I. La visita notturna
Nota Iniziale
Questa storia breve è un minuscolo spin-off legato a "Tredici Rose" e la serie di cui fa parte. È stata scritta per il concorso indetto da EseriothLauroth , nel quale avevamo una traccia da seguire e sviluppare con il massimo di tre capitoli. Avevo diverse idee, poi alla fine ho scelto di seguire quella iniziale, che avevo scartato perché non ero sicura di riuscire a creare un piccolo spin-off che riuscisse ad essere "completo" in così poche parti. Tuttavia sono testarda e niente, invece della via semplice ho scelto quella più insidiosa.
La storia che leggerete è ambientata a Obyria, nel Regno dei Vampiri, e il narratore è Dario, il Principe della Notte, il quale fa la sua comparsa nei capitoli finali di "Tredici Rose", ma viene nominato diverse volte nel corso del primo "libro". Confesso che la traccia assegnata alla categoria Vampiri del contest mi ha dato la possibilità di approfondire un discorso che altrimenti nella storia canonica non avrei avuto né il tempo né lo spazio di ampliare, ossia l'origine dei vampiri. Ci è stato richiesto di inserire nella storia, come elemento chiave, un medaglione con una misteriosa scritta, ed eccoci qui. Ho provato a rendere dunque il medaglione in questione qualcosa di fondamentale, dandogli un ruolo che potesse fare la differenza.
Chiedo scusa se i capitoli saranno un pochino lunghi, ma devo ammettere che per i miei standard sono stata abbastanza stringata. Sono contenta di aver seguito l'ispirazione iniziale che ho avuto quando ho letto della traccia del concorso per la prima volta, mi è servita per ritrovare anche la voglia di proseguire la serie principale.
Per quel che riguarda la cover, è stata interamente creata da me e sono abbastanza soddisfatta del risultato finale!
Spero che vi piaccia questo piccolo tuffo nel passato, buona lettura! Ho optato per una specie di racconto nello stile di una pagina di diario!
28 Novembre 2029
Ricordo quell'esperienza in maniera vivida, ma anche in un certo senso come se fosse stato più un sogno lucido, che qualcosa di reale.
Nella gerarchia dei vampiri non v'è figura più rispettata, temuta ed eccelsa del Principe della Notte.
È un ruolo, questo, che origina in tempi tutto fuorché recenti.
Alcuni dicono che sia così antico da sfociare nel mito.
In via ufficiale, il primo di questa specie di stirpe a venir ricordato recava il nome di Richard I o ancora, come amo chiamarlo io - da bravo italiano fiero delle proprie radici - Riccardo I.
No, non ha nulla a che vedere con figure di spicco magari omonime ed appartenenti al passato.
Richard non viene ricordato in altri libri di storia se non quelli di Obyria.
Obyria - conosciuta anche come Regno Parallelo - in sintesi è un mondo alternativo a quello umano, una sorta di realtà nella realtà parallela a quella canonica che gli umani conoscono; da molti secoli funge da faro di speranza e rifugio per tutte le creature straordinarie e grottesche che gli uomini, al giorno d'oggi, hanno scelto di relegare nel folklore d'altri tempi e nella fantasia.
Non esistono i vampiri e i lupi mannari, né i fantasmi, gli elfi o le fate.
Questo è ciò che pensano gli esseri umani del Ventunesimo Secolo, e questo è ciò che in effetti devono credere.
Io, come tanti altri, ritengo sia molto meglio lasciarli vivere nella loro beata ignoranza, con un pizzico di dubbio, perché altrimenti temo che le conseguenze di una possibile certezza sarebbero fatali per tutti.
Ad ogni modo, sto andando fuori tema.
Avevo bisogno di togliermi qualche peso, uno in realtà. Risale a quando venni eletto Principe della Notte a mia volta, quest'anno sarà il tredicesimo anniversario del mio mandato.
Quando Richard stesso mi accennò a questa faccenda, confesso che pensai si fosse inventato tutto a bella posta, sapendo che a volte tendeva ad essere un gran burlone e a inventare di sana pianta le storie più bizzarre solo per il gusto di scandalizzarmi.
Parliamo di qualche secolo addietro e non ero ancora il vecchio vampiro che sono al giorno d'oggi.
