quello che mi stai chiedendo» se voleva fingere di fare la donna matura e tutta d'un pezzo con lui, nell'arco di pochi secondi, avrebbe dovuto sforzarsi meglio.
«E tu non stai prendendo in considerazione che forse potrei essere una candidata perfetta per Carmen» tirò fuori quella spavalderia con un po' di tremore nella voce, a causa dell'emozione. «Anche a costo di essere assoldata come la meno peggio della compagnia, ma non é importante. Perché, in tal caso, balleremo comunque insieme» e fece un paio di passi verso di lui. Non sarebbe tornata indietro.
La ragazza del Wisconsin voleva seriamente giocare a chi era più bravo a manipolare gli altri, con lui? Mossa audace, o forse stupida.
Per questo Jimin non si fece mostrare troppo impreparato e si avvicinò nuovamente, imitandola: «Ti ricordavo più umile» cercò di ferirla direttamente, «come una ragazza consapevole del proprio misero valore» Ray nemmeno pensava di avercelo mai avuto un valore prima di arrivare a New York.
Credeva di averlo perso tra le strade di Blackwell e Madison dopo la sua ritirata dalla compagnia della Wisconsin Ballet. Per questo non si reputava umile e nemmeno consapevole di quello che poteva essere in futuro, ma Jimin doveva entrarle in testa e farla cedere. A costo di torchiarla nei suoi punti più deboli.
«Non ho mai detto di esserlo» disse sulla difensiva e a quel punto Jimin fece un altro passo in suo favore.
«Puttanate» ghignò, «non lo dici ma é quello che vuoi mostrare agli altri. A stento alzavi gli occhi dal pavimento durante le mie lezioni, mentre ora stai cercando di fare la stronza pretenziosa per ottenere quello che vuoi, é un po' incoerente. Quando farai cadere quella maschera da finto angelo dalla faccia?» quella frase la ferì brutalmente.
Lo pensava davvero? Credeva che lei fosse così, terribilmente insicura e solitaria, per finzione? Era una condanna che, se avesse potuto, avrebbe annientato fino alla più piccola briciola e rimasuglio di quell'essenza. Non tollerava la sua sottomissione verso gli altri; l'empatia che le bruciava lo stomaco a ogni dispiacere; l'ansia che la portava a bocciare ogni sana opportunità di carriera, anche se incognita, per paura; e poi, il terrore che la coglieva in mezzo alla notte, quando la sua mente non era vigile per essere abbastanza forte da tutelarla, e vedeva le ombre nere che volevano annientarla, farle male per il solo sadico e infimo piacere distruttivo.
Lei odiava essere così.
Jimin avanzò dopo quel colpo basso e si ritrovò a un palmo dalla sua fronte, mentre Ray sentiva di non avere una via d'uscita in quella guerra mentale.
«E non provare a negare l'evidenza» provò ad accaparrarsi la vittoria, «l'hai detto tu stessa, proprio ora, che sei una candita perfetta reputandoti al pari di chi ha molta più tecnica» esordì senza menzionare nessun nome.
Poteva riferirsi a Judite Dixon. Eppure dentro lei, una vocina piccola e sonora, le diceva che fosse Nora Smith quella tirata in ballo.
Nora.
Ray sobbalzò a causa di quel dettaglio: Jimin si era fatto sfuggire il suo tallone d'Achille.
«Non mettere in mezzo la mia persona. Ho solo detto che potrei essere una candidata per la parte e che alla fine della fiera potremmo essere partners» si sentiva molto, ma molto, più sicura, «oppure no, chissà»
Questa volta Jimin si mostrò confuso e sull'attenti: «Dove vuoi arrivare?»
«Tutti quanti hanno capito che vogliono ingaggiare Nora per Carmen» e fu contenta di se stessa quando lo vide perdere leggermente la impavida e goliardica compostezza, «ma Katherine non é soddisfatta del lavoro che sta facendo»
«Arriva al dunque Morgan» ringhiò a bassa voce, a pochi centimetri dal suo naso e Ray, nonostante la dose spropositata di adrenalina in circolo, avvertì quella vicinanza... affascinante e pericolosa.
«So che tu e lei dovevate lavorare insieme sul pass de duex» tagliò corto e per Jimin fu come ricevere un colpo di pistola in mezzo al petto.
«Ma non vi siete visti, non é vero?»
Jimin restò zitto mentre il suo respiro si stava facendo più caldo, frantumandosi sul suo viso.
Quella per lei era una conferma.
«Con Janssens non eravate in sintonia ma lui vi vuole accoppiati, mentre Katherine Walls sta cercando di convincere Nora a lavorare con te, o almeno così ha fatto fino a mandarmi da te perché forse teme per il pessimo risultato che verrebbe fuori tra voi due. Perciò, ora lo chiedo a te, Jimin» si morse le labbra esitando.
«Sarai veramente tu ad avere la parte di Don José? O la daranno a qualcuno che sappia ballare con Nora Smith?»
E se la dessero a Oliver Fisher?
L'aveva appena colpito dritto all'orgoglio?
Non avrebbero mai sostituito Park Jimin, non dopo tutte le preghiere e le lusinghe emesse per averlo di nuovo a "casa", ma se tra i due — ovvero Nora e Jimin — non si fosse trovato un punto d'incontro allora il risultato sarebbe stato pessimo. Il Times non avrebbe esitato a sbattere in prima pagina il tragico e scadente ritorno dell'etoile sud coreano, creando scandali e tante malelingue anche su Nora Smith.
Ray non aveva la benché minima idea del traffico che c'era dietro a quella storia, però aveva raccolto piccolissimi indizi per fatti suoi, tanto da arrivare a sbattere in faccia la realtà al ballerino col cuore di ghiaccio.
«Tu non sai di cosa stai parlando, stupida ragazzina» sibilò freddo proprio sul suo viso. Ray deglutì dinanzi a quel gelido alito d'inverno e al profumo da uomo mischiato alla pelle nuda, odorante di fiori d'arancio e legni liquorosi.
