𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐈𝐕. 𝐂𝐨𝐦𝐩𝐢𝐭𝐨 𝐢𝐧𝐠𝐫𝐚𝐭𝐨
Cosa consiglio di ascoltare: ‟Alone (Restrung)" di Alan Walker.
https://youtu.be/myyuVITEL80
Rimase a fissare quella caotica scena gremita di paramedici, passanti curiosi e poliziotti, quest'ultimi giunti sul luogo dell'incidente annunciati dal penetrante e lamentoso suono della sirena. Il girofaro posto sulla volante emetteva intermittenti bagliori bluastri e scarlatti, cosa che rendeva la situazione, in un certo senso, ancor più ansiogena e disorientante.
Non era la prima volta che assisteva a scenari del genere, ormai ci aveva purtroppo fatto l'abitudine dopo...
Accidenti, non ricordava neanche più quand'era iniziato quel suo ingrato compito. Erano passati talmente tanti anni che gli pareva ormai di esser sempre stato un'entità portatrice di orrende notizie e ambasciatrice di nefandezze, morte e molti altri incarichi affatto degni di stima, eppure quella sera era accaduto qualcosa di diverso.
Per quanto sollevato che Amelia fosse rimasta illesa, gli dispiaceva per quel povero ragazzo. Gli era sembrato una persona davvero per bene e lui aveva talento nel legger dentro le persone guardandole semplicemente negli occhi. Nessun potere sovrumano, puro e semplice intuito. Ad ogni modo, James si era sì e no messo al patibolo al posto di Amelia e tutto solo in nome dell'amicizia e dell'affetto.
I mortali non smettevano mai di sorprenderlo, sia in negativo che in positivo, e a malincuore di cose orribili ne aveva viste, molte con l'impronta umana impressavi sopra a fuoco. Era abbastanza vecchio e stanco da averne viste di cotte e di crude, eppure certe volte riusciva ancora a stupirsi. Per quel che lo riguardava, avrebbe potuto benissimo definire James un raro esemplare di cavaliere in scintillante armatura del Ventunesimo secolo, di quelli che un tempo lontano avrebbero avuto tutto il diritto di sedere alla Tavola Rotonda.
Sospirò mestamente e si lasciò cadere seduto sul marciapiedi, avvolgendo le braccia attorno alle ginocchia e continuando a contemplare con una certa dose di preoccupazione il triste spettacolo di vita quotidiana qualche metro più in là.
Perché lo definiva tale? Purtroppo anche incidenti del genere, persino morti precoci e ingiuste come quella, facevano parte della vita di tutti i giorni, specialmente nell'era contemporanea. Quanti giovani, fino ad allora e in futuro, morivano e sarebbero morti inutilmente, spesso in modo stupido o ingrato? E in tutto ciò lui poteva solo restare a guardare, portare a tutti coloro che venivano sorteggiati la triste notizia e sperare in cuor proprio nel libero arbitrio e nel ribaltamento delle sorti.
Certo, sapeva benissimo che per aver fatto più di una importante soffiata ad Amelia avrebbe sicuramente pagato di nuovo le conseguenze del proprio gesto sconsiderato e impulsivo, ma tutti, colleghi e superiori, lo conoscevano fin troppo bene e non lo bastonavano più come agli inizi.
Una semplice ramanzina, qualche urlaccio, e poi tutto sarebbe ricominciato: aspettare l'estrazione, farsi assegnare la lista annuale, portare i resoconti, timbrare ogni nome con una bella nota rossa che riportava scritto in caratteri cubitali ''terminato'' e infine di nuovo dall'inizio. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno.
La ragione che lo aveva sempre dissuaso dal recarsi alla Gola delle Anime Perdute e a lasciarvisi cadere dentro, in modo da metter fine a ogni cosa, rimaneva per lui un'enorme incognita. Forse la sua era semplice codardia o magari era talmente annoiato che nemmeno un gesto estremo come quello avrebbe potuto smuoverlo.
Sapeva tutto di tutti o quasi, tranne che di se stesso. Davvero niente male, vero?
Ora come ora so solo di aver combinato forse un bel pasticcio. E dire che fino all'ultimo ho tentato di avvisare quei ragazzi...
Era ovvio che Amelia si fosse convinta che lui avesse avuto persino un ruolo parzialmente attivo nell'incidente, ma non era affatto così. Appena aveva scorto il nome del ragazzo, James Peterson, sulla lista che gli era stata assegnata di recente, aveva provato in ogni maniera a scongiurare il tragico evento, ma aveva ottenuto l'esatto opposto.
Forse era vero che non si potesse sfuggire in alcun modo al proprio destino. In fin dei conti era letteralmente già scritto che a certe persone le cose dovessero andar peggio che ad altre. Tale consapevolezza, però, non lo faceva sentire affatto meglio.
«Ecco, ti pareva che non fosse successo qualcosa al mio Custodito! La solita iella!»
Volse lo sguardo alla propria sinistra e poi in alto, in direzione della figura del suo ormai vecchio amico. Un brontolone come pochi, ma sotto sotto non era un cane, anzi tutt'altro. Tentò di sbuffare una risata, senza però riuscirci. «Quindi sei tu il suo angelo custode? Non mi sorprende che James abbia fatto una fine del genere, allora. Sai che ha persino visto il suo doppelgänger? Dovresti stare più attento a sorvegliare i Custoditi che ti vengono affidati. Se solo non l'avessi perso di vista...»
Il nuovo arrivato lo mandò a quel paese prima che potesse terminare la paternale e frugò nella tasca dei jeans, trovando le sigarette di colore azzurro e accendendosene una. L'odore del fumo era inebriante e nient'affatto sgradevole, una scia fragrante e avvolgente come quella del vento puro e privo di inquinamento che si poteva ancora respirare solo e unicamente in Paradiso. «Alla malora lui e il suo dannato doppelgänger! Io piango per me, amico! È la quinta volta in cinquant'anni! La quinta, mi senti? Guarda lì che sfacelo! Idiota di un Peterson! Gettarsi sotto un'auto come un imbecille! Ma dico, io, che hanno in testa gli umani oggigiorno? Come si può essere così stupidi? Santa pupattola!»
