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𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟓: 𝐂𝐀𝐑𝐌𝐄𝐍 𝐈𝐒 𝐀 𝐖𝐎𝐌𝐀𝐍















𝘈𝘳𝘵𝘩𝘶𝘳 𝘍𝘪𝘦𝘥𝘭𝘦𝘳:
𝘚𝘦𝘤𝘰𝘯𝘥 𝘐𝘯𝘵𝘳𝘢𝘮𝘦𝘻𝘻𝘰







Carmen. É un'opera complessa e grondante d'amore smisurato per la libertà e l'indipendenza personale; é vivere quell'attimo fuggente, il coerente brivido cercato con tutti i rischi annessi, fino alla morte.

É una storia dove secondo alcuni non esistono ruoli totalmente positivi e negativi, solo spettri psicologici di natura fortemente complessa; si affronta la rinuncia dei propri valori, il credo e la famiglia per "amore", d'altra parte, si parla della volontà di scappare liberi senza alcun limite. Esiste una battaglia dei sessi dove Carmen, essendo donna, é individuata come il nemico principale, eppure nessuno ne é così sorpreso.

Perché non esisteva nulla di più pericoloso e scomodo di una donna indipendente, non sottomessa e che trattava gli uomini senza troppa importanza: il suo credo e la libertà, erano gli unici principi che ruotavano intorno alla vita e lo dimostra la sua morte: muore a causa della possessione, cercando di affrontarla senza tirarsi indietro.

Carmen è la voglia di vivere. Carmen é ribellione. Carmen é realismo.

Carmen é la denuncia contro i moventi di passione e possesso della mascolinità tossica.

Carmen é donna.

Una donna così forte, passionale, sensuale e disinibita, intrisa di indipendenza, che una ballerina deve sentire lo stesso e identico richiamo per immedesimarsi appieno nel personaggio, se così non fosse si diviene solamente la sua ombra.

E chi mai, tra tutte le celebri e aggraziate fanciulle dell'ABT, sarebbe stata così spiritualmente libera e passionale da interpretarla per lo spettacolo d'inverno?

A udire il titolo dell'opera Nora Smith sbarrò gli occhi e sentì la terra tremarle sotto i piedi. Guardò istintivamente Park Jimin appisolato tra i suoi pensieri, trovandolo assorto e leggermente destabilizzato da una scelta simile.

Non era nei suoi obbiettivi interpretare un ruolo del genere, questo era il pensiero costante di Nora.

Tra i corridoi della sua famiglia e i direttori generali che lavoravano al posto di Albert Fray, si vociferava di una nuova rappresentazione de Il Lago Dei Cigni, consapevole di aver qualche chance in più per interpretare il ruolo.

Ma Carmen...

Nora avrebbe preferito immedesimarsi in qualche fanciulla delicata e morente di mal d'amore, invece di trovarsi a boccheggiare senz'aria per colpa dei demoni passati di una donna così intrigante.

Ray fu una delle poche, insieme a lei, che non applaudì alla rivelazione del titolo: non era maldicente, se ne infischiava dei gossip e durante la sua carriera aveva avuto poco tempo per "acculturarsi" sulla vita passata di tutti i ballerini famosi e presenti sulla Terra. Ma anche il novellino più malinformato del settore sapeva della misteriosa storia che vi era accaduta tra la Carmen e l'American Ballet Theatre.

E il caso volle che, oltre a Ray e Nora, a non battere le mani furono proprio Igor Kuznetsov e Park Jimin, entrambi rigidi e leggermente destabilizzati. Perché in mezzo alla misteriosa storia della compagnia e il balletto, dalle cadenze ispaniche, c'erano i tragici motivi che portarono Park Jimin a lasciare la squadra per lunghi cinque anni.

E mai nessuno, prima d'ora, si era permesso di riproporlo in quell'intervallo.

Jimin fece uscire una risatina bassa, acida, udibile soltanto a qualche centimetro di distanza da lui, per esorcizzare il suo stupore.

«Siamo tutti ben coscienti della complessità psicologica e pratica di questi ruoli: abbiamo bisogno di una Carmen» guardò le ballerine, «e di un Don José» saettò verso gli uomini, «molto passionali e carnali. Ci deve essere chimica! Sono due ruoli difficili e dovrete dare il massimo per interpretare una donna con un forte spirito anticonformista e un uomo che per possessione, ahimè, ha perso tutto, compresa la ragione. Arrivando all'assassinio di Carmen»

Il silenzio trionfò sopra a qualche chiacchiericcio appena nato, la maggior parte di loro tacque e si concentrarono su quello che la Collins aveva ancora da dichiarare.

«Le audizioni per le parti si terranno tra due settimane; le ballerine, durante le mie lezioni, si cimenteranno con l'Habanera. Mentre gli uomini, da adesso in poi, oltre a provare la parte di Don José, verranno accoppiati con ognuna di loro per il pas de deux»

Ray Morgan non sapeva se essere più agitata per il breve assolo, dove avrebbe dovuto risaltare la sensualità e lo spirito travolgente di Carmen — una donna che non aveva paura di andarsi a prendere ciò che voleva —, oppure per il pas de deux.

Un passo a due fatto di armonia, sintonia e intimità: la simulazione di una notte di passione. Sesso. E lei non aveva la benché minima idea di che cosa fosse, o fatto, il sesso in sé.

«Bene. Se non ci sono domande vi lascio nelle mani della mia collega. La signora Walls — altra maître della cerchia d'élite — per oggi sarà la vostra guida» chiamò verso di sé una donna di mezza età. Katherine Walls spuntò dallo stipite della porta e si mise al fianco di Alexander Janssens.

Fece un rapido inchino e i ballerini la imitarono velocemente. «Alexander vi darà una mano con gli esercizi di presa. Verrete divisi per coppie e vedremo con chi vi sentirete di più in sintonia» dopo quella frase Jimin si raggelò, buttando un'occhiata al gruppo di carne fresca e beccò la maggior parte di loro impegnata studiarlo, o meglio scannerizzarlo, con un interesse fin troppo inquietante.

Pensavano che con lui avrebbero avuto una strada spianata a causa della sua bravura e il titolo artistico, ma era la certa presunzione a far storcere il naso di Park Jimin: odiava le raccomandazioni carenti di meritocrazia. E se lui fosse stato il futuro Don José, la sua compagna doveva essere in grado di fare di fare un'esibizione altrettanto brillante, specialmente se la parte era Carmen.

Perciò quella giornata iniziò in crescendo: dopo aver comunicato l'entrata del balletto d'inverno, tutti quanti si misero alla sbarra — i nuovi e i veterani — per irrobustire i muscoli e la schiena fino a smistarsi in mezzo alla stanza. Per tutta la durata degli esercizi Ray rimase stupita e incantata, la leggiadria con la quale la cerchia d'élite si presentò davanti al gruppo fu impressionante.

Le venne però il dubbio del perché ci fossero per lo più uomini e poche ballerine tra i veterani; molte di loro ricoprivano il corpo di ballo o personaggi con ruoli non troppo fondamentali.

Camille Brigitte era stata la prima ballerina dell'ABT fino a qualche mese fa, dunque il ruolo di Carmen sarebbe spettato a lei se solo non si fosse ritirata per una gravidanza improvvisa. E quello fu enorme oggetto di panico per Albert Fray, dopo mille casting inconcludenti, perdere una preziosa gemma come Camille Brigitte era equiparabile al tagliarsi le gambe.

