3. Petra Rall
Girai l'angolo e mi ritrovai di fronte una strada secondaria, piuttosto malmessa e sporca. C'erano solo case popolari e due negozi a occupare la via, un minimarket e un sexyshop, poco distanti l'uno dall'altro. Sui marciapiedi e ai lati di esso si potevano notare fin da subito la sporcizia: cicche di sigarette, bustine di plastica, gomme da masticare, preservativi e tanto altro. Dei lampioni presenti, circa a cinque metri di distanza l'uno dall'altro, solo alcuni rimanevano costantemente accesi, mentre altri erano mal funzionanti e altri ancora totalmente spenti. Ma la prima cosa che si notava appena si imboccava la via secondaria erano le decine di donne; alcune poggiate ai muri, altre ai lampioni, alcune che facevano avanti e indietro e altre ancora sedute sulle panchine malridotte della vecchia fermata dell'autobus, oramai inutilizzata da tempo.
Guardando tutto questo feci un respiro profondo e, ignorando il forte impulso di tornare indietro e rinunciare, mi feci forza e proseguii, facendo attenzione a non pestare nulla.
Ad accomunare tutte quelle donne diverse per etnia, aspetto fisico, età e intenzioni, era l'abbigliamento; mini top con mini gonne, oppure mini abiti che arrivavano a mala pena sotto i glutei. La maggior parte di loro avevano tacchi a spillo di almeno dieci centimetri, avevano borse e pochette e, dalla prima all'ultima, erano colme di trucco. Pensai che sembrassero avere un intero negozio di cosmetici in faccia.
"Non posso tirarmi indietro a questo punto". Mi convinsi a continuare, sviando tutti quegli occhi puntati su di me, a scrutarmi dalla testa ai piedi. Probabilmente per il mio abbigliamento, per nulla "adatto" alla via 13. Oppure per il fatto che, sicuramente, ero pallida da quanto ero sconcertata, anche solo per il fatto di trovarmi lì.
-Ti sei persa o stai cercando qualcuno?-
Mi voltai di scatto e vidi una ragazza appoggiata ad un lampione, che mi rivolgeva un piccolo sorriso. Aveva i capelli di media lunghezza, ramati, e occhi del medesimo colore, grandi ed espressivi. A differenza delle altre donne, lei era meno truccata, ma l'abbigliamento era molto simile. Un mini top rosso con una scollatura a V, pantaloncini di jeans molto corti che mostravano le gambe lisce e snelle, e stivaletti neri fino alle caviglie; il tutto accompagnato da una giacca imbottita, anch'essa nera.
-N-no, cioè... io stavo... solo dando un'occhiata in giro.- Risposi intimidita e incerta se parlarle o meno. Non avevo idea delle sue intenzioni, ma ad un primo sguardo sembrava piuttosto affabile.
-Non ti mordo mica, eh!- Il suo sorriso si trasformò in una risata genuina ed io mi calmai un poco.
Non sembrava come le altre donne nei dintorni, che mi fissavano in malo modo o truci, dunque potevo tentare di chiedere a lei, pensai.
-Tu... Quanto ti fai pagare?- Cacciai via il mio imbarazzo e sputai il rospo.
-Emh... Scusa, ma non ho quelle tendenze.- Rispose, accennando un sorriso imbarazzato.
