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𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟐: 𝐈𝐒 𝐓𝐇𝐀𝐓 𝐓𝐇𝐄 𝐁𝐄𝐒𝐓 𝐘𝐎𝐔 𝐆𝐎𝐓?















𝘈𝘯𝘵𝘰𝘯𝘪𝘰 𝘝𝘪𝘷𝘢𝘭𝘥𝘪:
𝘐𝘯𝘷𝘦𝘳𝘯𝘰 - 𝘓𝘦 𝘲𝘶𝘢𝘵𝘵𝘳𝘰 𝘴𝘵𝘢𝘨𝘪𝘰𝘯𝘪.







Ray, con la mente piatta, cercò invano di infilzare con la forchetta le carote tagliate a dischetti sul suo piatto. Vi era accanto una porzione di riso e qualche fetta di pollo come proteina, mentre la posata sembrava non voler collaborare con la presa meccanica dei denti sulla superficie arancione. Ma era obbligata a dare ascolto alla dietologa o la sua alimentazione, accuratamente sorvegliata, le si sarebbe rivoltata contro i prossimi giorni per il troppo digiuno.

«Ancora non ci credo» esordì Rachel con lo sguardo fisso nel piatto e sul volto uno smorfia persa, «Park Jimin ha tenuto un corso di tecnica e io ero lì. Non indossavo nemmeno il mio body migliore»

Una ragazza del tavolo, Cameron Clare — la tipica bionda americana, occhi azzurri e un sorriso squadrato —, lanciò una risatina scuotendo la testa: «Se é per questo hai avuto anche l'enorme privilegio di essere corretta in quinta da lui stesso» si fermò per dare più enfasi, «senza indossare il tuo body migliore» finì, girando il coltello nella piaga.

Rachel smise di sognare a occhi aperti e le lanciò un pezzo di pollo sul piatto: «Fottiti Cameron»

«E da chi? Da te o da lui

La carota scappò dal piatto di Ray dopo aver udito quella battuta e sotto le risate generali delle donne: ma perché lei non stava ridendo insieme a loro?

Perché sentiva la faccia andare a fuoco?

«Ragazze...» le richiamò Nora, seduta in mezzo al tavolo come Gesù nell'Ultima Cena, «Vi prego smettetela, siete imbarazzanti» ruotò gli occhi al soffitto sconsolata.

«Oh certo, dici così solamente perché già lo conosci e sei ormai abituata alla sua presenza» sentenziò Rachel puntandole una gomitata sul fianco e Nora, ora con gli occhi rivolti verso il vuoto, borbottò: «Esatto, lo conosco Rachel. Ma non é un mio amico ed é passato molto tempo dall'ultima volta che l'ho visto»

«Mmh, l'ultima volta é stato un incontro romantico?» domandò maliziosa. Ma Nora la zittì immediatamente: «No. Niente di avvicinabile ai pensieri della tua mente malata»

Dopo aver udito quella notizia, un'altra ragazza, vicino a Cameron, si piegò in avanti con gli avambracci sul tavolo ed eccitata: «Conosci Park Jimin? Vuoi dire che hai lavorato con lui?» la sua domanda fece intercettare un'altra decina di occhi, compresi quelli di Ray, in attesa che il cigno bianco sputasse fuori il rospo.

Nora aprì la bocca per risponderle venne interrotta dai brusii generali.

«Ma é impossibile! Park non andò via dall'ABT per trasferirsi alla Royal più di cinque anni fa? All'epoca, Nora Smith, facevi già parte della compagnia?» questa domanda uscì dal covo di voci; l'ennesima testa color biondo rame e l'espressione da sorcio di campagna stampata sulla faccia di Lucinda Brown. Gli incisivi erano lunghi il doppio di quelli sporgenti di Rachel e i suoi occhi cerulei, grossi e spiritati, riuscivano a metterti in soggezione.

Persino Park Jimin ebbe un inquietante brivido addosso quando gli capitò di intercettare quei fanali puntati su di lui.

Nora sentì su di sé una montagna di occhi, una pressione che non percepiva nemmeno durante agli spettacoli di primavera. «É andato a Parigi, prima della Royal Ballet. All'epoca ero ancora una studentessa dell'accademia, quindi non abbiamo mai ballato insieme» cercò di farsi scivolare addosso il disagio con un sorriso tirato, spiegando l'essenziale.

«Ma hai detto di conoscerlo!» insistette Cameron e Rachel annuì in accordo. «Esatto. Questa storia mi sfugge, ci conosciamo da anni ma non mi hai mai raccontato nulla a proposito»

Nora sentì la testa girarle senza alcun preavviso: «Forse perché non c'è nulla da raccontare!» la frase uscì impulsiva, le domande erano diventate troppe ma la sua capienza di pazienza aveva sforato il limite.

Ray vide un'ombra di fitto dolore, rabbia e negazione nel suo sguardo e per la misera conoscenza dei rapporti umani che deteneva dai tempi del liceo, riconosceva che tra le sue parole non vi era alcun sintomo di amicizia.

Era riuscita a notare il modo in cui Jimin aveva trattato tutte loro con un distacco a dir poco tagliente; alla fine della fiera faceva da insegnate al fianco della Collins a ritmi sporadici, ergo rimaneva un loro compagno di lavoro: perciò non comprendeva il perché avesse costruito questo enorme muro di formalità nei loro confronti. Volente o no rimaneva un collega prima di essere un etoile di successo, pronto a pavoneggiarsi all'ABT.

Eppure Nora Smith aveva eseguito quegli esercizi di tecnica come se fosse estranea a qualsiasi tipo di relazione o connessione sentimentale verso Jimin; non venne corretta perché eseguì un compito impeccabile e pulito, però non fu nemmeno elogiata. Nello sguardo dell'etoile, dopo la prova di Nora Smith, non sembrava esserci alcun tipo di segnale positivo al livello di tolleranza.

