𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟔: 𝐓𝐎𝐎 𝐌𝐔𝐂𝐇
𝘓𝘢 𝘤𝘢𝘮𝘱𝘢𝘯𝘦𝘭𝘭𝘢:
𝘍𝘳𝘢𝘯𝘻 𝘓𝘪𝘴𝘻𝘵 𝘦 𝘕𝘪𝘤𝘤𝘰𝘭ò 𝘗𝘢𝘨𝘢𝘯𝘪𝘯𝘪
𝙐𝙉'𝙊𝙍𝘼 𝙋𝙍𝙄𝙈𝘼.
Nonostante le quasi otto ore di allenamento giornaliero, consumate dai ballerini professionisti, vengono aggiunte, a volte, anche delle sostanziose ripetizioni in sala pesi. Gli uomini erano ben consapevoli che sollevare ballerine senza recare infortuni, pur mantenendo la perfezione delle linee e l'intensità del ruolo, non era un lavoro assicurato per tutti.
In tanti peccavano come partner e resistenza muscolare, ma ahimè, era un requisito fondamentale per diventare qualcuno d'importante: non dimentichiamoci che, nonostante la richiesta di salti, estensioni e la ricerca dell'elasticità, la danza é un'arte. Il ballerino deve essere in primo luogo un'artista e non si comunica solamente con l'atletica, ma anche con il sentimento.
L'essere ballerini era, dunque, un'arma a doppio taglio.
Era indole.
Era sacrificio.
Era passione.
Era sangue.
«Quindi...» Igor Kuznetsov schioccò la lingua sul palato mentre guardava il culo di Rihanna, stretto in un baggy jeans anni 2000, nel vecchio MV trasmesso dal televisore appeso al muro, «Carmen» espirò sintetico.
«Stai zitto» Jimin si sforzò di parlare mentre sollevava il bilanciere da quaranta chili sulla panca piana, partendo dal petto per l'ottava volta. Sentiva andargli a fuoco persino le viscere ma, cascasse il mondo, avrebbe consumato ogni traccia di nervosismo nel corpo prima di defilarsi a casa.
«No, dico. Scelta interessante quella di Janssens» continuò come se non avesse sentito uscire nulla dalle labbra del coreano. «Chissà perché riproporre questa storia dopo tutto questo tempo» e fu quasi ripetitivo risaltare come il tono ingenuo di Igor, ovviamente finto, servisse per celare della malizia.
Park Jimin stava letteralmente esplodendo dall'interno. Era stata una pessima giornata la sua, credeva che lavorare di nuovo con Janssens potesse rinvigorire la sua spiritualità artistica, come successe a Londra con Giselle, invece l'unica cosa che si era rinvigorita era la sua frustrazione. Per non parlare delle palle piene che gli erano venute per ballare con Nora Smith.
«Igor—» sentì il fiato mancargli mentre cercò di resistere con le braccia alte verso l'alto. I bicipiti erano gonfi di sangue e muscoli. Le vene spingevano verso l'alto. «Non hai un cazzo da fare?»
«Nah» scimmiottò fantasticando sul prossimo video musicale pop, «ho finito le mie serie»
Il suo percorso di PHA training per quel giorno era completato; si era spaccato di esercizi in super serie senza riposo fra uno e l'altro. Se avesse continuato, oltre la dose consigliata dai loro dottori, si sarebbe ritrovato a sciogliere anche le ossa, oltre al grasso. Ma Jimin sembrava non aver stabilito un limite per gli esercizi e ormai, anche se passati anni, Igor conosceva R-Ice Man più di se stesso: era troppo incazzato per fermarsi.
«Allora levati dai coglioni!» gli urlò a fine ripetizione per cercare di toglierlo dai piedi, lui e la sua mentalità freudiana, mentre imprecava combattuto.
Sperava di trovarsi da solo in palestra: a chi mai verrebbe l'idea di venire in sala pesi dopo una mattinata passata a sollevare ballerine, di quaranta e cinquanta chili, per quasi sei ore di fila? Il pazzo era lui, certo, ma lo erano anche tutti gli altri pecoroni che si erano presi la briga di seguirlo all'ultimo piano dell'ABT. Ovviamente, Park Jimin era stato lodato da Alexander Janssens, perciò perché non imitarlo al meglio?
Come se fossero pronti e preparati per essere i futuri Don José, o per eguagliare un etoile, con la carica di primo ballerino in più compagnie, con una seduta in più alla sala pesi: impossibile.
Quindi, in parole povere, era per colpa sua se ora quella palestra, di circa sessanta metri quadri, pullulava di danzatori, sospensori stretti in posti sconosciuti e puzza di sudore.
Ed era altrettanto colpa sua se, a due tapis roulant di distanza, Gale Harper cercava di mostrarsi grosso e sufficiente con la sua bocca fottutamente larga. Park Jimin, per sua natura, tollerava pochissime persone al mondo, ma quel deficiente non rientrava nemmeno nella lista di tolleranza forzata e impostata dal suo lavoro.
Forse nemmeno nella lista di civiltà; si rifiutava categoricamente di guardarlo, figuriamoci anche solo comunicarci.
«Janssens ti ha messo al tappeto oggi» sentì uno dei suoi colleghi interagire con Gale; quest'ultimo sbuffò sudato sul nastro del tapis roulant. «É colpa di quella lì»
«Morgan?» gli chiese, ricordandosi magicamente il cognome. Sentendolo uscire dalle bocche dei due idioti Jimin non poté non ascoltare.
«Sì, lei. Ma dovevo aspettarmelo: se era l'unica rimasta senza partner un motivo doveva esserci» sghignazzò guardando l'altro. «Però con Park ha ballato bene» sentenziò l'amico.
«Sì sarà sciolta perché sarà l'ennesima sfigata che gli muore dietro» e alluse a fin troppe cose da pettegolo con quella dichiarazione, «non so se mi capisci» finì con un ghigno e l'altro annuì, scoppiando a ridere. «E poi é facile ballare con un primo ballerino, hai la strada praticamente spianata. Fallo con un futuro solista come me, solo allora dimostri quanto vali»
Ora mi alzo e gli spacco il culo.
Igor, vedendo un cipiglio ancora più solcato di quello originario su Jimin, e forse intuendo il pensiero del suo collega, cercò di riportarlo con i piedi per terra.
«Ignorali» emise con uno sbadiglio, «cerca di compatirli. Con quel quoziente intellettivo non ne vedranno una per almeno altri cinque anni»
Quella battuta fece nascere una leggera smorfia divertita sulla faccia di Jimin.
«Non avevo intenzione di fare nulla» riprese il bilanciere tra le mani e gonfiò il petto per ripartire. Il russo guardò quella ripetizione di troppo per nulla convinto: «Cazzate, vorresti spaccargli questo bilanciere dritto sui denti» l'apostrofò seccato, «Lo farei anch'io ma sono stanco. E dovresti esserlo anche tu dopo la seconda ripetizione di troppo che ti sei messo in testa di fare. Coglione»
Per la loro fortuna quei due spenserò i tapis roulant e si allontanarono per dirigersi verso lo spogliatoio, lasciando da soli Igor e Jimin.
«Nuova generazione del cazzo» commentò critico Igor fissandoli andare via.
«Ancora non capisco perché sei qui se—» Jimin si fermò per colpa del bruciore muscolare e strizzò gli occhi, «hai finito da venti minuti»
«Per evitare di trovarti domani mattina mezzo morto qui sulla panca, con un bilanciere incastrato sulla faccia» rispose sarcastico.
«Premuroso—» si leccò le labbra secche per colpa dei liquidi che stava perdendo, «da parte tua. Ma non succederà niente del genere»
«Certo. Perché in quel caso, se non ti sentirai più le braccia, userai il cazzo al posto loro per non morire schiacciato?»
Solitamente Jimin avrebbe risposto con una frase ben lontana dall'esplicita volgarità del suo collega, del tipo: "non rispondo a queste cazzate", o un sintetico "vaffanculo, russo di merda." Ma era fin troppo sovrastimolato dall'energie negative.
«O potrei lanciartelo in faccia anche adesso, cosa ne pensi?» domandò sarcastico senza avere bisogno di risposte. L'amico dai toni chiari e freddi della sua terra tirò un sorriso: «Se rispondessi anche a una sola delle domande su Janssens potrei pensare di lasciartelo fare»
Jimin ruotò gli occhi al cielo, con la pazienza esaurita: «La mia risposta te l'ho già data»
«"Fottiti" non vale come risposta»
«Certo che sì» strizzò gli occhi un po' preoccupato: le braccia stavano tremano fin troppo, forse era seriamente arrivato al limite fisico.
«Voglio un cazzo di parere, Jimin. Mica la luna» ribatté infastidito, perdendo d'occhio la visibile instabilità di Jimin con quel bilanciere traballante.
«Non ho niente da dire!» sibilò con le vene del collo gonfie per lo sforzo.
«Ah sì? E non hai niente da dire sul fatto che molto probabilmente ballerai con Nora?»
Quel contrattacco lo destabilizzò così tanto che perse l'equilibrio: «Shibal!—» imprecò nella sua lingua madre e Igor, udendo quel coreano biascicato, rotto dalla mancanza di aria e dall'ennesima provocazione su Nora Smith, capì di essersi spinto troppo in là.
Sobbalzò e arrivò in aiuto dell'etoile; si mise dietro di lui, in modo che le sue braccia potessero afferrare la sbarra d'acciaio e riporla sul power rack.
«Fottuto pezzo di merda!» esordì con il fiatone in gola e la paura sul petto, «potevi ammazzarti!»
Jimin, ora libero da qualunque peso addosso, si stese sfinito sulla panca mentre le braccia gli tremavano appena, riposate sull'addome: «É colpa tua. Mi hai distratto con le tue cazzate su Janssens e Nora» si mise una mano sulla fronte per tirarsi i capelli indietro, «Cosa vuoi che ti dica? Ammetto che ballare Carmen risveglia in me ricordi spiacevoli del passato e che... essere il futuro partner di Nora non mi alletta? Sono cose che già sapevi» emise arrabbiato, «smettila di psicoanalizzarmi»
Igor guardò il soffitto per mordersi la lingua. «Come cazzo facevo a saperlo se nel mezzo sono passati anni, eh!?» sospirò frustrato dal fatto che Jimin non comunicasse mai nulla, nessuno sapeva che cosa passasse per l'anticamera del suo cervello dinanzi a situazioni spiacevoli. «Non ti leggo nella mente. Posso conoscerti abbastanza bene per arrivarci da solo che questa situazione, per te, sia una spina nel fianco? Certo, é intuibile» rispose da solo con ovvietà, «ma io pretendo un tuo cazzo di parere. Perché tutti credono che tu ormai sia pronto per andare avanti, ammetto di averlo creduto anche io all'inizio, ma vederti ballare con Nora é stato un disastro»
In termini molto, molto, brevi, non lo era.
E forse Janssens l'aveva intravisto quella mattina.
«Io sono pronto» affermò mentre tornava a sedersi e guardò dritto davanti a sé, stringendo la mascella: sentirsi svilire per qualcosa che non dipendeva da lui lo mandava fuori di senno.
Se lui e Nora erano ai ferri corti, per non dire ai limiti della civilista umana, non poteva farci nulla. Aveva avuto altri problemi legati a partnership mal assortite o con ballerine veramente mediocri in passato, ma il limite riguardava solamente il loro. Lui faceva la sua perfetta e strabiliante figura, tanto da oscurare chiunque ballasse al suo fianco.
Ma quella era la prima volta che i problemi del partner rischiavano di rendergli il lavoro difficile, forse perché dentro di lui sapeva che il problema in sé non era ballare con Nora.
Ma ballare Carmen, con Nora Smith, col rischio che possa ricordarsi di lei.
«Non lo eri» gli disse sincero Igor, nel suo sommario empatico per niente analitico , «perlomeno con Nora. Se devo basarmi sulla prova eseguita con Ray Morgan, posso dirti che la parte di Don José é tua» quella nota pizzicò il petto di Jimin, tant'è che lo guardò da sopra la spalla.
«Quella parte é già mia, indipendentemente da chi ballerà con me»
Ma Igor si sollevò con la schiena dritta e prese il suo asciugamano per metterselo accanto al collo, allungò la mano per aiutare Jimin ad alzarsi: «Non esserne così troppo sicuro» lo deride sottilmente.
Jimin sollevò un sopracciglio: «E, di grazia, perché?»
«Perché spero con tutto il cuore, R-Ice Man, che non diano la parte di Carmen a Nora. Non solo non é la persona giusta per interpretarla,» si fermò Igor, aspettando che l'altro lo seguisse verso gli spogliatoi, «ma non é una partner conveniente per te. Se lavorerete insieme non verrà un buon lavoro» sospirò, «voglio vedere fin dove Janssens spingerà»
«Non é un problema mio Igor se la sceglieranno come solista. Non hanno fatto neanche i provini e già hanno puntato gli occhi su lei» espresse il suo naturale fastidio.
«Lo so, per questo spero che non ci sia lo zampino della sua famiglia o dei Dixon a ribaltare la classica di meritocrazia» e cercò di spiegarsi meglio, «Nora é brava e talentosa, non discuto su ciò. Ma é lampante che sia...» si grattò la testa.
«... Anonima?» finì al posto suo.
Igor annuì: «Drammaticamente anonima» esordì a bassa voce quando uno dei ballerini gli passò a fianco, «però può migliorare, prima o poi, ma ora...» si fermò cercando le parole mentre Jimin lo ascoltava in silenzio, «non può fare Carmen, e tu sai anche il perché»
Oh, Jimin lo sapeva benissimo il perché Nora non poteva interpretare quella parte.
«Il tuo parere non cambierà comunque l'opinione della commissione artistica, né l'esito di Janssens, Igor» emise con gli occhi fermi, neri come il carbone e freddi, «perciò fammene fare una ragione. Quello che voglio io non conta» e fu inutile dire che tono con cui disse quelle parole furono acide e amare.
«Staremo a vedere» mormorò semplicemente Igor mentre apriva la porta dello spogliatoio. E per la loro sfortuna videro ancora quel coglione di Gale Harper a parlare di sé, senza accorgersi di avere il diretto interessato dietro le spalle.
«Avanti, non sparare stronzate!» in mutande, puntò l'indice contro Ramón Aguirre, «come puoi dire che é stata brava se sembrava un fottuto ceppo di legno»
«Dico solo quello che ho visto» disse l'argentino con tranquillità; l'unico agitato era Gale. Di fatti, nervoso e arrossato, palesato con la sua la sua carnagione bianchiccia, lo mandò a quel paese.
