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𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐕. 𝐏𝐢𝐜𝐜𝐨𝐥𝐚 𝐄𝐥𝐥𝐲


Cosa consiglio di ascoltare: ‟Lavender's Blue" di Medieval Baebes.

https://youtu.be/qFtY6GAbB5Q

Il silenzio accolse Amelia quando lei ebbe superato la soglia di casa e ciò le fece subito supporre che sua madre fosse ormai andata a dormire; mentre appendeva la propria copia delle chiavi alla piccola bacheca di metallo appesa proprio accanto alla porta, finalmente ricordò di aver ricevuto un messaggio da parte di Josephine nel quale quest'ultima le aveva chiesto se avrebbe dovuto aspettare il suo ritorno o meno. Amelia le aveva risposto di no e in tutta sincerità non voleva parlare con nessuno, non voleva compagnia, non voleva... neanche lei sapeva più cosa volesse, in realtà, ma una cosa era certa: si sentiva distrutta, come se un treno le fosse passato sopra a tutta velocità. Il suo corpo reclamava pietà, pretendeva che lei andasse a letto, che riposasse, ma come poteva farlo dopo aver visto quel che aveva visto? Come poteva chiudere gli occhi e abbandonarsi all'oblio quando ogni volta che batteva le palpebre sempre le si ripresentava lo stesso, identico scenario? Riviveva all'infinito l'incidente cui aveva assistito. James era sempre lì, in mezzo alla strada, appena un attimo prima di venire investito; la ragazza ricordava il fugace riflesso dei fari dell'auto negli occhiali del suo migliore amico e poi, un istante più tardi, quell'orrendo, terribile schianto. Un suono che non aveva mai e poi mai udito prima, forse neppure nei film, e mai lo avrebbe dimenticato. 

Serrò le labbra, si impose di non ricominciare a piangere e si recò al piano superiore. 

Non aveva fame, a dire il vero avvertiva una forte nausea e dubitava che mangiare avrebbe migliorato la situazione.

Cercò di non fare rumore e di non far scricchiolare le assi del pavimento sotto di sé mentre percorreva il corridoio. L'ultima cosa che le serviva, al momento, era avere sua madre tra i piedi; di colpo Josephine era diventata appiccicosa, prova ne era che finché non aveva deciso di tornare per prima a casa, la donna avesse continuato a starle addosso e a chiederle come si stesse sentendo, se si fosse fatta male e altre baggianate. Lei stava dannatamente bene, non era a lei che avrebbe dovuto rivolgere la sua preoccupazione.

Perché le persone, compresi a volte i membri della famiglia, dovevano diventare d'un tratto interessati e apprensivi solo quando accadevano disgrazie come quella? Che senso aveva comportarsi a tal modo, quando per i restanti trecentosessantaquattro giorni dell'anno non facevano che ignorare o rimproverare di continuo? Era un meccanismo che mai avrebbe capito e dall'aspro retrogusto di ipocrisia.

Sgusciò dentro la propria stanza e chiuse la porta dietro di sé. Per buona misura diede due giri di chiavistello così da poter avere un po' di pace fino al mattino successivo e non appena si fu voltata per passare in rassegna brevemente la stanza, vide che sua madre si era per fortuna presa la briga di dar da mangiare a Bruce. Il peloso amico a quattro zampe della ragazza riaprì gli occhi e incrociò il suo sguardo. Amelia tentò di rivolgergli un sorriso, ma tutto ciò che riuscì a elargire a Bruce fu una smorfia impossibile da descrivere: v'era affetto nella sua espressione, naturalmente, ma anche sofferenza e stanchezza. La consapevolezza che di lì in avanti, si sperava solo per poco, non avrebbe avuto nessun altro amico da stringere a sé all'infuori di quel tenero e intelligente coniglio dal manto nero. Finché James non si fosse ripreso, realizzò Amelia con un ennesimo, tremendo tutto al cuore, ci sarebbe stato soltanto il suo adorato Bruce a rendere ogni singolo giorno più tollerabile. Aveva altri amici, ovviamente, ma nessuno di loro le era sempre stato accanto come James, come se fossero stati fratelli di sangue, non solo di spirito. Sola, ecco come si sentiva. Persa e sola.

Scosse la testa e si passò velocemente una mano sul viso mentre si imponeva di scacciare quei cupi, deprimenti pensieri. Per quanto tutto fosse al momento un autentico schifo, non era ancora detta l'ultima parola e c'era ancora una speranza per il suo migliore amico. James poteva ancora farcela, poteva ancora guarire e non era detto che avrebbe riportato sul serio gravi e irreparabili danni. I medici potevano sciorinare tutte le sentenze che volevano, ma la vita trovava sempre un modo per stupire chiunque, persino la scienza stessa, e per rifiorire contro ogni parere che la dava già per spacciata. 

Non poteva arrendersi né doveva sedimentarsi nell'amara prospettiva di non riavere più accanto a sé James. Non così, non quando la battaglia poteva esser ancora vinta.