Il Ragazzo delle Lavande fece una smorfia e roteò gli occhi. «Oh, andiamo! Dopotutto la responsabilità era più tua che sua e, come al solito, sempre a noi dipendenti di seconda categoria tocca fare il lavoro più ingrato. Dove diamine ti eri cacciato, scusa?»
«Ehi, amico, pensi che un dannato angelo custode debba sempre stare alle calcagna dell'idiota di turno? Sono un angelo impegnato, io! Non prendertela con me se tu e quei cosi siete finiti a fare il lavoro sporco! E francamente non capisco come possano ancora esistere i doppelgänger, visto che nessuno dà più loro ascolto o un minimo di attenzione! Sono dei fantasmi in tutto e per tutto, ormai!»
«Però poi non ti lamentare se succedono certe cose. Io ho cercato di dare una mano, ma...»
«Mettiti in testa una volta per tutte che tu sei tra quelli in cima al corteo che precede il passaggio della Morte. Solo perché ti è andata bene un paio di volte, non vuol dire che ora tu debba metterti a fare l'eroe di turno. Ci ha pensato quel coso ad avvisarlo e se non lo ha ascoltato, lo scemo è lui!»
«Tu, allora, comincia a star più dietro ai tuoi Custoditi e vedrai che la musica cambierà» insisté il Ragazzo delle Lavande, deciso a fargli capire che era suo compito proteggere i Custoditi e impedire che certi tragici eventi accadessero.
L'angelo sollevò il dito medio e glielo schiaffò quasi in faccia. «Lo vedi questo, Lavanderino?»
Tyrian sghignazzò tra sé, evitando di commentare che fosse incorreggibile, poi si massaggiò la fronte. «Ah, Jeradel... vecchio Jeradel.»
Calò il silenzio e tutti e due tornarono a guardare in direzione de i paramedici che stavano cercando di rianimare James, ma il ragazzo era messo un bel po' male. Persino lui, il Ragazzo delle Lavande, era rimasto come un salame vedendolo fare quel volo e dubitava che ce l'avrebbe fatta. Le ferite erano molto gravi e l'impatto era stato molto violento.
Provava una compassione infinita per il ragazzo e mentre lo guardava giacere immobile e non reagire per niente alle sollecitazioni dei paramedici, per un secondo ebbe l'impressione di averlo già visto altrove, seppur non di recente. Forse era solo un'impressione, per l'appunto, eppure...
«Bah» commentò infine Jeradel, gettando il mozzicone a terra e incrociando le braccia sul petto. «Meglio se inizio a compilare l'ennesimo modulo per l'Ufficio Celeste di Collocazione. Questo qui è bello che andato e mi ritroverò disoccupato entro l'alba di domani mattina, credi a me.»
«Pensavo che gli angeli potessero anche prevedere l'andamento della vita del loro Custodito» osservò perplesso Tyrian, sollevando un sopracciglio. «Il Corso della Vita dovrebbe servire a questo, in teoria. Non va seguito alla lettera.»
Jeradel gonfiò le guance e sbuffò come un bollitore, rosso in viso. «Non ho letto il suo dannato Corso della Vita, okay? Ti rendi conto di quante scartoffie mi tocchino ogni volta? Se mi mettessi a leggere sempre tutto, finirei per diventare matto! E poi che gusto c'è a seguire le loro vite, se poi tanto già so che fine faranno? Sarebbe come guardare una serie e leggersi da cima a fondo la trama su Wikipedia prima ancora che sia conclusa!»
A quel punto Tyrian scoppiò a ridere e si schiaffò un palmo in faccia. «Sei davvero unico! Fortuna che non sei nato Arcangelo al posto di Michele o il Paradiso sarebbe già da un pezzo in mano a Lucifero, e sai che risate! Bisboccia ad ogni ora!»
«Non dire certe cose ad alta voce! E comunque senti chi parla! Ti ho visto giocare a poker con lui, qualche mese fa! Ti rendi conto della reputazione che ti stai facendo?»
Per nulla colpito né imbarazzato, il Ragazzo delle Lavande sogghignò. «Un angelo occupato, eh? Talmente indaffarato che invece di sorvegliare quel poveretto di nome James pedini il sottoscritto! Non pensavo fossi uno stalker provetto.»
«Ti ho detto mille volte di non frequentare quello stronzo! Sei veramente di coccio!»
«Ascolta...» Tyrian si rimise in piedi. «I problemi fra i Piani Alti e quelli Bassi non sono affari miei. Le vostre rappresaglie, ripicche reciproche o come altro tu voglia definire l'antica rivalità fra Angeli e Demoni, non sono le mie. Non sto dalla parte di nessuno, non mi piace schierarmi e sinceramente Lucifero ha un gran senso dell'umorismo, sa esser di compagnia e secondo me non è brutto come lo dipingete tutti. Per la verità penso che vincerebbe un concorso di bellezza angelico.» Si strinse nelle spalle, come sempre schietto e senza peli sulla lingua.
Jeradel lo squadrò gelidamente, poi gli menò un indice di fronte al viso. «Stagli. Alla. Larga. Mi senti? Tu non c'eri quando fece tutto quel casino e di nuovo non c'eri quando iniziò a fare dispetti di continuo ai mortali. Per non parlare di certe compagnie che si è scelto in passato, poi! So certe cose di quel tizio, Tyrian, che farebbero diventare la tua bella chioma violetta bianca come quella di un vecchio centenario!»
Tyrian fischiò piano. «Tecnicamente nemmeno tu eri presente, dato che hai appena ottocento anni di vita contro... quanti ne hanno Lucifero, Michele e compagnia bella?»