«Forse hai ragione» gli disse mentre incatenava gli occhi ai suoi per la prima volta senza esitazione, le pupille zigzagarono a destra e sinistra impetuose, «potrei sbagliarmi, non so cosa c'è dietro e non prevedo il futuro» mormorò sentendosi schiacciata da quello sguardo, «ma posso vedere il presente e voi due, tu e Nora, non volete lavorare insieme»
«Se sai che Nora Smith é una scelta così prevedibile e traviata, così come la mia parte per Don José, che senso ha fare tutto questo per il nulla?» cercò di capire, «l'esito aspetta a Janssens, non a Katherine Walls»
Qual era il senso di tanto impegno se alla fine sapevano già che avrebbero scelto comunque Nora Smith?
Questo Ray lo sapeva già molto bene. Lo sguardo perse ogni traccia di combattimento, concedendo lo spazio alla cruda e amara sincerità.
«Per me ha senso» lo fissò da sotto le lunghe ciglia arcuate e Jimin sbarrò gli occhi dopo aver udito quella frase.
Erano giorni, dopo la chiacchierata avuta con Igor Kuznetsov nel teatro dell'ABT, che si chiedeva quale fosse il suo vero senso nella vita. Igor aveva iniziato a cercarlo, consapevole che quello che aveva non era abbastanza, mentre lui aveva vissuto nell'amata convinzione che il mondo artistico della danza fosse il suo. E lo credeva tuttora, perché senza la danza sarebbe un morto che cammina, però non riusciva a dirlo ad alta voce, e questo lo faceva pensare.
Ballare era parte di lui. Ma il cuore mostrava un piccolo buco che col tempo si allargava sempre di più, col rischio di trasformarsi in una voragine profonda. Forse il ballo, il successo, il titolo come primo ballerino e i tendini lesionati, non erano più abbastanza per colmare questo vuoto.
Questo dubbio lo tormentava. Mentre ora, davanti a lui, una sciocca ragazzina di appena vent'anni, venuta dal Wisconsin con più sciarpe colorare che scarpette in valigia, gli stava dicendo che ballare per un esito già prescritto dall'ingordigia americana, secondo lei, concedeva un senso.
«Non lo ha»
«Per me sì...» sussurrò con l'emozione negli occhi, «ballare e dare il meglio di me, e concedermi una possibilità dopo tanti successi inesistenti, vale molto di più che starmene seduta in panchina. Trovo un senso nel lottare per la mia meritocrazia e il mio valore. E se Katherine mi ha mandato qui... al posto di Nora, qualcosa vorrà pur significare»
E questa volta sciolse la catena dal suo sguardo cupo e tempestoso come la notte, affinché potesse abbassarlo verso terra.
«Sicuramente non verrò scelta, ma dimostrerò a tutti, specialmente a me stessa, che forse sono brava anch'io» ecco dove voleva arrivare il suo senso, «Janssens, nonostante il desiderio di volere a tutti i costi Nora Smith, non ha ancora deciso chi avrà la parte»
Il petto di Jimin, proprio sopra al cuore, pizzicò quasi in maniera dolorosa. La scorse dall'alto, senza quei ridicoli pom pom sulla testa, le guance dipinte di rosso e gli occhi schivi. Vide ben altro: una semplice ragazzina coperta da una sciarpa grossa, dal colore orrendo ma che le stava bene lo stesso, i capelli calati sul viso come tende da soggiorno e gli occhi abbassati, però non dalla vergogna. Ma dal troppo sentimentalismo che bruciava dentro di lei.
E quegli occhi rabbiosi e vividi non avevano niente a che fare con quelli statici e color nocciola di Nora Smith.
Erano tentativi di indipendenza.
«Perché proprio io, Morgan?» domandò all'improvviso, «e non accetto come riposta la scusa della maître. Ci sono ben altri ballerini competenti a cui chiedere aiuto» a quel punto Ray tornò a schivare il suo rapido esame sprigionato con lo sguardo mentre lui continuò, «non ci hai pensato?»
«L'ho fatto in realtà. Ho pensato a molte altre alternative»
«E sei ancora convinta di volere me?» le chiese indagando.
«Sì» disse più convinta.
«Perché?»
Esitò, in cerca delle parole giuste. «Perché sei il migliore» borbottò sbrigativa, anche un po' infastida nell'aver usato questa scusa. Ma Jimin era più svelto di quello che sembrava.
«Tutto qui? Questa é la verità?» domandò infastidito. Ray si morse le labbra e stette in silenzio, a quel punto Jimin, stufo di quella situazione, girò i tacchi per andarsene. Ray lo vide e andò nel panico.
«Okay, no! Non lo é!» si affrettò a dirgli ma l'altro emise una risatina finta e derisoria. «Non mi interessa più, con i tuoi doppi fini non voglio averci a che fare»
Doppi fini?
Pensava che volesse portarlo a letto nel frattempo o, peggio, usarlo per accaparrarsi il merito? Il rossore sulla faccia si fece così intenso che pensò di morire all'instante.
«Oh mio Dio!» borbottò tra i denti, «Non intendevo... quello!» ma Jimin continuò a ignorarla.
Sentiva il cuore esploderle e quindi, costretta, decise di dire la verità.
«Ho chiesto a te perché...» e Jimin sembrò fermarsi sui suoi passi, «ho paura» ammise col cuore il gola.
Jimin si girò confuso: «Paura? E di cosa?»
Ray iniziò a toccarsi il polso nervosa e cominciò a stringerlo irritando la pelle, provando a farsi forza per sopportare un dolore più fastidioso di quello che sentiva all'interno.
«Degli altri. Ho paura che mi possa capitare un partner come Gale Harper» a sentire quel nome Jimin strinse la mascella. Lui sospirò, cercando di mostrarsi annoiato quando in realtà non lo era: «É un incapace Morgan, ti é capitato il peggio. Con gli altri puoi solamente risalire»
«Lo so, hai ragione. Ma odio il contatto fisico»
Jimin incaricò un sopracciglio e fece uscire una risatina derisoria: «Sei consapevole del lavoro che stai facendo? Non puoi essere una ballerina professionista se non vuoi ballare con un partner, é impossibile»
«Lo so...» ridisse ancora mentre affondava le unghie nella pelle.
«E non so se ti rendi conto di cosa comporti uno spettacolo come Carmen ma non puoi simulare del sesso con la sola distanza, Morgan» e rise ancora, «é una pretesa fin troppo stupida e ingenua anche per una come te» e Ray si sentì bruciare al rimembrare quel complicato pass de duex, fatto di prese, sguardi, tocchi e... baci.