Trasferì delicatamente la gabbietta di Bruce sul pavimento e la aprì, dando così al coniglietto la possibilità di sgranchirsi un po' le zampe. L'animale, tuttavia, tornò a sonnecchiare, pigro come al solito. «Fa' come vuoi» l'apostrofò a bassa voce la ragazza, andando a sedersi sul letto. Un attimo dopo scattò in piedi nell'attimo in cui si accorse che proprio in quel punto v'era già qualcosa che lei, distrattamente, per un secondo aveva rischiato di schiacciare con il deretano. Si accigliò e infine sgranò gli occhi nel rendersi conto che si trattava nientemente del coniglietto di peluches a lei tanto caro, lo stesso che pensava di aver perso o lasciato chissà dove durante tutto il trambusto avvenuto ore prima. Fino ad allora era stata fermamente convinta che fosse stato sbalzato fuori dalla sua borsa quando lei aveva impattato contro l'asfalto, dopo esser stata spinta via da James, eppure... eppure eccolo là, come se qualcuno lo avesse adagiato sopra le coperte al preciso scopo di farle capire che il cimelio fosse stato recuperato e ricondotto da lei.

Con dita tremanti e col cuore in gola Amelia prese il pupazzo di pezza e lo sollevò all'altezza degli occhi. Era proprio lui, non v'era alcun dubbio, e dubitava con tutta se stessa che fosse stata sua madre a recuperarlo e a posarlo là sopra. C'era qualcosa che non le tornava e di sicuro quel piccolo animale di stoffa imbottita non era giunto fino a casa sua con le proprie gambe. «E tu che ci fai qui?» mormorò, sentendosi tuttavia stupida subito dopo aver posto una simile domanda a un semplice e inanimato giocattolo per bambini. Forse stava diventando davvero matta, si disse.

«Lo avevi perso durante la caduta. Ho pensato che ti sarebbe piaciuto riaverlo.»

Una voce dal tono basso e malinconico la fece gelare sul posto, ma ben presto la paura venne sostituita dalla rabbia; guardò verso la scrivania e vide lui, quel dannato uccello del malaugurio, seduto sopra di essa e intento a giocherellare con le maniche della felpa nera. Per quanto conscia della stupidità di una simile azione, si fiondò comunque verso la parete contro la quale aveva abbandonato la perfetta replica della spada laser di Obi Wan Kenobi. Gliel'avevano regalata per il suo quindicesimo compleanno e, ricordo ancor più doloroso e amaro, era stato proprio James a farlo, memore di quanto lei adorasse la serie di film di Guerre Stellari. 
La brandì, pronta a rifilarla sul muso del Ragazzo Viola. «Come hai fatto a entrare in casa mia? Anzi, in camera mia? Che altro vuoi? Non pensi di aver combinato abbastanza casini?» ringhiò. Per la prima volta in vita sua desiderava con tutta se stessa far del male, davvero del male, a una persona, sempre che quel tizio potesse esser ritenuto un essere umano.

Il Ragazzo delle Lavande sollevò cauto una mano per farle cenno di calmarsi. «Per favore, lascia che...»

«No, sai una cosa? Non me ne frega niente di cos'hai da dire!» Amelia marciò furiosa fino alla porta e iniziò a girare il chiavistello, ben decisa ad abbandonare quella stanza. Voleva metter più distanza possibile fra lei e quell'individuo. Voleva solo scappare. Una mano nivea e delicata, però, indusse la porta a chiudersi nuovamente e lo fece con gentilezza. La ragazza sollevò gli occhi e incontrò quelli violetti dell'entità. La distanza fin troppo ravvicinata fra di loro le procurava brividi ben poco piacevoli, ma non era intimidita. «Togli subito quella mano o mi metto a urlare» sibilò a denti stretti.

«Per favore, cerca di calmarti. Non sono qui per fare del male a nessuno, Amelia. Credimi, non è così.»

Amelia fu a tanto così dal ridergli in faccia con autentico disprezzo. «Ah, no? E che mi dici di James, invece? Nemmeno a lui volevi fare niente, suppongo! Guarda che cos'hai combinato!»

Il giovane le rivolse uno sguardo colmo di dispiacere, ma al tempo stesso intriso di autentica innocenza. Non c'era nulla in esso che le potesse far intuire una sorta di coinvolgimento o colpevolezza. L'espressione del Ragazzo delle Lavande era sufficiente a metter in chiaro che quanto avvenuto ore prima fosse stato un terribile malinteso.

«Posso giurare su ciò che vuoi che non ho avuto nessuna parte nell'incidente. Stavo cercando di avvertire tutti e due. James... lui... è difficile da spiegare. Sappi solo che aveva ricevuto un monito già da parte di qualcun altro. Era stato messo in guardia.»