Jeradel s'accigliò, poi roteò gli occhi. «Ne so un cazzo io quanto sono vecchi. Qualche miliardo, mi pare, o roba simile. Tromboni decrepiti.»
«Appunto. Hai ben poco da fare lo smargiasso» lo liquidò Tyrian, ritenendo fuori dal mondo parlare di certe cose. «Comunque, quando parli di certe compagnie che si è scelto... ti riferisci forse a...» Prima ancora che potesse terminare la frase, una mano di Jeradel si sovrappose alla sua bocca e gli impedì di proseguire. C'era terrore nello sguardo dell'angelo, ora. «Non pronunciare quel nome» mormorò la Creatura Celeste. «Mi basta sentirlo nominare da qualcuno per farmela sotto e no, non sto scherzando. Che gli umani lo pronuncino pure, se vogliono, ma né in Paradiso né giù all'Inferno si azzardano a dissotterrarlo. Non si fa, punto e basta.»
Il Ragazzo delle Lavande gli allontanò la mano e roteò gli occhi. «Intendi dire Satana?» incalzò serio, ignorando il divieto.
L'angelo lo squadrò con aria cupa. Udire quel nome venire pronunciato ad alta voce gli faceva salire la nausea e risvegliava in lui un terrore primordiale, benché non avesse avuto l'occasione di conoscere di persona l'essere chiamato in causa. Per fortuna era stato tolto di mezzo un bel po' di tempo addietro così che non potesse più nuocere a nessuno. «Millenni fa non avresti parlato di quel... quel mostro con tanta leggerezza. Ho sentito dire cose terrificanti su di lui ed è solo un bene che sia bello che andato.»
Tyrian solo dopo diverso tempo che si era ritrovato a lavorare sotto le direttive dell'arcangelo Michele era venuto a sapere di un particolare assai curioso e strano riguardo alla dicotomia su cui era basata la figura volgarmente definita e conosciuta con l'epiteto di Diavolo o Demonio. Anziché di una dicotomia, sarebbe stato meglio parlare di due entità ben distinte e l'una decisamente peggiore rispetto all'altra. Checché ne dicessero gli umani e i loro capi religiosi, Lucifero non era Satana e detestava profondamente venire apostrofato in tale maniera. Era il signore dell'Inferno, il sovrano del luogo dove le anime dei defunti scontavano le pene cui erano state condannate dal giudizio divino, ma non di certo il crudele essere che certuni credevano. Un tempo c'era stato anche Satana, ma da quel che Tyrian aveva potuto carpire qui e là di tanto in tanto, egli era stato annientato dallo stesso Lucifero per scongiurare una mole incalcolabile di possibili disastri e calamità. Come avesse fatto a compiere tale impresa tutto da solo rimaneva un mistero e nessuno pareva saperne abbastanza da fugare ogni dubbio e ogni domanda, ma in fin dei conti stavano sempre parlando di una Creatura Celeste che, caduta o meno, rimaneva comunque tale. Lucifero era un Serafino, il più potente e il più famoso, e anche se le malelingue sostenevano che avesse eliminato la propria controparte per una questione di potere e di consenso politico da parte delle schiere a lui fedeli, gli andava riconosciuto il merito di aver forse salvato, un tempo molto lontano, l'umanità e il resto del Creato. Proprio per questo Tyrian sosteneva che egli non fosse poi così male e possedesse dei pregi, non solo dei difetti.
Certo, Lucifero era vanitoso e non poco superbo, era capriccioso ed esigente e non godeva di un'elevata dose di pazienza, ma a conti fatti aveva anche fatto del bene, motivi politici o meno.
«Millenni fa non lo avrei fatto, forse hai ragione tu, ma lui se n'è andato, no? A cosa serve temere qualcuno che ormai non può più fare del male ad anima viva?»
Jeradel si strinse nelle spalle. «Non lo so, ma a me è stato insegnato a non nominarlo e a evitare di fare troppe domande su chi era e cosa fece per meritare la morte. Credo che tu dovresti fare lo stesso e frenare la lingua quando parli di certe cose.»
Il Ragazzo delle Lavande squadrò spaesato l'angelo. «Lo sai che quel che hai appena detto non ha molto senso, vero?»
Jeradel sbuffò come un toro. «Già» replicò scocciato. «Proprio come sono convinto che non abbia alcun senso dover stare alle calcagna di creature che tanto, prima o poi, faranno tutte la stessa e identica fine. Insomma, perché proteggere gli umani, se alla fine moriranno di vecchiaia, di malattia o roba simile?»
«Uhm... magari perché a volte, anzi spesso, hanno bisogno che qualcuno guardi loro le spalle e li aiuti a scegliere con maggiore saggezza quale strada prendere? Magari perché hanno bisogno di sapere che non sono da soli in questo universo e c'è qualcuno che ascolta le loro preghiere?»
L'angelo mosse una mano come a voler scacciare una mosca fastidiosa e accompagnò il gesto con una mezza pernacchia di scherno. «Si vede proprio che non sei un angelo, amico. Ti pare che lassù abbiamo tempo per star a sentire tutti i piagnistei di ogni singolo essere umano? E il più delle volte si lamentano per delle emerite cretinate, per roba che potrebbero benissimo risolvere da soli, se solo ne avessero la benedetta voglia! O ci sono quei premi Nobel dell'ultimo secondo che chiedono cose assurde, come ad esempio la pace nel mondo. Come se fosse una nostra responsabilità o colpa se non fanno altro che massacrarsi a vicenda per miseri pezzi di terra mentre si riparano dietro al loro credo o alle loro convinzioni. Roba da pazzi, Tyrian!» Scosse la testa come se avesse fino ad allora ascoltato delle autentiche scemenze che non stavano in cielo né in terra. «E per tornare alla questione di Lucifero, ti ripeto che non ci fai una bella figura a frequentarlo. Alimenta le chiacchiere e fidati che quelle certe volte fanno più danni di un elefante in una vetreria.»