«Lo so» strinse i denti mentre la carne del braccio gridava pietà. «Ne sono consapevole»
«Non mi sembra» l'adocchiò insensibile, «prova con gli altri prima di decretare cosa vuoi o non vuoi»
Ray strinse gli occhi: «Non voglio farlo»
Questa volta Jimin la guardò incuriosito: «E perché mai?»
«Perché so che non mi faresti male» sussurrò, pronta ad alzare gli occhi sui suoi. Jimin perse ogni traccia di malizia in volto. «Ho sentito come mi hai sollevata e... c'era premura, sicurezza e rispetto» lo vide aprire la bocca ma lo interruppe, «non importa se é un codice che hai con tutte, nemmeno se non ho niente di speciale in confronto alle altre partner, ma mi hai chiesto che cosa volessi prima di toccarmi» la voce calò in basso fino a disperdersi, «questo, per me, vale molto di più di un titolo artistico»
Jimin rilasciò un'occhiata impassibile, pensando e rimuginando sopra alle parole bagnate di crudezza. Era una bambina ingenua Ray Morgan, ma parlava di catene e sottomissione senza neppure avvertirlo su di sé. E questo lo destabilizzò al punto da sciogliere le spalle.
Qual era la sua verità?
«Non mi consoci» le disse senza emozione, «non sai chi sono, perciò non fidarti di me» l'avvertì facendola indugiare. Non era una minaccia, ma un sincero consiglio ed esordito dal profondo: non doveva fidarsi delle persone così facilmente.
L'altra si leccò le labbra secche, a causa del fiato accelerato e sussurrò: «Non ho bisogno di conoscerti o di fidarmi di te per salire su quel palco. Mi basta il rispetto Jimin» lo vide sbarrare gli occhi, «il rispetto che hai saputo dare a una mediocre bambina del Wisconsin che gioca sulle punte, nonostante ai tuoi occhi non valga niente» le fece male ripetere la stessa frase che l'aveva rotta dal pianto, ma era necessario.
Non é vero, l'orgoglio lo fermò a un passo dal precipizio, non penso che non vali niente, parole, e altre parole che però tenne solo per sé, ingoiandole fino allo stomaco per torturarsi.
«Quindi?» domandò Ray con gli occhi rivolti all'ingiù, grigi e spenti dal solito nocciola chiaro e limpido di ninfee, «sei disposto ad aiutarmi in questo compito?»
Jimin si torturò il labbro inferiore, indeciso: «E tu sei disposta a seguire ogni mia parola, nonostante i metodi rudi, i risultati di merda che avrai e i pianti che farai appena uscita da qui?» rispose alla sua domanda con un'altra, «perché avremo parecchio da lavorare»
Ray cercò di farsi scivolare addosso quel piccato sarcasmo e annuì allungando una mano nella sua direzione. Era l'ideale sancire un patto in quel modo, secondo lei. Ma secondo Jimin rimaneva ridicolo, di fatti guardò quella mano con una smorfia canzonatoria; con uno sforzo immane fece lo stesso e la strinse percependo la pelle morbida di Ray.
«Ci sto» gli disse alzando e abbassando le stretta, dopo qualche secondo fece per scioglierla ma Jimin continuò a stringerla. «Aspetta...» si schiarì la voce, «aspetta un secondo. Ti aiuterò, ma a una condizione»
Ray riprese a guardarlo con un cipiglio strano: «Quale condizione?»
Jimin fece un lungo sospiro: avrebbe preferito morire che dire quella cosa, ma ormai si trovava con l'acqua alla gola da troppi giorni.
«Sappi che non ho intenzione di sprecare il mio tempo a cercare Nora Smith» disse glaciale, tanto da farla gelare, «o a creare un rapporto di fiducia, ballerò con lei solo se sarà Janssens a ordinarmelo»
«Cosa stai cercando di dirmi?»
Jimin sogghignò sprezzante: «Significa che nel mio tempo libero, sarai tu ad aiutarmi col pass de duex»
Ray Morgan era stata incosciente a chiedere aiuto a Park Jimin sull'amplificazione delle sue emozioni più estrose e accattivanti, ma l'etoile doveva essere altrettanto pazzo e disperato se aveva sancito un accordo con un vincolo come quello: io aiuto te, ma tu mi aiuterai altrettanto con il pass de duex.
Se Ray ci rimuginava abbastanza sentiva che quella richiesta improvvisa, secondo la convenienza egoista dello spettacolo, poteva portare dei frutti anche nel suo lavoro. Il primo ostacolo da superare sarebbe stata l'Habanera, il famoso assolo di Carmen, ma dopo di quello vi era la simulazione della notte di passione tra lei e Don José. Perciò la passione e l'essere voluttuosa non si limitava più all'interpretazione della donna intrigante delle terre spagnole, di mezzo c'era l'intimità con un uomo.
Un uomo che avrebbe dovuto toccarla. Un uomo che avrebbe dovuto conquistare e far innamorare con il solo sguardo felino — proprio come aveva sostenuto Katherine Walls tra le righe criptiche.
Katherine Walls, nel suo silenzio e sotto gli occhiali che inglobavano il suo sguardo scrutatore, sembrava aver calcolato ogni cosa nella sua mente. L'aveva spinta da Jimin, come aveva fatto con Nora, ma quest'ultima aveva preferito uscire dalla classe con un falso sorriso pur di starla a sentire. Ray, invece, si era piombata lì dentro come una bambina in ritardo, insicura e tradita.
Ora se ne stava sul pavimento gommato, in silenzio, a stirarsi le gambe con l'ansia a divorarle lo stomaco: perché aveva accettato.
Aveva accettato di essere la cavia di Park Jimin.
Sapeva già che quel patto sarebbe stata la loro rovina, o meglio la sua; il glaciale etoile sud coreano fissava impassibile il proprio riflesso allo specchio, mentre ripeteva delle bellissime pirouette senza perdere l'aplomb di un centimetro. Com'era possibile?
Persino le più grandi ballerine di tutto il mondo commettevano dei minimi errori sull'aplomb, era una qualità che si imparava a perfezionare dopo tanti anni di pratica. Park Jimin aveva ventinove anni e, nonostante non fosse più un ragazzino come le matricole appena uscite dall'accademie, presentava una conoscenza e padronanza del corpo, sia artistica e tecnica, che solo i più grandi esponenti del mondo potevano avere.