Quindi cercò di tirarsi su supplicando il ritorno di Park Jimin e per risollevare la compagnia in rovina, finché la situazione sembrava essersi leggermente spianata anche tra i tabloid. Fatto sta che nessuno della cerchia d'élite era in grado di sostituire Camille Brigitte e, a causa dei ritardi, le più grandi celebrità erano già sotto contratto con altre compagnie. Sembrava non esserci alcuna soluzione se non quella di mettere in mezzo al palco una mezza stella; ma, d'improvviso, il piano del servizio marketing ebbe un'illuminazione: ovvero un debutto.

Con le mani legate non avevano altra scelta che unire il ritorno di una stella luminosa — Park Jimin — con un futuro astro nascente. Avrebbe fatto più scalpore un debutto completamente fresco, di una qualsiasi ballerina ripescata da un corpo di ballo visto e rivisto.

Perché alla fine della fiera di trattava di soldi e ricchezza, il pubblico andava stupito e intrattenuto. Dei ballerini che avevano speso anni e sacrifici nella loro vita non era importante.

Ecco che cosa girava tra i piani alti dell'ABT; ecco perché le tirocinanti quest'anno erano di numero così sopraelevato; ed ecco il motivo per cui Park Jimin aveva lo stomaco in ribolle e le palle piene di tutto quel consumismo americano.

Quel gruppo era un ammasso di punte e talento, circa la metà di loro avrebbe speso il loro tempo a tamponare i buchi nel palco o rifare le valigie per il ritorno a casa. Si sentiva leggermente colpevole perché la Collins l'aveva messo al corrente fin da subito — alle fine erano cinque anni che gli chiedeva disperata di tornare sulla loro nave — e cedette quando fu completamente ripulito dalle ceneri del passato.

Quando la situazione tornò al presente, Ray staccò la mano dalla sbarra e sospirò per godersi quei quindici minuti di pausa concessi da Alexander Janssens: la catena di montaggio si stava muovendo fin troppo velocemente per essere già lucida e concentrata. Nora sembrava immersa in un altro mondo e tutti lo notarono dalle volte in cui venne ripresa a causa dei movimenti legnosi. Cosa non da lei.

Rachel sembrava rimuginare sulle continue correzioni dei piedi e Judite, senza un velo di sudore addosso, andò a "complimentarsi" spudoratamente con Janssens.

Mentre Jimin, invece, se ne stava nel primo posto accanto a Igor lungo la sua stessa sbarra, ma a dividere lui e Ray c'era una notevole distanza. La castana si morse le labbra pensierosa e stappò una bottiglia d'acqua fresca, senza vedere, da quell'angolazione, un'ombra farsi più vicina.

«Ray Morgan. Questa volta ci rincontriamo in altre vesti e senza alcol tra le mani» Oliver Fisher si appoggiò alla sbarra, con la maglia aderente bagnata e un sorriso sbarazzino sul viso.

Ray abbassò la bottiglia e per poco non si strozzò dalla sorpresa. Si pulì il mento imbarazzata mentre Oliver si fece scappare una risata divertita: «Scusami, sono stato un po' inaspettato»

In realtà lo sei stato anche due giorni fa al pub, volle dirgli Ray ma si trattenne e cercò di capire perché stesse spendendo il tuo tempo libero a parlare con lei.

«Mi hai preso solo alla sprovvista» mormorò guardandolo sottecchi, «non me l'aspettavo»

«Questo l'ho notato» allungò le labbra impertinente e sollevò lo sguardo fingendosi pensoso, «Quindi? Carmen eh?» cercò di far capitolare il discorso: eppure Oliver non sembrava così tanto contento di quell'opera.

«A quanto pare» disse guardando Alexander Janssens dal suo posto, «anche se mi sarei aspettata qualcosa di più classico»

O meno appariscente.

«Del tipo?» domandò Oliver.

«Non lo so: una rivisitazione moderna del Lago Dei Cigni?» pronunciò uno dei primi titoli della sua lista di preferenze personale, ma quel classico — fin troppo convenzionale per tutti ormai — fece ridacchiare Oliver.

«É una scelta scontata quanto Door County» esordì scherzoso, ripentendo la stessa frase detta al Gallery. Ray aprì appena le bocca ma la richiuse leggermente offesa. «Immagino che sia così per tutti...»

«Scusami, non volevo offenderti piccoletta ma sono serio: la gente vomiterebbe se sentisse un'altra volta il nome di Odette» sospirò convinto, «non che Carmen mi entusiasti così tanto. Almeno ha un finale diverso»

«É affascinante» espirò lei testarda, «Nonostante sia un vecchio classico, rivisitato all'incirca un milione di volte, per molti rimane affascinante. Ai miei occhi é così. Se mai in futuro avrò l'occasione di ballare ancora su un palco come questo vorrei farlo» mormorò facendogli capire che erano piccole cose, insignificanti dettagli, ma che per lei valevano più dell'ossigeno.

Forse Oliver Fisher era abituato a vedere quella stanza da troppo tempo ormai, portandolo a non viversi nemmeno il calore del parquet o la fortuna di lavorare con una maitre come Katherine Walls. Forse nessuno di questi dettagli lo stimolava davvero e non viveva più, come lei, il sogno di poter interpretare la storia. Può darsi che il ballerino biondo avesse in mente un piano meno convenzionale del suo; era un solista, un livello ben diverso dal suo, e le molteplici opportunità facevano sembrare tutto il resto solo inutile noia.

Oliver piegò il gomito sulla sbarra e si avvicinò lentamente. Si mostrò come una persona curiosa e incline al poco spazio vitale, mentre in realtà stava calcolando ogni mossa con Ray. Era bella. Bellissima nei suoi insoliti lineamenti e il portamento opposto di una ballerina classica.

«Dimmi un po': ti piace la banalizzazione del male e del bene tramite la rappresentazione dei cigni, o la mediocre storia d'amore finita per mano di un allocco?» Oliver voleva solamente divertirsi; era un provocatore nato e non lo faceva con malizia, gli piaceva mettere in difficoltà gli altri davanti a realtà un po' più scomode delle solite favole.

Ma Ray era sensibile, qualsiasi argomento legato alla danza classica prendeva una nota malinconica e, anche se quell'emozione era disturbante, si sentiva il più delle volte felice. Una volta era così. La sua vita passata ruotava intorno a questa felicità illusoria che spazzava via ogni traccia di malessere.

Se veniva scredita per invidia, dalle sue storiche compagne di danza a Madison, si aggrappava al balletto e le sorpassava.

Se sentiva Blackwell guardarla con sufficienza, perché era figlia di un americano e un'immigrata sud coreana, si chiudeva in camera e guardava gli spettacoli d'inverno del Bol'šoj.

Se nella mensa del liceo mangiavano appositamente hot dog farciti davanti alla sua faccia, per farla sentire in difetto, giudicandola per il suo fisico longilineo e additarla come anoressica, lei usciva in cortile e ascoltava Chopin dagli auricolari. E chiudeva gli occhi dopo aver memorizzato gli alberi di Blackwell, sperando, tra le lacrime, di non vederli mai più.

Tutto quel malessere veniva sfogato solamente dalla sua fede.

«Entrambi» rispose alla sua provocazione, priva di vergogna, «Mi piace l'eterna lotta tra il bene e il male, e mi piace la conclusione della storia»

Oliver la guardò seriamente scettico: «Come può affascinarti un finale così tanto amaro?»