Anzi, sembrava leggermente infastidito.

Non erano amici, ma si conoscevano...

E qualunque cosa fosse successa tra di loro era stato vissuto in segreto; Rachel conosceva Nora già da qualche anno, nonostante quest'ultima fosse più grande di lei ed entrambe avevano frequentato l'accademia dell'ABT, perciò: com'era possibile che Rachel non sapesse niente della storia con Park Jimin?

«Sento puzza di cuore infranto» osò commentare Lucinda Brown, colei che aveva dato inizio a quel trambusto al fianco di Cameron Clare. Nora non disse niente, guardò solamente il piatto in silenzio con un sorriso finto sulle labbra.

«La tua curiosità ti ucciderà un giorno Brown, te lo dico sempre» commentò Cameron con un pezzo di carota premuta tra le labbra e andò avanti, «Cambiando discorso: guardate chi sta cercando di comprarsi i professori insieme al glaciale, ma bollente, Park Jimin» accennò con la testa di guardare alle spalle delle ragazze sedute difronte a lei. Si girarono in sincrono e seguirono con gli occhi un paio di gambe lunghe in calze rosa, un body firmato e coperto per metà da una gonnellina svolazzante e un paio di capelli biondi grano, senza un capello fuori posto, stretti in uno chignon.

Avevano sudato come bestie sotto il sole, il loro status di ballerine professioniste imponeva di mostrare la perfezione senza un briciolo di fatica, ma santo cielo quelle erano delle prove al chiuso. Tutto il suo gruppo aveva un aspetto di merda, eppure la ragazza in questione sembrava aver trovato il tempo di farsi una doccia in un salone di bellezza. Composta e rigogliosa in piedi davanti al tavolo dei professori, scenografi e qualche facoltoso ballerino della classe degli uomini, con tutta la sua sfrontata spavalderia.

Gli uomini la mangiavano con lo sguardo mentre Park Jimin, per nulla toccato dai suoi sguardi languidi, fissava il telefono disinteressato ogni volta che la bionda apriva bocca.

«Cosa spera di ottenere andando a leccare il culo alla Collins quando é già la sua prediletta?» masticò Cameron guardando Judite Dixon — la bionda languida — con del fastidio negli occhi. Rachel si girò a guardarla con un braccio ancorato allo schienale e cacciò un ghigno sarcastico: «Forse il culo che vorrebbe leccare non é quello della Collins, ma quello della red flag uscito da un dark romance seduto davanti a lei»

Judite Dixon, era un nome sentito in tutto il compartimento artistico dell'ABT. Ray socchiuse gli occhi per guardarla meglio e la riconobbe immediatamente: «É quella che mi ha detto che le reggerò il bouquet a fine spettacolo» mormorò tra sé ad alta voce.

L'intero tavolo si girò verso Ray per la prima volta da quando si erano sedute e sentì una vampata di imbarazzo colorarle la faccia.

«Oddio ma tu sai parlare—»

Rachel lanciò un calcio contro la gamba di Lucinda e la fece zittire, piegandola dal dolore. «Cazzo! Hai dei pugnali al posto dei piedi o cosa!?»

«Non te la prendere» Nora rassicurò Ray con dolcezza, «Fa così per tastare il terreno e usa questo atteggiamento per assicurarsi di non avere alcuna concorrenza in vista della stagione. Tu sei l'ultima arrivata, ti starà col fiato sul collo e cercherà di renderti la vita un inferno ma non devi mollare. Non mostrarti mai debole davanti a lei o ti manipolerà» l'avvisò.

«Dici sul serio?» mormorò leggermente intimorita, «E ha fatto così con tutte voi?»

«Sì e no» rispose incerta Cameron e provò a spiegarsi meglio: «Se sei brava e una possibile rivale per lei allora non ti staccherà gli occhi di dosso e farà il possibile per metterti in difficoltà. Se invece non ti reputerà una minaccia, come fa con me e Lucinda, farà finta di niente trattandoti come se non esistessi»

«Come della spazzatura!» esordì Lucinda Brown beffarda.

«Già, esattamente» concordò Cameron, «Al momento l'unica che teme davvero come rivale é Nora, con Rachel non ci ha mai parlato perché é sempre stata sotto la sua protezione. Sono tutte sciocchezze insomma, sembra di stare all'asilo...» sospirò, come se quegli atteggiamenti infantili non esisterò anche nelle altre compagnie.

E Ray lo sapeva molto bene, anche se il Wisconsin era lontano da New York, a Madison vi era un'altra Judite Dixon pronta a pestarti i piedi per invidia.

Le bastarde erano ovunque.

Rachel borbottò: «Qualcuno può spiegarmi perché Miss-voglio-la-pace-nel-mondo-con-i-soldi-del-papi sembra essere uscita da un film di means girls con grossi problemi di autostima?»

«Beh...» chiacchierò Cameron iniziando a elencare con le dita, «É una delle migliori della nostra classe al momento, la sua famiglia finanzia una parte del settore artistico e dell'ABT; ha una grande tecnica ed é in accademia da quando aveva dieci anni e se continuerà così c'è la possibilità che ai prossimi provini del ballo d'inverno venga scelta come prima ballerina, quindi c'è molta tensione nell'aria. Devo aggiungere altro alla sua lista priva di meritocrazia?» domandò ironica verso Lucinda.

Questa fece un mezzo sorriso disperato e grugnì.

«Cazzate! Quel posto andrà a Nora» Rachel guardò la mora convinta mentre ripeteva parola per parola, «Anche lei é entrata a dieci anni e ha una tecnica avanzata, le manca poco per diventare una solista»

Nora, presa in causa, la guardò poco convinta: «Non esserne così sicura, siamo praticamente gemellate dallo stesso percorso di studi ed é per questo che mi teme. É una lunga battaglia che va avanti da tutta la vita» disse ormai abituata.