«Certo, perché appunto non vedevi o sentivi come starnazzava ogni volta che eseguivo un sollevamento!» agitò col braccio, enunciando la sua verità. Ramón ruotò gli occhi al cielo: «Amico, sinceramente: non me ne frega un cazzo»
«Dopo aver ballato con lei non venire a lamentarti con me per il mal di schiena» e lanciò l'ennesima frecciata sul peso di Ray Morgan.
Jimin si fece spazio in mezzo ai corpi dei ballerini, senza toccarne nemmeno uno — la sola idea lo disgustava — e aprì, come se niente fosse, il suo armadietto accanto a quello di Gale.
Guarda un po' che coincidenza...
«Gale Harper, giusto?» domandò fissando i prodotti per il corpo riposti nel borsone — sempre dentro all'armadietto —, risaltando come dopo settimane di incontri e collaborazioni avesse appositamente dimenticato il nome di quella nullità.
Il ragazzo si girò e si drizzò allibito: «Sì, é giusto» confermò.
«Non avresti il mal di schiena se azionassi di più braccia e gambe al posto della bocca in palestra» calò immediatamente il silenzio mentre Igor, per nulla toccato da quella risposta priva di umiltà, decise di appoggiarsi al muro e godersela.
Gale Harper boccheggiò; inizialmente incredulo che Park Jimin abbia parlato con lui, in secondo piano poi, si ridestò offeso.
«Scusami?»
«Non c'è bisogno di scusarti» afferrò lo shampoo senza guardarlo negli occhi, «dopotutto sei un idiota. Con quelli come te tocca avere pazienza» qualcuno rise senza dubbio. Anzi, Ramón per poco non si ribaltò dalla panca.
Era un classico per Jimin usare il sarcasmo anche nei momenti di pura serietà.
«Ma che diavolo...» sbottò umiliato, «ehi Park, che cazzo ti prende!?» domandò avvicinandosi di un paio di passi. Ma Jimin non gli rispose, continuò a guardare la descrizione del suo shampoo con enorme interesse. «Igor» chiamò l'altro primo ballerino, «è questo quello anti irritazione?»
Lui fece spallucce: «Ha il tappo blu?»
«Sì»
Annuì: «allora è quello»
Quell'atteggiamento fece innervosire ancora di più Gale e cercò di afferrargli lo shampoo per levarglielo dalle mani.
Ma Jimin intercettò immediatamente le sue intenzioni tramite i riflessi lesti e lo bloccò dal polso, stringendolo in una presa d'acciaio. Alzò il suo braccio e lo portò davanti agli occhi terrorizzati di Gale.
«Prova a toccarmi ancora» i suoi occhi divennero stretti e completamente neri, «osa solo riavvicinarti a me, o anche a dire altre stronzate sul mio conto, merdoso pezzo di merda» sibilò agghiacciante, forzando la stretta sul braccio, «e farò in modo di renderti così inabile da farti riuscire a sollevare solamente le tue polemiche» gli strattonò il braccio ancora una volta prima di lasciarlo andare.
I suoi occhi smarriti e impauriti, ora non più grassi di ego, furono sufficienti per ritirare la sua autorità in mezzo a quella giungla di folli.
Gale si strinse il braccio dolente e fece almeno tre passi indietro; voleva parlare, gridare e dirgliene quattro a quel coreano del cazzo, ma era tutto inutile. Era evidente il divario tra lui e l'etoile, non solo per l'evidente forza fisica: ma anche la classe.
«Non ho detto niente contro di te» ebbe il coraggio di dire.
Bugiardo — Jimin aveva ben sentito che cosa pensava di lui, ma non era questo il succo del suo più grande fastidio. Sapeva di essere uno stronzo e tossica come persona, accettava con grande rispetto questo pensiero, ma non tollerava il fango riversato sui suoi sforzi e nel suo lavoro.
E prima di ogni cosa, Park Jimin non raccomandava mai nessuno col potere del proprio status, come invece aveva osato sostenere Gale, in sala pesi.
«Stronzate» rispose duro, «ma non m'importa. Come ho detto prima: sei un idiota. E con quelli come te... tocca avere pazienza» e iniziò a spogliarsi della magliatta intrisa di sudore e dei pantaloncini da basket, restando in mutande. Lanciò i suoi vestiti sporchi contro di lui — dei quali non gli importava nemmeno di riaverli indietro — e Gale li afferrò spaventati.
«Però m'importa se fai il coglione con chi non c'entra niente» chiuse l'anta dell'armadietto cosi forte che il rumore metallico risuonò per tutta la stanza. A quel punto Igor lo guardò sottecchi.
Che si stesse riferendo a...
«Assumiti le tue responsabilità e non scaricarle sulle tue partner. Se sei un ballerino mediocre...» e fece un sogghigno, «prendersela con chi é migliore non é un buon modo per farla pagare al mondo. Harper» si mise un asciugamano sulla spalla e, senza più degnare Gale e nessun altro, avanzò in direzione delle docce.
Dopo quella silenziosa fine un brusio si inalzò. Tutti quanti fecero finta di niente ed evitarono di commentare cosa fosse appena successo: a quanto pare Park Jimin, oltre alla sua freddezza, era anche una gran testa calda.
Mentre Igor Kuznetsov, nella sua impassibilità, fece emergere comunque un cipiglio dubbioso mentre si rintanava anch'egli in doccia.
R-Ice Man aveva appena difeso una ballerina?
𝙏𝙍𝙀𝙉𝙏𝘼 𝙈𝙄𝙉𝙐𝙏𝙄 𝙋𝙍𝙄𝙈𝘼.
Ci mise più tempo del previsto a curarsi le unghie dei piedi quel pomeriggio; non avendo il kit medico con sé non poteva praticare chissà cosa, ma non credeva nemmeno che dopo la doccia gli scoppiasse una vescica sull'alluce. Jimin strinse gli occhi e imprecò nella sua lingua madre mentre tamponava la lesione arrossata: fare certe manovre da soli era deleterio. Ma Igor aveva già lasciato l'edificio ben dieci minuti fa, perciò l'etoile si era arrangiato alla bell'e meglio nonostante l'esito di quella giornata infernale.
Sentiva il bisogno di tornarsene a casa e dormire almeno per dieci ore di fila; il cattivo umore non permetteva alla serotonina di espandersi abbastanza affinché non ce l'avesse a morte con chiunque gli capitasse davanti. E per sua immensa sfortuna, nel suo cammino, incrociò non volendo un ballerino che non sopportava nemmeno l'idea di avere Park Jimin accanto a sé.
Ma l'etoile, tra i pensieri e il dolore al piede, non si rese conto di aver urtato la spalla del giovane ballerino sulle rampe di scale. Quest'ultimo si fermò immediatamente mentre Jimin continuò a scendere per i fatti suoi.
Finché: «Tsk, ora il grande Park Jimin non si degna nemmeno di scusarsi con i comuni mortali?» quella frase in ruppe il ritmo.
Jimin tornò coi piedi per terra, si fermò statico e girò il volto per guardare l'ennesimo fenomeno del giorno — come se non ne avesse affrontati abbastanza oggi. Mise a fuoco e incrociò dei fili biondi e sottili come il grano; era un ragazzo alto, ben piazzato e con un portamento appariscente. Se lo ricordava molto bene durante gli allenamenti, anche quello stesso giorno aveva avuto modo di catturare la sua attenzione.
Era un solista con un forte accento londinese. A volte ballava con Judite Dixon e oggi l'aveva visto approcciarsi animatamente con Ray Morgan.
La sua compostezza esterna risaltava un giovane ragazzo che sapeva il fatto suo, certo, non come Jimin. Gli suscitava però un che di famigliare, ma il nome gli sfuggiva: anche se era tornato da poco più di due mesi era stato impossibilitato, a causa delle pratiche del trasferimento delle classi, nel conoscere la sua nuova squadra.
«Eh?» si limitò a chiedere.
L'altro fece una smorfia amara e scese un paio di gradini: «Mi sei venuto incontro. La tua spalla ha urtato la mia e non te ne sei nemmeno reso conto...» sembrava ironicamente meravigliato, «ti credi Dio?»
Jimin si accigliò: a quanto pare aveva davanti a sé uno che cercava rogne.
«Quasi» gli rispose apposta con una leggera malizia per farlo irritare — da perfetto stronzo ed egoista quale era — e, per come il biondo perse immediatamente la sua sfacciataggine, sembrò colpirlo alla grande.
«Non l'ho fatto apposta» esordì seccato poco dopo, «scusami» ammise sincero. E provò a girarsi per levarsi da lì ma il biondino insistette. «Che senso hanno delle scuse fatte da una persona che nemmeno sa riconoscerti?» quella era una frecciata bella e buona.
Era ben chiaro che il ragazzo avesse un conto in sospeso.
A quel punto Jimin si tolse il cappuccio dalla testa e lo studiò attentamente: com'era solito a fare col nemico. «Cerchi guai, ma oggi sono la persona meno indicata con cui sfogare la tua merda» gli mise in chiaro glaciale.
«Oggi?» mormorò con un risatina isterica, «e quando mai lo saresti?»
Jimin socchiuse gli occhi in due fessure, mise le mani in tasca e restò lì a guardarlo: «Qual é il tuo problema?» andò dritto al punto, «parli come se mi conoscessi»
Ma l'altro non si fece cogliere impreparato e scese ancora di qualche gradino: «Sei tu» disse con una paurosa tranquillità, «Sei tu il mio problema»
L'etoile sbarrò leggermente gli occhi ma nascose lo stupore. «Credo che tu abbia preso un abbaglio biondino. Non sono in cerca di guai e nemmeno tu dovresti esserlo»
L'altro si passò una mano tra i ciuffi biondi e scaricò tutta la sua frustrazione nel suo sguardo grigio; erano occhi di chi dentro nutriva una grossa rabbia.
«Mi chiamo Oliver Fisher» rispose con una leggera smorfia sul viso, odiava essere chiamato "biondino", «ma come potresti saperlo Park, quando non ti interessa nessuno al di fuori di te stesso»
Era chiaramente risentito. Park Jimin non si offese minimamente, aveva la pelle spessa e quasi trent'anni ormai: Oliver Fisher non sarebbe stato né il primo né l'ultimo ad additarlo in quel modo. Fece un sorriso provocatorio e fece un passo in avanti: «Ricordare i nomi di chi non mi interessa é un aspetto "invalidante" del mio carattere, mi dispiace» rispose prendendolo per i fondelli.
E, in qualche modo, risaltando come Park Jimin fosse oggettivamente migliore di lui lo fece infuriare ancora di più.
Essere comparato con l'etoile era il suo tallone d'Achille: ma solo Judite Dixon ne era al corrente.
«Eppure» continuò Jimin vedendolo perso, «non sarà mai invalidante come i tuoi pensieri nei confronti dello spettro artistico del nostro lavoro»
Oliver lo guardò sinceramente confuso e sussultò: «A cosa ti riferisci?»
Jimin gli lanciò un'occhiata e si avvicinò di più: ora era lui il vertice che decretava chi destabilizzare.
«Mi riferisco alla tua profonda ignoranza, Fisher» disse irruenti, «a come sminuisci per gioco il pensiero altrui. A come trai piacere nel provocare le persone con il tuo finto pensiero non convenzionalista, ma fattelo dire: non sei figo se prendi in giro una ragazzina perché le piace il Lago dei Cigni» lo sbatté con le spalle al muro, «anzi, sei un emerito idiota che parla a sproposito» e gli mise in chiaro che aveva sentito tutta la sua diatriba con Ray Morgan.
E, sinceramente parlando, pensò che fosse un totale idiota dopo aver aperto bocca per replicare su Carmen. Forse non si era reso conto di quanto il biondino parlasse ad alta voce a volte.
Oliver si avvicinò così tanto da ritrovarsi faccia a faccia: era pieno di collera. Le vene sul collo flettevano pericolosamente contro la pelle bianca del londinese.
«Non sai niente di me»
«É quasi ironico come lo stesso varrebbe per te nei miei confronti»
«Io parlo perché so come sei davvero, Park Jimin» ribatté con i pugni chiusi lungo i fianchi. A quel punto Jimin fece scorrere lo sguardo a destra e sinistra sul suo viso, cercando qualsiasi tipo di indizio: «Non sai assolutamente niente di me, Fisher» gli ripeté calmo, con sangue freddo.
«Quindi non ti ricordi di me!?» alzò la voce Oliver, completamente afflitto e con il controllo andato a pezzi, «Tu... alla Royal Ballet mi hai surclassato appena hai messo piede lì dentro! Davvero non ti ricordi di questo!?» davvero non ti ricordi della carriera che hai spezzato?
Jimin lo guardò privo di emozioni: «Non come vorresti tu. Non con la stessa importanza che mi stai concedendo ora» o forse anni, dichiarò sincero, «ho avuto tante parti, e surclassato di conseguenza molte persone. Tra cui tu. Non aspettarti che io possa riconoscere la sete della tua vendetta»
Sulle spalle ne porto mille e altre.
Si allontanò facendo qualche passo indietro, lasciandolo respirare. «Sei stato uno dei tanti» fu come ricevere una lama sul petto, «perciò cerca di renderti unico. Di migliorarti. Perché dire di essere il migliore senza mai dimostrarlo é deplorevole» si rimise il cappuccio in testa e strinse la cinghia del borsone, «Quando io affermo di esserlo, é perché lo sono»
Io dimostro di essere il migliore.
Oliver non riuscì a dire altro: non era questa la fine che si aspettava. Credeva di destabilizzare Jimin buttandogli in faccia mesi e anni di sofferenza per colpa sua; del trauma vissuto per essere stato surclassato alle audizioni dall'etoile alla Royal Ballet; dei ruoli minori che ricoprì subito dopo in altre compagnie per l'ombra gigante del successo di Park Jimin; di come Judite Dixon elogiava quel bastardo per sminuirlo apposta.
«Tu non sei migliore di me» sibilò tra i denti, con il volto chino al pavimento.
Jimin si girò dandogli le spalle, stanco, dolorante e incazzato col mondo. Ma prima lo guardò sottecchi un'ultima volta.
«Sono il migliore, ma non ho mai specificato in cosa» ammise, «lo sono nella danza. D'altra parte non esiste altro che mi aggrada» e proseguì verso l'uscita.