Lei fece rotolare gli occhi verso il basso, leggermente sotto pressione: «In realtà é stato realizzato con più finali, non ne esiste soltanto uno» lo corresse.

L'altro rise: «Credo che tu abbia capito a quale mi sto riferendo» certo che lo aveva capito; al più classico e tragico finale rappresentato in tutto il mondo: la morte di Odette e Siegfried. Ma Ray non demorse e lo guardò esitando. «Anche il finale di Carmen lo é» costatò abbassando le spalle.

«Non penso che sia così "tragico" come un duplice suicidio amoroso, se ci mettiamo in mezzo anche il fatto che Siegfried sia un idiota patentato mi verrebbe da pensare che quest'opera sia priva di senso» e cantilenò un po'.

Opera priva di senso?

Carmen non aveva un finale così tragico?

«Non é abbastanza tragico?» Ray sembrava sbigottita dalla sua ingenua presunzione, «Carmen muore per la possessione di un uomo. Viene privata della cosa per la quale lottava da tutta vita, ovvero la libertà!»

«É una cosa orribile, certo, non sto contestando questo. Ma é una donna che sa di andare incontro a morte certa, conscia delle proprie scelte e di quello che ha fatto. Ha giocato col fuoco. Non dico che se l'é cercata ma quasi...»

«Per quello che ha fatto, e l'essersela cercata, intendi l'aver ingannato due uomini?» sentì un moto di rabbia salirle addosso. E Ray a malapena sapeva che cosa fosse quel sentimento.

Non sapeva come gestire la rabbia, era un'emozione che odiava su di sé.

«Non ho detto questo Ray, l'assassinio é ingiustificabile» cercò di spiegarsi Oliver, anche se ai suoi occhi sembrava solo un grosso gatto che cercava di aggrapparsi sugli specchi.

«Però allo stesso tempo hai sottinteso che un po' se l'é cercata. È come giustificare un femminicidio» perché Carmen, a differenza di molte altre protagoniste femminili, non muore di crepacuore, d'inganno o per suicidio, ma a causa di un pugnale retto e spinto da un uomo senza pentimento.

Lei non voleva morire.

E lui l'avrebbe rifatto.

«Femminicidio?» sbarrò gli occhi ridacchiando nervoso, «Okay, forse ci siamo inoltrati un po' troppo nel sentimentalismo. Sono soltanto storie Ray, non c'è bisogno di essere dei paladini per degli stupidi personaggi che nemmeno esistono»

Ma Ray sentì un amaro senso di angoscia ammontarle sul petto.

Per me ha senso.

Quel mondo. L'intero mondo artistico, aveva dannatamente senso per lei.

«Carmen esiste, Oliver» lo disse guardandolo dritto negli occhi, con una serietà addosso che poche volte in vita sua aveva vestito, «tutte quelle che si ritrovano le mani al collo sono Carmen. Le donne che lottano contro ogni tipo di abuso e quelle che ora sono sotto terra, anche loro sono Carmen. Alcune più di altre»

Non balbettò. Non esitò nemmeno. Lui semplicemente la guardò senza avere più nulla da dire.

«Lasciami essere una cretina convenzionale che preferisce uno stupido suicidio di vero amore, e sentito, al posto di una tragica morte portata per colpa dell'insicurezza dell'uomo» forse alzò un po' troppo la voce perché qualcuno, più in là, udì quell'improvvisa bolgia.

Oliver schiuse la bocca: non pensava che Ray avesse questo lato... intrigantemente ferrigno.

«Scusami. Sono uno a cui piace provocare a parole ma devo rendermi conto che,» la guardò scendendo dal piedistallo nel quale si era sempre trattenuto, «non siamo tutti uguali. Se avessi saputo prima che eri così tanto legata a queste storie non avrei mai fatto provocazioni del genere. Davvero, perdonami. Sono un idiota»

Come potevi saperlo se nemmeno mi conosci? — Ray sospirò frustrata.

«Lascia stare. Non potevi saperlo, ma magari la prossima volta, prima di giocare in questo modo con qualcuno che non conosci bene, assicurati che viaggi sulla tua stessa lunghezza d'onda» perché io non sono Judite Dixon, «e come hai detto tu stesso: non siamo tutti uguali» cercò di fargli un leggero sorriso infine, per mostrargli che non ci avrebbe più dato peso.

Ma, contemporaneamente, fece qualche passo in avanti per cercare di allontanarsi da lui e tornare a stirarsi le punte.

Oliver sussultò e cercò di trattenerla ancora per mostrargli il suo sincero pentimento: «Ray aspetta...»

«È tutto apposto—» ma venne fermata dalla sua mano; quel gesto, le dita attorno alla sua pelle, il freddo del sangue amalgamato in altri posti tranne che sulle falangi e il polso circondato, dalla presa, la fecero uscire di sé.

Strattonò il braccio e se lo portò automaticamente sopra al petto. La cassa toracica spinse le costole all'infuori e pensò che se non si fosse calmata, le sue ossa avrebbero reciso la pelle.

Oliver la guardò scioccato: in lei vide il terrore.

Perciò ritirò la mano sopra alla testa e le mostrò quanto fosse lontana da lui. Non la stava più toccando: «Ray, stai bene?» disse a bassa voce, sperando che nessuno si fosse accorto di quell'attimo.

Gli occhi sbarrati e immobili di Ray ripresero a battere, il cuore tornò a pompare sangue caldo e le costole smisero di graffiarle la pelle. «Scusami» disse Ray completamente stordita, si massaggiò il polso per istinto e fu come se fosse tornata nel mondo dei vivi. Come se, la Ray di prima, fosse un'altra. «Mi sono solo spaventata un po', ho avuto una reazione esagerata» gli disse facendogli un sorriso finto.

Oliver rimase a guardarla e basta ma, prima che potesse anche solo dirle altro, Janssens sbatté le mani un paio di volte.

«Bene! Ricominciamo» esortò tutti quanti a prendere posizione, «ragazze sceglietevi un compagno, vi mostrerò in anteprima un paio di sequenze che saranno nel pas de deux tra Carmen e Don José» tutti si guardarono un po' spaesati ma eseguirono l'ordine. O almeno la maggior parte cercò di fare così.

«Jimin!» Janssens alzò la voce richiamando il primo ballerino all'attenti. Il sud coreano, questa volta con una maglia aderente addosso, sciolse le braccia dal petto e lo guardò: «Eccomi» disse.

«Bene ragazzo, farai una breve dimostrazione di un cambré press lift. Voglio eleganza, pulizia, passione e sentimento in quel sollevamento» gli spiegò e Jimin lo guardò come se quello che aveva appena detto fosse un gioco da ragazzi.

«Nessun problema» esordì in fatti poco dopo. Si mise nel centro e aspettò il prossimo ordine di Janssens. Quest'ultimo annuì rapidamente e si guardò rapidamente intorno, finché lo sguardo non balzò su una candidata interessante.

«Nora. Vieni qui» la chiamò facendole cenno di avvicinarsi dopo aver allungato un braccio. La mora sbiancò, guardò sottecchi Jimin e lo vide leggermente esitante dopo quella discutibile scelta.

«Sì...» mormorò leggermente a disagio e si mise al fianco dell'etoile. Restò a debita distanza e quel primo atteggiamento a Janssens non passò in osservato. «Sono stato messo al corrente delle tue ottime qualità artistiche. Sei consapevole che potresti ricoprire il ruolo di quest'anno?»