«Avvertirci? Sapevi benissimo che avresti solo spaventato James mostrandoti, ma lo hai fatto comunque e adesso lui... ah, che importanza può avere, ormai? Di he cavolo stai blaterando, poi? Chi lo aveva avvertito? Uno dei tuoi amichetti strambi? Andiamo bene, allora! Ora sì che capisco!»

«Non sono io a fare in modo che qualcuno mi veda, Amelia» le spiegò Lavender Boy con pazienza e autentico rammarico. «Se accade, è perché qualcosa di brutto sta per succedere a quella persona. Io stavo cercando, in realtà, di evitare tutto questo. Esistono altre creature diverse da me che raramente riescono a salvare le persone che tentano di mettere in guardia da eventi nefasti che presto le coinvolgeranno. Non siamo noi a far avverare certe cose, devi credermi. Noi... beh... non siamo altro che ambasciatori e rechiamo messaggi che altri ci hanno imposto di far recapitare ai diretti interessati. Ho provato a evitare che il peggio si verificasse, ma James ha travisato le mie intenzioni e non posso biasimarlo per averlo fatto. Era spaventato e tutto è successo troppo in fretta.»

Amelia, di nuovo sul punto di piangere, forzò un sorriso tirato, falso e costruito. «Ormai non ha più importanza. Non so se sei rimasto a goderti lo spettacolo o se fosse presente anche il tuo amichetto. Avete combinato un disastro e ora James è sospeso fra la vita e la morte. Avreste fatto molto meglio a farvi gli affari vostri.» 

«Amelia...»

Si interruppero sentendo bussare alla porta. La ragazza rimase in ascolto. «Amelia? Sei tornata?» domandò sua madre dall'altro capo. Lei imprecò sottovoce. «S-Sì. Ora vado a letto, sono stanca» replicò.

«Sicura? Mi sembrava che stessi parlando con qualcuno.»

«No, mamma. Davvero, sto... sto bene. Ora mi metto a letto. Buonanotte.»

Finalmente udì i passi di sua madre allontanarsi. Tirò un sospiro di sollievo e guardò male lo sgradito e inatteso ospite. «Mi stai facendo passare per matta!» esclamò a voce bassa, per non far insospettire di più sua madre.

«Scusa» la rimbeccò lui mortificato. 

Amelia sventolò una mano. «Ormai non ha importanza» mormorò. «Ora vattene e lasciami in pace.»

«Non posso.»

«Come riesci a saltar fuori come i funghi, così puoi benissimo sparire. Fallo prima che ti prenda a calci e decida di mostrarti a suon di pedate la mia gratitudine. Ti avverto, spettro o qualunque altra cosa tu sia: non sto scherzando e ho validi motivi per prenderti a pugni!»

Perché quell'essere si ostinava a tormentarla? A quale perverso gioco stava giocando? Qual era l'obiettivo finale? Farla impazzire?
Non lo sapeva e ne aveva sul serio abbastanza. Era stanca, distrutta nella mente e provata nel fisico. Aveva il cuore a pezzi per James e la prospettiva di non poter far niente per aiutarlo, se non tener viva la speranza, la stava un po' alla volta uccidendo. Non aveva, quindi, né la voglia né la forza di aver a che fare con l'entità che aveva causato quell'enorme guazzabuglio.

Entità...

Se si soffermava sul pensiero di aver appena parlato con un fantasma o chissà cos'altro, poteva giurare di vedersi già con una camicia di forza a vagare per il reparto psichiatrico dell'ospedale più vicino.  Affermare che quella roba fosse solamente frutto della fantasia, a quel punto dei fatti, sarebbe stato da illusi e da immaturi, anzi da stupidi, eppure accettare tale realtà era ancor peggio. Significava che tanti anni prima sua madre fosse stata realmente aiutata da quello spettro a sfuggire alla furia assassina di Fawkes, anche se poi suddetto salvatore sovrannaturale, a distanza di decenni, aveva quasi fatto ammazzare il suo migliore amico. Errore o meno, la situazione ben poco cambiava e lei non voleva aver nulla a che fare con il Ragazzo delle Lavande.

Andò nel piccolo bagno che comunicava con la camera da letto e vi si chiuse dentro, sbattendogli la porta in faccia. Inspirò profondamente e si massaggiò le tempie. Si sentiva più esausta del solito e voleva solo starsene in santa pace. Era chiedere troppo? Forse sì, nella distorta mentalità di quello scherzo della natura di nome Lavender Boy.

Aprì l'anta della doccia e fece scorrere l'acqua. Magari poteva iniziare dalle basi e darsi una rinfrescata, si disse, e così fece. Non badò più di tanto agli ematomi sparsi per il corpo, visto che era normale che se ne fosse fatto qualcuno dopo quella brutta caduta, e comunque c'era chi stava peggio. 
Col cuore in gola si domandò come diamine fosse potuta passare dal trovarsi in giro con James in un giorno del tutto normale al temere per la sopravvivenza di una delle persone che le erano più care al mondo. Certo, la giornata non era cominciata nel migliore dei modi, eppure le pareva comunque assurdo l'aver assistito a un incidente ed esserne uscita illesa solo e soltanto perché qualcun altro aveva scelto di pensare prima a lei anziché alla propria di incolumità. James l'aveva spinta via agendo per puro istinto. Tanti altri di certo avrebbero prima pensato a mettersi in salvo, ma Jay aveva dimostrato, come al solito, di esser di buon cuore e, soprattutto, più coraggioso di tante altre persone.