Alla luce dei fatti Cameron Clare, col suo sarcasmo spropositato, ne raccontò un'altra delle sue: «Allora diventerete entrambe delle soliste, potrebbe essere il nuovo tema dello spettacolo d'inverno! Un triangolo amoroso: due ballerine belle, ma diverse, in lotta per il cuore dell'etoile col culo più bello del mondo! Non vi sembra una trama fantastica?» ma nel dirlo alzò troppo i toni.

Si scatenò una marea di risate; persino Nora, per niente d'accordo con le fantasie della bionda davanti a lei, accennò una risata leggera. Cercò comunque di dirle di abbassare la voce, ma senza fare in tempo perché un'ombra, dietro a Cameron, oscurò il tavolo.

«Hai una bella fantasia Cameron Clare» una voce alle sue spalle la chiamò e Cameron, irrigidita, vide una testa spuntare dalla spalla, «Peccato che l'etoile con il culo più bello del mondo non esca con le ballerine. E queste, per quanto belle e puttane potranno essere...» sussurrò molto vicino al suo orecchio, «verrano comunque scaricate se non dopo una mezza scopata. Sempre se siete fortunate, solitamente non concede neanche questa» allungò una mano per afferrare un cubetto di formaggio dal suo piatto e si alzò, guardando tutto il tavolo sconvolto con soddisfazione.

L'occhio cascò su Nora e la guardò ghignando: «Dico bene, Smith?» la provocò.

Quella frase lasciò tutte quante con il fiato sospeso e a bocca aperta.

La mora strinse appena la forchetta tra le mani, ma non fece nulla di avventato, si limitò a fissarla altrettanto con uno sguardo di pietra. L'altra ridacchiò e si congedò canticchiando. «Ci si vede ragazze! Fatemi sapere come finirà la storia, mmh?»

Andò via e cascò un lungo silenzio. La sua migliore amica tentennò. «E quella chi diavolo era?» strillò sottovoce Rachel dopo averla vista allontanarsi.

Ray seguì quella donna con lo sguardo fino a quando non arrivò al tavolo di Jimin; questa si sedette al suo fianco come se niente fosse e rise a una battuta a caso di un professore. La vide alzare una mano per toccare la spalla dell'uomo e questo, contro ogni aspettativa, gli accennò un mezzo sorriso.

Nora lasciò la forchetta sul piatto e fece un lungo sospiro stressato: «Quella é Jamie Hills, una delle costumiste dell'ABT e amica di vecchia data di Jimin» aveva il respiro affannato.

«E cosa intendeva con l'ultima frase?» domandò a bassa voce Ray, con poco coraggio in corpo, guardando Nora, «Che non esce con le ballerine...?»

Calò un altra volta il silenzio. Nora Smith si toccò la tempia sfinita e decise di alzarsi dal tavolo: non era esattamente l'inizio della stagione che immaginava.

«É quello che ha detto, Ray. Non pensate a lui se non volete che vi spezzi il cuore: Park Jimin non spreca il suo tempo con le ballerine ed é uno stupido codice morale che si é autoimposto, perciò basta chiedermelo ragazze. Non so altro» guardò Ray dritta negli occhi, mostrandole duramente di non andare oltre con quelle fastidiose domande personali e se ne andò dopo aver preso il vassoio.

A causa del trambusto in quella grande sala illuminata dal neon e pullulante anche di tirocinanti speranzosi dell'accademia, sarebbe stato impossibile notare quel piccolo screzio tra ballerini.

Ma Ray si sentì esposta ugualmente e non poté che provare una viscida sensazione addosso per aver fatto provare dolore a un'altra persona. Nora era una persona che godeva di un'ottima stima artistica anche standosene sulle sue, senza ricorrere a risaltare il proprio ego come Judite Dixon. Però era sicura che anche Nora viveva sotto un grande cognome, la sua natura regale e il carattere laconico erano indizi importanti.

Ed era proprio il sintomo di regalità, quel dettaglio bastardo, che Ray Morgan invidiava con una tristezza angosciante. Lei era invisibile, viveva nel silenzio ed era soffocata dalla timidezza proprio come Nora; ma Nora sembra un cigno circondato da un'aurea celestiale mentre Ray non spiccava, restava intorno a lui solo il disagio del timore.

Forse non avrebbe mai spiccato in vita sua.

Tolse gli occhi dal posto ormai vuoto di Nora e, mentre tutte le altre, per alleggerire la tensione, tornarono a parlare di tecnica, l'attenzione cadde per un briciolo di secondo sul tavolo dei professori.

Sbarrò gli occhi e sentì il fiato mancarle quando incontrò lo sguardo gelido ed enigmatico di Park Jimin. Vide quelle pietre onice scavarle l'anima nel profondo, sfrontato al punto da toccarle punti intimi per scoprire quali scheletri nell'armadio nascondesse. Un brivido le arrivò ad arricciarle la pelle dietro al collo e distolse immediatamente gli occhi senza fiato. Guardò giù mentre le guance le bruciavano peggio di una bambina e si alzò alla svelta, salutando le sue compagne, per uscire da lì.

Senza sapere se, anche quando chiuse la porta della mensa, gli occhi di Jimin l'avevano scrutata ancora o no.













Era passata una settimana e Ray riniziò ad avere i primi dubbi sulle sue capacità artistiche. Quando iniziò ad averli la prima volta fu quando compì quindi anni e affrontò quell'ostacolo con lo psicologo dell'accademia a Madison. L'ambiente tossico della danza era una cosa risaputa quanto i frullati di vitamine che si obbligava a bere alla mattina, lei si era sentita sempre fragile nella vita e forse aveva cominciato a crederlo di più quando gli altri iniziarono a dirglielo con superficialità.