Lasciando Oliver Fisher da solo, su quelle rampe di scale, coi suoi tremori e demoni. Dove lui, contratto, guardò il migliore andare via apparentemente indisturbato. E lo maledice, chiuse i pugni e si frantumò la pelle con le unghie, scaricandogli il suo dolore addosso.
Mentre Jimin uscì dall'ABT fumando, coi capelli ancora umidi sulla fronte e i nervi tesi per quella giornata infinita. Prima Janssens, Carmen, Nora Smith, Igor, Gale Harper, Oliver Fisher e...
Ray Morgan, davanti a lei e affiancata a Rachel Hall, era lì impegnata a ridere con le guance completamente rosse, un po' per il freddo e l'imbarazzo, e coi capelli raccolti. Stretta in un cappotto lungo, troppo grande per lei e stravagante, che però le stava comunque bene.
Perché sì, in quella lunga lista di persone che avevano lasciato la loro impronta in quella giornata, c'era anche Ray Morgan. Nel loro ballo. Il ritmo. L'accenno del pass de duex. E le sue mani addosso.
C'era tra la bocca larga di Gale Harper.
E nelle sue difese.
C'era nel rimprovero contro Oliver Fisher.
E nelle sue intenzioni.
C'era troppo. Fin troppo.
Abbassò lo sguardo a terra, verso un punto indefinito e fingendo che non esista, perché anche solo guardarla ora, dopo tutto ciò...
Sarebbe stato troppo.
Dopo l'ultima conversazione avuta con Jimin, Ray si era ritrovata a perseguitare per giorni il concetto di essere Carmen come le aveva fornito l'etoile. Guardava con occhi sognanti l'accurata attenzione che Katherine Walls cercava di impartire a tutte loro il culto acceso dell'Habanera, ovvero: l'amour est un oiseau rebelle.
L'amore é un uccello ribelle.
La quinta scena del primo atto; la filosofia dell'amore e della stravagante personalità di Carmen, unica alla quale mantenne il concetto di fedeltà, richiamando a sé un paradosso ben voluto perché lei, nella storia, incarna apparentemente il simbolo della leggerezza e infedeltà. Dunque, rimarrà viva e devota solamente al suo credo di donna libera fino all'arrivo della morte.
Fino a quando Don José non le strapperà la vita dal petto a mani nude.
«Lunghe!» la signora Walls sbatté le mani con gli occhiali spessi calati sul naso, «Voglio quelle gambe lunghe! Stese! Dovete sedurre, siate femminili!»
La musica scattò e le ballerine del secondo gruppo si ritrovarono a rifare gli stessi errori: erano rigide, troppo pensierose e poco sceniche. La maître stoppò la musica con un lamento e tutte quante si fermarono sfinite; era una coreografia basata su punte veloci, braccia scattanti e tanta scenografia mischiata al flamenco.
Ed era quest'ultimo punto il problema più grande da affrontare.
«Okay...» si mise le mani in mezzo ai capelli e ci pensò su, «Nora» la chiamò e quest'ultima — partecipe del gruppo —, sudata e assorta, si mise composta, «come va la pratica con Jimin?»
Quello era un nervo scoperto. Anzi, una piaga così grossa nella quale Judite Dixon amava ogni volta commentarci sopra. Di fatti la bionda, a qualche metro da Ray, ruotò gli occhi al cielo e iniziò a sibilare, con la sua lunga lingua da vipera, solo maldicenze.
«Ecco che ci risiamo» sussurrò con una smorfia derisoria verso Danielle, «guarda come le stanno appresso. Non abbiamo ancora fatto le audizioni ma sembrano avere già le idee ben chiare su chi sarà la gallinella dalle uova d'oro» e Danielle ridacchiò senza farsi vedere: «Se continuerà di questo passo, al posto della uova, farà un bella frittata»
«Come darti torto» incrociò le braccia al petto, guardando Nora dall'alto al basso come spazzatura, «é un fottuto disastro»
E per quanto Ray odiasse quelle interazioni meschine, non poteva non costatare coi suoi stessi occhi quanto Nora Smith — colei che sembrava essere la migliore del loro gruppo di ballerine — fosse totalmente opposta a Carmen.
Era chiusa. Esitante. E lontana. Volteggiava con sorrisi fin troppo finti per sembrare reali e Carmen, in quell'assolo ispirato alla meravigliosa rappresentazione di Svetlana Zakharova, nel lontano 2005, non sembrava la donna intrigante che ammaliava il mondo.
In lei non c'era nessun sentimento, né la voglia di reclamare a sé gli uomini o i passanti con la sua sensualità; la passione era pressoché inesistente e quel mondo disinibito la metteva in soggezione. Era palese quanto fosse insoddisfatta del tema.
Ma il suo problema principale riguardava un gusto personale... o i vecchi ricordi collegati alla riproposizione di Carmen, da parte dell'ABT?
Ray si morse le labbra: perché c'erano così tanti misteri lì dentro?
Nora si fece un po' di coraggio: «Intende i suoi corsi?» ovvero alle lezione tenute da Jimin per aiutare la Collins. Ma Katherine Walls scosse la testa: «No. Mi riferisco alle prove» rispose seccata, «quelle delle prese per il pass de duex, vi siete visti come ha suggerito Janssens?»
Nora chiuse la bocca e mormorò un no molto flebile.
La maître si mise a sedere senza staccarle gli occhi di dosso. «E cosa stai aspettando?» domandò sarcastica, «é un fuori classe Nora. É il meglio. Non abbiamo mai avuto un primo ballerino come Park Jimin e hai il privilegio di averlo come partner»
Potrebbe essere il tuo debutto artistico, disse dopo.
Quelle parole fecero irrigidire Nora. Rachel, standosene appollaiata alla sbarra, guardò Ray per pensare insieme, con la mente, alla stessa cosa.
Lei non voleva come partner Park Jimin.
«Lo so...» sussurrò delicatamente.
«Io non credo che tu lo sappia invece» le disse molto duramente, «la compagnia sta nutrendo molte aspettative su di te» la tua famiglia sta investendo su di te.
Nora si strinse il braccio con la mano sinistra per evitare di urlare. Puntò la lingua contro la guancia: «E ne sono contenta» continuò, «é un privilegio per me. Spero di poter dare il meglio ed essere scelta alle audizioni» però, come alluse alla parola "audizioni", sembrò caricare il fatto che lei non fosse ancora la solista per essere Carmen. E che la signora Walls e Janssens si stavano facendo troppi film mentali su una cosa non decisa.
Sembravano volerla per forza come solista, a discapito del vero merito. D'altra parte, dal punto di vista di una ballerina che aveva sacrificato anni e sangue per essere lì, nessuno non avrebbe esitato un secondo a leccare i piedi per essere Carmen.
Ma Nora Smith non dava segni di negatività o contentezza: era un'automa. Faceva quello che le veniva chiesto.
Di fatti, Katherine Walls accolse a petto ampio quella sottile frecciata sputata dalla giovane, pensò "deve essere la stanchezza" a farla parlare con quell'incoscienza. Perché solo uno stupito cane, in mezzo ai lupi affamati e travestiti da agnelli, avrebbe rifiutato il ruolo di capo branco.
«Certo» disse Katherine Walls con la voce arsa dal tempo e del freddo di inizio novembre, senza convinzione, ma se lo tenne per sé, «staremo a vedere» e lanciò lei, questa volta, una penetrante occhiata alla mora.
Nora abbassò gli occhi per terra, un gesto d'abitudine, come a mascherare quel connubio di emozioni negative che sentiva addosso, finché Katherine non la rimise al posto. Uscì dal raggio d'azione e si mise vicino a Rachel in silenzio.
«Non te la prendere...» le sussurrò l'anica, cercando di non mostrarsi vulnerabile. Ma la mora scosse la testa, chiudendo gli occhi: «Non dire niente, per favore» e come sempre finiva così.
Rachel rilasciò un lungo sospiro. Ray non sapeva che cosa dirle, non faceva parte di quel piano d'etile e amicizia confidenziale, e rassicurarla, dicendole che era stata comunque divina, non avrebbe cambiato nulla.
Non le avrebbe mai creduto.
«Judite» la chiamò Katherine, appollaiata vicino al pianista. Quel giorno si era bardata il collo con una spessa pashmina grigio tortora, indossava una tuta non troppo larga e teneva i capelli racconti in uno chignon; chiamò la ragazza dal nulla e lei, con un sorriso smagliante, camminò immediatamente al centro.
«Sì, maestra?»
«Mostrami che cosa farebbe Carmen. Fammi vedere come rapisce l'attenzione di tutti quanti, conquistando il cuore di Don José» in termini poveri: mostrami come ballerebbe una vera donna libera. Mostrami quello che non riesce a darmi Nora Smith.
Quella richiesta la lasciò di stucco. Ma la soddisfazione e il compiacimento non la fecero indietreggiare, anzi, lanciò un'occhiata a Nora, e a Ray, sbattendogli in faccia il suo momento di gloria. Perché la bionda non aveva dimenticato lo sguardo interessato di Janssens su Ray Morgan, trovandola a eseguire prese perfette con l'etoile.
Appena vide Ray ingrigirsi, morendo dalla voglia di avere il suo stesso coraggio e la stessa attenzione per ballare lì in mezzo, si sentì ancora più carica. Si pose in un port de bras alla seconda prima di partire e aspettò il via del pianista.
Nora sentì ancora una volta le note dell'Habanera e decise di afferrare la borsa, senza guardare nessuno in faccia, per indirizzarsi verso l'uscita. Uscì sbattendo la porta e tutte quante la guardarono andare via sconvolte.
Tutte tranne Katherine Walls, fece finta di niente e disse a Judite di proseguire dall'inizio.
Si respirava un'aria e tetra e pesante lì dentro, quasi quanto le rughe spuntate sulla fronte della maître nel vedere Judite, nonostante la sua sensualità indiscutibile, non in linea alle richieste del personaggio.
Non era convincente, cercava di mascherare i dubbi del suo corpo con il solito sorriso accattivante — ma vuoto — come se un'occhio attento e critico come il suo, non notasse certe cose. Katherine vedeva in lei la giusta ambizione per stare sul palco e ottenere il degno successo, ma non c'era la cura, né la voglia, né l'intenzione di essere un'artista che voleva trasmettere il suo credo agli altri.
Essere egoisti nella vita é un bene. Ma esserlo nel sentimento equivale a scavarsi la fossa con le proprie mani.
Alzò il palmo della mano per chiuderlo in un pugno, in modo che il pianista si accorgesse di lei. Il musicista si fermò immediatamente e Judite, ferma in un arabesque, si guardò intorno confusa.
«Grazie Judite, puoi andare al posto» ma il suo non sembrava un congedo soddisfatto; la invitò a tornarsene a stirasi le punte alla sbarra mentre pensava. La bionda mostrò un cipiglio sul viso, innervosita: perché l'aveva fermata?
Si morse la lingua altezzosa e tornò vicino a Danielle.
La maître sembrava sull'orlo della disperazione quel giorno: nessuna sarebbe stata all'altezza delle aspettative se avessero continuato con questo atteggiamento. Poi l'occhio le cadde sulla piccola Ray Morgan, persa nel suo vivido sguardo sognante e la labbra premute in una linea.
«Ray»
Tutte quante alzarono lo sguardo sulla compagna, sbalordite e scioccate; persino Rachel si mostrò confusa. Ray sembrava ancora nel mondo dei sogni perciò Rachel le diede una gomitata senza farsi vedere.
Si ridestò e la osservò disorientata: Rachel le stava parlando col labiale. Ma non le servì sforzarsi perché la maître, con la sua voce rauca, la chiamò ancora.
«Ray Morgan»
Ray si voltò con le spalle dritte e la testa fissa come un palo. «Maestra, mi dica» e nonostante tutto continuava ancora a darle del lei. Il rispetto che nutriva per quella donna era inquantificabile: rimaneva la maestra che aveva lanciato Camille Brigitte — la prima ballerina, ora in dolce attesa — verso il successo, d'altronde era stata una delle poche a credere in lei.
E forse fu anche per questo che Katherine sembrava così frustrata dalle giovani debuttanti: non avevano la stessa fame della sua ex prima ballerina.
Ma quando guardava Ray, senza sapere il perché, inconsciamente ridacchiava tra sé sotto i baffi. Ignorò la formalità, apprezzandola comunque, per continuare: «Vieni al centro, so che mancano cinque minuti alla fine della lezione ma voglio vederti»
Ray divenne pallida. Le altre ruotarono gli occhi al cielo e Judite non si fece problemi a sussurrare ad alta voce: «Attenta a non tremare per i fouettés, piccola Ray» in modo che la sentisse perfettamente, prendendola ancora in giro per la pessima diagonale eseguita nella lezione con Jimin.
Katherine guardò e basta senza intervenire: voleva capire entrambi i caratteri. La ragazza del Wisconsin strinse i pugni ai lati dei fianchi e la ignorò, presa dal panico nel dover ballare sotto l'occhio critico di Katherine Walls. Si mise al centro e si posizionò nella stessa posa di Judite, in attesa della musica.
L'Habanera iniziò e Ray chiuse di proposito gli occhi per non guardarsi allo specchio. Erano gli altri che dovevano guardare lei, perciò non serviva il suo riflesso. Era imprecisa, ma aveva acquistato un buonissimo aplomb dopo i continui richiami di Park Jimin sulle sue anche alte, perciò non era nulla che non si potesse risolvere con pratica e attenzione.
Katherine socchiuse gli occhi per osservarla bene: più che una zingara sensuale e intrigante, sembrava un fiore acerbo bagnato di leggerezza. La sua timidezza era intuibile persino dalle guance rosse, ma la sua esitazione non era la stessa che accumunava Nora Smith.
Nora era brava, pulita e perfetta come un foglio bianco: la migliore dal punto di vista tecnico. Ma rimaneva anonima nel suo limite, e senza personalità.
Ray era leggera, timida, imprecisa e sbarazzina: ma aveva un qualcosa dentro che non sempre mostrava agli altri. Ed era quel particolare che la rendeva più credibile delle altre nell'interpretare Carmen.
Forse, a differenza di Nora e Judite, Ray ne sentiva l'esigenza. Aveva un motivo per voler essere come Carmen.
Fece del suo meglio pur non essendo preparata abbastanza; dopotutto era una coreografia improvvisata e che verrà corretta quando avranno scelto la solista per creare la scenografia esterna. Katherine alzò la mano e fermò la musica, Ray si stoppò e si pose con i piedi in quinta.