Ero giovane, come d'altro canto lo era anche lui, e non ci voleva chissà quanto per suscitare il mio stupore.
Il giorno in cui Richard mi raccontò la sua esperienza, mi aveva da poco scelto come capo delle sue guardie, nonostante in realtà fossi ai suoi occhi molto più di questo: un amico, un confidente, forse persino un fratello di spirito.
Disse che sospettava che forse, quando un altro vampiro fosse succeduto a lui, anche tale successore avrebbe forse avuto la medesima esperienza, ricevuto - proprio come era toccato a lui - quel fardello.
Col senno di poi, mi rammarico di non avergli creduto e aver pensato che volesse prendermi solo in giro.
Tendiamo spesso a rifiutare la verità, quando quest'ultima si distanzia fin troppo dalle nostre credenze e certezze.
Preferiamo dubitare, o vivere nella menzogna, anziché accettare i fatti concreti. Poco importa che essi, talvolta, ci vengano sbattuti in faccia con violenta decisione.
Noi vampiri, d'altro canto, siamo nati come esseri mortali, umani come tanti altri, e perciò ritengo sia normale possedere anche dopo la trasformazione un minimo barlume di umano scetticismo, quel costante voler dubitare dei nostri stessi sensi e volontà di rifugiarci ad ogni costo nel nostro piccolo mondo personale intessuto solo di semplici e fallaci apparenze.
Dunque, se secoli addietro presi tutto come una burla ben orchestrata, una semplice storiella creata appositamente per farmi spalancare la bocca e restare interdetto, con le mie elezioni mi ritrovai costretto ad accettare e poi tenere solo per me la veridicità del racconto di Richard.
Come lui, ebbi la medesima esperienza.
Proprio come accadde a lui, anch'io la prima sera del mio fresco insediamento presso il palazzo regale, la Reggia della Luna, ricevetti la visita di un singolare individuo.
Ricordo che in quel momento stavo rimuginando nei miei appartamenti, gli stessi che un tempo erano appartenuti a Richard.
In quelli accanto mia moglie, Leda, dormiva già da un'ora inoltrata. Riuscivo a sentire anche da quella distanza il suo respiro lento e regolare.
Leda non era un vampiro, ma una strega, e per quanto sarebbe interessante parlare di lei e di come ci incontrammo, innamorammo e infine sposammo, non è l'occasione appropriata per farlo.
Mi limiterò a dire che purtroppo, al giorno d'oggi, Leda non è più al mio fianco e le sue spoglie riposano in una cripta.
Sembrerà assurdo, dato che si tratta di un regno di soli vampiri, ma nei più profondi sotterranei della Reggia è presente una vera e propria necropoli, riservata esclusivamente alle persone che in passato i miei predecessori amarono e quasi sempre finirono per perdere.
Lì, in una sala, riposano le vestigia di mia moglie, e vi resteranno per sempre.
Vi andai solo una volta, poco dopo la sua morte, e poi mai più. Consideravo insensato farlo, lei non apparteneva più a questo mondo, ma a quello delle ombre, dei morti.
Credo che col senno di poi, se solo avessi ascoltato davvero il racconto di Richard e poi gli avvertimenti di quell'individuo, avrei rifiutato il mio incarico e sarei tornato con Leda in Italia.
A volte penso di esser stato io il solo e vero responsabile della sua morte, per fin troppe ragioni, e forse, se qualcuno mai leggerà queste pagine, non sarò il solo a crederlo.
Come stavo dicendo, era sera e il fuoco scoppiettava nell'imponente caminetto di marmo intagliato dalle mani di un vero e proprio artista.
Mi sentivo ancora perso. Forse altri sarebbero stati in preda all'adrenalina del momento, alla sensazione di potere e ricchezza, ma non sono mai stato particolarmente affezionato a queste cose, neppure quando ero umano.
Il palazzo era chiaramente rimasto fedele al progetto minuziosamente partorito dalla mente brillante, certo, ma anche amante del lusso e della raffinatezza di Richard.
Richard aveva sempre amato gli arabeschi, l'esoticità dell'Oriente, e dunque trasmesso tale amore alla sua più grande creazione, ossia la Reggia della Luna.