Ma la superficialità era calcolata abbastanza per vederla rinunciare. Subdolo.

Sminuendo in questo modo un processo delicato che aveva provato a costruire con gli anni senza troppi successi, perché in realtà era lei il problema principale: era lei a non aver fiducia in se stessa e nelle sue capacità. Sentiva le sue colleghe parlare della vecchia vita passata, in accademie anche sparse per il paese o nel mondo intero, decantando con soddisfazione le loro qualifiche o della nomina come migliore ballerina del loro anno. Le guardava e come poteva non sentirsi inferiore dinanzi a quella sicurezza?

Ne parlava ogni sera sera con sua sorella, quando al termine degli allenamenti se ne andava da sola nel tetto e la chiamava al telefono spiegandole quanto fosse grande New York. L'altra la scherniva chiedendole se fosse grande come le campagne di Forest e lei le rispondeva di no, ogni volta, ogni notte, poi quando glielo ripeteva cresceva in lei un sintomo d'orgoglio che non riusciva a spiegare.

Reese Morgan non aveva paura di niente, era il suo contrario o per lo meno cercava di esserlo per essere il porto sicuro di Ray. Non sapeva spiegarsi il perché di questi nomi assurdi e fin troppi maschili per due donne rigogliose come loro, forse suo padre voleva due maschi — sosteneva Reese —, mentre Ray era sicura che il lato americano della sua famiglia avesse spinto per un non adoperare nemmeno un nome sud coreano.

Che sua madre ne uscì fuori indignata era dire poco, ma alla fine dei conti capì poco dopo il perché: quelle campagne vuote e i quartieri singoli di Blackwell non erano pronti per lasciarsi il razzismo alle spalle.

«Per cosa dovresti avere paura allora?», continuava a chiederle sprezzante, riprendendo il discorso su quanto fosse grande New York rispetto a Blackwell, «sono loro che devono aver paura da te. Sono loro che non sanno cosa vuol dire perdersi nella desolazione, piuttosto che in quell'aggroviglio di cemento, spaventa di più il nulla. Dal nulla non ti aspetti niente ed é questo il punto dove sono in molti a cadere»

Ray aveva imparato ad ascoltarla in silenzio coi capelli raccolti nei suoi soliti codini, una felpa addosso e il collo piegato in avanti a guardare il cielo senza stelle. Il cellulare lasciato sulle cosce e l'ebrezza autunnale a starle accanto.

«Sei proprio sciocca, guardi gli altri come un'allocca e come se avessero qualcosa in più di te. Queste sono cazzate Ray, anche tu eri la migliore del tuo corso e sei stata l'unica lì dentro ad aver lasciato questo cesso di posto. Se tu sei lì e quelle del tuo vecchio corso a Madison, cosa pensi che significa?» Ray odiava quando se lo scordava, credeva che fosse un suo sogno ben lontano dalla realtà.

«Sono stata obbligata» glielo ricordò a bassa voce, accusando il dolore del passato che cercava di ammontarle nel petto. Ma lei lo scacciava, non l'avrebbe mai più fatto entrare nella sua vita perché preferiva non affrontare niente.

Sua sorella stette in silenzio lì per lì, avendo rispetto del suo dolore perché se solo avesse aperto il discorso si sarebbe accasciata a terra o raso l'intera contea per riscuotere vendetta e salvaguardare lo stato psicofisico di sua sorella minore.

Anche Reese aveva sofferto, si era creata una corazza spessa cinque dita partendo dal fatto che la sua fisionomia fosse più orientale di quella di Ray. Le prese in giro e il bullismo dai coetanei ignoranti erano l'ordine del giorno fino a quando non mollò un pugno a una stronzetta della classe a canto alla sua in seconda media. Le aveva rotto il naso e non si era minimamente pentita di averlo fatto; sua madre le disse che con la violenza non si risolveva un bel niente ma dopo aver scoperto la verità le mormorò un Ben fatto!

Entrambe potevano addosso grosse croci sulla schiena ma Reese non riusciva a non preoccuparsi maggiormente di quello che aveva subito Ray.

Ma Ray non voleva più parlare del passato e lei l'avrebbe rispettata.

«Allora torna a casa Ray», quell'uscita la lasciò di stuccò, tanto da farle alzare le spalle verso l'alto e gettare l'attenzione sul telefono. Stava usando la psicologia inversa?

«C-Come?» sussurrò confusa.

Si sentì un rumore ovattato dalla connessione e la voce tornò a farsi sentire. «Ti ho detto quello che volevi sentirti dire: se lì non stai bene, vattene. Fai quello che ti rende felice, pensavo che ballare lo facesse»

«Sì! Assolutamente sì, ballare mi rende felice... ma-»

«Allora smettila di costringerti a vivere nella miseria Ray. Cristo Santo, non ti rendi nemmeno conto di come sei quando balli e continui a nasconderti. Ti hanno notata dall'ABT in un momento in cui ne avevi assolutamente bisogno e io, questa opportunità, l'ho vista come un miracolo per te. Voglio che tu riprenda la tua vita e che torni a ballare come un tempo, prima che—» si fermò immediatamente. Ma Ray capì immediatamente di cosa stava per dire.

Sì sentì un lungo sospiro, un chiaro segno che non voleva mettersi a piangere orgogliosa com'era, «Se tornerai a Blackwell perché hai mollato sarà l'ennesima vittoria che darai al passato. Se rimarrai lì, senza scappare dai problemi, sono sicura che diventerai qualcuno»

Scivolò ugualmente una lacrima a entrambe quella notte nonostante le miglia a separarle, ma non c'era bisogno di saperlo. O dirselo, dopotutto erano sorelle.