La castana vide Katherine tirare fuori un quadernino rilegato in pelle, dapprima lasciato sulle sue cosce, e scrivere qualcosa sopra di esso. Qualcuno bisbigliò e il brusio si fece più assordante.
«Bene...» chiuse il quaderno e si guardò l'orologio sul polso per decretare l'orario, «la lezione é finita. Domani mattina non sarò presente per motivi personali, ma farò in modo di avere un sostituto dell'accademia per la lezione di punte» esordì alzando gli occhi senza fissare nessuno negli occhi, «Buon proseguimento» concluse.
Ray era ghiacciata sul posto: aveva fatto così schifo?
Judite le passò vicino e le sbatté apposta la spalla fulminandola con la sua altezza: «Levati dai piedi» ruggì tra i denti e con gli occhi infuocati. La incenerì con lo sguardo mentre Ray si raggelò, guardando la bionda riprendere a camminare seguita da Danielle.
La studiò andare via sotto il passo pesante: perché ora ce l'aveva con lei? Katherine non sembrava affatto soddisfatta della sua esibizione, anzi, secondo Ray, Judite aveva più probabilità di Nora di essere la candita perfetta.
E tra i mille dubbi e perplessità, prima di dileguarsi, Katherine le passò vicino e la chiamò di nuovo: «Ray, hai un secondo?» domandò con serietà, senza bilanciarsi troppo e la castana ebbe paura che la cacciasse via.
«Mi dica» mormorò andandole incontro. Katherine si tolse gli occhiali e pensò bene a cosa dire: «Siete tutte quante un enorme disastro» partì lanciando la prima bomba.
Il cuore di Ray si strinse all'interno del petto e sussultò sensibile. «Mi dispiace» aveva già gli occhi acquosi.
Katherine la visionò sottecchi e si rimise gli occhiali sul ponte del naso: «E siete ancora ben lontane dal rappresentare questa donna. Ci tenevo che narraste al meglio Carmen» non disse il perché, ma era intuibile che trattasse con delicatezza il contesto del femminicidio che tuttora aggravava sul piano sociale e politico, «ma bisogna lavorarci»
«Va bene...» disse solamente Ray, non sapendo cosa dire, «mi dispiace che non ci sia riuscita e che abbia fallito» mormorò afflitta.
«In realtà...» la corresse, «sei stata l'unica finora ad avermi soddisfatto, nonostante le imprecisioni, hai cercato di amalgamarti con lei» e con quel lei, si riferiva alla sola e unica Carmen.
Ray sbarrò gli occhi incredula: «Signora Walls, lei sta dicendo che...»
«Io non sto dicendo nulla Morgan» esordì criptica, senza troppe espressioni tra le rughe della fronte, «sta a te leggere tra le righe e trarre le giuste conclusioni. Il mio lavoro l'ho fatto, trova il modo di far cadere ai piedi un uomo col solo sguardo... e poi ritorna da me» la lasciò con un grosso dubbio addosso.
Indirettamente, la stava aiutando?
«Ma... signora Walls, é impossibile» venne presa dal panico mentre le guance diventavano come due pomodori maturi: «Non fa parte di me... sedurre gli uomini»
Sono la prima che scappa via da loro.
La maître la guardò sottecchi e arricciò le labbra: «Hai vent'anni Morgan — o poco più —, sei nel pieno della vita. La base già ce l'hai per questo ruolo, anche l'intenzione, ma devi saper essere insolente quando si tratta di uomini. Ricordati che Carmen rimane fedele solamente verso se stessa; é disinibita, forte, passionale e voluttuosa solo per la sua indipendenza, non per gli altri»
Benché meno per gli uomini.
«Perciò impara a sedurre un uomo con la tua sola volontà. Con un solo sguardo. Ma non é detto che ce la farai,» le ricordò facendola accigliare, «e potrei anche sbagliarmi»
«Farò il possibile, maestra. Anche se... sarò costretta a tirare fuori lati di me che non mi piacciono» dichiarò Ray con un po' di titubanza.
«Basati di meno sulle parole e più sul ballo. Vedremo se ne varrà la pena» schioccò la lingua sul palato saccente, mostrandosi dura e imparziale come un mentore agonistico.
Ma comunque Ray non si perse d'animo dinanzi al cambio d'umore della maître; le aveva detto che era una possibile candidata per Carmen, il resto non contava. Per questo abbassò il capo ringraziandola per ogni consiglio esordito, ne avrebbe tesoro.
Katherine Walls, arrivata a un metro dalla porta, si fermò esitante: «Alla prossima Morgan»
«Alla prossima signora Walls» ricambiò il saluto.
«E mi raccomando: non fare tardi alla lezione di domani mattina» quella col sostituto? — Ray era disorientata — perché era una banale lezione di punte, molte di loro non avrebbero nemmeno partecipato, «secondo piano, ultima sala del corridoio. Alle otto in punto»
Puntuale.
Tornare all'appartamento in solitudine sembrava ormai una routine giornaliera; aveva imparato che Nora andava e tornava ogni volta da sola per i fatti suoi, senza aspettare nessuno. E se la vista non la ingannava, almeno tre volte a settimana, la figlia degli Smith si faceva dare un passaggio da un'auto di lusso completamente nera; mentre Rachel, più notturna delle tre, usciva per concedersi del sano shopping, sesso e cocktail ipocalorici. Era l'unica che aveva amici in ogni angolo di New York nonostante la sua professione a tempo pieno.
Dunque, quando Ray tornava a casa dopo una sola fermata di metro, c'era sempre un lugubre silenzio tombale ad attenderla, ma anche se ci fosse stata Rachel quel giorno, la coinquilina con cui aveva legato maggiormente, non le avrebbe potuto dire nulla sulla signora Walls. Fremeva però, voleva parlare e confrontarsi con un'amica dopo tanti anni, eppure era stata proprio Rachel a dirle di non fidarsi mai di nessuno lì dentro.
E Ray comprese che, una conversazione avuta come quella con Katherine Walls, poteva significare un piano avverso per Nora: dopotutto era la sua migliore amica e lei una qualunque arrivata dal Wisconsin. Dirle che forse c'era una speranza per lei dichiarava, d'altra parte, che per una piccola percentuale Nora non sarebbe stata scelta. Ed era più forte di lei non dispiacersi per gli altri, ma loro sarebbero mai stati dispiaciti per i suoi fallimenti?
Rachel non l'avrebbe mai compresa appieno ed era una ballerina, proprio come lei, in lista per le audizioni.
Perciò si limitò a sospirare prima di farsi una doccia e fasciarsi i piedi coperti di ferite. Dopodiché andò a letto ma, mentre si distese sotto le coperte, lesse sulla piccola chat di gruppo della coinquiline che Nora non ci sarebbe stata domani mattina. Avrebbe dormito dai suoi, nel quartiere ricco di Tribeca, per schiarirsi le idee... o almeno così scrisse lì sopra.
Rachel, perché appunto sarebbe mancata la signora Walls, invece si era presa la mattinata libera in modo da saltare la noiosa lezione di punte col sostituto. A quanto pare nessun di loro era così entusiasta di partecipare a quel corso, eppure non capiva come mai la maître della cerchia d'élite ci tenesse così tanto a farla partecipare.
Spense il telefono e dormì da sola quella notte; Rachel tornò alle quattro di notte e non diede più segni di vita ben oltre le prime luci del mattino. Ray sentì la lontana sveglia delle sette, posticipata ormai per la quinta volta, suonare indispettita sul comò e mormorò qualcosa senza senso.
Ma si rimise a dormire tranquilla come ogni mattina, con un sorriso inconscio stampato sulla faccia sapendo che poteva contare sull'ultimatum di Rachel: non era altro che la sua sveglia umana borderline, per dirle di alzarsi immediatamente o che avrebbe tardato un'altra volta.
Sorrise, ancora in preda alla sollecitudine del calore attraverso alle coperte, ma poi qualcosa la spinse ad aprire gli occhi immediatamente. Trovando, di fatti, la bocca spalancata di Rachel e il suo russare frastornante.
Rachel non sarebbe venuta a lezione, quindi non si era svegliata.
Quante volte aveva posticipato la sveglia?
Alzò lo sguardo assonnato verso l'ora e vide che erano le sette e quarantacinque di mattina; la lezione iniziava alle otto.
«Porca puttana!»
E ripeté la stessa cosa mentre cercava di infilarsi il body ristretto in lavatrice tra la fretta; imprecò anche quando rinunciò a legarsi i capelli in metro attraverso il riflesso del treno — impossibilitata a muoversi perché quell'ora era pieno di gente; e lo disse di nuovo quando sbagliò strada per la classe arrivata all'ABT.
«Per quale diavolo di motivo hanno cambiato stanza!?» borbottò da sola, arrivata al secondo piano col fiatone pronto a vomitargli dalla gola.
Guardò l'ora dal telefono e sbiancò.
Erano le otto e dieci; la signora Walls le aveva detto di essere puntuale. E lei era fottutamente in ritardo.
Vide la porta benedetta in fondo al secondo piano e si lanciò a capofitto su di essa, senza ascoltare chi o che cosa avesse intorno. Non sentì una musica ben diversa da Chopin o Bach eseguita dal pianista e nemmeno il rumore di punte sul pavimento gommato, ma era troppo presa dal ritardo per accorgersi.
L'aprì, con gli occhi ancora non del tutto lucidi a causa dell'aria calda riscaldata in tutta la sala, e vide il perimetro sgombro e una forte musica pop a sbatterle sulle orecchie. Rimase immobile, paralizzata dinanzi a quella realtà ben diversa da quello che si aspettava.
Non c'erano le sue colleghe già pronte sulla sbarra.
Non c'era nessun sostituto a contare il tempo al posto di Katherine Walls.
E non c'era Chopin.
Niente di tutto questo.
C'era solamente Park Jimin in mezzo alla stanza e ricoperto da un sottile strato di sudore addosso, la lucentezza di quest'ultimo venne resa possibile dalla sua completa esposizione fisica. Era mezzo nudo, con gli occhi chiusi e il collo teso verso di lato in modo eccitante. Aveva un paio di pantaloncini stretti e neri a coprirgli il minimo indispensabile, risaltando comunque il suo posteriore perfetto dalla sua prospettiva, per il resto ogni muscolo e nervo era libero da ogni tessuto.
Il suo petto nudo vibrava verso l'alto presumibilmente per lo stretching movimento, ritmato alla canzone; un altro aspetto per il quale Ray fu rimasta scioccata: quella che stava sentendo era Houdini di Dua Lipa.
Cosa stava succedendo? Dov'era la sua lezione di punte?
Sentì il panico aprirle lo stomaco in due, ma prima che potesse anche solo tornare indietro e fare finta di niente, chiudendo la porta e passando inosservata tra le vie del silenzio, Park Jimin aprì lentamente gli occhi percependo qualcosa nell'aria.
C'era qualcosa di troppo strano intorno a lui. Schiuse le palpebre e mise a fuoco, tornando dritto col collo guardando attraverso lo specchio.
«Ma che cazzo...» si lasciò uscire nella sua lingua madre asiatica, allibito e fin troppo impreparato nel vedere una testa presuntuosa e fastidiosa spuntare dalla porta..
Ray tirò un sorriso finto, con le guance infuocate e nascoste dai capelli ancora sciolti. E come se non bastasse, da completa idiota, osò chiedergli impacciata, in soggezione e con una risatina isterica:
«Immagino che questa non sia la lezione di punte con il sostituto della signora Walls, vero?»
Lei, dannazione, era decisamente troppo.
𝘓𝘢 𝘤𝘢𝘮𝘱𝘢𝘯𝘦𝘭𝘭𝘢:
𝘍𝘳𝘢𝘯𝘻 𝘓𝘪𝘴𝘻𝘵 𝘦 𝘕𝘪𝘤𝘤𝘰𝘭ò 𝘗𝘢𝘨𝘢𝘯𝘪𝘯𝘪
ᴀɴɢᴏʟɪɴᴏ
Hello!!!
Voglio schiantarmi per questo Jimin~ 🫠🫠🎪🎪🎪
Iniziamo:
Abbiamo finalmente visto che cosa succede nell'arco di un'ora a Jimin, poco prima di incontrare Ray fuori dall'ABT (cosa che succede nel capitolo precedente) e nonostante non sia successo apparentemente niente... ho sganciato un sacco di indizzi qua e lá.
- Tutti vedono Jimin pronto, dopo anni dalla cosa misteriosa che é successa, ma in realtà é ancora turbato nel profondo e si vede con Carmen. Ed é anche frustrato perché deve ballare con Nora.
- Oggi il boy aveva le palle piene e per quanto possa sembrare all'esterno chiuso e una red flag, dice sia a Gale e a Oliver cose molto importanti. Che lasciano comunque trasparire indirettamente, in piccolissima percentuale, come sia lui in realtà.
Ovvero: é uno stronzo egoista? Okay, si, ma comunque ha protetto il suo nome delle calunnie e quello di Ray, per ben due volte. E Igor é scioccato :0
Lui é il primo a definirsi tranquillamente uno stronzo, ma gli altri hanno deciso di classificarlo così per esperienza personale o per convenienza? 🤷🏻♀️ eheeh
- Ora sappiamo anche il motivo del perché Jimin, quando esce dall'ABT nel capitolo precedente, non guarda Ray. Né la saluta. Anzi cerca di fare il distaccato coglioncello. Mentre lui la vede come un... troppo, 👀 (Jimin sei un clown)
- Vi aspettavate che Oliver ce l'avesse così tanto con Jimin per questo? Per lui é stato come un brutto trauma, l'occasione perfetta andata infrantimi per un fuori classe che aveva deciso di variare compagnia. E Jimin nonostante tutto lo rimette al posto nei suoi soliti modi... fini.
Ma tra loro non é di tua qui, anzi!
- Nora... non posso dirvi tanto. Katherine sa quello che vuole e tra le tre, nonostante l'inesperienza e l'attitudine bambinesca, preferisce Ray. Tant'è che anche lei, come Jimin, vede qualcosa di nascosto nel suo potenziale.
Ma cosa la limita?
- SONO UN CLOWN LO SO, MA MAI QUANTO KATHERINE.
ma dovevo far terminare il capitolo così perché... nell'altro accadranno cose su cose. Ma ve lo immaginate Jimin in culotte aderenti che fa stretching ascoltando Dua Lipa?
Ray é palesemente morta.