Lui era talento puro, uno tra tanti e tanti milioni, anche se era nominato come uno stronzo egocentrico aveva gli occhi di tutti i direttori artistici alle calcagna. Michail Baryšnikov, ora nei suoi settantacinque anni, considerato uno dei più grandi ballerini del ventesimo secolo, strinse la mano a Park Jimin dopo la meravigliosa interpretazione di Albrecht in Giselle a Parigi. Poco dopo Jimin venne dichiarato dall'Opéra National de Paris col titolo di etoile, diventando uno dei pochi, assieme a Roberto Bolle, a essere contemporaneamente un etoile e primo ballerino dell'American Ballet Theatre e la Royal Ballet.
E nonostante tutto, rimaneva il solito stronzo dagli occhi di ghiaccio che ora la guardavano un po' stizzito.
«Hai finito!?» domandò col petto nudo, leggermente sudato e, fortunatamente per lei, coi pantaloni della tuta addosso. Ray non aveva detto nulla a proposito del suo nudità, e che fosse più a suo agio nel vederlo con più vestiti addosso, ma Jimin aveva colto i suoi occhi timidi addosso. Perciò, sbuffando e già stanco di averla tra i piedi, si rimise addosso i pantaloni per farla contenta.
«Di riscaldarmi?»
«No» negò sarcastico, «di contare le piastrelle del pavimento»
Ray lo guardò storto mentre raccoglieva le gambe dalla sua spaccata verticale: «Il pavimento non ha le piastrelle—»
«Morgan!» si trattenne mordendosi la lingua, «muovi il culo e vieni qui» le disse senza grazia.
La castana restò basita ma si affrettò a seguirlo lo stesso sotto la sua aura tetra: era ancora visibilmente alterato per gli scheletri nell'armadio che aveva tirato fuori per convincerlo, ci scommetteva.
O forse lo era semplicemente e basta, perché non voleva averla tra i piedi?
«Cosa facciamo?»
Jimin inarcò un sopracciglio: «Semmai, che cosa farai. Hai detto che Katherine ha stilato una lista delle cose sulle quali lavorare, giusto?»
«Giusto»
«Che devi essere passionale e sedurre, giusto?»
«Giusto...»
«Bene. Allora balla e fammi vedere»
«Giust—, aspetta, cosa!?»
Il moro le lanciò un'occhiata che di morbido non aveva nulla a che fare. «Ho detto: balla e fammi vedere»
«Ma io...» mormorò.
«Ma tu?» assottigliò lo sguardo come lame, «come pensi di imparare se io non posso guardare e dirti su cosa migliorare?» beh, era una domanda logica. Aveva ragione, ma come avrebbe fatto a ballare sotto quegli occhi giudiziosi?
Ray mormorò tra sé e annuì forzatamente.
«Comincia dall'inizio: entri in diagonale, tendu e piedi in quarta. Anche se quella con Katherine é ancora una bozza iniziale, voglio vedere come ti giostri con le sequenze sulle pirouette» e senza aspettarla o ripeterle che cosa dovesse fare, Jimin afferrò il cellulare, mettendosi davanti allo specchio con le braccia incrociate, cercando la musica giusta.
La castana trasalì e cercò di collegare il cervello ai piedi; fece uno scatto in diagonale e prese posizione, aspettando il via della melodia. Il violoncello rimbombò, raddrizzò le spalle e osservò lo spazio verso di lui, ripetendo i passi, ma senza guardarlo direttamente.
Jimin corrucciò lo sguardo. «Occhi in alto! Devi sedurre Morgan, ricordalo» alzò la voce per farsi sentire sopra la musica e Ray si imbarazzò; allungava la gamba destra, girandosi per mostrare la schiena coperta dallo scialle, cercando di sfoggiare un sorriso accattivante in direzione di Jimin.
Le pirouette non erano complicate da farle distogliere l'attenzione, il difficile erano gli sguardi sicuro che Carmen lanciava con maestria.
Ma quello che ne uscì fu un tremante e timido sorriso alle soglie del disagio, piegò le braccia secondo la coreografia e iniziò a fare le piccole e seducenti pirouette di Carmen.
Jimin vide abbastanza e fermò la musica. Ray smise di ballare e sospirò ringraziando una decina di entità ultraterrene: era stato più facile ballare davanti a Katherine, insieme a tutta la squadra, che davanti a quegli occhi penetranti.
«Katherine ha ragione, sei un disastro» esordì come se nulla fosse, sbattendole in faccia la cruda verità. Ray fece una smorfia avvilita: «Grazie...»
«Non c'è di che» la prese in giro ruotando gli occhi al cielo, «sono qui per questo»
«Jimin» lo chiamò, seriamente afflitta e con poca voglia di divertirsi, «Katherine vuole che torno da lei solo se sarò in grado di sedurre un uomo col solo sguardo...» sussurrò amara, «quanto sono lontana dal riuscirci?»
L'uomo si prese qualche secondo per pensare, cercando le parole giuste: «se continui a mantenere questo atteggiamento, é impossibile» le rispose monocorde, «in termini poveri, non sarai in grado di riuscirci per l'inizio delle audizioni» questa prospettiva la schiacciò drammaticamente per terra.
«Cazzo...» digrignò a bassa voce, appoggiandosi alla sbarra innervosita per colpa dei propri limti. L'altro schioccò la lingua al palato e la guardò studiandola dall'alto in basso.
«Che cosa nei sai a proposito della seduzione?»
Domanda interessante. Ray smise di respirare per qualche secondo e lo intravide da sotto le ciglia ricurve: «Quello che c'è da sapere... immagino» rispose incerta. Al che Jimin insistette: «Ovvero?»
Divenne viola in faccia. «Lo sai... non c'è bisogno di...» sussurrò fino a emettere piccoli sibili, «dirlo» e i suoi occhi rotolarono di nuovo giù da pavimento.
«Sesso e seduzione sono due cose completamente diverse Morgan» le spiegò saccente, facendola sussultare.
Qualcosa in Jimin scattò; era a qualche metro da lei, anche se era indubbiamente stanco e poco voglioso di continuare quella sceneggiata, fece la cosa che sentì più giusta.
«Guardami» l'ammonì con voce bassa facendola rabbrividire, «quando parli con un'altra persona devi guardarla negli occhi» si avvicinò di tanti altri passi, al punto di ritrovarsi davanti a lei per sollevarle il mento con un gesto fermo.