Il Palazzo, in poche parole, era ed è tuttora un piacevole sposalizio di una reggia occidentale con uno di quegli edifici dove i sultani solitamente risiedevano.
Richard era un atipico bohémien, prima ancora che tale termine venisse coniato e ricordato. Richard era ligio al dovere, certo, e prendeva sul serio le questioni importanti, tuttavia - seppur vampiro - amava l'ottimo vino, le agiatezze, le donne e tirare di scherma. Amava la poesia, le opere del visionario William Blake e il Paradiso Perduto di Milton.
Considerando quanto avvenuto tra vampiri e lupi mannari in seguito al suo insediamento e contro i consigli e il volere stesso degli altri regnanti di Obyria, credo sia proprio il caso di dire che magari fu ispirato da quell'opera per la sua rivolta luciferina, la quale condusse tuttavia i vampiri al lustro e al potere.
Divennero il popolo forse più potente del Regno Parallelo, secondo soltanto alle Streghe, e suppongo che per tale ragione solo dal suo regime in poi i Principi della Notte ricevettero il riconoscimento comune per le loro imprese, gettando invece nell'oblio tutti coloro che li avevano preceduti millenni prima.
Mentre gironzolavo per la grande e maestosa camera da letto, per un secondo quasi mi parve di intravedere una sorta di apparizione, o spettro, del mio caro e defunto amico.
Magari era solo la mia nostalgia ad evocare quel fantasma, o i sensi di colpa, ma fatto sta che mi sembrò strano non vederlo più in quella stanza, intento magari a sorseggiare vino mescolato al sangue di un suo nemico, o a ricevere le peccaminose attenzioni di una delle sue tante storiche amanti.
Diversamente da me era un noto e fortunato seduttore, e poteva permettersi di esserlo con l'aspetto che aveva.
Io, invece, credo che passerò alla storia come uno dei Principi che fece l'errore madornale di peccare di tracotanza verso funesti e sfavorevoli dei sposandomi e cercando addirittura di costruire una famiglia con Leda.
Noi vampiri non siamo fatti per amare, né per avere eredi alla vecchia maniera.
Siamo ombre, spettri palpabili, forse demoni, alla disperata ricerca di qualcosa che non accettiamo di aver ormai perso per sempre.
Siamo predatori destinati alla solitudine, anche se alla fine siamo riusciti ad unirci sotto un unico vessillo, per così dire.
Tuttavia mai abbiamo perso e perderemo quel senso di indipendenza dal prossimo, l'egocentrismo che ci spinge spesso a rifuggire piaceri fallaci e non eterni come la compagnia, o l'amore.
Il grande pendolo aveva da poco annunciato la mezzanotte quando udii le porte dei miei appartamenti aprirsi lentamente e con una sorta di delicatezza, per poi richiudersi.
Stupito e confuso mi voltai e rimasi di stucco scorgendo una figura a me affatto nota.
Non avevo mai visto quell'uomo, ma quasi immediatamente percepii l'antichità delle sue spoglie, il mistero che lo avvolgeva come un manto invisibile e campeggiava nelle sue iridi color ebano.
Il suo aspetto mi risultò strano e singolare non per via di qualche difetto o deformità - era, invero, un uomo di bell'aspetto - ma per il pallore eccessivo persino agli occhi di uno della mia specie.
Sembrava ultraterreno, il suo incarnato... be', aveva semplicemente perso ogni traccia di colore.
Bianco come un lenzuolo, letteralmente.
Credo che in quel momento lo paragonai a una specie di statua che di colpo aveva preso vita, sia per il biancore estremo della pelle, che per la consistenza delle membra che saggiai con l'ausilio degli occhi.
Era un essere magnifico, in tutta onestà, ma di una magnificenza terrificante.
Indossava abiti semplici, niente di particolare, e sembravano stonare col suo aspetto dalla bellezza antica, di quelle che ormai - con la mescolanza delle popolazioni - sono andate perdute.
Feci un passo indietro di istinto, in totale soggezione, e lui nel frattempo si avvicinò e mi fece cenno di sedermi sul letto, come avrebbe fatto un affettuoso padre col figlio per invitarlo a coricarsi e ad ascoltare la fiaba della sera.
Mi risultò evidente che fosse lì per me e per una ragione ben precisa, ragione che avrebbe richiesto del tempo se addirittura c'era il bisogno di sedersi.