Alla prossima 👀❤️
𝘓𝘢 𝘤𝘢𝘮𝘱𝘢𝘯𝘦𝘭𝘭𝘢:
𝘍𝘳𝘢𝘯𝘻 𝘓𝘪𝘴𝘻𝘵 𝘦 𝘕𝘪𝘤𝘤𝘰𝘭ò 𝘗𝘢𝘨𝘢𝘯𝘪𝘯𝘪
𝙐𝙉'𝙊𝙍𝘼 𝙋𝙍𝙄𝙈𝘼.
Nonostante le quasi otto ore di allenamento giornaliero, consumate dai ballerini professionisti, vengono aggiunte, a volte, anche delle sostanziose ripetizioni in sala pesi. Gli uomini erano ben consapevoli che sollevare ballerine senza recare infortuni, pur mantenendo la perfezione delle linee e l'intensità del ruolo, non era un lavoro assicurato per tutti.
In tanti peccavano come partner e resistenza muscolare, ma ahimè, era un requisito fondamentale per diventare qualcuno d'importante: non dimentichiamoci che, nonostante la richiesta di salti, estensioni e la ricerca dell'elasticità, la danza é un'arte. Il ballerino deve essere in primo luogo un'artista e non si comunica solamente con l'atletica, ma anche con il sentimento.
L'essere ballerini era, dunque, un'arma a doppio taglio.
Era indole.
Era sacrificio.
Era passione.
Era sangue.
«Quindi...» Igor Kuznetsov schioccò la lingua sul palato mentre guardava il culo di Rihanna, stretto in un baggy jeans anni 2000, nel vecchio MV trasmesso dal televisore appeso al muro, «Carmen» espirò sintetico.
«Stai zitto» Jimin si sforzò di parlare mentre sollevava il bilanciere da quaranta chili sulla panca piana, partendo dal petto per l'ottava volta. Sentiva andargli a fuoco persino le viscere ma, cascasse il mondo, avrebbe consumato ogni traccia di nervosismo nel corpo prima di defilarsi a casa.
«No, dico. Scelta interessante quella di Janssens» continuò come se non avesse sentito uscire nulla dalle labbra del coreano. «Chissà perché riproporre questa storia dopo tutto questo tempo» e fu quasi ripetitivo risaltare come il tono ingenuo di Igor, ovviamente finto, servisse per celare della malizia.
Park Jimin stava letteralmente esplodendo dall'interno. Era stata una pessima giornata la sua, credeva che lavorare di nuovo con Janssens potesse rinvigorire la sua spiritualità artistica, come successe a Londra con Giselle, invece l'unica cosa che si era rinvigorita era la sua frustrazione. Per non parlare delle palle piene che gli erano venute per ballare con Nora Smith.
«Igor—» sentì il fiato mancargli mentre cercò di resistere con le braccia alte verso l'alto. I bicipiti erano gonfi di sangue e muscoli. Le vene spingevano verso l'alto. «Non hai un cazzo da fare?»
«Nah» scimmiottò fantasticando sul prossimo video musicale pop, «ho finito le mie serie»
Il suo percorso di PHA training per quel giorno era completato; si era spaccato di esercizi in super serie senza riposo fra uno e l'altro. Se avesse continuato, oltre la dose consigliata dai loro dottori, si sarebbe ritrovato a sciogliere anche le ossa, oltre al grasso. Ma Jimin sembrava non aver stabilito un limite per gli esercizi e ormai, anche se passati anni, Igor conosceva R-Ice Man più di se stesso: era troppo incazzato per fermarsi.
«Allora levati dai coglioni!» gli urlò a fine ripetizione per cercare di toglierlo dai piedi, lui e la sua mentalità freudiana, mentre imprecava combattuto.
Sperava di trovarsi da solo in palestra: a chi mai verrebbe l'idea di venire in sala pesi dopo una mattinata passata a sollevare ballerine, di quaranta e cinquanta chili, per quasi sei ore di fila? Il pazzo era lui, certo, ma lo erano anche tutti gli altri pecoroni che si erano presi la briga di seguirlo all'ultimo piano dell'ABT. Ovviamente, Park Jimin era stato lodato da Alexander Janssens, perciò perché non imitarlo al meglio?
Come se fossero pronti e preparati per essere i futuri Don José, o per eguagliare un etoile, con la carica di primo ballerino in più compagnie, con una seduta in più alla sala pesi: impossibile.
Quindi, in parole povere, era per colpa sua se ora quella palestra, di circa sessanta metri quadri, pullulava di danzatori, sospensori stretti in posti sconosciuti e puzza di sudore.
Ed era altrettanto colpa sua se, a due tapis roulant di distanza, Gale Harper cercava di mostrarsi grosso e sufficiente con la sua bocca fottutamente larga. Park Jimin, per sua natura, tollerava pochissime persone al mondo, ma quel deficiente non rientrava nemmeno nella lista di tolleranza forzata e impostata dal suo lavoro.
Forse nemmeno nella lista di civiltà; si rifiutava categoricamente di guardarlo, figuriamoci anche solo comunicarci.
«Janssens ti ha messo al tappeto oggi» sentì uno dei suoi colleghi interagire con Gale; quest'ultimo sbuffò sudato sul nastro del tapis roulant. «É colpa di quella lì»
«Morgan?» gli chiese, ricordandosi magicamente il cognome. Sentendolo uscire dalle bocche dei due idioti Jimin non poté non ascoltare.
«Sì, lei. Ma dovevo aspettarmelo: se era l'unica rimasta senza partner un motivo doveva esserci» sghignazzò guardando l'altro. «Però con Park ha ballato bene» sentenziò l'amico.
«Sì sarà sciolta perché sarà l'ennesima sfigata che gli muore dietro» e alluse a fin troppe cose da pettegolo con quella dichiarazione, «non so se mi capisci» finì con un ghigno e l'altro annuì, scoppiando a ridere. «E poi é facile ballare con un primo ballerino, hai la strada praticamente spianata. Fallo con un futuro solista come me, solo allora dimostri quanto vali»
Ora mi alzo e gli spacco il culo.
Igor, vedendo un cipiglio ancora più solcato di quello originario su Jimin, e forse intuendo il pensiero del suo collega, cercò di riportarlo con i piedi per terra.
«Ignorali» emise con uno sbadiglio, «cerca di compatirli. Con quel quoziente intellettivo non ne vedranno una per almeno altri cinque anni»
Quella battuta fece nascere una leggera smorfia divertita sulla faccia di Jimin.
«Non avevo intenzione di fare nulla» riprese il bilanciere tra le mani e gonfiò il petto per ripartire. Il russo guardò quella ripetizione di troppo per nulla convinto: «Cazzate, vorresti spaccargli questo bilanciere dritto sui denti» l'apostrofò seccato, «Lo farei anch'io ma sono stanco. E dovresti esserlo anche tu dopo la seconda ripetizione di troppo che ti sei messo in testa di fare. Coglione»
Per la loro fortuna quei due spenserò i tapis roulant e si allontanarono per dirigersi verso lo spogliatoio, lasciando da soli Igor e Jimin.
«Nuova generazione del cazzo» commentò critico Igor fissandoli andare via.
«Ancora non capisco perché sei qui se—» Jimin si fermò per colpa del bruciore muscolare e strizzò gli occhi, «hai finito da venti minuti»
«Per evitare di trovarti domani mattina mezzo morto qui sulla panca, con un bilanciere incastrato sulla faccia» rispose sarcastico.
«Premuroso—» si leccò le labbra secche per colpa dei liquidi che stava perdendo, «da parte tua. Ma non succederà niente del genere»
«Certo. Perché in quel caso, se non ti sentirai più le braccia, userai il cazzo al posto loro per non morire schiacciato?»
Solitamente Jimin avrebbe risposto con una frase ben lontana dall'esplicita volgarità del suo collega, del tipo: "non rispondo a queste cazzate", o un sintetico "vaffanculo, russo di merda." Ma era fin troppo sovrastimolato dall'energie negative.
«O potrei lanciartelo in faccia anche adesso, cosa ne pensi?» domandò sarcastico senza avere bisogno di risposte. L'amico dai toni chiari e freddi della sua terra tirò un sorriso: «Se rispondessi anche a una sola delle domande su Janssens potrei pensare di lasciartelo fare»
Jimin ruotò gli occhi al cielo, con la pazienza esaurita: «La mia risposta te l'ho già data»
«"Fottiti" non vale come risposta»
«Certo che sì» strizzò gli occhi un po' preoccupato: le braccia stavano tremano fin troppo, forse era seriamente arrivato al limite fisico.
«Voglio un cazzo di parere, Jimin. Mica la luna» ribatté infastidito, perdendo d'occhio la visibile instabilità di Jimin con quel bilanciere traballante.
«Non ho niente da dire!» sibilò con le vene del collo gonfie per lo sforzo.
«Ah sì? E non hai niente da dire sul fatto che molto probabilmente ballerai con Nora?»
Quel contrattacco lo destabilizzò così tanto che perse l'equilibrio: «Shibal!—» imprecò nella sua lingua madre e Igor, udendo quel coreano biascicato, rotto dalla mancanza di aria e dall'ennesima provocazione su Nora Smith, capì di essersi spinto troppo in là.
Sobbalzò e arrivò in aiuto dell'etoile; si mise dietro di lui, in modo che le sue braccia potessero afferrare la sbarra d'acciaio e riporla sul power rack.
«Fottuto pezzo di merda!» esordì con il fiatone in gola e la paura sul petto, «potevi ammazzarti!»
Jimin, ora libero da qualunque peso addosso, si stese sfinito sulla panca mentre le braccia gli tremavano appena, riposate sull'addome: «É colpa tua. Mi hai distratto con le tue cazzate su Janssens e Nora» si mise una mano sulla fronte per tirarsi i capelli indietro, «Cosa vuoi che ti dica? Ammetto che ballare Carmen risveglia in me ricordi spiacevoli del passato e che... essere il futuro partner di Nora non mi alletta? Sono cose che già sapevi» emise arrabbiato, «smettila di psicoanalizzarmi»
Igor guardò il soffitto per mordersi la lingua. «Come cazzo facevo a saperlo se nel mezzo sono passati anni, eh!?» sospirò frustrato dal fatto che Jimin non comunicasse mai nulla, nessuno sapeva che cosa passasse per l'anticamera del suo cervello dinanzi a situazioni spiacevoli. «Non ti leggo nella mente. Posso conoscerti abbastanza bene per arrivarci da solo che questa situazione, per te, sia una spina nel fianco? Certo, é intuibile» rispose da solo con ovvietà, «ma io pretendo un tuo cazzo di parere. Perché tutti credono che tu ormai sia pronto per andare avanti, ammetto di averlo creduto anche io all'inizio, ma vederti ballare con Nora é stato un disastro»
In termini molto, molto, brevi, non lo era.
E forse Janssens l'aveva intravisto quella mattina.
«Io sono pronto» affermò mentre tornava a sedersi e guardò dritto davanti a sé, stringendo la mascella: sentirsi svilire per qualcosa che non dipendeva da lui lo mandava fuori di senno.
Se lui e Nora erano ai ferri corti, per non dire ai limiti della civilista umana, non poteva farci nulla. Aveva avuto altri problemi legati a partnership mal assortite o con ballerine veramente mediocri in passato, ma il limite riguardava solamente il loro. Lui faceva la sua perfetta e strabiliante figura, tanto da oscurare chiunque ballasse al suo fianco.
Ma quella era la prima volta che i problemi del partner rischiavano di rendergli il lavoro difficile, forse perché dentro di lui sapeva che il problema in sé non era ballare con Nora.
Ma ballare Carmen, con Nora Smith, col rischio che possa ricordarsi di lei.
«Non lo eri» gli disse sincero Igor, nel suo sommario empatico per niente analitico , «perlomeno con Nora. Se devo basarmi sulla prova eseguita con Ray Morgan, posso dirti che la parte di Don José é tua» quella nota pizzicò il petto di Jimin, tant'è che lo guardò da sopra la spalla.
«Quella parte é già mia, indipendentemente da chi ballerà con me»
Ma Igor si sollevò con la schiena dritta e prese il suo asciugamano per metterselo accanto al collo, allungò la mano per aiutare Jimin ad alzarsi: «Non esserne così troppo sicuro» lo deride sottilmente.
Jimin sollevò un sopracciglio: «E, di grazia, perché?»
«Perché spero con tutto il cuore, R-Ice Man, che non diano la parte di Carmen a Nora. Non solo non é la persona giusta per interpretarla,» si fermò Igor, aspettando che l'altro lo seguisse verso gli spogliatoi, «ma non é una partner conveniente per te. Se lavorerete insieme non verrà un buon lavoro» sospirò, «voglio vedere fin dove Janssens spingerà»
«Non é un problema mio Igor se la sceglieranno come solista. Non hanno fatto neanche i provini e già hanno puntato gli occhi su lei» espresse il suo naturale fastidio.
«Lo so, per questo spero che non ci sia lo zampino della sua famiglia o dei Dixon a ribaltare la classica di meritocrazia» e cercò di spiegarsi meglio, «Nora é brava e talentosa, non discuto su ciò. Ma é lampante che sia...» si grattò la testa.
«... Anonima?» finì al posto suo.
Igor annuì: «Drammaticamente anonima» esordì a bassa voce quando uno dei ballerini gli passò a fianco, «però può migliorare, prima o poi, ma ora...» si fermò cercando le parole mentre Jimin lo ascoltava in silenzio, «non può fare Carmen, e tu sai anche il perché»
Oh, Jimin lo sapeva benissimo il perché Nora non poteva interpretare quella parte.
«Il tuo parere non cambierà comunque l'opinione della commissione artistica, né l'esito di Janssens, Igor» emise con gli occhi fermi, neri come il carbone e freddi, «perciò fammene fare una ragione. Quello che voglio io non conta» e fu inutile dire che tono con cui disse quelle parole furono acide e amare.
«Staremo a vedere» mormorò semplicemente Igor mentre apriva la porta dello spogliatoio. E per la loro sfortuna videro ancora quel coglione di Gale Harper a parlare di sé, senza accorgersi di avere il diretto interessato dietro le spalle.
«Avanti, non sparare stronzate!» in mutande, puntò l'indice contro Ramón Aguirre, «come puoi dire che é stata brava se sembrava un fottuto ceppo di legno»
«Dico solo quello che ho visto» disse l'argentino con tranquillità; l'unico agitato era Gale. Di fatti, nervoso e arrossato, palesato con la sua la sua carnagione bianchiccia, lo mandò a quel paese.