«Ti voglio bene Reese» disse solamente Ray. Quella per Reese era una risposta ben più che sufficiente.

«Anche io te ne voglio Ray» tirò sul col naso e inghiottì il groppo che gli graffiava la gola, «Ah e una cosa», disse prima di chiudere la chiamata, «ricordati che nessuno ti ha obbligato ad andartene da questo posto. Sei tu che hai avuto il coraggio e la bravura per farti un'altra vita lontana da qui. Nessuno potrai mai dirti cosa fare, hai capito?»

Se vorrai andartene lo decidersi solamente tu.

E ora mentre camminava tranquilla nei corridoi per la lezione tenuta da Jimin, cercava di ricordare a se stessa che, nonostante le cose brutte successe in passato, nessuno avrebbe mai avuto il diritto di obbligarla a fare una cosa che non voleva fare.

In perfetto orario — con mezz'ora di anticipo — entrò salutando timidamente Rachel stesa a terra con le punte piegate. I rintocchi di chi ancora continuava a martellare furiosamente le proprie scarpette, per ammorbidirle in modo da non sorbirsi dolori alle caviglie sotto gli esercizi di Park Jimin, rimbombavano sui timpani ormai come un sottofondo naturale.

Era la natura del ballo e si udivano solo lamenti, rimproveri e musica classica, ma se eri il migliore e fluttuavi in simbiosi con le punte allora riuscivi a vivere in un altro mondo.

Non appena Ray mollò il borsone a terra, si mise alla sbarra per scaldare le caviglie e poi alzarsi in piccoli e soffici relevé in en dehors, ruotando l'anca verso l'esterno e girarsi lateralmente. Sentiva su di sé una strana pressione addosso: un'altra settimana passata e la compagnia si era limitata a fare esercizi di tecnica uno dietro l'altro al posto di irrompere nelle stanze con un "nuovo spettacolo in corso!" o "Audizioni!" gridato tra i denti.

Ormai nessuno viene più a vedere i balletti, poteva essere una constatazione ingiustamente vera e dolorosa da ammettere per un ballerino del loro calibro.

A testa bassa, Ray pensò comunque che là fuori vi era ancora qualcuno che, nonostante il cambio generazionale e la noia contemplata dall'avere tutto, spendeva comunque soldi e tempo per la danza. Lei continuava a crederci e l'avrebbe fatto fino a quando la sua testa non riavrebbe assorbito ogni cellula di autostima persa per colpa del passato.

Alzò gli occhi giusto per vedere l'ultimo paio di ragazze buttarsi a capofitto in classe, verso la sbarra, seguite niente da meno che dal portamento glaciale e statuario di Park Jimin. Colui che ancora continuava a mostrarsi alle matricole come un fottuto insegnante con un bastone in culo.

«Buongiorno signore» esordì senza emozioni e con un pizzico di sarcasmo in quel signore; si diresse verso l'armadio per riporre una borsa più grande del solito e la sua solita giacca di pelle, dettaglio poco regale per un principe come lui — Ray ruotò gli occhi al cielo da sola per il suo stesso pensiero.

La classe ricambiò prontamente con un saluto molto più sonoro del suo — anche più civettuolo — mentre il pianista all'angolo della stanza gli fece un breve inchino leggermente assonnato. L'aria mattutina d'autunno pizzicò leggermente la gola spessa dell'uomo con della sottile raucedine dove, nel suo caso, lo rendeva solamente più sexy e caldo di quanto non fosse già a causa dei suoi lineamenti esotici.

Tornando a noi: quella mattina Ray aveva cercato di rendersi il più possibile presentabile a differenza delle altre lezioni tenute da Park Jimin. Ogni volta che capitava in quel corso si ritrovava a non avere body abbastanza puliti, punte poco ammorbidite o qualche forcina in meno ai lati della testa per gli standard del suo "professore".

Ed era ridicolo per lei chiamarlo in quel modo per sole tre ore al giorno, in tre volte alla settimana, pompandosi ego e culo con del riconoscimento degli anni del 700. Notava il sottile guizzo nello sguardo, di puro divertimento, ogni volta che una delle giovani matricole si permetteva di chiamarlo professore dandogli del lei.

Ray evitava di chiamarlo e basta: a malapena lo guardava dritto in faccia e quando si prendeva la briga di correggerla in modo sgarbato annuiva solamente col capo. Ma Ray non si scusava, aveva capito ormai che scusarsi con Jimin era inutile perciò bisognava mettere in pratica quello che si aveva imparato dal suo richiamo.

«Alla sbarra. Voglio almeno una decina di alzate singole in relevé e cinque ritiri in devants. Altri relevé in seconda con la gamba ben estesa, ripetuto per circa dieci minuti» spiegò camminando nel mezzo della stanza e, da sotto la tendina di capelli mori, cacciò uno sguardo cruciato, «Voglio dei perfetti devants» sottolineò gelido in modo che il concetto fosse ben chiaro.

«Quindi ci alleneremo sui Fouettés?» Danielle Price alzò la mano ma parlò ugualmente senza il suo permesso, dettagli che fece venire un leggero tick all'occhio a Jimin. Lui respirò profondamente per non darlo a vedere e essere meno severo verso la squadra.

«Esattamente» esordì seccato, «la signora Collins vi ha già visto nella diagonale mentre io no. Abbiamo fatto tanta tecnica nell'ultima settimana perciò voglio vedervi come ve la cavate con una sequenza di Fouettés e Pirouettes in diagonale»

Rachel, nel lato in fondo alla classe e al fianco di Ray, spalancò la bocca scioccata: «Che cosa!?» strillò a bassa voce verso la castana, «Sta scherzando spero!»