Chiuse il getto d'acqua nello stesso momento in cui stava per richiamare alla mente il suono tremendo dello schianto e la scena che aveva accompagnato tale orrenda sinfonia.
Uscì dal cubicolo nel quale aleggiava una lieve coltre di vapore e umidità, indossò l'accappatoio e tornò in camera mentre si scostava i capelli bagnati dal viso e se li tamponava con un asciugamano. Si bloccò vedendo che Lavender Boy era ancora dove l'aveva lasciato. Stava lì, in piedi e in mezzo alla stanza come uno stoccafisso. Pareva nervoso e ciò spiegava il perché continuasse a dondolarsi debolmente sul posto e a torturarsi le mani mentre la guardava di sottecchi. 

La ragazza alzò gli occhi al cielo, irritata, e decise di ignorarlo. Magari, se lei non avesse badato alla sua presenza, lo scocciatore se ne sarebbe andato per semplice esasperazione, tuttavia c'era un problema di non poco conto che la spinse ben presto a rivolgergli di nuovo la parola: «Puoi andartene? Non mi va di fare lo spogliarello» disse brusca, stringendosi nell'accappatoio. 

Il Ragazzo delle Lavande si volse da un'altra parte in modo da non poter guardarla. Per Amelia tale semplice azione fu la goccia fatidica: furiosa si avvicinò di gran carriera allo spettro e lo afferrò con ben poca grazia per un braccio allo scopo di trascinarlo alla porta e farlo uscire con la forza. Girò la serratura, lo buttò letteralmente fuori con uno spintone ben poco gentile e gli sbatté la porta in faccia.

Prese a borbottare come una pentola di fagioli mentre si vestiva in fretta e fura per la notte. «Stupido Prugna Boy o come si chiama!» sibilò, afferrando poco dopo le cuffiette e infilandosele; smanettò con l'iPod e avviò la prima traccia musicale che le capitò sotto tiro.

Fantastico, proprio la sua canzone preferita doveva toccarmi , pensò sconfortata, udendo la dolce voce di Ed Sheeran intonare le prime battute di All Of The Stars.  Le ricordò il progetto segreto suo e di James che comprendeva un giorno di partire per andare a vedere in concerto il cantautore pel di carota. Un'altra cosa che forse mai avrebbero fatto.
Le furono sufficienti poche altre note prima che di nuovo il viso le si affollasse di lacrime e il petto si facesse pesante, scosso dai singhiozzi. Avrebbe voluto passar oltre, saltare la canzone, ma la sua mano pareva non esser della stessa opinione.  Per quanto si sforzasse, non ce la faceva a toglierla né a non rievocare i tanti ricordi che aveva collezionato in compagnia del suo migliore amico. 

Era stato proprio lui a farle conoscere la musica di Ed Sheeran, a dirle di non fermarsi alle apparenze e che le sue note entrassero nell'anima di chi permetteva loro di farlo. Lei lo aveva ascoltato e poco a poco aveva cominciato ad amare a sua volta le canzoni dell'artista britannico, le sue melodie spesso accompagnate soltanto dalla chitarra e capaci di riscaldare una persona come una coperta di lana in pieno inverno.

Tornerà a stare bene e faremo tutto quello che abbiamo detto. James è una persona forte, ce la farà, si ripeté. 

James al suo posto non avrebbe perso la speranza e non avrebbe visto il nero assoluto pensando al domani. Lui si sarebbe fatto forza e non si sarebbe mai, mai arreso.

Amelia chiuse gli occhi, posò il capo sul cuscino e lasciò scorrere le note della canzone dentro la mente e nel cuore, concentrandosi su tutte le cose belle fatte con James pur di non rivivere gli avvenimenti delle ultime, infernali ore.

Riaprì le palpebre e sovrappensiero fece scorrere lo sguardo qui e là per la stanza.

Lui glielo aveva sempre ripetuto: quando si sentiva triste, doveva pensare a qualcosa di bello, di luminoso e buono. Qualcosa di... viola?
Spalancò gli occhi vedendo il Ragazzo delle Lavande sedersi sul letto e torturarsi le mani. Pareva aver proprio un bel rospo da sputare, ma per quel che la riguardava ci si poteva pure strozzare. Quasi glielo augurava, in verità.

Chiuse con forza le palpebre, ma fu inutile. 

Vattene via. Vattene via. Vattene. Via.