«Sarà, ma fino a prova contraria lo considero un amico e fino ad ora mai mi sono pentito di ritenerlo tale» ribatté il Ragazzo Viola con schietta semplicità. Forse era dovuto al suo compito e alla sua esistenza solitaria, ma più compagnia riusciva a trovare e meglio si sentiva. La solitudine era una bestiaccia e a lui non piaceva per niente.
Non volendo dilungarsi oltre nell'argomento, tornò a guardare verso i paramedici intenti a prestare le dovute cure al giovane Custodito di Jeradel. Sorrise. «Metti da parte i moduli, Jer, perché James è vivo. Come vedi, alla fine avevo ragione io: siamo tutti padroni della nostra sorte e penso proprio che quel ragazzo non abbia voluto saperne di mollare la presa.»
«Per il momento, ma domani potrebbe comunque tirare le cuoia. Preparo tutto lo stesso, non si sa mai. E falla finita di parlar bene di quel vecchio lestofante, ti dico! Cose del genere equivalgono a bestemmie» borbottò burbero Jeradel.
Tyrian esalò un lungo e tediato sospiro. Non sapeva bene come i mortali vedessero gli angeli, ma se solo avessero avuto la possibilità di conoscere di persona la Creatura Celeste che gli stava accanto in quel preciso istante, avrebbero avuto un bel po' di fantasie da aggiornare da cima a fondo. Jeradel era un angelo brontolone e cinico che vestiva in maniera del tutto casuale e un po' trasandata, stile che a Tyrian ricordava un pochino l'epoca umana che i mortali definivano grunge: jeans strappati sulle ginocchia e scoloriti di almeno due misure in più, felpe o magliette a seconda dei giorni e l'immancabile, adorato berretto verde di lana in testa allungato sulla punta; il peculiare copricapo in questione, indossato in quel modo, dava sempre l'impressione di essergli scivolato per puro sbaglio dal capo e sotto di esso Jeradel recava una zazzera di capelli color carota lunghi di poco oltre la nuca. Il Ragazzo delle Lavande, da quando era diventato amico di quell'angelo, non ricordava una sola volta in cui non avesse visto quella fulva chioma perennemente scompigliata e priva di un reale verso.
Sarebbe stato un po' difficile per Tyrian richiamare alla memoria il preciso giorno e la circostanza esatta in cui aveva fatto la conoscenza di Jeradel, ma era invece al cento per cento sicuro che da allora quell'angelo non fosse mai cambiato di una virgola. Certo, vestiva a seconda delle epoche, ma l'aspetto trasandato era un marchio di fabbrica e al Ragazzo Viola ciò non dispiaceva. Molto meglio di quelli che se ne stavano in cima alla piramide che erano invece sempre tirati a lucido e avevano la puzza sotto il naso.
Michele, poi, era una figura un bel po' pittoresca. L'arcangelo più isterico e nevrotico della combriccola che aveva ogni santo giorno l'argento vivo addosso e passava tre quarti del proprio tempo a fare il burocrate, proprio come tutti gli altri, invece di pensare al povero mondo dei mortali che lentamente andava a rotoli. Solo Raffaele poteva esser considerato il peggiore degli arcangeli e con una reputazione piuttosto ambigua; Gabriele non sembrava male, tutto sommato, ma il resto dei pezzi grossi del Paradiso era un puro concentrato di boria e di indifferenza ai massimi livelli.
Tutto andava in malora e loro non facevano assolutamente niente per impedirlo, pareva semplicemente non importargli, come se ci fossero sempre cose più urgenti a cui pensare, e i poveri umani non sapevano che tutte le volte che andavano a pregare, le loro parole finissero sempre per andare disperse nel vento. Davvero ci si poteva stupire, dunque, di quel che Jeradel affermava sul conto dei propri Custoditi e delle tante invocazioni dei fedeli destinate all'oblio? Quell'angelo era figlio di un sistema ben preciso e non poco fallace che si discostava assai dall'idea di massima perfezione che gli umani si erano fatti nel corso dei millenni.
Tyrian proprio non capiva perché coloro che avrebbero potuto fare così tanto invece non muovessero neppure un dito. Come si poteva affermare di non avere il tempo di aiutare gli umani perché si era troppo impegnati a vegliare su di loro, a mantenere l'ordine nel Mondo Ultraterreno che esisteva grazie alle anime dei defunti? Se quella non era fallacia, le somigliava comunque in modo impressionante.
Roba da matti! Se il Paradiso e il resto del circondario Ultraterreno erano costituiti da un simile e caotico guazzabuglio, Tyrian era ben felice che arrivato di fronte al suo personale Giudizio Dopo la Morte gli fossero state sbattute in faccia tutte e tre le porte, ossia quelle del Paradiso, dell'Inferno e persino del Purgatorio. Non si perdeva né si era mai perso niente, di questo ne era sicuro al cento per cento. Meglio essere dei reietti che sottostare a un simile ordine costituito che ai suoi occhi, in tutta franchezza, appariva suicida e si annullava da solo.
«Stai piantonando quella ragazzina da stamattina. Mi dici cosa c'è di tanto speciale in lei? Basta parlare di Coso lì e arriviamo al dunque» riprese Jeradel, incrociando le braccia.