Nora Smith deglutì appena. I denti consumati di Judite Dixon si potevano udire anche da quella distanza, per tanto le scoccò un'occhiata e la vide incenerirla con gli occhi. Nora si risollevò e gonfiò il petto.

«No, signore. Ma ne sarei profondamente onorata» per buona metà della frase mentì spudoratamente: un po' per gettare benzina sul fuoco di Judite, d'altra parte perché l'idea di interpretare Carmen non la entusiasmava completamente.

«Contento di sentirtelo dire. La tua famiglia dovrebbe essere fiera di avere un'altra probabile stella in casa»

Jimin era già composto in quinta posizione, con le mani congiunte tra loro sotto l'ombelico; quel commento però gli fece perdere la compostezza e Ray, dal suo angolo e tramite una prospettiva migliore, riuscì a vedere non solo la mascella che si contrasse pericolosamente. Ma anche i pollici nascosti dai palmi beccarono la pelle delle falangi per il nervoso.

Forse solo lei notò quei dettagli, eppure socchiuse leggermente gli occhi in cerca del perché.

Questa volta Nora Smith, sentendo il nome della sua famiglia, uscire dalla bocca di Alexander Janssens, si mise in guardia. Il panico si fece presente.

«Lo spero...» sussurrò appena mentre avvertiva l'aura ghiacciata di Jimin investirla appieno. Faceva di tutto per non degnarla.

«Bene. Incominciamo» Janssens si schiarì la gola e si avvicinò di qualche passo, «vi siete scaldati la schiena. Perciò Nora eseguirà un relevé mentre Jimin, alle sue spalle, la sosterrà per la vita»

Lasciò che la mora si mise in davanti all'etoile, alzò il corpo sulle punte e sentì una presa ferrea segarle la vita per sollevarla in alto.

«Okay, sì. Voglio le linee più morbide, ora passiamo al plié»

Le braccia di Jimin la portano fin sopra la sua testa, al massimo della capacità in modo che Nora potesse eseguire un perfetto cambré senza sbattere il capo. A testa in giù però Nora sentì l'ansia arrivarle oltre le tempie, Jimin sentì il corpo della ballerina sguillare tra le mani e capì che qualcosa non andava.

La rimise immediatamente giù e la vide sospirare profondamente. «Cos'è successo?» le chiese Jimin. Era la prima volta che le parlava dopo anni e questo la fece meravigliare leggermente. Ma con gli animi ancora scossi cercò di riprendersi.

«Avevo la testa troppo all'indietro»

«Non lo era» ribatté Jimin con un'oggettività intransigente.

«Invece sì, la testa mi stava ruotando all'indietro»

«Stai dicendo che ho fatto male il mio compito?» commentò già spazientito. Lei tentennò: «Non sto dicendo questo ma—»

Vennero fermati da un secco applauso. Janssens li guardò entrambi con un'occhiata attenta: «Basta così» disse. Statico e pungente. «Voi altri farete la stessa cosa» si riferì al gruppo restante, «prima una sequenza di due salti con grand jeté e infine un cambré press lift. Ripeto le stesse cose che ho detto a loro due, voglio: eleganza, pulizia, passione e sentimento. Avere solo la metà di queste...» scoccò una rapida sbirciata al duo ancora spazientito, «non serve in uno spettacolo del genere»

E tra le righe Jimin riuscì a cogliere quel sottile avviso/frecciatina: per la pulizia ed eleganza era il primo in lista. Anche in passione e sentimento, ma il problema era far trasparire queste emozioni con Nora.

«Vaffanculo» sbottò sotto i denti Jimin, senza che nessun altro, a parte Nora, lo sentisse. Arrabbiato con se stesso e con le reminiscenze del passato. Girò alla svelta il capo e si mise in posizione aspettando l'inizio del pianista. «Cerchiamo di finire questa cosa alla svelta» disse alla sua partner e lei, imbronciata, sia accodò standosene zitta.

Dovevano essere i migliori ma quello non era assolutamente un buon lavoro.

Dal canto suo invece, Ray cercò tra sguardi e timidezza un possibile partner con cui provare, ma vide immediatamente Judite trascinare Oliver per renderlo suo. Stessa cosa Igor Kuznetsov e un'altra veterana, poi tutti gli altri si accoppiarono con ballerine con cui avevano già del feeling.

«Hai già qualcuno?»

Ray sobbalzò e si girò con una mano sul petto. «Io... Io? No» la visione tornò a essere vivida e vide, davanti a sé, un giovane ballerino. Non sembrava che avesse così tanti muscoli per sopportare una molteplice presa, francamente non l'aveva mai visto tra i corridoi dell'ABT.

«Perfetto, allora possiamo provare» allungò una mano aspettandola e nemmeno si presentò per rompere il muro d'imbarazzo. Ray non era perfettamente convinta di volerlo come partner ma, essendo gli unici due non ancora accoppiati, fu quasi obbligata ad accettare. Perciò sospirò tremante e lo seguì al centro.

L'idea di un pas de duex la immobilizzava. La rendeva fin troppo vulnerabile.

Era poco più alto di lei perciò avrebbe dovuto sollevarla all'insù — molto all'insù — o non avrebbe mai eseguito il ponte con la schiena. Questa non era una buona partenza ma non demorse, prima dei lei c'era stati tantissimi ballerini meno dotati di lui — fisicamente parlando — che hanno comunque segnato la storia, perciò provò a rilassarsi.

«Iniziamo!» Janssens fece un cenno al pianista e il secondo intramezzo di Arthur Fiedler partì con una sinfonia lenta e pacifica. A tratti romantica e cullante.

Ray inghiottì un groppo di saliva e chiese al ragazzo: «Puoi essere delicato?»

Il partner alzò gli occhi su di lei e la guardò confuso: «Eh?» chiese distratto.

Lei arrossì leggermente in difficoltà e cercò di spiegarsi meglio: «Dico... quando mi sollevi o mi tocchi, puoi farlo con attenzione?» ma da come il ballerino la guardò sembrò aver capito meno di prima. Tant'è che durante il salto in grand jeté Ray si sentì avviluppare i fianchi come una piovra e sollevare senza alcuna grazia.

Tentò di allargare le gambe in una perfetta spaccata per il grand jeté, ma le dita dell'uomo si inoltrarono profondamente dentro ai fianchi quasi da farle male. Dunque si irrigidì e perse ogni tipo di emozione richiesta da Janssens.

«Fai più piano» mormorò sotto la musica una volta che fu posata a terra. «Sto facendo piano» insistette. Ray scosse la testa negando; si ritrovò sollevata durante il secondo salto e fu peggio del primo. Un gemito di dolore scappò flebile dalle labbra e si incupì.

Iniziò a nutrire fastidio per quel tocco non cadenzato, ma insistente e sgraziato; iniziò a sentire freddo in tutto il corpo; iniziò a percepire i muscoli delle gambe irrigidirsi.

Ma specialmente iniziò a dolergli le viscere fino a rischiare di vomitare in mezzo alla sala.

Fu di nuovo a terra e questa volta non si trattenne: «Per favore, fai più piano» si lamentò della stretta soffocante. «Tesoro ti devo sollevare» le disse lui con uno sbuffo, stufo di sentirla starnazzare, «e non sei un peso piuma» quel commento le fece stringere lo stomaco.