Ray negò con la testa, guardandola preoccupata: «Ci farà fuori»

«Ci? Ray hai sentito cosa ha detto l'ultima volta la Collins sui miei fottuti piedi?» espirò frustrata, ricordandosi le dure parole della maître sulla sua agghiacciante apertura laterale, «Le tue anche sembrano fatte di gomma! Io sono spacciata!»

La ragazza con la carnagione olivastra la guardò con una sottile invidia negli occhi; Rachel glielo ripeteva ogni giorno che i suoi piedi sembravano, a primo avviso, i migliori della classe. Persino Nora a volte glieli studiava da lontano e Judite non si era ancora espressa a proposito delle linee, cosa che in realtà faceva con qualsiasi nuovo arrivato. Ma Ray, davanti a tutta quella curiosità, prontamente mostrava un sorriso imbarazzato, negando e sabotandosi da sola.

«É inutile essere bravi in una cosa e peccare su tutto» eccola che ricominciava. Ma Rachel non riuscì a ribattere perché Danielle, con la sua solita impertinenza, se ne fregò di aspettare il permesso del professore e si sollevò, addirittura, sulle punte per sbracciarsi.

«Signore, per caso c'è aria di spettacoli in corso?» quella domanda fece sbarrare gli occhi a tutti quanti, persino il pianista sbagliò una nota nel suo sottofondo. Tutti si misero a fissare attentamente il sudcoreano impalato davanti allo specchio.

Anche i miri sapevano che l'ABT stava riscontrando problemi con i finanziamenti. Si era davvero permessa di chiederlo a lui?

Judite si mise una mano sulla bocca e mascherò una grassa risata derisoria, pronta a godersi il vero spettacolo che sarebbe arrivato da lì a poco. Di fatti, Park Jimin aveva chiuso brevemente gli occhi per concentrarsi nuovamente e respirare. Una volta. Due volte. Tre volte...

Almeno ci stava provando.

«Danielle» si permise di chiamarla per nome e tutte quante videro sul volto della ballerina diventare bianco come un cencio: «Sì... signor Park?» balbettò.

«Chiudi quella bocca»

Avrebbe potuto dire di peggio.

«E alzare quella fottuta mano, senza aspettare il permesso del maître, o di qualunque ci sia al mio posto, non serve a un bel niente»

Come non detto.

«Perciò stai zitta, in silenzio e pensa a lavorare su quei dannati tendue pliés!» aprì gli occhi fissandola, «L'ultima volta erano penosi» con un colpo di frusta girò velocemente il collo verso il club di ballerine e queste, con tantissima strizza, strinsero il legno della sbarra e guardarono un punto a caso davanti al loro naso.

Demolita. Danielle Price era stata completamente demolita.

Tutti deglutirono rumorosamente, Jimin scoccò un'occhiata al pianista e questo si mise rigorosamente dritto con le mani già incollate ai tasti.

«Bene, se non ci sono altre stupide domande iniziamo!»









Si era immaginata l'inizio del weekend in maniera diversa da come era abituata a Blackwell: allenamento tutta la mattina, pranzo alla mensa, poi le prove sul palco fino alle sei del pomeriggio e infine l'inizio del riposo che si sarebbe dilungato fino alla domenica.

Ma quel sabato a Manhattan sembrava l'inizio dell'inferno, vedeva le sue compagne contare stupidamente il tempo durante la piccola coreografia con in fouettés, in diagonale, cosa che Jimin e qualunque altro maître odiava più di qualsiasi cosa dopo i piedi non allineati in en dehors. L'etoile batteva il ritmo sulla piega del suo braccio dato gli arti piegati e incrociati davanti al petto.

«Siete rigide» gli occhi del moro non lasciarono i corpi splendidi delle ballerine nemmeno per un secondo, alla ricerca del minimo errore e puntualmente lo trovava sempre sotto il naso. Sbagliare era umano, ma errori di quel calibro era impensabile per lui.

«Cameron smettila di guardare lo specchio e voi altre» si riferì alle due restanti del loro terzetto, «Le vostre braccia erano in ritardo, per la seconda volta» spiegò annoiato.

Le tre si guardarono e borbottarono bruscamente prima di ficcarsi in un angolo per aspettare il nuovo gruppo: Ray sentì il cuore accelerare di venti battiti al secondo. Ora toccava a lei e il fato sembrava odiarla per averla messa nello stesso gruppo con le migliori della classe. Nora si preparò alla sua destra mentre Judite a sinistra, lei sarebbe stata al centro proprio sotto il mirino del diavolo.

«Pronto terzo gruppo» diede il via al pianista e contò: «E uno... e due»

Ray fece un lungo respiro e si mosse lentamente secondo il ritmo di Chopin, stese le braccia in modo che fossero sollevate dall'alto e non dal basso mascherando la fatica, insieme al bruciore dei muscoli che spezzavano il suo povero corpo. Finì fermandosi in un croisé e salì su in linea con le due senior ai lati, girò sulla gamba e ruotò in una pirouette in quarta.

Si fermò di nuovo in un lungo tendu ma il suo equilibrio vacillò e fece scivolare il piede steso verso l'indietro di qualche centimetro. Jimin colse quella svista ma si morse il labbro senza dire niente.

Si diedero tutte e tre un'altra spinta per volteggiare in uno step di tre piquet e prepararsi con i letali fouettés. Jimin era stato un bastardo quel giorno, molto più del solito e pretendeva almeno dieci giri di frustra sui fouettés in assoluta perfezione.

Ma erano proprio quest'ultimi a spaventare Ray.