Incastrò le dita sopra la sua pelle e spinse la testa all'insù per mostrargli uno sguardo tenebroso e dominante: «Lo vedi?» domandò rabbioso.
«Sì» sussultò Ray con la gola secca, sotto al manto privo di stelle, «eppure, allo stesso tempo, non so che cosa sia»
«Non puoi interpretare un ruolo del genere se non sai ciò che balli. Che sia Carmen o la seduzione, é un concetto che vale per qualsiasi ruolo Morgan. Hai mai sedotto nella vita reale?»
Con sterile malinconia negò col capo, sentendosi in difetto. «Mai»
«E sei mai stata sedotta?» Ray sgranò gli occhi con un accenno di panico; non riusciva nemmeno a parlare. Noto quell'oscura difficoltà e, questa volta, Jimin usò più tatto: «Hai mai accettato di essere sedotta?» e lei, tra la mente annebbiata e col mento ancora stretto dalla sua presa, negò ancora. «Mai» ripeté soffiandogli quasi sul viso.
«Il mio é uno sguardo che sa ciò che vuole» dichiara perentorio, «crea disagio e imbarazzo perché sono consapevole di quello che faccio, persino prima, mentre ballavi, sono riuscito a distrarti perché non riuscivi a opporre resistenza» sogghignò appena, compiaciuto da se stesso, «ho fatto la stessa e identica cosa che dovevi fare tu con me»
«Ricordati che Carmen è una donna forte in mezzo a un puttanaio di uomini viscidi che venderebbero l'anima al diavolo per averla. Sono sue pedine, se tu lo facessi ora... diverresti la loro cena»
Quella realtà era tristemente vera. Ray schiuse le labbra scioccata: quello sguardo, il nero penetrante, la sua aura possente, autoritario davanti a lei, erano tutti principi della seduzione? Lei avrebbe dovuto fare lo stesso in mezzo a quella gente?
Park Jimin aveva ragione: come poteva sedurre ed essere passionale se non sapeva nemmeno lei il significato di tale trasporto?
«Allora non ci riuscirò mai» esordì consapevole dei propri limiti: doveva dare un senso a ciò che ballava, sennò sarebbe stata fittizia come Nora Smith e Judite Dixon, «é inutile sforzarsi su una cosa se non so nemmeno che cosa significa»
«Non é da te fare discorsi del genere Morgan, non dopo aver cercato di manipolarmi per farti da insegnante» rimarcò acidulo, con una cadenza cantilenante. Di fatti l'altra strinse le labbra completamente rossa in faccia.
«Quando smetterai di tirare in ballo questa cosa?» domandò mettendosi le braccia incrociate davanti al seno, mormorando offesa.
Jimin fece un mezzo ghigno, nel tirarsi su le ciocche leggermente umide dalla fronte ne fece cadere alcune davanti agli occhi, rendendosi ancora più letale e sexy di quanto già non fosse.
«Finché non ti guarderò stramazzato a terra e investito dalla tua seduzione» si leccò le labbra, «ovvero mai, perché non succederà se continuerai a ballare in questo modo»
«Quindi cosa vuoi che faccia!?» sbottò completamente indignata e in difficoltà, «e poi... — la vuoi smettere!?» gridò disperata, coprendosi gli occhi con le mani per non essere investita un'altra volta dal suo sguardo imponente.
Jimin sbatté le palpebre ma non rilassò le sopracciglia, continuò a osservare ogni traccia di Ray pur di renderla a disagio.
«E perché mai? Ti sto aiutando»
«Non penso proprio!»
«Ti sto mostrando quello che tu dovresti fare a me, bambina del Wisconsin» ribatté mascherando il divertimento che stava nutrendo per colpa dell'ingenuità di Ray.
Ray sospirò tragicamente.
«Eppure sono ancora in piedi e non tra i tuoi, tu invece non stai ballando»
«Mi hai già vista! Il mio é un caso disperato, come...» balbettò indecisa, «come potrei riuscirci!?»
Avrebbe dovuto tacere: ancora meglio, sarebbe stato meglio per lei rimanere nel Wisconsin e lavorare come cameriera in un qualunque ristorantino rustico di Blackwell come fece sua sorella maggiore. Invece aveva scelto di ballare; da piccola si era innamorata delle scarpette da ballo al posto delle bambole; guardava lo schiaccianoci piuttosto che i cartoni animati e spendeva la sua paghetta settimanale nel comprarsi calze e body nuovi — mentre il suo armadio urlava disperato, bisognoso di un cambio di stile che non riguardassero i colori pastello.
Avrebbe potuto iniziare l'università statale a Madison e affittare un appartamento col primo posto fisso d'ufficio nella capitale. Almeno tre volte al mese sarebbe tornata a Blackwell per trovare i suoi genitori durante i pranzi domenicali, magari con un uomo conosciuto all'università, amante della birra e fissato col football, col quale faceva sesso una volta alla settimana.
Avrebbe potuto mangiare torte al cioccolato ogni giorno; scofanato chili di carboidrati e carne non per forza magra; si sarebbe accontentata della costituzione massiccia di sua madre; avrebbe potuto avere delle amiche che non l'avrebbero invidiata perché non era niente di speciale in quella vita assolutamente normale.
Sì, esatto, avrebbe potuto.
Avrebbe potuto scegliere la strada più facile e comoda per il suo stato mentale, per una come lei scaricata dal mondo perché quest'ultimo, delle persone così fragili, non se ne faceva niente. Le mangiava e sputava i resti come carcasse morte nel deserto, ombrati dagli avvoltoi in cielo.
Invece aveva scelto l'odore pungente del sangue e del disinfettante; i cerotti anatomici su ogni dito del piede; l'ansia da prestazione; il cibo sterile e razionato e aveva vissuto con la consapevolezza che non avrebbe mai avuto delle vere amiche. Ma avrebbe conosciuto l'invidia delle donne.
Avrebbe potuto salvarsi e vivere secondo lenti e anonimi anni. Ray Morgan però aveva scelto di vivere la propria vita e spendere il tempo in secondi.
Si sentiva debole, fragile e insensata.
Eppure, inconsapevole e innamorata della danza classica, era stata così forte e autentica da prendere un autobus di sola andata per New York, in modo da scappare da quella vita, con qualche body in valigia e niente più. Il resto non contava.