L'equilibrio mancò così come la presa dell'addome, perciò il partner non riuscì nemmeno ad arrivare a metà del press lift cambré. Scivolò per terra, a qualche centimetro dal pavimento e Ray ringraziò i suoi riflessi pronti per averla fatta atterrare senza neanche una storta.

«Al diavolo!» grugnò il ballerino a bassa voce e fece un passo indietro per allontanarsi da lei. «Sei completamente negata»

«Laggiù!» Janssens li scannerizzò richiamando la musica. Tutti quanti si fermarono e si guardarono confusi. «Sì esatto, voi due infondo» si avvicinò lentamente al duo di Ray, «qual é il problema? La vostra performance gridava pietà»

Ray abbassò il capo scusandosi mentre il partner la guardò infastidito: «É lei il problema»
«E perché dovrebbe esserlo?» lo interrogò Janssens.«É rigida» disse calmo, «ho bisogno di una partner dinamica e in forma. Una come lei non può affrontare delle prese del genere» quell'osservazione fece assottigliare gli occhi del coreografo.

«Mmm...» puntò gli occhi su Ray, «é rigida, dici?» parlò tra sé. Gonfiò il petto e con le dita, dopo averle alzate appena sopra le spalle, le fece fare avanti e indietro: «Jimin?» disse senza girarsi.
«Signor Janssens?»
«Vieni qui»
«Aspetti. Vuole che io...» mormorò incredulo.
«Voglio che tu faccia ballare questa ragazza» e prima di chiamare un'altra volta la musica continuò, «così vedremo se é così tanto rigida» fece una pausa, «e fuori forma»

Jimin guardò sottecchi Ray e la vide completamente sbiancata, difatti lei alzò il volto verso di lui per cercarlo e lo trovò immobile a fissarla. Con la testa annebbiata Jimin camminò velocemente verso di lei; lanciò un'occhiata di fuoco al primo partner di Ray, invitandolo con le buone a levarsi dal cazzo, affinché lui potesse stabilirsi dietro la schiena della giovane.

«Più vicini» girò il coltello sulla piaga Janssens, «ricordatevi che questo non é solo un esercizio lasciato a morire. Ma un attimo di passione. Di sesso!» gridò con enfasi.

Jimin si avvicinò così tanto che il petto ampio aderì contro la piccola schiena di Ray, le fece sentire il suo corpo e il respiro bollente sul collo nudo. Ray sentì il cuore iper ventilare: era il panico che cresceva.

«Sta calma» sussurrò a bassa voce Jimin sentendola rabbrividire. «Sono... calma» disse abbassando il mento per rispondergli. Entrambi aspettavano il via di Janssens.

«Non lo sei» insistette, «e se non ti calmi la darai vinta a quel coglione»

«Non ci riesco» ammise sincera e con gli occhi pieni di lacrime. Erano successe troppe cose nel giro di appena un paio d'ore e quell'esame improvvisato non ci voleva. Nemmeno il panico che bruciava dentro al suo petto, timorosa che Jimin potesse farle male. O che Janssens la cacciasse dal programma una volta per tutte.

«Guardami» Jimin tentò di farla ragionare, «guardarmi dallo specchio» la castana fece rotolare gli occhi sulle loro sagome; c'era Jimin che, col suo corpo magnifico, sembrava inglobarla del tutto. Questo alzò pigramente le mani non appena la musica partì con lentezza: «É la prima volta che ballo con te, Morgan. Cosa vuoi che faccia?» avvicinò le labbra al padiglione del suo orecchio, sussurrò, mentre la guardava dritto negli occhi dal riflesso.

Ray deglutì difronte a quegli occhi scuriti. Il calore del suo alito sembrò asciugarle il sudore sulla pelle «Di cosa parli?» a malapena le uscì la voce.

«Dimmi se c'è qualcosa che può darti fastidio e cercherò di prestarci attenzione» continuò.

Qualcosa dentro di Ray si smosse. Sentì un rocambolesco esercito di lepidotteri squarciarle l'addome, laddove prima percepiva una gran voglia di vomitare, e ora voleva solamente volare. Alta nel cielo col più bel grand jeté mai realizzato.

Qualcuno, dopo tanto tempo, le stava chiedendo che cosa volesse.

Qualcuno, dopo tanto tempo, le stava mostrando rispetto.

Quel qualcuno non era altro che Park Jimin. Colui che nutriva rispetto solamente per se stesso.

«Fai piano» gli disse solo, ripetendo le stessa frase che enuncio al partner di prima, «quando mi sollevi cerca di non... stringermi troppo forte nella vita»

Il volto di Jimin non cambiò dopo la sua richiesta e lei poté vederlo dallo specchio. Annuì solamente. Ma senza distanziare la labbra dal suo lobo.

«Okay, altro?»

Odio il contatto fisico.

«No. É tutto» scacciò l'ultimo pensiero e vide le mani di Jimin, insieme alle braccia, accarezzarle lievemente la pelle degli avambracci fino ai fianchi.

Incise una lieve pressione sulla vita, fermandosi con i suoi palmi bollenti, e Ray sobbalzò, appisolando involontariamente il retro del capo contro l'incavo del suo collo.

Un sottile ghigno divertito fuoriuscì dalle labbra carnose di Jimin: «Così é troppo?»

«N-No» balbettò completamente arrossata.

«Bene. Terrò a mente questa informazione»

Dopodiché, sentendo che stava arrivando il punto d'inizio dei sollevamenti, d'istinto la strinse ancora di più a sé e la sollevò dai fianchi per eseguire il salto. Ray sentì un vuoto enorme scavarle la pancia, come se fosse seduta su un'altalena a ventimila metri dal mondo.

Avvertì la sua schiena collidere senza discrepanze con il petto dell'uomo, cogliendo ogni particolare del suo corpo, persino il battito regolare del suo cuore, mentre chiudeva gli occhi e si perdeva tra le note e la leggerezza del salto.

Non stava faticando. Non sentiva neanche le gambe urlargli per l'ennesimo grand jeté in aria, né i muscoli dolergli per il severo controllo dell'aplomb.

Jimin era un partner eccellente, senza alcuna paura alzò la ragazza come un cuscino di piume d'oca e allungò una gamba per seguire un elegante tendu sul parquet. Fece la stessa cosa durante il secondo salto finché non rimise a terra Ray per prepararla in un relevé.

Tra le pause entrambi sospirarono a gran fiato, come reduci da una lunga maratona e le mani, assieme alle  braccia, furono perseguitate da una strana voglia incontinente. Una voglia di afferrarsi. Per questo si strinsero. Le braccia scivolarono delicate tra in corpi con leggerezza, e senza invadenza.

Jimin fece un grosso respiro e la sollevò in cima oltre la testa e fu lì che Ray, l'ultima arrivata della Wisconsin Ballet, la campagnola martoriata da tutti quanti, concesse all'intera squadra dell'ABT un elegante, pulito, passionale e sentito cambré.

Girò intorno a se stesso tenendo il palmo della mano fissata in mezzo alla schiena di Ray, mentre l'altra la staccò portandola lontano, dietro al suo corpo, in modo da far ammirare a tutti gli altri quanto fossero perfetti.

Janssens questa volta sbatté le mani per applaudire soddisfatto e quel rumore sordo fece schiudere gli occhi di Ray, portandola nella realtà. Jimin la posò delicatamente a terra e si distanziò.

La musica terminò. Così come la magia.