Tyrian deglutì, non rispose e decise di mostrare la ragione della sua presenza lì per mezzo dei fatti concreti e delle solite scartoffie che era costretto a portarsi dietro e che spesso finiva per perdere da qualche parte in quel buco che chiamava casa, appena fuori dai cancelli del Purgatorio, dove si trovava un vero e proprio ghetto di tutti quelli come lui: coloro che non avevano trovato la pace, una degna sepoltura, un ricordo affettuoso. Cosa ancora più assurda, c'erano anche quelli che la Morte si era dimenticata di segnare nei registri dei defunti o di condurre suddette anime personalmente nell'Aldilà. Dicevano che ultimamente avesse smesso di occuparsi di gran parte dei casi che le si presentavano ogni giorno e che tutto venisse spesso delegato ai suoi personali collaboratori, gli Angeli della Morte, e forse era colpa loro se di tanto in tanto un'anima si ritrovava a passare a miglior vita e a venire considerata una presenza irregolare, come un immigrato che aveva passato il confine illegalmente e vi soggiornava a insaputa delle autorità. Era raro, molto raro, visto che gli Angeli della Morte, definiti anche Mietitori, erano fra gli esseri più efficienti e competenti del Regno Ultraterreno, in poche parole impiegati modello, ma doveva esser sempre più difficile tenere il passo di così tante morti al giorno e in ogni angolo del pianeta. Le guerre, le epidemie, le malattie e tanto altro ancora non aiutavano di certo, e andava detto che gli umani fossero dei veri assi nel trovare sempre la maniera giusta per complicare la vita a se stessi e al prossimo, compresi i poveri Mietitori che forse non sapevano più dove mettere le mani. Secondo certe chiacchiere di corridoio i decessi erano in netto aumento e certe volte giungevano fino alle scrivanie degli Angeli della Morte e di Azrael in autentici blocchi che erano le semplici conseguenze di persone che erano morte assieme nel giro di pochissimo tempo, come ad esempio per via di un incidente aereo o un attacco terroristico oppure, ancora, un'epidemia o il naufragio di povere anime che avevano invano tentato di raggiungere lidi migliori attraversando l'indomito e capriccioso mare che finiva per diventare invece la loro tomba. I problemi erano tanti e il tempo sembrava non bastare mai per star dietro a tutto quanto.
L'esperienza di Tyrian dopo quella che doveva esser stata la sua morte, comunque, era stata assurda e forse qualche angelo la vedeva come una barzelletta cui ripensare quando c'era bisogno di farsi quattro risate. Il Ragazzo delle Lavande, infatti, era finito per puro caso nel Purgatorio e questo dopo aver vagato a vuoto negli onirici ed eterei confini del Regno Ultraterreno per un lasso di tempo indefinito. All'inizio non aveva capito cosa ci facesse lì e cosa fosse accaduto, non aveva compreso subito di essere morto e di trovarsi nel posto dove andavano a finire tutte le anime dei defunti. Quel luogo bizzarro lo aveva intimorito e solo dopo essersi fatto coraggio, nonché aver almeno in parte accettato di non essere più vivo, aveva varcato con ansia i cancelli del posto chiamato Purgatorio.
Arrivato lì aveva tentato di far luce su ciò che ne sarebbe stato o meno di lui, ma gli avevano detto senza troppe cerimonie che non era segnato in nessun registro, in nessuna cartella identificativa. Nessun reclamo da parte di un Mietitore che forse aveva lasciato indietro un'anima, niente di niente. All'epoca Tyrian era rimasto sconvolto e spaesato da quelle chiacchiere alle sue orecchie così bislacche, si era domandato cosa diamine fosse un Mietitore e cosa fosse un'anima; invano aveva provato a fare qualche domanda agli angeli-soldato che lo avevano riaccompagnato fuori dai cancelli e glieli avevano chiusi letteralmente in faccia. Per un momento ricordava di aver visto nel loro sguardo un moto di pietà e perplessità per quella situazione anomala, ma erano stati lesti a dargli le spalle e tornare alle loro postazioni. Lui, dunque, non aveva potuto far altro che alzare i tacchi e tornare a vagare con la speranza che prima o poi qualcuno sarebbe tornato a cercarlo o si sarebbe deciso a dargli una mano.
Tutto ciò Tyrian lo ricordava distintamente. Come avrebbe potuto dimenticare una simile e desolante esperienza? Morire, credere di aver finalmente raggiunto la pace, e poi scoprire che la pace non esisteva neanche per i morti. Quanta ironia.
L'amicizia con Jeradel era arrivata tempo dopo e da allora era perdurata, malgrado prevedibili e normali alti e bassi. Fu la fiducia, quindi, a incoraggiarlo a frugare nella grossa tasca della felpa nera per recuperare dei fogli spiegazzati e dall'aria un po' logora. In teoria erano documenti ufficiali e molto importanti, quasi vitali, ma da quel punto di vista il Ragazzo delle Lavande non brillava più di tanto per quanto concerneva l'ordine. Jeradel, però, a quella vista non poté dire nulla né muovere determinate critiche visto che era il re degli sciamannati.
Lavender Boy dispiegò i fogli e li impilò uno dietro l'altro mentre cercava il nome e quando lo trovò, con mani tremanti e lo sguardo talmente lucido da poter specchiarsi nei suoi occhi violetti, tese la pagina a Jeradel.
L'angelo inspirò appena tra sé, recuperò dal taschino della felpa un paio di occhiali spessi e squadrati, infine lesse tutto a bassa voce. «Oh, merda! E io che pensavo mi fosse andata male col biondino» commentò infine, rivolgendo a Tyrian un'occhiata dispiaciuta e compassionevole.
Tyrian non disse nulla e riprese con sé il foglio, rimettendolo a posto.
L'angelo si massaggiò la fronte, si tolse il berretto, lisciò i capelli all'indietro e infine si ricacciò in testa il lanuginoso copricapo. «Mi dispiace, amico, davvero. Magari puoi chiedere a quelli dell'Ufficio di scambiare l'incarico con quello di qualcun altro. Qualche Rivelatore potrebbe essere disponibile.»
Lavender Boy scosse il capo e si asciugò frettolosamente le guance, guardando verso il cielo e respirando a fondo. «N-No. È... È una cosa che devo fare io. Dovevo aspettarmi che prima o poi me l'avrebbero fatta pagare per quello che è successo anni fa. Michele mi aveva avvertito che ci sarebbero state delle conseguenze.»