Lui le tolse le cuffiette. A giudicare dall'espressione non sembrava affatto propenso a restituirgliele e questo fece sragionare la giovane Spencer: «Insomma, che vuoi?» sbottò senza gridare, menandogli un pugno contro. «Proprio non sai cosa voglia dire rispettare la sfera personale altrui, vero? Te ne devi andare, iettatore!» Sapeva di esser stata sgarbata e offensiva, ma poco le interessava. Non era di certo lei a trovarsi in casa di qualcuno pur non essendo una presenza gradita, diamine.

Lavender Boy le rivolse un'occhiata molto seria. «Dobbiamo parlare e tu devi sapere, Amelia. Non insisterei se non fosse così importante, devi credermi» replicò, liberando le cuffiette dai nodi che si erano formati. Le attorcigliò attorno all'indice con delicatezza e le adagiò, infine, sul comò accanto al letto. Lei sembrava tenerci particolarmente ad esse e non era sua intenzione rovinarle o romperle, e sapeva che rimanendo troppo a contatto con gli oggetti elettronici poi combinava sempre pasticci.

«Sapere che cosa?» incalzò la ragazza, ponendo l'accento sulle ultime due parole. Si chiedeva che diavolo avesse fatto di male per meritare una simile palla al piede. C'entrava forse che alle elementari avesse tagliato con delle forbici le lunghe trecce della ragazzina che aveva fatto la prepotente con lei a più riprese?

Che assurdità! Non penso si tratti di questo! Almeno spero...

Il Ragazzo delle Lavande esitò. «Sta... sta per arrivare qualcosa, Amelia. Ecco perché mi trovo qui: per avvertirti.»

Amelia arcuò le sopracciglia con finto stupore. «La fine del mondo? Finalmente! Saranno secoli che si sentono dire baggianate di ogni genere. Fosse la volta buona, almeno» replicò sventolando una mano e facendo per riprendersi le cuffiette, ma il Ragazzo Viola fu più lesto e intercettò la sua mano per impedirle di afferrarle. Ancora una volta la ragazza avvertì il gelo provenire dalle dita dell'entità. Era freddo come un cadavere, anzi ancora peggio: come una statua di ghiaccio. Sentendosi a disagio, lei ritrasse subito il braccio e se lo portò al torace. 

Lo spettro parve ponderare con molta attenzione le proprie parole prima di parlare di nuovo: «In un certo senso... potrebbe essere la fine del mondo, ma non quello di tutti. La fine del tuo mondo».

Amelia scosse la testa. «A-Ascolta, tizio, o parli chiaro o sloggi e ti decidi a lasciarmi in pace. Non sono dell'umore adatto per degli indovinelli. Il mio migliore amico è stato investito poche ore fa e questo perché lo hai spaventato a morte e fatto distrarre. Il minimo che tu possa fare è di esser veloce e coinciso, non credi? Fuori il rospo e poi vattene.»

Lui si alzò e prese a girare a passo lento per la stanza. Tutto nel suo atteggiamento comunicava nervosismo e tensione. Stava prendendo tempo o era solo un'impressione della ragazza?

«È difficile da spiegare.»

«Non sono stupida e nessuno mi ha mai addolcito la pillola su un bel niente. Dimmelo e basta. Peggio di così non potrebbe andare, non credi?»

Tyrian si fermò a guardarla e la squadrò con una certa intensità. Sei sempre stata forte e decisa, Elly. Se solo tu potessi ricordare tutto quello che io ricordo... Se solo potessi capire quanto ti voglio bene e quanto sia difficile per me dirti adesso tutto questo, pensò col cuore in frantumi.

Amelia si accigliò. «Perché mi guardi così? È inquietante, per non dire altro.»

Il Ragazzo delle Lavande si riscosse ed esalò un lungo sospiro, passandosi le dita fra i capelli violetti. Appena ebbe raccolto tutto il coraggio di cui disponeva tirò fuori il foglio sul quale c'era il nome della ragazza e di nuovo lo osservò; lo rimise a posto e tornò a sedersi sul bordo del letto. Teneva una mano dentro la tasca della felpa, le dita serrate attorno a quel dannato foglio.

Lei strisciò via sulle lenzuola, mettendo una distanza di sicurezza del tutto inutile fra sé e lo spettrale ospite, cosa che fece amareggiare ancor di più quest'ultimo. Non le avrebbe mai e poi mai fatto del male, neanche se pagato a peso d'oro. Non ne avrebbe mai fatto a nessuno, specialmente a lei. «Ascoltami attentamente, Amelia, e promettimi che qualunque cosa ti dirò, non ti farai prendere dal panico o dalla disperazione. Me lo devi giurare, ti prego.»

Amelia lo passò in rassegna con aria dubbiosa e ostile. «Non prometto un bel niente. Prima dimmelo e poi vedrò cosa fare delle tue informazioni.»