«Perfetto! Ecco cosa volevo fin dall'inizio: fiducia» spiegò a tutti quanti con un sorriso furbo sotto i baffi, «Come possono due giovani come Carmen e Don José, consumare una notte di passione senza avere fiducia nell'altro? E no!» si corresse pignolo,
«questa é una fiducia carnale, che non ha niente a che fare con l'odissea della storia. Immortaliamo uno dei pochissimi attimi di calma e tranquillità» si fermò e questa volta guardò Nora.

«Nora tu non ti sei fidata abbastanza di Jimin, avevi paura che ti facesse cadere da un momento all'altro e per questo il tuo equilibrio era pressoché inesistente» comunicò duramente alla mora.

Nora si limitò ad abbassare gli occhi, annuendo, mentre si morsicava la lingua internamente.

«Mentre Jimin,» lo richiamò, «a te non è importato di creare un'intesa di fiducia con lei. La tecnica c'era ma mancava il resto...» continuò portando alla conclusione il suo discorso, «però, questo resto, sei riuscito a tirarlo fuori adesso. Vedi di farlo anche le prossime volte» si raccomandò sottecchi.

Jimin, ancora ansimante, annuì: «Sarà fatto»

E dopo qualche secondo di silenzio, Janssens prestò finalmente attenzione alla piccola mina vagante situata vicino all'etoile: «Come ti chiami ragazza?» la esaminò con attenzione.

Tra gli ansiti, Ray rispose a basso tono: «Ray Morgan» espirò senza fiato.

«Come?» allungò l'orecchio facendole segno di non averla sentita abbastanza.

Ray arrossì e alzò la voce: «Ray Morgan, signore!»

«Molto bene, Ray Morgan. Non sei né rigida e fuori forma» si limitò a dirle massaggiandosi il mento, «Buon lavoro a entrambi, ben fatto» sbatté una mano sulla spalla dell'etoile e questo sorrise appena per la gratitudine.

«E che serva da lezione a tutti quanti voi» fissò uno per uno i pupilli dell'ABT, ma specialmente colui che si era permesso di diffamare in quel modo Ray, «lasciate giudicare a chi sa e vede, siate abbastanza umili da riconoscere i propri difetti senza screditare gli altri» perché, in parole povere, Ray era tutt'altro che rigida.

Era flessibile e aggraziata.

Il ragazzo, preso in causa, abbassò gli occhi in direzione dei piedi e rimase in silenzio.

«Per oggi é tutto!»














Quello fu l'unico giorno dove Ray uscì dall'ABT senza avere il volto solcato da lacrime o cipigli nefasti; rideva, sfoggiava un sorriso a trentadue denti mentre affiancava Rachel, con la sua parlantina, e Nora persa nel suo mutismo selettivo.

«Ragazze ve lo giuro, Ramón ci sa palesemente fare. Peccato che la scena di sesso debba essere romanzata e family friendly, se fosse per me avrei dato a Janssens una vera dimostrazione di "fiducia" sul pavimento» gridò a gran voce tra le risate, traumatizzando i ragazzini dell'Accademia che uscivano ed entravano per provare nel teatro interno.

Era passata all'incirca mezz'ora tra la pausa doccia e il cambio in spogliatoio, ma Rachel non aveva mai smesso di parlare di quanto fosse attraente l'amico argentino di Oliver, ovvero Ramón Aguirre. Secondo Nora quel ragazzo rappresentava l'esatta rappresentazione fisica di una bandiera rossa, ma la sua amica aveva una sorta di calamita per i "malesseri".

«Rachel abbassa la voce» sospirò a occhi chiusi Nora mentre stringeva a sé il borsone del cambio.

La riccia, a un gradino al di sopra del suo, fece spallucce: «E perché? Penso che sia un dato di fatto»

«É un dato di fatto che tutti debbano sapere i tuoi pensieri?» la riprese calma, con un pizzico di sarcasmo. Però mantenne il volto completamente inespressivo.

«Certo che no» cantilenò prendendola in giro, «perché devono sapere solo che me lo voglio fare di brutto»

Ray per poco non inciampò sui gradini. Nora scosse la testa sconsolata, come se avesse un enorme mal di testa, e aggiunse le dita sulla fronte per evidenziare il fatto che Rachel fosse incurabile.

«Credo che me ne andrò dritta al dormitorio» dichiarò sintetica. Aveva l'aria stanca sul viso, le guance pallide e gli occhi leggermente schiusi dal nervosismo.

«Non stai bene?» le chiese Ray tutt'a un tratto. Nora, a qualche gradino davanti a lei, si girò lentamente per scrutarla. «Sto bene» le disse, «sono solo un po' stanca»

«Andiamo! Facciamoci un giro per celebrare l'inizio di questo spettacolo» propose Rachel, ignorando le profonde occhiate che si lanciavano Ray e Nora. Quest'ultima fissò l'amica: «Passo»

Ray si sentì in avvertitamente in colpa. Conosceva quello sguardo e quella stanchezza d'animo: era stressata perché quel giorno Nora Smith non aveva saputo tenere alto il nome della sua famiglia.

E per caso sfortunato in mezzo ci era finita anche Ray con la sua perfetta esecuzione grazie a Park Jimin, mentre lei era stata un disastro.

Ray fece un passo in avanti: «Nora se c'è qualcosa che posso fare...» lasciò in sospeso la frase. La mora la guardò attentamente, però negò ancora una volta: «É tutto apposto Ray, davvero. Ho bisogno di farmi una doccia e dormire un po'» rilassò le spalle e le accennò un leggero sorriso, «ma ti ringrazio» dopodiché girò le spalle e iniziò a scendere gli ultimi gradini per andarsene.

Ray sentì il senso di colpa sopprimerle il petto. Ma Rachel, che per lei non era la prima volta che vedeva la sua migliore amica fare questo tipo di dramma, la tranquillizzò.

«Ehi! Non fare quella faccia» la minacciò, «starà bene»

«Non posso farci niente. So cosa vuol dire avere una giornata come quella che ha avuto» l'aveva avuta tutti giorni da quando aveva messo piede a New York.

Rachel però cercò di mostrarle le cose da un'altra prospettiva: «Appunto»

«Appunto cosa?» domandò confusa.

Rachel, con calma, spiegò: «L'hai detto tu stessa. Sai cosa si prova ad avere una giornata del genere. Io so cosa si prova. Altri di noi lo sanno. Il mondo della danza é in continuo movimento Ray: un giorno sei Dio, l'altro sei un comune mortale che sembra essersi dimenticato di oltre dieci anni di pratica» le disse, «e questa selezione é ancora più dura per chi è abituato a essere il migliore. Ormai la conosco, non é la prima volta che capita ma deve farsi il callo»

Deve abituarsi a ricevere i peggiori commenti per non crollare così facilmente.

Alexander Janssens aveva fatto una constatazione puramente oggettiva e, rispetto ad altri ignobili coreografi passati, si mostrava abbastanza interessato e umano. Certo, era ancora tutto da vedere: dopo la seconda metà di novembre sarebbe iniziato l'inferno.

«Perciò lasciala sbollire un po'. Non é colpa di nessuno se tu e Jimin avete fatto faville» la scrutò poi maliziosamente, «eravate così affiatati»

«Rachel smettila» la riprese completamente fuxia in faccia. «Così intimi! Janssens ha parlato di fiducia, ma sono sicura che se quel gran pezzo di figo fosse stato solo nudo—»

«Rachel! Dio!» si mise le mani in faccia mentre l'altra scoppiò a ridere piegandosi all'avanti. «Ma guardati: sembri una bambina! E non ho ancora menzionato Oliver Fisher, non pensavo che fossi una da triangoli amorosi»

A Rachel non passò inosservato l'approccio sfacciato del biondino nei confronti di Ray; l'aveva rifatto persino in sala prove.