«Che bastardi. Ricordo bene, sì. Per qualche anno trascurasti parecchio il tuo lavoro. Eri sempre via, a far da balia a quella marmocchia. Non sapevo si trattasse proprio di lei.»
Era ovvio che avessero rifilato a Tyrian quel compito, fra tanti altri, anche come forma di punizione a scoppio molto ritardato. Con Michele e compagnia non la si scampava, era inutile anche solo provarci a meno che non si fosse dei veri geni del male come il tanto temuto e disprezzato Lucifero o altri individui il cui nome era stato bandito da ogni possibile documento e dalla memoria dei posteri. Secoli prima, si ricordò Jeradel, uno di loro era riuscito a farla in barba a tutti, Michele compreso. Era stata una grossa batosta per l'Arcangelo che mai aveva dimenticato il momento in cui aveva compreso di aver fatto entrare nel proprio ovile un vizioso lupo assetato di sangue innocente.
Tyrian cercò di trattenersi, ma riprese a singhiozzare nel giro di poco e si terse le guance con la manica della felpa nera. «P-Per un attimo ho quasi sperato c-che quella macchina fosse arrivata proprio per lei. Ho sperato che fosse quella la morte che era stata estratta insieme al suo nome, invece... Dio... perché?»
«Maledizione, Tyrian, che casino.» Jeradel sbuffò e si passò le mani sulla faccia, costernato. Non invidiava la posizione del suo amico in quel preciso istante.
Il Ragazzo delle Lavande gli afferrò un braccio, lo guardò come se quella Creatura Celeste fosse in possesso di verità che a lui invece sfuggivano. «Lei non merita questo, Jer. Ci sono così tanti stronzi immeritevoli di vivere al mondo, perché proprio a lei?»
«Tyrian, sai che la scelta è sempre casuale. È uscito il suo nome e questo non può esser cambiato. Devi accettarlo.» Si diceva, infatti, che la Morte agisse in base al volere delle casualità, che non fosse lei a decidere, ma una volontà superiore. Forse si trattava dell'Onnipotente, forse invece no, ma c'era chi invece non credeva fino in fondo a quella diceria e fosse convinto che Azrael sapesse fin troppo bene da sola quando richiamare a sé un'anima e quando non farlo. Azrael, dopotutto, insieme ad altre Creature Celesti che potevano esser contate con le dita di una sola mano, tanto erano poche, era fra gli angeli più antichi di tutti; le sue origini risalivano a tempi remoti e oramai sepolti nelle pieghe di un tempo sbiadito e dimenticato. Era stata fra i primi angeli a venire creati e insieme a Metatron, l'Angelo Profeta per eccellenza, condivideva il dono dell'onniscienza e conosceva il passato, il presente e il futuro di ogni singola creatura vivente e forse anche della Terra stessa. Forse sapeva persino quando il mondo sarebbe giunto alla fine.
Tyrian era fra quelli che davano per buona la seconda delle ipotesi, ma in fin dei conti non importava così tanto e il risultato rimaneva il medesimo: era la Morte a decidere. Tutti loro erano nelle mani di Azrael e soggetti al suo costante e silenzioso scrutinio. Dicevano che neppure gli angeli e gli arcangeli fossero considerati da lei intoccabili, che persino loro la temessero e potessero incorrere nella tagliente e letale carezza della sua falce.
«Non è lo stesso giusto e non riesco ad accettarlo per niente!» disse il Ragazzo Viola, non potendo non detestare i Mietitori e Azrael per aver emesso un verdetto come quello. Gli umani erano destinati alla morte e alla sofferenza, era vero e purtroppo non ci si poteva fare granché, ma perché il fato sceglieva di accanirsi spesso su chi non se lo meritava né se l'era andata a cercare?
Jeradel sospirò. «Posso parlare in tutta franchezza? Credo che tu sia troppo coinvolto emotivamente. So a cosa stai pensando e ti dico di non farlo un'altra volta. Quelli dell'Ufficio e Azrael sono passati sopra fin troppe volte alla tua mancanza di disciplina e ai tuoi colpi di scena, e stavolta potresti veramente finire male. Va' da loro e pregali di assegnarti qualcun altro o dai via il compito a un tuo collega e dimentica la faccenda. Non puoi salvare tutti e non importa se tu e quella ragazzina una volta eravate compagni del cuore, non interessa né ai Mietitori né a Michele se la vedevi come una figlia o una sorellina. Fa' un favore a te stesso e a lei, amico, e fattene una ragione.»
Tyrian si asciugò il naso col fazzoletto che sempre portava dentro la manica.
«Mi odia, Jer. Pensa che sia stato io a far investire James, crede che abbia fatto tutto apposta. Mi vede come un... un mostro.»
L'angelo scosse la testa. «Beh... un ribaltamento niente male, considerando che una volta passava ore a presentarti i suoi peluches e ancora conserva il tuo coniglietto.»
Il Ragazzo delle Lavande strabuzzò gli occhi. «C-Come sai del coniglietto?»
«Perché lo ha perso durante la caduta, genio del male. È proprio laggiù, a due metri da dove la tizia è atterrata quando l'altro coglione l'ha spinta via. E poi tutti sanno che le avevi fabbricato quell'abominio di stoffa e bottoni con le tue sole mani! Ti ci avranno preso per i fondelli per almeno tre settimane dal momento in cui venne fuori quella faccenda, ossia Tyrian il babysitter.»
«Ci ho passato giorni interi sopra, sai? Ci ho messo molta cura!»
«Lo stesso è brutto come la peste, amico.»
«Dici questo solo perché non sai che faccia fece quando glielo regalai con tanto di fiocco rosso.» Mentre parlavano, Tyrian scelse di seguire Jeradel in ospedale. Volevano precedere l'ambulanza tanto per vedere che fine avrebbe fatto James e non sarebbe stato un problema arrivare alla meta visto che riuscivano a spostarsi sia imitando gli esseri umani sia svanendo e riapparendo altrove. Optarono per il secondo metodo.