Tyrian sospirò e annuì. Discutere non sarebbe servito a un granché e c'era ben altro al quale pensare. «Fra due mesi esatti verrai a sapere una cosa. Una cosa... n-non proprio bella. La tua vita, purtroppo, cambierà radicalmente, e sono tempi difficili quelli che ti aspettano. Io...»
Strinse di più il foglio, quasi stritolandolo. Qualcuno mi dia la forza...
«Io non sono qui per farti del male, come ti ho già spiegato. Purtroppo, ormai da molto tempo, ho un compito terribile da assolvere e comprende principalmente fare da messaggero. Per darti un esempio più concreto e alla mano...», gesticolò nel tentativo di trovare le giuste parole. «Puoi vedermi come una sorta di semaforo rosso. Hai presente? I semafori rossi avvertono le persone quando occorre che si fermino e nel mio caso si tratta di un semaforo viola. Io segnalo ai viventi quando qualcosa di brutto sta per accadere o se la morte sia ormai imminente. So che sai tutto riguardo ciò che è successo a tua madre e a tua nonna. Forse ti starai domandando perché Josephine abbia potuto vedermi e lo stesso sia riuscita a sopravvivere. C'è molto di più di quello che lei raccontò ai giornalisti e alla polizia o addirittura della testimonianza dello stesso Fawkes in tribunale.»

Amelia boccheggiò. «È vero, lui... lui, durante un interrogatorio e poi al banco degli imputati, spergiurò di aver visto un'altra persona in quella casa, oltre a mia nonna e a mia madre. Disse di aver visto un individuo giovane e dai capelli strani, solo per una frazione di secondi» mormorò tra sé, richiamando alla mente i particolari che aveva letto circa l'ultimo delitto di Fawkes. «Lo presero per matto e basta, però. Il suo avvocato tentò addirittura di appellarsi all'incapacità di intendere e di volere. Ma... questo cosa c'entra con te? Allora... eri davvero lì? Voglio dire... quel pazzo assassino diceva pure di non ricordare nient'altro di ciò che aveva visto e fatto durante il periodo in cui uccise tutte quelle persone.»

Tyrian le fece cenno di aspettare. «Nei giorni precedenti all'ultimo omicidio di Fawkes, Josephine riuscì a vedermi in quanto bambina e dalla mente ancora innocente, capace di notare creature come me, ma non ero lì per lei: stavo cercando di avvertirla, anche se fallii miseramente. Era spaventata da me e tutte le volte che tentati di avvicinarmi e di dirle di fare attenzione, lei scappava, terrorizzata. L'unica persona di mio vero interesse era tua nonna e Josephine mai fu realmente in pericolo di vita. Vedi, di solito compaio solo poco prima che gli avvenimenti divengano concreti, ma ogni tanto cerco di fare un'eccezione e di riscrivere la sorte, di salvare le persone che in teoria dovrei solamente avvertire e star a guardare senza far niente mentre vanno incontro al loro destino. Sapevo che tua madre non doveva morire, ma... non so come mai, qualcosa non andò per il verso giusto, non come era stato prestabilito dalla Morte, ma... in seguito mi venne spiegato che in effetti la sorte possa cambiare di continuo e i fatti deformarsi, se influenzati da ripensamenti o scelte dell'ultimo minuto.» 
Fece una pausa. Sapeva di star confondendo le idee alla ragazza, ma non avrebbe saputo proprio come esporle i fatti diversamente. Era il meglio che lui sapesse fare.

«Il giorno in cui Fawkes irruppe in quella casa, tuo nonno sarebbe dovuto tornare a casa perché, in teoria, avrebbe dovuto dimenticare lì dei documenti di lavoro importanti, ma non avvenne mai. All'ultimo secondo si ricordò di non aver tutto con sé, tornò indietro, salutò moglie e figlia e a quel punto capii che dovevo fare a modo mio. Gli eventi stavano prendendo una piega diversa e inattesa, ma Fawkes non aveva cambiato affatto i propri piani né avuto un contrattempo, come sperai in un primo momento. Lui... lui si introdusse in casa dei tuoi nonni e... io ero lì e solo allora, mentre ricontrollavo la mia lista, vidi che era presente un altro nome: quello del serial killer. Fu in quel momento che mi vide. Io guardai lui e lui guardò me, ma poi... poi tua nonna attirò la sua attenzione e io sparii, cercai di trovare la bambina prima che quell'uomo potesse uccidere anche lei. Mentre frugavo ovunque alla ricerca di Josephine, con orrore udii Fawkes massacrare la povera donna. Fu terribile. Vorrei poter dire di non assistere spesso a scene del genere, ma mentirei e basta.»

«Oh, Dio» gemette a voce bassa Amelia, coprendosi le labbra. Le mani le tremavano come foglie d'autunno sospinte dal vento e aveva la vista sfocata. Fawkes aveva avuto decisamente quel che si meritava finendo sulla sedia elettrica e forse proprio per la fine che aveva fatto era riuscito a vedere di persona Lavender Boy: aveva guardato dritto negli occhi la fine imminente della sua personale e sanguinosa corsa contro il dirupo della legge che mai perdonava certi mostruosi atti. 

«Perché mi stai raccontando tutto questo? Non ci capisco più niente» domandò a fatica.