Il suo sguardo, mentre ruotava nei piquet, si mischiò allo specchio insieme al neon giallastro e alla bellezza disumana di quel demone diafano dai capelli neri che stava lì in piedi a giudicarla con gli occhi. Ruotava e gli sembrò di vedere un'ombra farsi posto tra i vetri dello specchio; questa massa informe arrivò a oscurare la sua visione e la vista, gli occhi iniziarono a supplicare di poter tornare a vedere come prima. Si sentì cieca e lasciata al mondo.

Finché non toccò alla sequenza dei fouettés e non appena alzò il piede in relevé la paura tornò a farle da spettatore nelle vesti del suo peggior incubo.

Un incubo che dopo un quarto giro di frusta le mostrò un sorriso malato di voglia, lascivo e subdolo, perverso al punto da dichiararsi un sopporto amichevole mentre in verità si mostrava come il peggiore dei mali. La faccia di Park Jimin era stata sostituita da un'ombra del passato e al quinto fouetté accusò quegli occhi pericolosi addosso, al punto che perse completamente la stabilità mentale e quella fisica.

Inciampò perdendo l'equilibrio e si ritrovò con entrambi i piedi sul pavimento, la testa chinata per la vergogna e un compito incompleto. L'unica della classe a non aver eseguito tutti e dieci i fouettés come ordinato, l'unica a non aver mostrato nemmeno un segno di scuse al suo maestro e l'unica — impensabile per una ballerina — a non aver ripreso a ballare in modo da mostrare la sua professionalità.

Nora le lanciò uno sguardo preoccupato dopo aver completato i fouettés e Jimin fece fermare tutto quanto con un'alzata di mano, la musica venne bruscamente interrotta e così anche la diagonale.

«Cos'era quello?» domandò a Ray, aspettandosi una qualunque scusa per il suo comportamento inammissibile.

Ma la matricola non osava alzare lo guardo dalle punte, si stringeva le mani e tagliuzzava la superficie delle dita con le unghie.

«Ti ho fatto una domanda, Morgan» la chiamò per cognome, l'unica con cui ancora manteneva questa stupida e rigida barriera artistica.

Secondo Jimin, Ray Morgan non doveva trovarsi lì a riempire inutilmente un posto importante dell'ABT.

Udendo quel tono arrabbiato Ray strizzò gli occhi e alzò la testa davanti al suo insegnante; gli mostrò un paio di guance infuocate dall'imbarazzo causato dagli occhi serpentini della classe e, al contempo,  un'insicurezza infantile che sgorgava da sotto le palpebre sottili, quasi come le sue, tanto da far stringere il cuore per un secondo a Jimin. Ma lui, risoluto e amante di quel mondo sadico, marito della danza, si mostrò severo e distante da qualsiasi altro tipo emozioni non accettabili in quel contesto.

«Io...» mormorò a bassa voce. Jimin si innervosì e si accese di un paio di toni: «Alza quella voce dannazione! Qual é il tuo problema Morgan!? Fare dieci fottuti fouettés di seguito?»

«No!» strizzò la bocca in difficoltà, sentiva gli occhi farsi deboli a causa della sua stessa frustrazione: perché era così debole?

«A me sembra di sì invece. Se hai un problema nel mantenere l'aplomb perfettamente me lo dici e ci lavoriamo sopra. Ma se hai un problema nell' eseguire quattro pirouette, tendu e i fouettés allora scusami se risulterò insensibile ma non dovresti stare qui» le chiarì irritato mentre intorno a loro si elevarono dei brusii.

Quelle parole fecero male come coltelli piantati addosso senza troppe cerimonie. «Sono solo inciampata ma non ricapiterà più. Sono passi che posso fare» si giustificò con la voce che tremava.

«Sono passi che devi saper fare Morgan, dovresti essere una professionista con dell'esperienza alle spalle ma» sciolse le braccia del petto e le mise sui fianchi, «mi è bastata una settimana e mezzo per sostenere che non sei pronta a un livello del genere. Ti guardo e in te vedo solo una bambina che gioca sulle punte» scagliò la prima pietra.

Forse Jimin sapeva di aver esagerato questa volta; gli occhi furenti di Rachel e il sospiro sconsolato del pianista erano prove ben solide del suo pessimo carattere. Ma secondo lui qualcuno doveva pur dirglielo.

Ray strinse i pugni ai lati dei fianchi e cercò di trattenere le lacrime: «Si sbaglia! Io non sono una bambina che gioca sulle punte. Sono una ballerina»

Jimin fece un mezzo ghigno presuntuoso e allungò un braccio davanti a lui, indicando il centro della stanza: «Prego allora, dimostrami che mi sbaglio facendomi una sequenza perfetta di almeno dieci fouettés» la sfidò, «O hai bisogno che Judite ti rinfreschi la memoria mostrandoti come devi fare?» a che punto poteva sopportare quell'umiliazione?, si chiese dentro di sé Jimin.

«Se ha bisogno posso mostrarle tutti i passi della sequenza signor Park» esordì con un sorriso di pura derisione nei confronti di Ray.

«Grazie ma per ora basta così» le disse tranquillo e tornò a guardare Ray, «Allora signorina Morgan? Sto aspettando» la provocò ancora e la vide muoversi lentamente verso il centro.

Ray camminò tremante e agitata fino al punto centrale, prese posizione in tendu e fece ricorso a tutta la sua memoria muscolare per sopportare al meglio l'equilibrio durante i giri. Ma già dal secondo fouetté Jimin schioccò la lingua al palato: «Sei rigida» e lo continuò a dire a ogni giravolta, «Più grinta! Non tieni il tempo e hai le costole all'infuori. Dentro! Più dentro!» all'ennesimo richiamo la forza mentale di Ray crollò definitivamente al decimo fouetté, arrancato e sofferto dai continui ricordi.

Ora non c'era nessun'ombra a tormentala, ma un etoile di successo che si divertiva a fare il maestro saccente per colpa della Collins, pronto a umiliarla pubblicamente per farla cedere ed era un urlatore, tipico di chi doveva sopperire delle mancanze e gettare la frustrazione degli altri.