Amelia fece un altro sorso ingollando l'ennesima dose di caffè mentre, per la centesima volta, cercava di spiegare alle autorità cos'era successo. Senza offesa, ma a chi cavolo volevano che importasse, a quel punto? Davvero, adesso, volevano mettersi a speculare su eventuali provvedimenti legali verso il conducente dell'auto che aveva messo sotto James?
Quell'uomo aveva ripetuto fino allo sfinimento che si era trattato di semplice distrazione, di non essersi accorto in tempo di loro, e comunque a cosa serviva tirare per le lunghe la questione?
Erano passate ore da quando aveva visto la barella del suo amico sparire, diretta alla sala operatoria, e ancora non si era saputo niente.
Buttando un'occhiata sul proprio orologio da polso con raffigurata la testa di Paperino, vide che ormai era mezzanotte. Sua madre e Chase l'avevano raggiunta lì poco dopo aver saputo dell'accaduto, ma a nulla era servito cercare di convincerla a tornare a casa. Non avrebbe abbandonato James, non finché quei dannati medici non le avessero fatto sapere qualcosa e poi... per quanto i signori Peterson non fossero mai stati persone particolarmente alla mano, senza togliere il fatto che considerassero Amelia la causa principale di quello che era successo a James, non poteva lasciarli da soli in un momento simile, specie la madre di Jay che pareva distrutta.
Il signor Peterson, invece, era sempre stato uno a cui non piaceva mostrare le proprie emozioni e non si era sbilanciato troppo, forse nella speranza che non si trattasse di qualcosa di realmente grave.
La ragazza sollevò gli occhi gonfi e stanchi verso i due poliziotti che ora stavano parlando tra loro e per poco non sospirò di sollievo quando finalmente le dissero che avevano finito di interrogarla. Annuì e come un robot si rimise in piedi e si decise a raggiungere il corridoio dove di solito i parenti di un paziente attendevano l'esito degli interventi chirurgici.
Odiava quell'ospedale, li detestava tutti in generale come strutture in sé per sé, ma quello era davvero un labirinto che anziché rassicurare chi vi entrava, piuttosto lo faceva sprofondare nell'ansia e faceva sentire perso in un dedalo di vie dai colori asettici nei quali aleggiava odore di disinfettante.
Amelia fu dunque costretta più volte a chiedere indicazioni, nonché prendere almeno tre ascensori, e quando aprì le porte che conducevano al corridoio si fermò vedendo uscire dalla sala operatoria un'infermiera. La guardò togliersi la mascherina e avvicinarsi ai signori Peterson. L'espressione non faceva ben sperare, era quella che tipicamente non precedeva buone nuove.
La studentessa si avvicinò in silenzio, senza osare troppo, ma lo stesso riuscì a sentire la donna dire ai genitori di James che il ragazzo aveva subito diversi gravi traumi: torace che per poco non era rimasto schiacciato, contusioni, emorragia interna, trauma cranico, lesioni alla colonna, collasso scongiurato per poco, terapia intensiva... rischio di ricaduta o coma.
Non ci vide più chiaramente e le guance le si bagnarono: stava piangendo come una bambina e non la aiutò affatto vedere i Peterson abbattuti, la madre di James scoppiare in lacrime e il padre allontanarsi e assestare poi un rabbioso pugno al muro.
L'ultima volta che aveva visto la madre di James era stata proprio prima di uscire da scuola e la donna lo aveva per giunta schiaffeggiato, senza sapere che forse quella sarebbe stata la loro ultima interazione.
L'uscita che aveva causato il diverbio fra madre e figlio aveva avuto esiti tragici e la ragazza non poteva che sentirsi in colpa più che mai. La signora Peterson non l'aveva mai vista di buon occhio, una volta glielo aveva fatto persino presente dicendole che tendeva ad avere una cattiva influenza su James e come al solito aveva fatto qualche pungente commento quando il figlio le aveva detto che sarebbero usciti quel pomeriggio.
Il motivo per cui i Peterson non apprezzavano l'amicizia fra il loro unico figlio e Amelia, per farla breve, era che in fin dei conti James era la personificazione dei sogni nel cassetto di qualunque genitore: voti altissimi, niente grilli per la testa, di bell'aspetto, affabile, rispettoso e persino virtuoso. Secondo Brandon e Gwen, dunque, avrebbe dovuto frequentare gente del proprio livello e non una come la giovane Spencer. Gente ricca e potente come loro, naturalmente, ma James era una persona del tutto agli antipodi rispetto alla madre e al padre e non tollerava chiunque facesse lo spaccone e pensasse che il denaro fosse la cosa più importante al mondo.
Benché Brandon avrebbe voluto che il figlio intraprendesse una carriera secondo lui più stabile e degna come quella dell'avvocato o perfino del medico, il ragazzo invece aveva progettato di rendere il suo hobby preferito una vera e propria professione. Era da tempo che diceva di voler diventare un musicista di tutto rispetto, di voler vivere grazie alla passione per la musica e, per fare questo, cercare di essere ammesso presso un'accademia con la a maiuscola dove avrebbe potuto perfezionare la tecnica e ampliare ancor di più le conoscenze in merito alla materia.
Per quanto potesse sembrare il tipico sogno adolescenziale di tanti altre ragazzi, James prendeva la questione con estrema serietà e poteva permettersi di sognare in grande. Dopotutto era diventato talmente padrone delle proprie capacità che a quindici anni aveva scelto di proseguire da solo, senza più l'aiuto di un insegnante il cui parere, tra l'altro, era stato ottimo. Aveva detto al ragazzo e poi ribadito agli stessi signori Peterson che avesse tutte le carte in regola per diventare uno fra i più eccellenti violinisti e rendere onore alla memoria di suo nonno, il compianto Arthur Siegel.