«Basta, non voglio più ascoltarti» la sgridò dandole una leggera spinta sulla spalla. Rachel cercò di sopprimere le risate e ghignò: «Va bene — Oh!» si tappò la bocca e schiuse successivamente le labbra puntando gli occhi verso l'entrata dell'edificio. Ray fece la stessa cosa e il fiato si dimezzò.

Park Jimin uscì dalle porte di vetro qualche secondo dopo; il vento autunnale fece scostare, in
modo provocante, i capelli ancora umidi e lucidi per la probabile doccia post allenamento. Si portò entrambe le mani alla bocca per far emergere una sottile fiamma aranciata e accendersi una sigaretta con pace, mantenne gli occhi chiusi per tutta la durata del gesto.

Ispirò, il collo nudo e scoperto dal bordo della felpa si piegò all'indietro e poi espirò. Il pomo d'Adamo graffiò la pelle, quasi invitando a tracciare ogni centimetro con le labbra e succhiare, finché non tornò a drizzarsi aprendo gli occhi.

Aveva una felpa grigia addosso e un pantalone cargo nero a coprirgli le gambe, anche se, nonostante il tessuto largo, i quadricipiti erano ben visibili al minimo movimento. Un borsone enorme riposava sulla spalla sinistra, dal quale tirò fuori un bomber nero oversize per metterselo e allacciarlo coprendosi dal fresco del pomeriggio.

Pensava a godersi quegli ultimi pomeriggi liberi, prima di trovarsi a dormire lungo i corridoi per le prove dello spettacolo.

«Sai cosa? Credo che andrò a farmi un giro da sola, ti lascio nelle mani del "dark romance"» se ne uscì dal nulla Rachel, senza lasciarle l'opportunità di obbiettare o sgridarla. «Ci vediamo a casa Ray!» la salutò urlando, alzando la voce apposta per farsi sentire dall'etoile.

«Rachel! Ti giuro che—» strillò tra i denti mentre la vide scendere le scale e deriderla. Ma ormai era già andata via, perciò sbuffò solamente e tornò a guardarsi indietro, beccando Jimin a fissarla con la sigaretta tra le labbra.

Raddrizzò le spalle e sentì le gambe tremare. Dopo la pratica con Janssens non si erano più parlati e nemmeno scambiati un'occhiata per sbaglio. Jimin aveva preferito tenersi addosso una maschera senza espressione, dov'era impossibile capire che cosa gli passasse per la testa. Se fosse felice, triste o semplicemente divertito.

Le leggere occhiaie sotto gli occhi potevano essere dei palesi sintomi di estenuante stanchezza ma, dopotutto, chi non lo era a quell'ora? Nemmeno lei aveva un nell'aspetto, avvolta in un giubbotto più grosso di lei da sembrare una tenda.

Jimin camminò fino a trovarsi davanti a Ray, quest'ultima non sapeva se iniziare una conversazione o salutarlo e basta. Ma ci pensò Jimin a eliminare qualsiasi dubbio, passandole davanti senza dirle niente. Senza degnarla di una misera attenzione, anzi, le concesse una scia di fumo tossico che si lasciò alle spalle. Sostanza che fece storcere le narici a Ray.

Non negò che quella freddezza la fece rimanere con la bocca asciutta: non si aspettava un'amicizia o chissà cosa, ma era così fantascientifico concedersi un saluto?

A quanto pare lo era per il master della cerchia d'élite.

Fatto sta che lo guardò scendere le scale impassibile, finché l'uomo non si fermò sull'ultimo gradino.

«Che c'è?»

Ray spalancò gli occhi. Non la stava nemmeno guardando ma mantenne un tono abbastanza arrogante. Jimin, non sentendola fiatare, si girò appena e mise una mano in tasca.

Fumò un altro po'.

«Guarda che le vedo»

«Che cosa?»

«Le tue rotelle che girano» la prese in giro con un sogghigno spocchioso, «e fanno anche parecchio rumore. É abbastanza fastidioso»

Ray non poté non definirsi offesa, ma non voleva rovinarsi la giornata per colpa di quel fenomeno. Perciò lasciò perdere e scese le scale per tornarsene a casa.

«Oh, adesso non mi rispondi neanche» continuò a provocarla. La vide scendere le scale imbronciata, si tenne a debita distanza finché non appoggiò il piede sul cemento di New York.

«Perché dovrei se nemmeno mi degni il saluto!?» sbottò senza fermarsi, impugnando la sua borsa color antracite e irritata.

Quando fu davanti a lei Jimin sghignazzò in modo abbastanza sonoro. Ray si bloccò e, ruotando il corpo, provò a fulminarlo: «La cosa ti diverte?»

Jimin scosse la testa appena e inumidì le labbra per farsi un tiro: «Abbastanza in realtà»
«Beh» arrossì, «é un problema tuo»
«Se sei tu a farmi ridere il problema é anche tuo»
«Okay, ascoltami: questa conversazione non ha senso»

«Oh» la guardò con un sorriso folle, «allora lo pensi anche tu?» dichiarò di proposito.

Ray chiuse la bocca e fece un rapido sospiro a occhi chiusi. Espirò: «Ho afferrato il concetto, buon proseguimento Jimin» schiuse le palpebre e fece per andarsene. Ma poi ripensò a quello che Jimin le disse, giorni prima, sul fatto di nascondersi e che fosse una di quelle ragazze che preferivano fare finta di niente.

«Anzi, no!» quindi tornò indietro col cuore che le scoppiava dal petto per l'ansia e lo vide armeggiare con un... casco? «Tu hai...» esitò per colpa di quel dettaglio ma si riprese immediatamente, «cioè, volevo solamente ringraziarti per avermi chiesto se ci fossero cose che... avrebbero rischiato di mettermi a disagio. L'ho apprezzato. Molto» esordì con fatica.

Jimin buttò la sigaretta per terra, fregandosene delle micro plastiche e la spense con la punta del piede: come un degno ballerino. Si diresse qualche metro più in là dov'era parcheggiata una Kawasaki nera lucida, con rifiniture opache, fino ad alzare la testa in direzione della marmocchia che si era fatta coraggio.

«Non devi» rispose secco.

«Però voglio» insistette.

«Non devi perché é una cosa che chiedo a tutte le mie partner» le scoccò un'occhiata penetrante, «non sentirti speciale per questo»

Sei uguale a tutte le altre.

Quella confessione la destabilizzò appena: si aspettava davvero che fosse una correttezza da parte sua perché l'aveva vista in difficoltà? Scendi dalle nuvole a Ray, nessuno in questo modo regala niente.

Specialmente uno come lui.

«Era un modo per sedarti o avremmo fatto un lavoro di merda con Janssens»

Certo che era proprio bravo a distruggere l'autostima altrui.

«Allora potevi anche non farlo» le uscì di getto, forse ferita dalla sua spigolosità. Jimin rilasciò una risata finta e si mise il casco sotto braccio. «Che cosa? Sei seria?» si massaggiò la faccia scombussolato, «preferivi fare un pessimo lavoro come quel coglione di Gale Harper?» l'apostrofò sarcastico.

Aveva visto come Gale afferrava le ballerine, non trovava differenze tra le sue mani e delle pinze per tronchi.