Avrebbe potuto. Ma non l'ha fatto.
In mezzo a quel mondo di tanti "avrebbe", anche tuttora avrebbe potuto spezzare il contratto con l'ABT e tornarsene a casa, in fin dei conti non aveva nessuna aspettativa futura in vista, tuttavia, quel giorno, capitolò nella stessa strada insidiosa e sterrata di Park Jimin.
E questo era successo solamente perché viveva la vita in tanti e piccoli secondi.
«Come potresti riuscirci, dici?» Jimin ripeté la sua stessa frase con uno strano sguardo sul viso. Ray sentì immediatamente che qualcosa nell'aria sarebbe cambiato a momenti.
«Quanti stili hai praticato durante la tua carriera, Morgan?» domanda semplicissima, con una risposta altrettanto semplice.
«Classico» rispose senza stordirlo dalla sorpresa, vedendo la sua legnosità era intuibile.
«Nient'altro?» indagò, ma fu un buco nell'acqua non appena Ray esordì un secco no. «Perché?» chiese lei poco dopo, non seguendolo.
«Il coprispalle» lo indicò. «Questo?» mormorò toccandoselo come conferma. Jimin annuì sintetico: «Toglilo»
Ray si ammutolì.
Era impazzito?
«Come hai detto...?»
«Togliti quel cencio dalle spalle, sciogliti i capelli e...» la guardò un'ultima volta indeciso, prima di voltarsi, accarezzandosi il mento mentre fissava le sue gambe, «le calze, via anche quelle»
Era ferma immobile. Il cuore batteva furioso e si cercò un secondo allo specchio per vedere la sua fottuta faccia impallidita: era diventata come i muri della sala. Bianchi e privi di vita.
«Stai scherzando vero?»
Jimin la fulminò immediatamente: «Ti sembro uno che sta scherzando?»
Assolutamente no.
Avvicinò, esitando, le mani sui capelli per sciogliere il rigido chignon che aveva abbellito un'ora e mezza prima del riscaldamento. Ahimè, con amarezza e insoddisfazione, tolse le forcine e le lanciò dentro la sua borsa. Passò al "cencio" — come lo aveva definito lui — slegandolo e passandolo lungo le braccia con malinconia.
Era freddo per lei, i muscoli delle ballerine non erano sufficienti per combattere gli inverni di New York, persino i peli dietro al collo si rizzarono per le basse temperature. Infine, con grande fortuna perché aveva ficcato le calze sopra al body — coprendosi con la gonnellina bianca, corta e svolazzante — eliminò anche quelle di mezzo.
Lanciò queste con un piccolo calcio e Jimin inarcò un sopracciglio dinanzi a quella scena: raffinata come poche, pensò ironico.
Però poi, dopo essersi fatto scappare questo appunto puntiglioso, tornò a guardarla e la vide... diversa.
I capelli, data la precedente acconciatura, cascavano ondulati ai lati delle spalle come una dolce creatura fatata, i suoi occhi vividi erano più lucidi del solito, e le guance erano leggermente arrossate con grazia.
Non era spavalda, lussuriosa e sfacciata come Judite Dixon.
Era... piccola, armoniosa, con occhi ingenui e pericolosi.
Deglutì.
Lei era pericolosa.
«E... adesso?» sussurrò incrociando le gambe per mascherare la vergogna che aveva nello starsene con quella gonnellina di stoffa e basta. Jimin alzò gli occhi contro i suoi e le disse: «Ora balliamo»
Questa volta Ray scelse di starsene zitta, mentre tornava a memorizzare ogni dettaglio della schiena nuda di Park Jimin e il suo fondoschiena coperto dalla tuta. Lo vide armeggiare col cellulare e una musica strana, ben lontana da Carmen e Houdini, si prostrò in mezzo ai due come una vecchia e sensuale amica.
«Quindi hai solo e sempre ballato il classico...» si piegò in avanti, verso il basso, e tirò su i lembi del pantalone fin sopra al ginocchio per non intralciarsi.
«Esatto...»
Tornò su, coi suoi bei polpacci sodi e ambrati, «Allora oggi farai una cosa nuova» si mise nel mezzo e le fece cenno di avvicinarsi. Ray obbedì, seppur dubbiosa: «Non dovevamo esercitarci prima sul mio assolo e poi sul pass de duex?» domandò con legittima concessione ma Jimin, sentendo una nuova sinfonia arrivargli da sotto i loro piedi, sciolse le spalle.
«É quello che faremo infatti. Questo esercizio servirà per entrambe le cose» allungò una mano, chiedendole con gli occhi di fidarsi di lui, «cerchiamo di smontare questa stronzata che hai sul contatto fisico» disse menzionando il blocco di Ray, non ci diede peso ma lei lo linciò con gli occhi, «e ti mostrerò, al contempo, come essere passionali, Morgan»
Ray guardò la mano e si morse le labbra con timidezza: «Non sono come Judite, non sarà così facile Jimin...» mise le mani avanti, sapendo già di fare un disastro. Accettò la presa e l'uomo non si trattenne più dall'afferrarla e tirarla contro di lui.
Persone l'orientamento e si ritrovò a un centimetro al suo naso. «Nessuno ha detto che devi essere lei» e scattò un suono potente, breve e rocambolesco; quella era la sinfonia perfetta per un tango e Ray lo realizzò solo ora.
«Occhi su di me, Morgan» si mise davanti al suo viso, il petto sfiorava il suo seno ansante per meno di qualche pollice, «te l'ho ripetuto troppe volte oggi» la ragazza fece come le fu ordinato e sprigionò tutta la sua pura e potente anima. «Segui il mio sguardo e affrontalo, sei tu che devi sedurre me»
Sentì le labbra farsi secche e il corpo bollire per la prima volta in vita sua. Mai, prima di allora, Park Jimin sembrava ai suoi occhi così virile e maschio, del tutto lontano dalla solita scena principesca nel quale sfoggiava sorrisi finti e pomposi. Ora... fletteva il suo collo taurino sopra di lei, risaltando la loro differenza di altezza e la sua dominanza.
«Non so ballare il tango» ammise sotto pressione. Jimin ghignò e cominciò a girarle intorno come un predatore; Ray, tuttavia, imparò a non staccare gli occhi da lui nonostante si sentisse una perfetta preda.
E lui ne fu compiaciuto.