Amelia, dal canto proprio, non poteva che confermare le parole dell'ex-maestro del suo migliore amico: James suonava come pochi altri erano in grado di fare, forse perché metteva l'anima in tutto ciò che faceva o forse perché era una dote che aveva nel sangue; magari, invece, il motivo era che persino in quello James, molto semplicemente, fosse a dir poco un angelo.
Una volta lei l'aveva pregato di suonare qualcosa col violino e lui, dopo un bel po' di remore da autentica mammola, alla fine l'aveva accontentata. Amelia ricordava ancora quelle dolci e malinconiche note poco a poco partorite dalle sottili corde dello strumento che, anziché intonare una melodia, era quasi parso parlare, anzi cantare, e nel farlo narrare una storia come un tempo erano stati soliti fare i bardi alle corti dei re.
Le era parso che solo per un momento tutto intorno a loro avesse volutamente scelto di tacere e di fermarsi per ascoltare quella fiaba priva di parole narrata dal violino.
Tale ricordo, in un momento del genere, fece soltanto affiorare altre lacrime che scivolarono lungo le guance della ragazza senza che lei potesse far nulla per fermarle. Si sentiva così in colpa da credere che non avesse il diritto neppure di asciugarsi il volto.
Era ingiusto che una disgrazia simile fosse accaduta proprio a una delle poche persone a cui voleva realmente bene, a qualcuno che non aveva mai fatto del male a nessuno. Che mondo ironico, crudele e balordo era il loro!
Non seppe neanche lei cosa le diede la forza di restare in piedi, pur sentendo sotto di sé le gambe farsi instabili come tremola gelatina.
Voleva vederlo, voleva stare con lui, con il ragazzo che da anni considerava alla pari di un fratello e che per tanti motivi si era dimostrato tale fino in fondo. Non avrebbe sopportato un secondo di più di starsene lì, senza far niente, senza sapere un bel niente, se non spezzoni di tristi diagnosi!
Sentiva che se le avessero detto che non poteva vedere James avrebbe anche potuto strangolare qualcuno. Era talmente arrabbiata, nervosa e attanagliata dall'angoscia e dai sensi di colpa da sapere che avrebbe davvero torto il collo al primo che le fosse capitato a tiro.
E poi l'alternativa era di rimanere lì, insieme ai Peterson, ma dubitava che desiderassero la sua compagnia, specie in quel momento. Al massimo avrebbero tollerato la sua presenza in qualità di improvvisato bersaglio per il lancio delle freccette.
Si avvicinò con passo più o meno stabile all'infermiera che, dopo aver rivolto ai coniugi delle parole piene di dispiacere miste a un breve discorso di incoraggiamento, stava per andarsene. Ignorò con tutte le forze lo sguardo accusatorio e rancoroso di Gwen, così come quello infastidito del padre di James, e si concentrò sul volto gentile dell'infermiera. «Sei Amelia, vero?» le domandò la donna.
Quelle parole la colsero in contropiede. Sgranò gli occhi e balbettò: «C-Come fa a sapere il mio nome?» chiese.
L'infermiera sbuffò una risata triste. «Prima di diventare incosciente, quel ragazzo...»
«James» la corresse Amelia.
«Ecco, sì. Quando lo abbiamo portato qui ha avuto qualche minuto di vaga lucidità e continuava a chiedere di te, a chiedere se stessi bene o fossi rimasta ferita a tua volta.»
La ragazza puntò gli occhi sul pavimento. Sentiva di star per scoppiare di nuovo a piangere, ma non voleva farlo lì, proprio sotto gli occhi accusatori dei Peterson che sembravano incolparla di tutto quanto anche senza aver articolato mezza sillaba.
«Sei la sua ragazza? Un'amica?» incalzò pacata l'infermiera.
«A-Amica. Lui ora è in quello stato perché ha voluto proteggermi. Ha visto per primo la macchina e mi ha spinta via prima che potesse travolgermi.»
La donna, amareggiata, sospirò e disse: «Capisco. Non preoccuparti, presto lui tornerà a stare bene. Deve solo recuperare le forze e fare tanta riabilitazione. È troppo presto per buttarsi giù, credimi, e comunque riceverà le migliori cure».
Amelia si aggrappò a quelle parole, sperando che l'infermiera avesse ragione. «Posso andare a trovarlo, dopo?»
«Sì, ma se vuoi entrare nella stanza dovrai prendere le dovute precauzioni sanitarie e non potrai restare che per pochi minuti. Ci vorrà del tempo. Puoi tornare a casa, per ora, e riposare.»
«M-Ma...»
«Starà bene, vedrai. Non lo perderemo di vista.»
Amelia capì che sarebbe stato inutile opporsi. Fece un cenno e fu sul punto di seguire l'infermiera fuori, poi si fermò e tornò indietro, dai signori Peterson. Le sue labbra si aprirono e chiusero diverse volte nel tentativo di formulare anche una sola parola, ma alla fine riuscì appena a mormorare delle avvilite scuse.
Fu la madre di James a interrompere il gelido silenzio calato fra di loro. La squadrò con durezza e una punta di rancore. «Grazie, ma ora vattene, per favore» sussurrò a denti stretti, la voce tremante e piena di rabbia. Sembrava a tanto così da voler fare ben di peggio che trattarla semplicemente male.
Era assurdo pensare a come James fosse quasi la sua esatta fotocopia, almeno fisicamente parlando. Le somigliava in tutto, tranne che per il carattere. La risposta di Gwen, ad ogni buon conto, fu uno schiaffo in piena faccia per la ragazza che alla fine decise di lasciar perdere e di andarsene. Mentre abbandonava il reparto non poté non chiedersi, angosciata e addolorata, per quanto altro tempo avrebbe dovuto fare avanti e indietro da quel posto e se James, prima o poi, davvero sarebbe tornato a stare bene, a ridere e a scherzare con lei mentre insieme cercavano di costruirsi un futuro. Ci sperava, ma spesso la speranza era più fatale del veleno e ingannevole come un fuoco fatuo nei boschi.
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