«Certo, perché appunto non vedevi o sentivi come starnazzava ogni volta che eseguivo un sollevamento!» agitò col braccio, enunciando la sua verità. Ramón ruotò gli occhi al cielo: «Amico, sinceramente: non me ne frega un cazzo»
«Dopo aver ballato con lei non venire a lamentarti con me per il mal di schiena» e lanciò l'ennesima frecciata sul peso di Ray Morgan.
Jimin si fece spazio in mezzo ai corpi dei ballerini, senza toccarne nemmeno uno — la sola idea lo disgustava — e aprì, come se niente fosse, il suo armadietto accanto a quello di Gale.
Guarda un po' che coincidenza...
«Gale Harper, giusto?» domandò fissando i prodotti per il corpo riposti nel borsone — sempre dentro all'armadietto —, risaltando come dopo settimane di incontri e collaborazioni avesse appositamente dimenticato il nome di quella nullità.
Il ragazzo si girò e si drizzò allibito: «Sì, é giusto» confermò.
«Non avresti il mal di schiena se azionassi di più braccia e gambe al posto della bocca in palestra» calò immediatamente il silenzio mentre Igor, per nulla toccato da quella risposta priva di umiltà, decise di appoggiarsi al muro e godersela.
Gale Harper boccheggiò; inizialmente incredulo che Park Jimin abbia parlato con lui, in secondo piano poi, si ridestò offeso.
«Scusami?»
«Non c'è bisogno di scusarti» afferrò lo shampoo senza guardarlo negli occhi, «dopotutto sei un idiota. Con quelli come te tocca avere pazienza» qualcuno rise senza dubbio. Anzi, Ramón per poco non si ribaltò dalla panca.
Era un classico per Jimin usare il sarcasmo anche nei momenti di pura serietà.
«Ma che diavolo...» sbottò umiliato, «ehi Park, che cazzo ti prende!?» domandò avvicinandosi di un paio di passi. Ma Jimin non gli rispose, continuò a guardare la descrizione del suo shampoo con enorme interesse. «Igor» chiamò l'altro primo ballerino, «è questo quello anti irritazione?»
Lui fece spallucce: «Ha il tappo blu?»
«Sì»
Annuì: «allora è quello»
Quell'atteggiamento fece innervosire ancora di più Gale e cercò di afferrargli lo shampoo per levarglielo dalle mani.
Ma Jimin intercettò immediatamente le sue intenzioni tramite i riflessi lesti e lo bloccò dal polso, stringendolo in una presa d'acciaio. Alzò il suo braccio e lo portò davanti agli occhi terrorizzati di Gale.
«Prova a toccarmi ancora» i suoi occhi divennero stretti e completamente neri, «osa solo riavvicinarti a me, o anche a dire altre stronzate sul mio conto, merdoso pezzo di merda» sibilò agghiacciante, forzando la stretta sul braccio, «e farò in modo di renderti così inabile da farti riuscire a sollevare solamente le tue polemiche» gli strattonò il braccio ancora una volta prima di lasciarlo andare.
I suoi occhi smarriti e impauriti, ora non più grassi di ego, furono sufficienti per ritirare la sua autorità in mezzo a quella giungla di folli.
Gale si strinse il braccio dolente e fece almeno tre passi indietro; voleva parlare, gridare e dirgliene quattro a quel coreano del cazzo, ma era tutto inutile. Era evidente il divario tra lui e l'etoile, non solo per l'evidente forza fisica: ma anche la classe.
«Non ho detto niente contro di te» ebbe il coraggio di dire.
Bugiardo — Jimin aveva ben sentito che cosa pensava di lui, ma non era questo il succo del suo più grande fastidio. Sapeva di essere uno stronzo e tossica come persona, accettava con grande rispetto questo pensiero, ma non tollerava il fango riversato sui suoi sforzi e nel suo lavoro.
E prima di ogni cosa, Park Jimin non raccomandava mai nessuno col potere del proprio status, come invece aveva osato sostenere Gale, in sala pesi.
«Stronzate» rispose duro, «ma non m'importa. Come ho detto prima: sei un idiota. E con quelli come te... tocca avere pazienza» e iniziò a spogliarsi della magliatta intrisa di sudore e dei pantaloncini da basket, restando in mutande. Lanciò i suoi vestiti sporchi contro di lui — dei quali non gli importava nemmeno di riaverli indietro — e Gale li afferrò spaventati.
«Però m'importa se fai il coglione con chi non c'entra niente» chiuse l'anta dell'armadietto cosi forte che il rumore metallico risuonò per tutta la stanza. A quel punto Igor lo guardò sottecchi.
Che si stesse riferendo a...
«Assumiti le tue responsabilità e non scaricarle sulle tue partner. Se sei un ballerino mediocre...» e fece un sogghigno, «prendersela con chi é migliore non é un buon modo per farla pagare al mondo. Harper» si mise un asciugamano sulla spalla e, senza più degnare Gale e nessun altro, avanzò in direzione delle docce.
Dopo quella silenziosa fine un brusio si inalzò. Tutti quanti fecero finta di niente ed evitarono di commentare cosa fosse appena successo: a quanto pare Park Jimin, oltre alla sua freddezza, era anche una gran testa calda.
Mentre Igor Kuznetsov, nella sua impassibilità, fece emergere comunque un cipiglio dubbioso mentre si rintanava anch'egli in doccia.
R-Ice Man aveva appena difeso una ballerina?
𝙏𝙍𝙀𝙉𝙏𝘼 𝙈𝙄𝙉𝙐𝙏𝙄 𝙋𝙍𝙄𝙈𝘼.
Ci mise più tempo del previsto a curarsi le unghie dei piedi quel pomeriggio; non avendo il kit medico con sé non poteva praticare chissà cosa, ma non credeva nemmeno che dopo la doccia gli scoppiasse una vescica sull'alluce. Jimin strinse gli occhi e imprecò nella sua lingua madre mentre tamponava la lesione arrossata: fare certe manovre da soli era deleterio. Ma Igor aveva già lasciato l'edificio ben dieci minuti fa, perciò l'etoile si era arrangiato alla bell'e meglio nonostante l'esito di quella giornata infernale.
Sentiva il bisogno di tornarsene a casa e dormire almeno per dieci ore di fila; il cattivo umore non permetteva alla serotonina di espandersi abbastanza affinché non ce l'avesse a morte con chiunque gli capitasse davanti. E per sua immensa sfortuna, nel suo cammino, incrociò non volendo un ballerino che non sopportava nemmeno l'idea di avere Park Jimin accanto a sé.
Ma l'etoile, tra i pensieri e il dolore al piede, non si rese conto di aver urtato la spalla del giovane ballerino sulle rampe di scale. Quest'ultimo si fermò immediatamente mentre Jimin continuò a scendere per i fatti suoi.
Finché: «Tsk, ora il grande Park Jimin non si degna nemmeno di scusarsi con i comuni mortali?» quella frase in ruppe il ritmo.
Jimin tornò coi piedi per terra, si fermò statico e girò il volto per guardare l'ennesimo fenomeno del giorno — come se non ne avesse affrontati abbastanza oggi. Mise a fuoco e incrociò dei fili biondi e sottili come il grano; era un ragazzo alto, ben piazzato e con un portamento appariscente. Se lo ricordava molto bene durante gli allenamenti, anche quello stesso giorno aveva avuto modo di catturare la sua attenzione.
Era un solista con un forte accento londinese. A volte ballava con Judite Dixon e oggi l'aveva visto approcciarsi animatamente con Ray Morgan.
La sua compostezza esterna risaltava un giovane ragazzo che sapeva il fatto suo, certo, non come Jimin. Gli suscitava però un che di famigliare, ma il nome gli sfuggiva: anche se era tornato da poco più di due mesi era stato impossibilitato, a causa delle pratiche del trasferimento delle classi, nel conoscere la sua nuova squadra.
«Eh?» si limitò a chiedere.
L'altro fece una smorfia amara e scese un paio di gradini: «Mi sei venuto incontro. La tua spalla ha urtato la mia e non te ne sei nemmeno reso conto...» sembrava ironicamente meravigliato, «ti credi Dio?»
Jimin si accigliò: a quanto pare aveva davanti a sé uno che cercava rogne.
«Quasi» gli rispose apposta con una leggera malizia per farlo irritare — da perfetto stronzo ed egoista quale era — e, per come il biondo perse immediatamente la sua sfacciataggine, sembrò colpirlo alla grande.
«Non l'ho fatto apposta» esordì seccato poco dopo, «scusami» ammise sincero. E provò a girarsi per levarsi da lì ma il biondino insistette. «Che senso hanno delle scuse fatte da una persona che nemmeno sa riconoscerti?» quella era una frecciata bella e buona.
Era ben chiaro che il ragazzo avesse un conto in sospeso.
A quel punto Jimin si tolse il cappuccio dalla testa e lo studiò attentamente: com'era solito a fare col nemico. «Cerchi guai, ma oggi sono la persona meno indicata con cui sfogare la tua merda» gli mise in chiaro glaciale.
«Oggi?» mormorò con un risatina isterica, «e quando mai lo saresti?»
Jimin socchiuse gli occhi in due fessure, mise le mani in tasca e restò lì a guardarlo: «Qual é il tuo problema?» andò dritto al punto, «parli come se mi conoscessi»
Ma l'altro non si fece cogliere impreparato e scese ancora di qualche gradino: «Sei tu» disse con una paurosa tranquillità, «Sei tu il mio problema»
L'etoile sbarrò leggermente gli occhi ma nascose lo stupore. «Credo che tu abbia preso un abbaglio biondino. Non sono in cerca di guai e nemmeno tu dovresti esserlo»
L'altro si passò una mano tra i ciuffi biondi e scaricò tutta la sua frustrazione nel suo sguardo grigio; erano occhi di chi dentro nutriva una grossa rabbia.
«Mi chiamo Oliver Fisher» rispose con una leggera smorfia sul viso, odiava essere chiamato "biondino", «ma come potresti saperlo Park, quando non ti interessa nessuno al di fuori di te stesso»
Era chiaramente risentito. Park Jimin non si offese minimamente, aveva la pelle spessa e quasi trent'anni ormai: Oliver Fisher non sarebbe stato né il primo né l'ultimo ad additarlo in quel modo. Fece un sorriso provocatorio e fece un passo in avanti: «Ricordare i nomi di chi non mi interessa é un aspetto "invalidante" del mio carattere, mi dispiace» rispose prendendolo per i fondelli.
E, in qualche modo, risaltando come Park Jimin fosse oggettivamente migliore di lui lo fece infuriare ancora di più.
Essere comparato con l'etoile era il suo tallone d'Achille: ma solo Judite Dixon ne era al corrente.
«Eppure» continuò Jimin vedendolo perso, «non sarà mai invalidante come i tuoi pensieri nei confronti dello spettro artistico del nostro lavoro»
Oliver lo guardò sinceramente confuso e sussultò: «A cosa ti riferisci?»
Jimin gli lanciò un'occhiata e si avvicinò di più: ora era lui il vertice che decretava chi destabilizzare.
«Mi riferisco alla tua profonda ignoranza, Fisher» disse irruenti, «a come sminuisci per gioco il pensiero altrui. A come trai piacere nel provocare le persone con il tuo finto pensiero non convenzionalista, ma fattelo dire: non sei figo se prendi in giro una ragazzina perché le piace il Lago dei Cigni» lo sbatté con le spalle al muro, «anzi, sei un emerito idiota che parla a sproposito» e gli mise in chiaro che aveva sentito tutta la sua diatriba con Ray Morgan.
E, sinceramente parlando, pensò che fosse un totale idiota dopo aver aperto bocca per replicare su Carmen. Forse non si era reso conto di quanto il biondino parlasse ad alta voce a volte.
Oliver si avvicinò così tanto da ritrovarsi faccia a faccia: era pieno di collera. Le vene sul collo flettevano pericolosamente contro la pelle bianca del londinese.
«Non sai niente di me»
«É quasi ironico come lo stesso varrebbe per te nei miei confronti»
«Io parlo perché so come sei davvero, Park Jimin» ribatté con i pugni chiusi lungo i fianchi. A quel punto Jimin fece scorrere lo sguardo a destra e sinistra sul suo viso, cercando qualsiasi tipo di indizio: «Non sai assolutamente niente di me, Fisher» gli ripeté calmo, con sangue freddo.
«Quindi non ti ricordi di me!?» alzò la voce Oliver, completamente afflitto e con il controllo andato a pezzi, «Tu... alla Royal Ballet mi hai surclassato appena hai messo piede lì dentro! Davvero non ti ricordi di questo!?» davvero non ti ricordi della carriera che hai spezzato?
Jimin lo guardò privo di emozioni: «Non come vorresti tu. Non con la stessa importanza che mi stai concedendo ora» o forse anni, dichiarò sincero, «ho avuto tante parti, e surclassato di conseguenza molte persone. Tra cui tu. Non aspettarti che io possa riconoscere la sete della tua vendetta»
Sulle spalle ne porto mille e altre.
Si allontanò facendo qualche passo indietro, lasciandolo respirare. «Sei stato uno dei tanti» fu come ricevere una lama sul petto, «perciò cerca di renderti unico. Di migliorarti. Perché dire di essere il migliore senza mai dimostrarlo é deplorevole» si rimise il cappuccio in testa e strinse la cinghia del borsone, «Quando io affermo di esserlo, é perché lo sono»
Io dimostro di essere il migliore.
Oliver non riuscì a dire altro: non era questa la fine che si aspettava. Credeva di destabilizzare Jimin buttandogli in faccia mesi e anni di sofferenza per colpa sua; del trauma vissuto per essere stato surclassato alle audizioni dall'etoile alla Royal Ballet; dei ruoli minori che ricoprì subito dopo in altre compagnie per l'ombra gigante del successo di Park Jimin; di come Judite Dixon elogiava quel bastardo per sminuirlo apposta.
«Tu non sei migliore di me» sibilò tra i denti, con il volto chino al pavimento.
Jimin si girò dandogli le spalle, stanco, dolorante e incazzato col mondo. Ma prima lo guardò sottecchi un'ultima volta.
«Sono il migliore, ma non ho mai specificato in cosa» ammise, «lo sono nella danza. D'altra parte non esiste altro che mi aggrada» e proseguì verso l'uscita.