«Perché voglio che tu capisca che non era mia intenzione far del male a te o a James. Io... stavo cercando di aiutarti, Amelia. Volevo avvertirti proprio come ho provato a fare con Josephine. James non doveva finire così ed è stato tutto improvviso anche per me, mi devi credere.»

Le labbra della giovane Spencer tremavano. Stava per scoppiare di nuovo a piangere. «Q-Quindi lui... lui è stato un effetto collaterale imprevisto? È questo che stai cercando di dire? Non era nella tua lista, come l'hai chiamata tu?» Non sapeva se arrabbiarsi ancora di più o se avere il cuore spezzato. «Perché sai, Lavender Boy, comunque stiano davvero le cose, ormai non ha molta importanza. E poi... se l'incidente non era previsto per me e neanche per James, allora come mai lui si trova in ospedale? È chiaro che non mi stai dicendo tutto!»

Tyrian tacque. Lui stesso proprio non riusciva a capire e non aveva scorto neppure per sbaglio il nome di James Peterson sulla propria lista. Quel ragazzo non sarebbe mai dovuto finire sotto un'auto e quella macchina mai sarebbe dovuta giungere a rotta di collo nel peggior momento possibile, eppure era successo. «Sono il primo a non sapere cosa sia accaduto ore fa, Amelia. Ti giuro che se solo lo sapessi, ti direi tutto quanto.»

«Va bene! Visto che non sai perché il mio migliore amico rischia di morire, allora dimmi almeno chiaro e tondo cosa sta per succedermi» incalzò irritata la ragazza. «Me lo devi!»

Lui scosse la testa, affranto. «Non posso riferirti altri dettagli. Voglio solo che tu sappia che non sarai sola e che ti starò accanto. Cercherò di trovare una soluzione e di farti guadagnare più tempo che potrò. Non permetterò che questo futuro si avveri.»

Lei lo squadrò scioccata. «E orché dovresti fare una cosa del genere? Cos'ho di speciale rispetto a tanti altri?» 

Negli occhi color lavanda del Ragazzo delle Lavande scorse qualcosa che faceva rima con l'amarezza e anche con l'affetto. Un sincero, puro e genuino affetto.

Tyrian non le rispose e allungò una mano verso il coniglio di peluches tutto cuciture e bottoni, poi glielo posò in grembo, sorridendole con tristezza, certo, ma anche con calore. Un sorriso che parve socchiudere una piccola porta nella mente di Amelia, quella dietro cui erano conservati ricordi sbiaditi e risalenti a tanto tempo addietro. Le labbra del Ragazzo Viola si socchiusero e gli permisero d'intonare sottovoce una melodia, anzi una parte di una vecchia filastrocca inglese risalente a secoli prima. Una di quelle canzoncine per bambini tramandate per generazioni ed entrate a far parte della tradizione anglosassone:

‟Lavender's blue, dilly dilly, lavender's green,
When I am king, dilly dilly, you shall be queen:
Who told you so, dilly dilly, who told you so?
'Twas mine own heart, dilly dilly, that told me so.
"

Quando finalmente la voce dal delicato e chiaro timbro di Tyrian si fu dissolta nel silenzio di tomba della stanza, Amelia scoprì di avere la vista offuscata e tremula, il petto pesante e il cuore che stava per avere un collasso a regola d'arte. Le dita della fanciulla tremavano attorno al coniglietto di stoffa mentre le sue guance iniziavano a bagnarsi di calde lacrime e il torace a sussultarle per via dei singhiozzi. Pianse e lo fece in modo così sentito e logorante da darle l'impressione che di lì a poco il fiato sarebbe presto venuto a mancarle.

Finalmente, dopo tanti anni di vuoti di memoria e di ricordi andati forse perduti, tutto un po' alla volta stava iniziando a tornarle in mente.

Quella voce... come aveva fatto a non riconoscere quella voce? Come aveva fatto a non collegarla a quella del suo fantomatico amico immaginario? Come aveva potuto dimenticare tutte le volte in cui aveva cantato per lei per farla addormentare e conciliarle un dolce, sereno riposo? Come era stato possibile che avesse dimenticato un timbro così melodioso, angelico e sempre sfumato, tuttavia, da una punta di malinconia?

Riconosceva anche la filastrocca. Ricordava di averla adorata tanto da aver pregato molte volte quel suo fantomatico amico immaginario di cantargliela, specie quando si sentiva triste.

Era lui... era lui la figura dai modi di fare gentili e premurosi simili a quelli di un fratello maggiore o di un giovane padre. Era stato lui, spesso e volentieri, a colmare il vuoto della solitudine e dei pomeriggi interi trascorsi in compagnia di una vecchia tata che quasi sempre si era messa a sonnecchiare davanti alla televisione. Sempre lui, però, un giorno era sparito senza dare spiegazioni, come se non fosse mai esistito e tutto fosse avvenuto soltanto nella mente di Amelia. L'aveva abbandonata e spinta a credere di esser stata una ragazzina stramba con l'assurdo vizio di parlare con la carta da parati, ma non era così. Non era mai stata una bambina bizzarra e non si era mai immaginata un bel niente. Lui era reale, sempre lo era stato e aveva un nome che finalmente, dopo tanti anni, riaffiorò dentro di lei come avrebbero fatto i rimasugli di un naufragio restituiti dall'oceano e tornati a galla: Tyrian.