Gale Harper, quindi era questo il suo nome.

Ray si strofinò il braccio a disagio e smise di sguardarono negli occhi: «Che importanza ha? Avresti ricavato lo stesso risultato con qualsiasi altra ballerina al mio posto»

Jimin si immobilizzò e smise di trafficare con la moto: «Come hai detto?»

«Voglio dire» mormorò amara, «non sarò io ad avere la parte di Carmen. La mia prova, anche se é andata male o bene, non avrebbe cambiato nessun esito» perché tutti volevano il debutto di Nora Smith lì dentro, non quello di una qualunque ballerina di provincia, «Non ho la giusta attitudine, né tecnica, per avere quella parte. Quindi perché tanto sforzo?» perché tanto sforzo, Park Jimin, se tu sei il mio primo carnefice?

Jimin tacque. Chiuse la bocca e la studiò attentamente prima di infilarsi il casco in testa e sollevare una gamba per salire in sella. Riusciva a essere comunque sexy, completando semplici azioni come scavalcare un moto con nonchalance. Ed era ancora più intrigante e misterioso che un perfettino come lui, sempre composto e risoluto, se ne stava lì a fumare con una Kawasaki sotto il culo.

Ray non fu sorpresa del silenzio ricevuto come risposta: forse era proprio lui a essere uno di quelli che facevano finta di niente, scappando e basta.

Lasciò perdere, al rombo d'accensione del motore decise di levarsi finalmente dai piedi e farsi un caldo plediluvio dopo essersi curata le vesciche a casa. I cerotti dei calli stavano iniziando a staccarsi e avrebbe dovuto ricucirsi, oltre all'autostima appena distrutta, anche la pelle.

Riprese il cammino sul marciapiede e continuò per qualche metro, fino a quando un bolide nero non si fermò al suo fianco. Le ruote fischiarono sul bitume appiattito a causa dei freni.

Ray cattò spaventandosi dopo un paio di sgasate chiassose: «Ma sei impazzito!?» gli urlò contro, bianca come un lenzuolo.

Ma Jimin non perse tempo con stupidi inconvenevoli, alzò la visiera, si sporse mettendo il peso sulla gamba destra — quella d'appoggio — e la guardò serio. Gli occhi erano così sottili e allungati da farle venire in brividi in tutto il corpo.

«Chi ha detto che non sei adatta per quella parte?» domandò, con i lati del casco che spingevano sotto il collo, sapendo già la risposta. Ray, da spaventata/arrabbiata, divenne confusa. Il rumore del motore rendeva difficile scandire distintamente il suono della voce, finché non recepì il messaggio.

«... É quello che penso io...» ammise.

«Come immaginavo,» disse senza essere sorpreso e un po' arrogante, «te lo sei imposta da sola. Ascoltami Morgan, il mondo non segue nessuno. Non segue me, che sono un etoile riconosciuto in tutto il mondo, né tu che sei una ballerina spuntata a caso dal Wisconsin. Si tratta solamente di avere forza, unghie e fegato per desiderare il meglio per la nostra carriera. E quando parlo del meglio, per uno spettacolo, si punta a un ruolo da protagonista»

Si rimise dritto, dato che si era inoltrato fin troppo verso di lei come un maniaco: «Perciò, se non vuoi quella parte, non perdere tempo e vattene a casa a deprimerti nel fottuto vittimismo» era dannatamente serio, «se invece la vuoi sali su quel palco, tappati quella bocca e balla. Balla come hai fatto oggi»

Balla come hai ballato durante quel pomeriggio in solitudine.

«Recepito il messaggio? Vuoi ballare sì o no?» insistette non sentendo una riposta. Lei strinse i pugni lungo i fianchi e fermò l'agitazione che era tornata a farle visita.

«Certo che voglio ballare»

«Allora non dire più stronzate del genere. Oggi hai ballato bene e sei più Carmen di quanto credi» abbassò la visiera e la voce si storpiò leggermente, ma Ray credette di aver sentito bene lo stesso l'ultima frase, «forse sei l'unica lì dentro a essere in grado di interpretarla. E poi l'hai detto tu stessa: Carmen esiste davvero»

Quella era la frase che usò contro Oliver durante la loro discussione: come faceva Park Jimin a saperlo?

«Aspetta, ma tu come fai a... » ma Jimin partì subito senza farla finire di parlare.

Ray rimase sul lato della strada a fissarlo, scioccata, sconvolta — e altri termini simili —, «Jimin! Jimin dannazione!» gridò in mezzo alla gente fino a rinunciare.

Smise di sventolare il braccio in alto e lo lasciò cadere pigramente lungo il fianco. E Ray, dopo tutta quella confusione, quella strana giornata e aver ballato con Park Jimin, si lasciò scappare un sorriso stremato.

Ma guarda un po'.


Era decisamente uno di quelli che facevano finta di niente, scappando via, pur di non ammettere la verità.









𝘈𝘳𝘵𝘩𝘶𝘳 𝘍𝘪𝘦𝘥𝘭𝘦𝘳:
𝘚𝘦𝘤𝘰𝘯𝘥 𝘐𝘯𝘵𝘳𝘢𝘮𝘦𝘻𝘻𝘰














ᴀɴɢᴏʟɪɴᴏ




Eccoci qui con l'appuntamento di Little Ray!

Inizierò dicendo che la discussione nata tra Il lago dei Cigni e Carmen é una conversazione nata da due ballerini, tra cui una é una fan devota  (Ray) e l'altro é un solista che é annoiato da queste storie tutte uguali. Non sono qui per dire se il lago dei cigni é bello o su chi ha ragione, perché io sono semplicemente esterna e Ray ha espresso il suo sincero parere. Dimostrando quanto ama quell'opera.

Arriviamo al fattore Carmen: non so quanti di vi conoscono bene l'opera, ma viene tratta dalla novella di Mérimée e, oltre alle vincende di questa bella zingara e il dragone Don José, vi é anche la tragica fine col suo assassinio.

Per questo Ray preferisce soffrire per la stupidità in sé del Lago dei Cigni con il suo duplice suicidio (spoiler: in altre versioni i protagonisti non muoiono), che la fine di una povera donna morta a causa della tossicità di un uomo. Perché arrivando al succo del discorso di tratta di un femminicidio e  questa non l'ho scelta a caso, sia per voi che per la vita di Ray.

É tutto calcolato.

- Di fatti Ray ha qualche strano atteggiamento in alcune situazioni 👀

- Sinceramente ho amato il pezzo tra lei e Jimin, ho voluto evidenziare proprio come Jimin le chiede se ha qualche problema o se può fare qualcosa affinché non avvertisse disagio. Mentre quel coglione di Gale dovrebbe darsi all'ippica.

-Secondo voi é vero che Jimin lo chiede a tutte quante?

- e quel fottuto Dio sceso in terra,'oltre a essere figo, guida pure una cazzo di moto e fuma come una red flag. NON CE LA FACCIO.

- possiamo a Nora? O forse no? Non dirò molto, ma Rachel per quanto possa essere leggere su certi argomenti... direi che su questo ci ha preso in pieno. Tocca farsi forza 💪🏻

- ESATTO SI, QUESTO PAS DE DUEX SIMULA UNA BELLA SCOPATA, in sintesi guys vi dovete svegliare che Janssens vuole la PASSIONE👀 credo che voglia anche un filmino per sé

Se avete altro da chiedermi sono qui! Buona lettura❤️ alla prossima!!!

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