Lasciando Oliver Fisher da solo, su quelle rampe di scale, coi suoi tremori e demoni. Dove lui, contratto, guardò il migliore andare via apparentemente indisturbato. E lo maledice, chiuse i pugni e si frantumò la pelle con le unghie, scaricandogli il suo dolore addosso.
Mentre Jimin uscì dall'ABT fumando, coi capelli ancora umidi sulla fronte e i nervi tesi per quella giornata infinita. Prima Janssens, Carmen, Nora Smith, Igor, Gale Harper, Oliver Fisher e...
Ray Morgan, davanti a lei e affiancata a Rachel Hall, era lì impegnata a ridere con le guance completamente rosse, un po' per il freddo e l'imbarazzo, e coi capelli raccolti. Stretta in un cappotto lungo, troppo grande per lei e stravagante, che però le stava comunque bene.
Perché sì, in quella lunga lista di persone che avevano lasciato la loro impronta in quella giornata, c'era anche Ray Morgan. Nel loro ballo. Il ritmo. L'accenno del pass de duex. E le sue mani addosso.
C'era tra la bocca larga di Gale Harper.
E nelle sue difese.
C'era nel rimprovero contro Oliver Fisher.
E nelle sue intenzioni.
C'era troppo. Fin troppo.
Abbassò lo sguardo a terra, verso un punto indefinito e fingendo che non esista, perché anche solo guardarla ora, dopo tutto ciò...
Sarebbe stato troppo.
Dopo l'ultima conversazione avuta con Jimin, Ray si era ritrovata a perseguitare per giorni il concetto di essere Carmen come le aveva fornito l'etoile. Guardava con occhi sognanti l'accurata attenzione che Katherine Walls cercava di impartire a tutte loro il culto acceso dell'Habanera, ovvero: l'amour est un oiseau rebelle.
L'amore é un uccello ribelle.
La quinta scena del primo atto; la filosofia dell'amore e della stravagante personalità di Carmen, unica alla quale mantenne il concetto di fedeltà, richiamando a sé un paradosso ben voluto perché lei, nella storia, incarna apparentemente il simbolo della leggerezza e infedeltà. Dunque, rimarrà viva e devota solamente al suo credo di donna libera fino all'arrivo della morte.
Fino a quando Don José non le strapperà la vita dal petto a mani nude.
«Lunghe!» la signora Walls sbatté le mani con gli occhiali spessi calati sul naso, «Voglio quelle gambe lunghe! Stese! Dovete sedurre, siate femminili!»
La musica scattò e le ballerine del secondo gruppo si ritrovarono a rifare gli stessi errori: erano rigide, troppo pensierose e poco sceniche. La maître stoppò la musica con un lamento e tutte quante si fermarono sfinite; era una coreografia basata su punte veloci, braccia scattanti e tanta scenografia mischiata al flamenco.
Ed era quest'ultimo punto il problema più grande da affrontare.
«Okay...» si mise le mani in mezzo ai capelli e ci pensò su, «Nora» la chiamò e quest'ultima — partecipe del gruppo —, sudata e assorta, si mise composta, «come va la pratica con Jimin?»
Quello era un nervo scoperto. Anzi, una piaga così grossa nella quale Judite Dixon amava ogni volta commentarci sopra. Di fatti la bionda, a qualche metro da Ray, ruotò gli occhi al cielo e iniziò a sibilare, con la sua lunga lingua da vipera, solo maldicenze.
«Ecco che ci risiamo» sussurrò con una smorfia derisoria verso Danielle, «guarda come le stanno appresso. Non abbiamo ancora fatto le audizioni ma sembrano avere già le idee ben chiare su chi sarà la gallinella dalle uova d'oro» e Danielle ridacchiò senza farsi vedere: «Se continuerà di questo passo, al posto della uova, farà un bella frittata»
«Come darti torto» incrociò le braccia al petto, guardando Nora dall'alto al basso come spazzatura, «é un fottuto disastro»
E per quanto Ray odiasse quelle interazioni meschine, non poteva non costatare coi suoi stessi occhi quanto Nora Smith — colei che sembrava essere la migliore del loro gruppo di ballerine — fosse totalmente opposta a Carmen.
Era chiusa. Esitante. E lontana. Volteggiava con sorrisi fin troppo finti per sembrare reali e Carmen, in quell'assolo ispirato alla meravigliosa rappresentazione di Svetlana Zakharova, nel lontano 2005, non sembrava la donna intrigante che ammaliava il mondo.
In lei non c'era nessun sentimento, né la voglia di reclamare a sé gli uomini o i passanti con la sua sensualità; la passione era pressoché inesistente e quel mondo disinibito la metteva in soggezione. Era palese quanto fosse insoddisfatta del tema.
Ma il suo problema principale riguardava un gusto personale... o i vecchi ricordi collegati alla riproposizione di Carmen, da parte dell'ABT?
Ray si morse le labbra: perché c'erano così tanti misteri lì dentro?
Nora si fece un po' di coraggio: «Intende i suoi corsi?» ovvero alle lezione tenute da Jimin per aiutare la Collins. Ma Katherine Walls scosse la testa: «No. Mi riferisco alle prove» rispose seccata, «quelle delle prese per il pass de duex, vi siete visti come ha suggerito Janssens?»
Nora chiuse la bocca e mormorò un no molto flebile.
La maître si mise a sedere senza staccarle gli occhi di dosso. «E cosa stai aspettando?» domandò sarcastica, «é un fuori classe Nora. É il meglio. Non abbiamo mai avuto un primo ballerino come Park Jimin e hai il privilegio di averlo come partner»
Potrebbe essere il tuo debutto artistico, disse dopo.
Quelle parole fecero irrigidire Nora. Rachel, standosene appollaiata alla sbarra, guardò Ray per pensare insieme, con la mente, alla stessa cosa.
Lei non voleva come partner Park Jimin.
«Lo so...» sussurrò delicatamente.
«Io non credo che tu lo sappia invece» le disse molto duramente, «la compagnia sta nutrendo molte aspettative su di te» la tua famiglia sta investendo su di te.
Nora si strinse il braccio con la mano sinistra per evitare di urlare. Puntò la lingua contro la guancia: «E ne sono contenta» continuò, «é un privilegio per me. Spero di poter dare il meglio ed essere scelta alle audizioni» però, come alluse alla parola "audizioni", sembrò caricare il fatto che lei non fosse ancora la solista per essere Carmen. E che la signora Walls e Janssens si stavano facendo troppi film mentali su una cosa non decisa.
Sembravano volerla per forza come solista, a discapito del vero merito. D'altra parte, dal punto di vista di una ballerina che aveva sacrificato anni e sangue per essere lì, nessuno non avrebbe esitato un secondo a leccare i piedi per essere Carmen.
Ma Nora Smith non dava segni di negatività o contentezza: era un'automa. Faceva quello che le veniva chiesto.
Di fatti, Katherine Walls accolse a petto ampio quella sottile frecciata sputata dalla giovane, pensò "deve essere la stanchezza" a farla parlare con quell'incoscienza. Perché solo uno stupito cane, in mezzo ai lupi affamati e travestiti da agnelli, avrebbe rifiutato il ruolo di capo branco.
«Certo» disse Katherine Walls con la voce arsa dal tempo e del freddo di inizio novembre, senza convinzione, ma se lo tenne per sé, «staremo a vedere» e lanciò lei, questa volta, una penetrante occhiata alla mora.
Nora abbassò gli occhi per terra, un gesto d'abitudine, come a mascherare quel connubio di emozioni negative che sentiva addosso, finché Katherine non la rimise al posto. Uscì dal raggio d'azione e si mise vicino a Rachel in silenzio.
«Non te la prendere...» le sussurrò l'anica, cercando di non mostrarsi vulnerabile. Ma la mora scosse la testa, chiudendo gli occhi: «Non dire niente, per favore» e come sempre finiva così.
Rachel rilasciò un lungo sospiro. Ray non sapeva che cosa dirle, non faceva parte di quel piano d'etile e amicizia confidenziale, e rassicurarla, dicendole che era stata comunque divina, non avrebbe cambiato nulla.
Non le avrebbe mai creduto.
«Judite» la chiamò Katherine, appollaiata vicino al pianista. Quel giorno si era bardata il collo con una spessa pashmina grigio tortora, indossava una tuta non troppo larga e teneva i capelli racconti in uno chignon; chiamò la ragazza dal nulla e lei, con un sorriso smagliante, camminò immediatamente al centro.
«Sì, maestra?»
«Mostrami che cosa farebbe Carmen. Fammi vedere come rapisce l'attenzione di tutti quanti, conquistando il cuore di Don José» in termini poveri: mostrami come ballerebbe una vera donna libera. Mostrami quello che non riesce a darmi Nora Smith.
Quella richiesta la lasciò di stucco. Ma la soddisfazione e il compiacimento non la fecero indietreggiare, anzi, lanciò un'occhiata a Nora, e a Ray, sbattendogli in faccia il suo momento di gloria. Perché la bionda non aveva dimenticato lo sguardo interessato di Janssens su Ray Morgan, trovandola a eseguire prese perfette con l'etoile.
Appena vide Ray ingrigirsi, morendo dalla voglia di avere il suo stesso coraggio e la stessa attenzione per ballare lì in mezzo, si sentì ancora più carica. Si pose in un port de bras alla seconda prima di partire e aspettò il via del pianista.
Nora sentì ancora una volta le note dell'Habanera e decise di afferrare la borsa, senza guardare nessuno in faccia, per indirizzarsi verso l'uscita. Uscì sbattendo la porta e tutte quante la guardarono andare via sconvolte.
Tutte tranne Katherine Walls, fece finta di niente e disse a Judite di proseguire dall'inizio.
Si respirava un'aria e tetra e pesante lì dentro, quasi quanto le rughe spuntate sulla fronte della maître nel vedere Judite, nonostante la sua sensualità indiscutibile, non in linea alle richieste del personaggio.
Non era convincente, cercava di mascherare i dubbi del suo corpo con il solito sorriso accattivante — ma vuoto — come se un'occhio attento e critico come il suo, non notasse certe cose. Katherine vedeva in lei la giusta ambizione per stare sul palco e ottenere il degno successo, ma non c'era la cura, né la voglia, né l'intenzione di essere un'artista che voleva trasmettere il suo credo agli altri.
Essere egoisti nella vita é un bene. Ma esserlo nel sentimento equivale a scavarsi la fossa con le proprie mani.
Alzò il palmo della mano per chiuderlo in un pugno, in modo che il pianista si accorgesse di lei. Il musicista si fermò immediatamente e Judite, ferma in un arabesque, si guardò intorno confusa.
«Grazie Judite, puoi andare al posto» ma il suo non sembrava un congedo soddisfatto; la invitò a tornarsene a stirasi le punte alla sbarra mentre pensava. La bionda mostrò un cipiglio sul viso, innervosita: perché l'aveva fermata?
Si morse la lingua altezzosa e tornò vicino a Danielle.
La maître sembrava sull'orlo della disperazione quel giorno: nessuna sarebbe stata all'altezza delle aspettative se avessero continuato con questo atteggiamento. Poi l'occhio le cadde sulla piccola Ray Morgan, persa nel suo vivido sguardo sognante e la labbra premute in una linea.
«Ray»
Tutte quante alzarono lo sguardo sulla compagna, sbalordite e scioccate; persino Rachel si mostrò confusa. Ray sembrava ancora nel mondo dei sogni perciò Rachel le diede una gomitata senza farsi vedere.
Si ridestò e la osservò disorientata: Rachel le stava parlando col labiale. Ma non le servì sforzarsi perché la maître, con la sua voce rauca, la chiamò ancora.
«Ray Morgan»
Ray si voltò con le spalle dritte e la testa fissa come un palo. «Maestra, mi dica» e nonostante tutto continuava ancora a darle del lei. Il rispetto che nutriva per quella donna era inquantificabile: rimaneva la maestra che aveva lanciato Camille Brigitte — la prima ballerina, ora in dolce attesa — verso il successo, d'altronde era stata una delle poche a credere in lei.
E forse fu anche per questo che Katherine sembrava così frustrata dalle giovani debuttanti: non avevano la stessa fame della sua ex prima ballerina.
Ma quando guardava Ray, senza sapere il perché, inconsciamente ridacchiava tra sé sotto i baffi. Ignorò la formalità, apprezzandola comunque, per continuare: «Vieni al centro, so che mancano cinque minuti alla fine della lezione ma voglio vederti»
Ray divenne pallida. Le altre ruotarono gli occhi al cielo e Judite non si fece problemi a sussurrare ad alta voce: «Attenta a non tremare per i fouettés, piccola Ray» in modo che la sentisse perfettamente, prendendola ancora in giro per la pessima diagonale eseguita nella lezione con Jimin.
Katherine guardò e basta senza intervenire: voleva capire entrambi i caratteri. La ragazza del Wisconsin strinse i pugni ai lati dei fianchi e la ignorò, presa dal panico nel dover ballare sotto l'occhio critico di Katherine Walls. Si mise al centro e si posizionò nella stessa posa di Judite, in attesa della musica.
L'Habanera iniziò e Ray chiuse di proposito gli occhi per non guardarsi allo specchio. Erano gli altri che dovevano guardare lei, perciò non serviva il suo riflesso. Era imprecisa, ma aveva acquistato un buonissimo aplomb dopo i continui richiami di Park Jimin sulle sue anche alte, perciò non era nulla che non si potesse risolvere con pratica e attenzione.
Katherine socchiuse gli occhi per osservarla bene: più che una zingara sensuale e intrigante, sembrava un fiore acerbo bagnato di leggerezza. La sua timidezza era intuibile persino dalle guance rosse, ma la sua esitazione non era la stessa che accumunava Nora Smith.
Nora era brava, pulita e perfetta come un foglio bianco: la migliore dal punto di vista tecnico. Ma rimaneva anonima nel suo limite, e senza personalità.
Ray era leggera, timida, imprecisa e sbarazzina: ma aveva un qualcosa dentro che non sempre mostrava agli altri. Ed era quel particolare che la rendeva più credibile delle altre nell'interpretare Carmen.
Forse, a differenza di Nora e Judite, Ray ne sentiva l'esigenza. Aveva un motivo per voler essere come Carmen.
Fece del suo meglio pur non essendo preparata abbastanza; dopotutto era una coreografia improvvisata e che verrà corretta quando avranno scelto la solista per creare la scenografia esterna. Katherine alzò la mano e fermò la musica, Ray si stoppò e si pose con i piedi in quinta.