Ray terminò nel peggiore dei modi ma quello che vide negli occhi di Park Jimin fu buio funesto, penetrante da metterla in soggezione: «Questo é il meglio che puoi fare?» chiese aguzzo, intonando un sibilo sinistro e roco.

Ray fremette a disagio e tentennò in preda all'insicurezza: «Sì... é questo» mentì a lui come mentì a se stessa.

Bugiarda, non lo é.

Ma aveva più importanza considerarsi brava e lavoratrice quando non riusciva più a mettere in pratica niente di quello che era? Appassionata e amante dei fouettés, delle danze in Allegro e dei compiti più assurdi mentre ora viveva il ballo come una costante paura? Il suo corpo non seguiva la mente. E la sua mente cercava di allontanarsi dal suo corpo.

«Se é veramente questo il meglio che sai fare,» iniziò Jimin guardandola come se fosse anni luce lontana da lui, «sentiti libera di non provare. Sentiti libera di rinunciare a qualcosa che è troppo grande per te o rischi di essere risucchiata dal palco stesso. Se vuoi seguire un buon consiglio da qualcuno che tiene alla salute mentale degli altri,» esitò dopo un secondo, «ti consiglio di andartene prima che te lo dica qualcun altro. L'ABT non é una compagnia per tutti e tu, mi dispiace dirtelo, non ne sei all'altezza»

Puoi scegliere di andartene. Non lasciare che lo faccia qualcun altro al tuo posto.

E senza aspettarsi altro da lei, abbassò gli occhi stufo e congedò la classe per la pausa pranzo, «La lezione é finita, buon weekend a tutte» si sforzò di essere educato e si eclissò verso l'armadio per afferrare i pochi averi — giacca e borsa — e uscire dalla classe sotto il saluto di cortesia.

Saluto al quale Ray non riuscì però a partecipare perché fu troppo impegnata a girarsi verso le vetrate dove vi era New York per mascherare la prima lacrima che scese subito dopo. A seguito di tante altre.

Dove la fine sembrava ancora lontana ma per Jimin, che aveva visto sul suo volto la prima di queste lacrime, staccarsi da quegli occhi troppo vivi, era un ricordo che non avrebbe dimenticato facilmente.

Perciò preferì andarsene e chiudersi nella bolla come faceva da anni ormai. Le lacrime delle ballerine erano acido e lui, sul corpo e tra le linee perfette dell'essere che era, né portava ancora le cicatrici addosso. Tra le pieghe della pelle. Tra le pieghe del cuore.

La danza ti concede la scelta. Ma é lei che sceglie comunque al tuo posto.











𝘈𝘯𝘵𝘰𝘯𝘪𝘰 𝘝𝘪𝘷𝘢𝘭𝘥𝘪:
𝘐𝘯𝘷𝘦𝘳𝘯𝘰 - 𝘓𝘦 𝘲𝘶𝘢𝘵𝘵𝘳𝘰 𝘴𝘵𝘢𝘨𝘪𝘰𝘯𝘪:

viene descritto in tre momenti: l'azione spietata del vento gelido, la pioggia che cade lenta sul terreno ghiacciato e l'accettazione del rigido clima.







ᴀɴɢᴏʟɪɴᴏ




Eccoci qua! Secondo capitolo e Boom! Problemi su problemi e su problemi.

Iniziamo con il momento di ciarle, comari e becere del gruppettino di ballerine eheheheh, ovviamente gossip e culi sono parole sempre presenti in questi contesti e non solo. Nuova scena: abbiamo un tavolo e troviamo altre ballerine che dicono la loro e si "presentano", Ray in tutto ciò rimane molto nel suo.

Poi, all'improvviso, Rachel parla troppo e fa emergere questo passato un po' 👀 segreto tra Nora e il rapporto "strano" con Park Jimin. Tanto mistero, l'unica cosa di cui siamo certi é il fatto che per ora NON sono amici. Jimin la ignora e Nora fa lo stesso: perché?

E Jamie Hills? Dannazione, ha saputo mettere zizzania con quella frase rivolta a Nora e addirittura dichiara che Jimin non esce con le ballerine. Ahia🙃

Conosciamo un altro pezzo di vita importante di Ray, ovvero un lato del suo carattere e tutte le sue insicurezze che stanno tornando fuori. Non é un buon segno. Perché Ray continua a dire che non riesce a stare al passo come una volta? Addirittura fare quei fouettés per lei, in quel modo specifico e in quella diagonale, hanno suscitato in lei qualcosa di traumatico. Un'ombra? Di cosa stava parlando?

Reese Morgan, donna che farebbe di tutto per Ray al punto di riconoscere il suo dolore, quello che ha passato a causa del razzismo (perché anche se sono sorelle, Ray ha ereditato tratti più occidentali) e lo mette in secondo piano per tutelare la sorella. Ray ci é gia sembrata una persona insicura e timida, eppure perché sembra nascondere così tanto?

Ragazzi avete appena visto il lato severo di Jimin, stronzissimo e sadico, però dice una cosa importante (tra i tanti insulti) che può essere interpretata in tanti modi:

"sentiti libera di non provare. Sentiti libera di rinunciare a qualcosa che è troppo grande per te o rischi di essere risucchiata dal palco stesso. Se vuoi seguire un buon consiglio da qualcuno che tiene alla salute mentale degli altri"

"ti consiglio di andartene prima che te lo dica qualcun altro"

Wow, sentiti libera di rinunciare e decidi tu stessa prima che lo faccia qualcun altro? Dai Jimin, ci hai provato, ti diamo una pacca sulla spalla 🎪

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, alla prossima settimana con un altro capitolo ❤️

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