La situazione a qualcun altro sarebbe potuta sembrare bizzarra e forse inquietante, ma come già ho detto vissi tale esperienza come un sogno lucido, uno di quelli dove non si riesce a distinguere più la realtà dalla fantasia.
Prese posto accanto a me, i suoi movimenti fluidi come acqua, anzi come il mercurio liquido che una volta veniva imprigionato nei termometri.
Quando faceva un movimento, neanche io riuscivo a rendermi conto di esso se non quando era già stato eseguito.
Guardai il suo volto incorniciato da capelli castani con vaghi riflessi dorati, folti e mossi come quelli di una statua greca; il suo naso regolare, dal profilo diritto e privo di imperfezioni; le sue labbra che parevano esser state scolpite e modellate dall'antico scultore Fidia; i suoi occhi grandi e dal taglio felino, quasi orientaleggiante, senza però esserlo davvero.
Se la statua di Athena Parthenos avesse avuto un corrispettivo maschile, probabilmente quell'uomo ne sarebbe stato l'indiscussa e vivente rappresentazione.
Per quanto misterioso, capii immediatamente che non aveva cattive intenzioni.
La sua espressione, anche se mi incuteva un certo timore reverenziale, non era arcigna, ma tranquilla, forse con un lieve eco di malinconia.
Mi parlò e la sua voce profonda mi scivolò addosso come un morbido manto di velluto.
Credo che sarei anche potuto restare lì per sempre ad ascoltare semplicemente il suono prodotto dalle sue corde vocali. Era melodioso come un'antica canzone, capace di stregare e trasportare in epoche passate.
Quella voce non avrebbe avuto alcun problema a cimentarsi nel canto.
«Non sai chi sono, vero?» mi chiese.
Nel tono non vi era sorpresa né altro. Sapeva che l'uno era uno sconosciuto per l'altro.
Scossi la testa, ritenendo sarebbe stata maleducazione non rispondere in alcun modo, seppur a gesti.
Lui piegò le labbra incolori in un piccolo e indulgente sorriso.
«Non mi aspettavo il contrario» proseguì. «Sono qui per farti le mie più sincere congratulazioni, Dario, e per fare ciò che faccio da millenni con ogni Principe e capo della nostra comunità.»
Infilò una mano dentro la tasca del suo semplice soprabito scuro ed estrasse quello che subito capii essere un medaglione, o qualcosa di simile.
Me lo tese e lo presi con un po' di esitazione, infine lo osservai: sembrava molto, molto antico, ma ben conservato.
Al centro era incastonata una pietra rossa e levigata, in rilievo e rotondeggiante; era tuttavia alquanto bizzarra e per un secondo ebbi l'impressione che in realtà non fosse un rubino.
Come se il colore fosse dato da qualcosa all'interno.
Attorno alla montatura c'erano delle incisioni, parole per l'esattezza.
Mi accigliai non appena compresi che era greco antico.
Tornai a guardare l'uomo.
Fino a quel momento, la mia esperienza aveva perfettamente corrisposto a quella di Richard. Solo l'epoca e il Principe di turno cambiavano.
Lui tornò serio.
«Ora voglio che tu mi ascolti con attenzione. Non sei semplicemente diventato la persona più illustre di tutto il nostro popolo, ma anche custode di molti segreti, fra cui le vere origini dei vampiri. Il medaglione che reggi nella tua mano è la chiave di tutto, della nostra stessa immortalità.»
Deglutii a fatica.
Ammetto che inizialmente fui sul punto di alzarmi e andarmene, tuttavia mi sentivo allo stesso tempo incollato lì; la curiosità era più forte di tutto il resto.
«Prima dimmi chi sei» sussurrai.
Lui esitò, poi: «Mi chiamo Orfeo. Nel mondo degli uomini mortali, sono giunto alla memoria dei posteri come colui che osò sfidare la morte per riavere indietro la donna amata. Vengo ricordato più per questo, che per essere anche stato un musicista».
Per quanto avrei voluto per un secondo ridergli in faccia e chiedergli se davvero mi ritenesse così pazzo da credere a quella storia, dalla sua serietà capii che non stava scherzando.
Forse era matto, ma non stava scherzando.
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