La castana vide Katherine tirare fuori un quadernino rilegato in pelle, dapprima lasciato sulle sue cosce, e scrivere qualcosa sopra di esso. Qualcuno bisbigliò e il brusio si fece più assordante.
«Bene...» chiuse il quaderno e si guardò l'orologio sul polso per decretare l'orario, «la lezione é finita. Domani mattina non sarò presente per motivi personali, ma farò in modo di avere un sostituto dell'accademia per la lezione di punte» esordì alzando gli occhi senza fissare nessuno negli occhi, «Buon proseguimento» concluse.
Ray era ghiacciata sul posto: aveva fatto così schifo?
Judite le passò vicino e le sbatté apposta la spalla fulminandola con la sua altezza: «Levati dai piedi» ruggì tra i denti e con gli occhi infuocati. La incenerì con lo sguardo mentre Ray si raggelò, guardando la bionda riprendere a camminare seguita da Danielle.
La studiò andare via sotto il passo pesante: perché ora ce l'aveva con lei? Katherine non sembrava affatto soddisfatta della sua esibizione, anzi, secondo Ray, Judite aveva più probabilità di Nora di essere la candita perfetta.
E tra i mille dubbi e perplessità, prima di dileguarsi, Katherine le passò vicino e la chiamò di nuovo: «Ray, hai un secondo?» domandò con serietà, senza bilanciarsi troppo e la castana ebbe paura che la cacciasse via.
«Mi dica» mormorò andandole incontro. Katherine si tolse gli occhiali e pensò bene a cosa dire: «Siete tutte quante un enorme disastro» partì lanciando la prima bomba.
Il cuore di Ray si strinse all'interno del petto e sussultò sensibile. «Mi dispiace» aveva già gli occhi acquosi.
Katherine la visionò sottecchi e si rimise gli occhiali sul ponte del naso: «E siete ancora ben lontane dal rappresentare questa donna. Ci tenevo che narraste al meglio Carmen» non disse il perché, ma era intuibile che trattasse con delicatezza il contesto del femminicidio che tuttora aggravava sul piano sociale e politico, «ma bisogna lavorarci»
«Va bene...» disse solamente Ray, non sapendo cosa dire, «mi dispiace che non ci sia riuscita e che abbia fallito» mormorò afflitta.
«In realtà...» la corresse, «sei stata l'unica finora ad avermi soddisfatto, nonostante le imprecisioni, hai cercato di amalgamarti con lei» e con quel lei, si riferiva alla sola e unica Carmen.
Ray sbarrò gli occhi incredula: «Signora Walls, lei sta dicendo che...»
«Io non sto dicendo nulla Morgan» esordì criptica, senza troppe espressioni tra le rughe della fronte, «sta a te leggere tra le righe e trarre le giuste conclusioni. Il mio lavoro l'ho fatto, trova il modo di far cadere ai piedi un uomo col solo sguardo... e poi ritorna da me» la lasciò con un grosso dubbio addosso.
Indirettamente, la stava aiutando?
«Ma... signora Walls, é impossibile» venne presa dal panico mentre le guance diventavano come due pomodori maturi: «Non fa parte di me... sedurre gli uomini»
Sono la prima che scappa via da loro.
La maître la guardò sottecchi e arricciò le labbra: «Hai vent'anni Morgan — o poco più —, sei nel pieno della vita. La base già ce l'hai per questo ruolo, anche l'intenzione, ma devi saper essere insolente quando si tratta di uomini. Ricordati che Carmen rimane fedele solamente verso se stessa; é disinibita, forte, passionale e voluttuosa solo per la sua indipendenza, non per gli altri»
Benché meno per gli uomini.
«Perciò impara a sedurre un uomo con la tua sola volontà. Con un solo sguardo. Ma non é detto che ce la farai,» le ricordò facendola accigliare, «e potrei anche sbagliarmi»
«Farò il possibile, maestra. Anche se... sarò costretta a tirare fuori lati di me che non mi piacciono» dichiarò Ray con un po' di titubanza.
«Basati di meno sulle parole e più sul ballo. Vedremo se ne varrà la pena» schioccò la lingua sul palato saccente, mostrandosi dura e imparziale come un mentore agonistico.
Ma comunque Ray non si perse d'animo dinanzi al cambio d'umore della maître; le aveva detto che era una possibile candidata per Carmen, il resto non contava. Per questo abbassò il capo ringraziandola per ogni consiglio esordito, ne avrebbe tesoro.
Katherine Walls, arrivata a un metro dalla porta, si fermò esitante: «Alla prossima Morgan»
«Alla prossima signora Walls» ricambiò il saluto.
«E mi raccomando: non fare tardi alla lezione di domani mattina» quella col sostituto? — Ray era disorientata — perché era una banale lezione di punte, molte di loro non avrebbero nemmeno partecipato, «secondo piano, ultima sala del corridoio. Alle otto in punto»
Puntuale.
Tornare all'appartamento in solitudine sembrava ormai una routine giornaliera; aveva imparato che Nora andava e tornava ogni volta da sola per i fatti suoi, senza aspettare nessuno. E se la vista non la ingannava, almeno tre volte a settimana, la figlia degli Smith si faceva dare un passaggio da un'auto di lusso completamente nera; mentre Rachel, più notturna delle tre, usciva per concedersi del sano shopping, sesso e cocktail ipocalorici. Era l'unica che aveva amici in ogni angolo di New York nonostante la sua professione a tempo pieno.
Dunque, quando Ray tornava a casa dopo una sola fermata di metro, c'era sempre un lugubre silenzio tombale ad attenderla, ma anche se ci fosse stata Rachel quel giorno, la coinquilina con cui aveva legato maggiormente, non le avrebbe potuto dire nulla sulla signora Walls. Fremeva però, voleva parlare e confrontarsi con un'amica dopo tanti anni, eppure era stata proprio Rachel a dirle di non fidarsi mai di nessuno lì dentro.
E Ray comprese che, una conversazione avuta come quella con Katherine Walls, poteva significare un piano avverso per Nora: dopotutto era la sua migliore amica e lei una qualunque arrivata dal Wisconsin. Dirle che forse c'era una speranza per lei dichiarava, d'altra parte, che per una piccola percentuale Nora non sarebbe stata scelta. Ed era più forte di lei non dispiacersi per gli altri, ma loro sarebbero mai stati dispiaciti per i suoi fallimenti?
Rachel non l'avrebbe mai compresa appieno ed era una ballerina, proprio come lei, in lista per le audizioni.
Perciò si limitò a sospirare prima di farsi una doccia e fasciarsi i piedi coperti di ferite. Dopodiché andò a letto ma, mentre si distese sotto le coperte, lesse sulla piccola chat di gruppo della coinquiline che Nora non ci sarebbe stata domani mattina. Avrebbe dormito dai suoi, nel quartiere ricco di Tribeca, per schiarirsi le idee... o almeno così scrisse lì sopra.
Rachel, perché appunto sarebbe mancata la signora Walls, invece si era presa la mattinata libera in modo da saltare la noiosa lezione di punte col sostituto. A quanto pare nessun di loro era così entusiasta di partecipare a quel corso, eppure non capiva come mai la maître della cerchia d'élite ci tenesse così tanto a farla partecipare.
Spense il telefono e dormì da sola quella notte; Rachel tornò alle quattro di notte e non diede più segni di vita ben oltre le prime luci del mattino. Ray sentì la lontana sveglia delle sette, posticipata ormai per la quinta volta, suonare indispettita sul comò e mormorò qualcosa senza senso.
Ma si rimise a dormire tranquilla come ogni mattina, con un sorriso inconscio stampato sulla faccia sapendo che poteva contare sull'ultimatum di Rachel: non era altro che la sua sveglia umana borderline, per dirle di alzarsi immediatamente o che avrebbe tardato un'altra volta.
Sorrise, ancora in preda alla sollecitudine del calore attraverso alle coperte, ma poi qualcosa la spinse ad aprire gli occhi immediatamente. Trovando, di fatti, la bocca spalancata di Rachel e il suo russare frastornante.
Rachel non sarebbe venuta a lezione, quindi non si era svegliata.
Quante volte aveva posticipato la sveglia?
Alzò lo sguardo assonnato verso l'ora e vide che erano le sette e quarantacinque di mattina; la lezione iniziava alle otto.
«Porca puttana!»
E ripeté la stessa cosa mentre cercava di infilarsi il body ristretto in lavatrice tra la fretta; imprecò anche quando rinunciò a legarsi i capelli in metro attraverso il riflesso del treno — impossibilitata a muoversi perché quell'ora era pieno di gente; e lo disse di nuovo quando sbagliò strada per la classe arrivata all'ABT.
«Per quale diavolo di motivo hanno cambiato stanza!?» borbottò da sola, arrivata al secondo piano col fiatone pronto a vomitargli dalla gola.
Guardò l'ora dal telefono e sbiancò.
Erano le otto e dieci; la signora Walls le aveva detto di essere puntuale. E lei era fottutamente in ritardo.
Vide la porta benedetta in fondo al secondo piano e si lanciò a capofitto su di essa, senza ascoltare chi o che cosa avesse intorno. Non sentì una musica ben diversa da Chopin o Bach eseguita dal pianista e nemmeno il rumore di punte sul pavimento gommato, ma era troppo presa dal ritardo per accorgersi.
L'aprì, con gli occhi ancora non del tutto lucidi a causa dell'aria calda riscaldata in tutta la sala, e vide il perimetro sgombro e una forte musica pop a sbatterle sulle orecchie. Rimase immobile, paralizzata dinanzi a quella realtà ben diversa da quello che si aspettava.
Non c'erano le sue colleghe già pronte sulla sbarra.
Non c'era nessun sostituto a contare il tempo al posto di Katherine Walls.
E non c'era Chopin.
Niente di tutto questo.
C'era solamente Park Jimin in mezzo alla stanza e ricoperto da un sottile strato di sudore addosso, la lucentezza di quest'ultimo venne resa possibile dalla sua completa esposizione fisica. Era mezzo nudo, con gli occhi chiusi e il collo teso verso di lato in modo eccitante. Aveva un paio di pantaloncini stretti e neri a coprirgli il minimo indispensabile, risaltando comunque il suo posteriore perfetto dalla sua prospettiva, per il resto ogni muscolo e nervo era libero da ogni tessuto.
Il suo petto nudo vibrava verso l'alto presumibilmente per lo stretching movimento, ritmato alla canzone; un altro aspetto per il quale Ray fu rimasta scioccata: quella che stava sentendo era Houdini di Dua Lipa.
Cosa stava succedendo? Dov'era la sua lezione di punte?
Sentì il panico aprirle lo stomaco in due, ma prima che potesse anche solo tornare indietro e fare finta di niente, chiudendo la porta e passando inosservata tra le vie del silenzio, Park Jimin aprì lentamente gli occhi percependo qualcosa nell'aria.
C'era qualcosa di troppo strano intorno a lui. Schiuse le palpebre e mise a fuoco, tornando dritto col collo guardando attraverso lo specchio.
«Ma che cazzo...» si lasciò uscire nella sua lingua madre asiatica, allibito e fin troppo impreparato nel vedere una testa presuntuosa e fastidiosa spuntare dalla porta..
Ray tirò un sorriso finto, con le guance infuocate e nascoste dai capelli ancora sciolti. E come se non bastasse, da completa idiota, osò chiedergli impacciata, in soggezione e con una risatina isterica:
«Immagino che questa non sia la lezione di punte con il sostituto della signora Walls, vero?»
Lei, dannazione, era decisamente troppo.
𝘓𝘢 𝘤𝘢𝘮𝘱𝘢𝘯𝘦𝘭𝘭𝘢:
𝘍𝘳𝘢𝘯𝘻 𝘓𝘪𝘴𝘻𝘵 𝘦 𝘕𝘪𝘤𝘤𝘰𝘭ò 𝘗𝘢𝘨𝘢𝘯𝘪𝘯𝘪
ᴀɴɢᴏʟɪɴᴏ
Hello!!!
Voglio schiantarmi per questo Jimin~ 🫠🫠🎪🎪🎪
Iniziamo:
Abbiamo finalmente visto che cosa succede nell'arco di un'ora a Jimin, poco prima di incontrare Ray fuori dall'ABT (cosa che succede nel capitolo precedente) e nonostante non sia successo apparentemente niente... ho sganciato un sacco di indizzi qua e lá.
- Tutti vedono Jimin pronto, dopo anni dalla cosa misteriosa che é successa, ma in realtà é ancora turbato nel profondo e si vede con Carmen. Ed é anche frustrato perché deve ballare con Nora.
- Oggi il boy aveva le palle piene e per quanto possa sembrare all'esterno chiuso e una red flag, dice sia a Gale e a Oliver cose molto importanti. Che lasciano comunque trasparire indirettamente, in piccolissima percentuale, come sia lui in realtà.
Ovvero: é uno stronzo egoista? Okay, si, ma comunque ha protetto il suo nome delle calunnie e quello di Ray, per ben due volte. E Igor é scioccato :0
Lui é il primo a definirsi tranquillamente uno stronzo, ma gli altri hanno deciso di classificarlo così per esperienza personale o per convenienza? 🤷🏻♀️ eheeh
- Ora sappiamo anche il motivo del perché Jimin, quando esce dall'ABT nel capitolo precedente, non guarda Ray. Né la saluta. Anzi cerca di fare il distaccato coglioncello. Mentre lui la vede come un... troppo, 👀 (Jimin sei un clown)
- Vi aspettavate che Oliver ce l'avesse così tanto con Jimin per questo? Per lui é stato come un brutto trauma, l'occasione perfetta andata infrantimi per un fuori classe che aveva deciso di variare compagnia. E Jimin nonostante tutto lo rimette al posto nei suoi soliti modi... fini.
Ma tra loro non é di tua qui, anzi!
- Nora... non posso dirvi tanto. Katherine sa quello che vuole e tra le tre, nonostante l'inesperienza e l'attitudine bambinesca, preferisce Ray. Tant'è che anche lei, come Jimin, vede qualcosa di nascosto nel suo potenziale.
Ma cosa la limita?
- SONO UN CLOWN LO SO, MA MAI QUANTO KATHERINE.
ma dovevo far terminare il capitolo così perché... nell'altro accadranno cose su cose. Ma ve lo immaginate Jimin in culotte aderenti che fa stretching ascoltando Dua Lipa?
Ray é palesemente morta.
Alla prossima 👀❤️
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