«Parli sempre così tanto, piccola Morgan» lo disse apposta, eccome se lo fece. Ray aveva iniziato a odiare il suo benedetto cognome, accostato a quel diminutivo imbecile, per colpa sua. «Jimin ti giuro che—»
«Zitta» l'ammonì continuando a girare intorno a lei, «chiudi quella bocca e non pensare» le si fermò davanti, allungò una mano verso il fianco ma non la toccò. Eppure quella distanza, dalla sua pelle, risultò più bruciante di un incendio boschivo — trasalì immediatamente: odiava il contatto fisico, com'era finita per... pensarlo?
«Questo significa sedurre» le spiegò con voce bassa e rauca, «elimina ogni concetto di volgarità, sii solo il riflesso di ciò che sei e che pensi di te stessa: rilassati» sfiorò la sua mano e Ray, senza controllo, seguì il delicato calore sul dorso che mano a mano si alzava verso il capo. Ora Jimin le stava cingendo la vita con sicurezza e fece dei piccoli riccioli coi suoi capelli lunghi in mezzo alle dita.
Un'altro scatto di musica lo portò a esercitare maggiore pressione sulla carne e la strattonò con fermezza verso sinistra; la gamba di Ray era stesa e il suo addome collideva con quello dell'etoile: in automatico la giovane portò entrambe le mani sopra alle spalle forti di Jimin, mentre lo guardava dispersa e dispera in un mondo sconosciuto.
Si stava facendo sedurre. Il suo obbiettivo però era tutt'altro.
«Il linguaggio del corpo ti tradisce e mi vende ogni tuo pensiero, sciocca ragazzina» fece un passo in avanti lentamente, costringendola a indietreggiare secondo lo stesso ritmo. «Non chiamarmi così» sbottò lei senza respiro.
L'uomo la fece girare all'improvviso in un paio di giravolte, finché non la fermò di nuovo contro il suo corpo nudo. Il naso della castana si ritrovò a sfiorare la pelle ambrata tra il collo e la clavicola sporgente dell'etoile; Ray sentì i muscoli sotto le sue mani guizzare e rabbrividire: quel dettaglio, oltre al connubio di sensualità infinita, lampò forte come un miracolo.
Era riuscita a scuoterlo?
«Così come? Sciocca ragazzina?» la prese in giro mentre una mano scendeva verso il basso, strusciando il lato della gamba e giocherellando di proposito con il bordo della gonna. Non si era inoltrato nella zona dei glutei, eppure sembrava intimo lo stesso. «Se non vuoi che ti parli così allora smetti di pensare cazzo, e arrabbiati» tornò ad affrontarla, ringhiandole contro il timpano, «razza di stupida bambina che gioca sulle punte»
Ray ritritò la gamba tesa e artigliò le sue spalle, come se fosse un'altra persona: «Non mi stai insegnando nulla. Ti diverti a blaterare e basta» sbottò, «forse sei tu a essere un pessimo insegnate»
Oh...
Jimin, contro ogni aspettativa, le rise in faccia attizzato come il fuoco.
Le mise un braccio intorno al fianco e iniziò a girare portandola con sé per quasi mezza stanza, finché non le arpionò la vita per alzarla leggermente ed eseguendo un perfetto sollevamento, che si trasformò in un piccolo grand' jete.
Ray chiuse gli occhi sentendosi sopraffare mentre appoggiava il retro del capo sulla spalla del ballerino, assopita e distratta dal suo profumo di fiori d'arancio e aromi liquorosi. Jimin piegò di poco la schiena per esercitare più slancio, avvertì la ragazza chiudere di poco la spaccata fino ad aggrapparsi alle sue gambe dall'esterno.
Poteva vedere solamente la schiena nuda e bianca della ballerina e godersi, assopito, il perfetto incastro dei loro corpi.
Si fermò poco dopo, abbracciando il suo corpo per tenerla e le sue labbra a un centimetro dal timpano. «Allora puoi pure non starmi a sentire: fai come ti pare» e si leccò le appendici della bocca, «sono convinto che se concedessi i miei insegnamenti a Judite le darebbero subito la parte, a differenza tua...» la provocò.
Ray spalancò gli occhi e il rancore verso le sue insicurezze la spronarono a sciogliersi da quell'abbraccio possente, scivolando a terra con una gamba tesa sensualmente verso il lato, l'altra piegata — era una mezza spaccata — mentre con le mani si aggrappava con insolenza alle cosce di Jimin. Aveva il retro del capo a contatto col bacino dell'etoile, ma non se ne accorse nemmeno a differenza di lui.
Questo lo lasciò leggermente di stucco mentre Jimin abbassò gli occhi verso il basso trovandone un altro paio lucidi e pieni di sentimento, seppur di rabbia e infuocati, finalmente stava mostrando la sua parte istintiva e disinibita.
E lei si tirò su senza vergogna, strisciando la schiena nuda contro il suo corpo molto lentamente fino a trovarsi le labbra del ballerino all'altezza del suo sguardo, accanto alla tempia.
«Ora sei tu quello che parla troppo» e lo spinse via dal suo corpo come se fosse spazzatura. Come solo Carmen avrebbe osato fare con un uomo.
Ma Jimin cercò di riprenderla con l'ennesima giravolta; la ruotò sotto il suo braccio e la fermò ancora davanti a lui, portando la schiena mobile della ragazza indietro, piegandola in un sensuale casqué sostenendo la sua preziosa dama fino a farle toccare il pavimento coi capelli.
Ray rimase sulle punte e piegò una gamba contro il suo bacino, creando senza volere un contatto intimo appena coperto dalle stoffe. Persino quelle erano diventate di troppo. Il collo piccolo e lungo di Ray si spinse verso l'ingiù e Jimin, preso dal ballo e senza più controllo, respirò il delicato odore della ragazza appoggiandoci la punta del naso con premura sulla giugulare.
La mano che sorreggeva il fianco di Ray, al suo bacino, finì per scavare la carne e trattenersi dal toccare altra pelle. Lei sentì un paio di dita pizzicarle il bordo del body — vicino al gluteo — e ansimò affaticata.
Jimin la riportò su con uno slanciò e la riafferrò abbracciandola, in modo che si rannicchiasse sul suo busto facendo attrito con le ginocchia. La musica era agli sgoccioli e l'ossigeno allo stesso pari di quest'ultima. Girò un'altra volta per tutta la stanza, come fece con il grand' jeté, ma gli sguardi erano incatenateti e furenti tra di loro.