Tyrian era al tempo stesso il Ragazzo delle Lavande, l'entità ambasciatrice di sventure e di morte. Era come se lei per tanto tempo avesse avuto per amico il Triste Mietitore in persona o un suo sottoposto. 
Chi le stava di fronte era lo stesso spirito menagramo che sua madre, Josephine, aveva giurato e spergiurato di aver conosciuto da bambina il giorno in cui Fawkes aveva ucciso per l'ultima volta. 

Realizzare così tante cose, così tanti dettagli, per un secondo le fece quasi venire il capogiro. V'era fin troppo da processare e da assimilare, da digerire, e sapeva di esser fin troppo fragile e confusa in quel momento per ragionare lucidamente su ogni singola cosa.
Non sapeva come sentirsi né cosa dire; non sapeva se prendere Tyrian a pugni per averla ingannata, per averle fatto credere che fosse una semplice creatura partorita dalla sua mente infantile bisognosa di affetto, anziché un'entità annunciatrice di morte e sventure, oppure dirgli solamente di sloggiare e di lasciarla in pace.

Perché era tornato, poi? A che scopo? Solo per dirle che tra due mesi sarebbe successo qualcosa? Solo per fare il proprio lavoro dopo averla presa per i fondelli fino in fondo?

Come lui fece per stringerle una spalla, si scostò rapidamente e serrò con forza gli occhi. «V-Voglio stare da sola, adesso. Ti prego... ti prego... v-va' via...» singhiozzò, coprendosi la bocca con le mani nel vano tentativo di ricacciare indietro il pianto. Odiava piangere davanti agli altri, specialmente se si trattava di lui. Lui che prima era sempre stato lì per lei, a farle compagnia, persino ad aiutarla con i compiti, e poi, senza dire niente, senza neppure salutarla, era svanito nel nulla. Si era affezionata a Tyrian e lui se n'era infischiato del suo affetto, le aveva voltato le spalle e si era ripresentato solamente spinto dal dovere, dal proprio infausto compito di annunciare l'avvento di qualche sventura.

Al diavolo, si disse Amelia. Al diavolo Tyrian e tutto quel che lo riguardava. L'incidente di James l'aveva devastata e ora la verità sul suo amico d'infanzia non così immaginario l'aveva annientata completamente, perciò credeva di avere il sacrosanto diritto di pretendere un po' di pace e di non voler più vedere lui né i suoi dannati, malinconici occhi viola.

Tyrian fece un cenno col capo e si alzò. Amelia riusciva a sentire il suo sguardo addosso, ma non aveva intenzione di ricambiarlo. Non ce la faceva. Sarebbe stato troppo per lei.

«Mi dispiace non averti mai detto la verità ed esser sparito. Forse stai pensando a chissà quali ragioni oscure, ma la verità era che... eri sola, Amelia. Non avevi amici né familiari presenti il minimo indispensabile a farti sentire amata e ricoperta delle attenzioni che qualsiasi altro bambino dovrebbe ricevere dai parenti. Eri sola e sei stata tu, un giorno, a dirmi di restare con te e di non andarmene perché ti piaceva stare in mia compagnia e perché non volevi di nuovo essere sola. In quegli anni restai perché poco a poco avevo capito di volerti bene e me ne andai quando compresi che ormai avevi amici reali e non avevi più bisogno di me. James era entrato a far parte della tua vita ed ero contento per te. Ogni cosa che ho fatto, è stata solo in nome dell'affetto. Sei stata l'unica a essere gentile con me e a non aver avuto paura di ciò che ero e sono tuttora e io, questo, mai l'ho dimenticato. Mai lo scorderò.»

Quelle parole fecero sentire solamente peggio Amelia. La ragazza volse il viso altrove, rifiutandosi di rispondergli o di ascoltarlo.

Tyrian, tuttavia, proseguì: «Sei ancora oggi importante per me e non voglio che ti accada niente. Mi hai chiesto perché sto facendo tutto questo e la risposta è semplice: perché voglio aiutarti. Perché ti voglio bene, tutto qui. Ti voglio semplicemente bene e se posso darti una mano in qualche maniera, allora così farò, senza che tu debba sentirti in debito con me». Si strinse nelle spalle, dannatamente sincero e trasparente mentre un sospiro debole e affranto lasciava le sue labbra esangui. «Sii forte, piccola Elly, e ricorda che c'è qualcuno che veglia su di te.» Non aggiunse altro e sparì.

Amelia, col respiro corto e irregolare, afferrò il pupazzo e lo scagliò lontano.

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