-M-ma no! Non fraintendere non intendevo quello!- Portai le mani avanti, gesticolando e balbettando impacciata. -Ero solo... curiosa.-
La ragazza si mise a ridere, probabilmente divertita dalla mia reazione e dalla sfumatura scarlatta che avevano colorito le mie guance. Oppure per mascherare l'imbarazzo della situazione. -Ho capito, ho capito. Comunque dipende, da molti fattori. Solitamente parto da trenta, quaranta euro, fino ad arrivare a duecento o trecento a volte, per le cose più spinte in quel caso. Per esempio, solo per un lavoretto di mano prendo circa cinquanta. Per un rapporto completo, parto da cento e se il cliente vuole aggiungerci qualche "giochetto erotico",- con le dita mimò delle virgolette -posso salire fino a trecento, come ho già detto.- Concluse, sempre mantenendo gli occhi fissi sui miei e alzandoli al cielo di tanto in tanto, mentre mi elencava i suoi prezzi. -Ma ogni donna si fa pagare una somma diversa dopotutto.-
In un primo istante rimasi a guardarla ammutolita e attonita. Per me era incredibile come ne parlasse con così calma e apparente giovialità, quasi come se mi avesse recitato l'elenco della spesa; presumibilmente, diceva queste cose così spesso che oramai ci aveva fatto l'abitudine e non ci prestava nemmeno più caso.
-Perché ci tenevi tanto a saperlo?- Riprese a parlare, notando che non spiccicavo parola. -Sei venuta qua per un tuo amico timido che si vergogna?- Chiese ridacchiando, cercando l'ipotetico amico in questione con lo sguardo.
-No. Ero io che volevo saperlo.- Abbassai lo sguardo a disagio per la situazione che si stava creando, guardandola di sottecchi.
-Vuoi dirmi che vorresti fare questo lavoro?- All'improvviso cambiò espressione: il sorriso che fino a quel momento le aveva incorniciato il volto scomparve, ed ora mi guardava contrita.
-Be'... forse...? Intendo dire, non lo so ancora con certezza.-
Avevo veramente pensato, anche se solo per un momento, alla possibilità per me di intraprendere questo mestiere. Non ne andavo per nulla fiera ed anzi, ne ero mortificata, ma guardandomi intorno non vedevo altre vie d'uscita. Ero come bloccata, con le mani legate, e l'unico modo per liberarmi era questo: la prostituzione.
Al contempo i miei pensieri andavano alla mia famiglia. Se avessero saputo anche solo che in quel momento ero alla via 13 a parlare con quella donna, cosa avrebbero pensato? Cosa avrebbero fatto? Dargli un dolore talmente grande era impensabile per me.
Non seppi per quanto tempo ero rimasta in silenzio, persa tra i miei pensieri, quando quella donna di fronte a me si sollevò dal lampione e mi venne più vicino; sul suo viso era tornato quel sorriso dolce e rassicurante. -Ti va di parlarne?-
Vacillai, ancora titubante, ma annuii con il capo e decisi di parlarle della mia situazione. Avvertivo un forte bisogno di sfogare le mie paure e angoscie con qualcuno.
Cominciai a raccontarle della mia famiglia adottiva, dei nostri problemi economici, del cancro di mio padre e, in particolare per quest'ultimo motivo, di come ero alla disperata ricerca di un lavoro. Per tutto il tempo lei mi ascoltava, attenta e interessata ad ogni singola sillaba, e inconsapevolmente avvertii l'impulso di piangere. Per la prima volta riuscivo a parlarne con qualcuno che non fosse Eren o Mikasa, senza pregiudizi.
Alla fine del mio lungo discorso, annuì. -Capisco... Mi dispiace molto che tu sia costretta a fare tutto questo per i problemi economici della tua famiglia. Non è un gesto che farebbe chiunque, in particolare se la propria famiglia non è in realtà quella biologica.-
Accennai un lieve sorriso, leggermente più a mio agio. -Tu invece? Perché fai questo lavoro? Ah,- mi fermai, ricordandomi all'improvviso di una cosa -non ci siamo ancora presentate ora che ci penso. Io sono [T/n].-
-Io mi chiamo Petra.-
Petra Rall fin da piccola era sempre stata una ragazza per bene. Era cresciuta in una famiglia benestante, che tutti rispettavano e amavano e, di conseguenza, tutti rispettavano e amavano Petra.
Il padre era un abile dottore di fama internazionale, mentre la madre una famosa stilista in une delle più importanti aziende di abbigliamento d'alta moda. Entrambi erano all'apparenza dei genitori perfetti e amorevoli, che si impegnavano a offrire alla propria figlia tutta l'educazione di cui, a parer loro, necessitava.