Il tango sulle note di Santa María terminò come uno sparo e Jimin si ritrovò fermò, mentre scioglieva Ray mano a mano dalle sua braccia e con le mani avvinghiate sulle spalle. Entrambi, con gli occhi schiusi e lampeggianti, ansimarono a corto di aria.
Erano sudati ed estraniati. Avevano ballato senza regole, ignorando qualsiasi legge del mondo latino ma la cosa importante era un'altra: avevano lottato per dominare e prevalere sull'altro.
«Non hai bisogno di essere come Judite...» disse spezzando il silenzio, con il viso appicciato al suo tanto da scambiarsi i respiri, «la sola dote erotica non c'entra niente col caso di Carmen, rischi di diventare il pezzo di carne dell'uomo che dovresti calpestare per terra» fece un passo indietro e l'adocchiò con i sensi annebbiati: «tu devi usare ogni forma di seduzione, oltre all'erotismo, per trascinare su di te gli altri con meccanismi emotivi. Come ho fatto io» e, esitante, continuò, «e come hai fatto tu poco fa»
E aveva ragione: l'aveva sedotta, domata e torchiata a proprio piacimento dall'inizio finché lei non era riuscita a trovare lo spirito giusto, assieme al motivo, per scoppiare. Jimin aveva perso, a una certa, ogni briciolo di autocontrollo ed era stata lei a portarlo alla deriva.
«Io... non ho la più benché minima idea di cosa abbia fatto» sussurrò ora spaurita, tornata coi per terra e avvolta da un freddo violento.
O che abbiamo fatto.
Dov'era finito il calore e quel bruciore tra le viscere?
L'altro la guardò completamente perso, si allontanò drasticamente da lei quando si risvegliò e la realtà lo colpì peggio di un pugno. Afferrò senza dire nulla tutti i suoi averi. Ficcandosi un maglione addosso in meno di qualche secondo e raccattando lo zaino tenendo lo sguardo ben abbassato.
«Abbiamo semplicemente ballato» la chiuse immediatamente lui con isterismo, «e tu hai capisco il significato di sedurre. Perciò mettilo in pratica e buona fortuna» non ce la faceva proprio a guardarla negli occhi.
Era tornata a essere troppo e pericolosa al contempo.
E lui non riusciva più a fingere controllare quei pensieri.
«Jimin!» lo chiamò prima che la lasciasse sola in quella stanza fredda, «stai scappando?»
Anche tu ti sei sentito strano?
Il moro inarcò un sopracciglio e la guardò da sopra la spalla: «Non essere ridicola, vado via perché ho da fare. Non credere che sia cambiato qualcosa, era un compito» l'avvisò severo e Ray abbassò il capo a terra.
Era tornata a essere la solita Ray Morgan.
E lui il solito freddo e distacco Park Jimin.
«Capisco...» disse fissando a stessa schiena larga e muscolosa sulla quale si era aggrappata poco prima. «allora, ci vediamo alla prossima lezione?» domandò incerta.
Jimin, dopo qualche secondo, annuì sospirando: «Sì, ti avviserò io quando avrò un buco libero. Per il resto devi cavartela da sola»
Ray semplicemente non rispose più. Cercò con gli occhi i suoi vestiti e si sentì ancora più sola e usata, nonostante non fosse successo nulla tra di loro. E allora perché aveva indossava lo stesso sguardo di un'amante dal cuore sofferente?
Era il momento per Park Jimin di andarsene, ma prima, per liberarsi una porzione di macigno dal cuore, incatenò l'orgoglio.
«Morgan» la chiamò facendola sussultare, «metti questa passione la prossima volta, okay?»
E senza dire altro, sul volto di Ray nacque un timido sorriso sotto i capelli sbarazzini.
La prossima volta, quindi ci sarà. Non stai scappando di nuovo Park Jimin.
«Contaci»
𝘚𝘢𝘯𝘵𝘢 𝘔𝘢𝘳𝘪𝘢:
𝘎𝘰𝘵𝘢𝘯 𝘗𝘳𝘰𝘫𝘦𝘤𝘵
OHI QUE CALORRRRRR
Bene! Siamo tornati dai nostri due beniamini e questo capitolo è stato un PARTO. L'ho immaginato e scritto mille volte ma senza mai soddisfarmi appieno, e nemmeno ora... ma vabbè: ci sono un sacco di dialoghi e l'intero capitolo di quasi 10.000 parole è dedicato solo a loro. E finalmente aggiungerei.
- Abbiamo capito che cosa ha fatto Katherine e Jimin, furbo come una volpe, lo capisce subito.
- Ragazzi questo capitolo è stata una montagna russa, tra litigate, discussioni, prese per il culo e lotta per la dominazione. Spero che abbiate capito il pensiero di Ray e quello di Jimin, anche i concetti di seduzione e passione.
- Posso dire di essere stata male nell'aver descritto la vita semplice e monotona che avrebbe reso il percorso di Ray più facile, ma lei ha fatto la sua scelta e secondo me, tolta la tossicità, era quella giusta. Vai Ray!💪🏻
- Jimin è al limite, tant'è che accetta di lavorare con lei pur di non farlo con Nora. E sta benedetta Nora Smith la vogliono per forza, sarà a causa della sua famiglia?
- ATTENZIONE: qui Ray dice una cosa molto ma molto importante, per lei tutto quel lavoro anche se inutile, ha un senso. E questo fa cascare Jimin con la faccia a terra, la danza è la sua vita ma gli basta? A quanto pare no, se non è felice, o forse lo è?
- Ringraziamo Jennifer Loper e Richard Gere nella famosissima scena di tango, nel film Shall we dance, per avermi dato il giusto spunto per questo ballo. Sono settimane che mi tormentavo, se fare una rumba o usare un'altra canzone, poi mi sono rivista questo film dopo trecento anni e ho avuto la risposta che volevo. UN TANGO, ma un tango senza regole e mischiato al classico... (non uccidetemi voi ballerini pls)
- E JIMIN, ANCHE SE ALLA FINE, ERA STATO DOMATO E HO GRIDATO.
- Non so se ho detto tutto, in caso se avete altre cose da chiedermi fatelo senza esitazione. Alla prossima e fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto❤️
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