Infatti a Petra, fin dalla giovane età, era stata insegnata la buona educazione e le buone maniere. Aveva un quoziente intellettivo pari a 148 e, per questo motivo, apprendeva molto in fretta tutto quello che le veniva insegnato. Era per giunta una bambina molto bella e solare, e da ragazza non fece altro che diventare ancora più bella, giorno dopo giorno. Era infine piena di talenti nascosti, e i suoi genitori la spingevano a impegnarsi in tutto: polistrumentista e cantante, si dilettava anche nel disegno e nelle materie di ambito umanistico. Insomma, aveva tutte le carte in regola per diventare una donna di fama mondiale.
Ma un giorno, per qualche strano motivo, Petra iniziò a chiudersi in se stessa. Non era più la ragazza allegra ed estroversa di prima. Non mangiava, non dormiva, ormai non faceva più nulla e arrivò a tentare atti estremi contro la sua vita e la sua salute. Era diventata un guscio vuoto e nessuno ne seppe il motivo.
I genitori la mandarono da vari psicologi e psicanalisti, ma senza successo e, dopo del tempo, smisero di prendersi cura di lei. Stanchi e troppo presi dal lavoro, la lasciarono in mano alla servitù e, infine, l'abbandonarono in un orfanotrofio. Allontanata dal tepore familiare a sedic'anni, visse in quel luogo per due anni e, seguita da altri psichiatri e in cura medicinale, alla fine dovette affrontare di nuovo il mondo reale, questa volta da sola.
-Uscita dall'orfanotrofio e ancora in cura psichiatrica, riuscii a trovare un lavoro e un appartamento, ma a causa di alcune circostanze venni licenziata e persi la casa. Per puro caso trovai un night club e fu da quel momento che, lentamente, iniziai a lavorare come prostituta. Non ho mai più i miei genitori e nemmeno quel maggiordomo che... mi ha rovinato la vita.-
Quando ebbe finito la sua storia, non seppi come reagire. Mi spezzava il cuore sapere che cosa aveva dovuto passare per tutta la sua vita e provai un dispiacere profondo.
-M-mi dispiace tanto.- Riuscii solo a dire.
-Sta' tranquilla, non ti devi dispiacere per me. Anzi, se tutto va bene tra non molto potrò dare una svolta alla mia vita. Mi serve solo altro tempo...- Accennò un mezzo sorriso per rassicurarmi.
Ricambiai e mi ricordai improvvisamente di Mikasa: erano passati quasi quaranta minuti!
-Devo assolutamente andare adesso, scusami! Ciao!- Feci già per correre via, ma venni subito fermata dalla voce di Petra.
-Aspetta! Lascia che ti dia il mio numero! Così ci possiamo contattare per qualsiasi evenienza o se vuoi sapere altro.-
Tornai da lei e presi il mio cellulare. Mi dettò il suo numero e dopo ci salutammo con un cenno, così potei tornare da Mikasa.
Appena girai l'angolo trovai l'auto dell'asiatica ancora nello stesso punto di prima e, cauta, aprii la portiera. Mikasa era ancora seduta sul posto di guida e, con la testa inclinata verso sinistra, respirava profondamente, addormentata.
Meglio così, pensai, altrimenti sarebbe venuta a cercarmi e non osavo immaginare che scusa avrei potuto tirare fuori per pararmi il culo.
Delicatamente la svegliai e mi riaccompagnò a casa, non facendomi altre domande per il sonno. Nel mentre io pensavo al numero di quella Petra e se era il caso o meno di telefonarle in seguito. Se l'avessi fatto, non sarei più potuta tornare indietro.
*Spazio Me*
Come sempre, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Secondo voi ho dato troppa importanza alla storia di Petra? Altra domanda domandosa (?): Vi piace Petra? Intendo, nella storia originale. A me sinceramente si, mi sta simpatica e mi è dispiaciuto molto per la sua morte.
*Levi la porta via*
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