𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐈. 𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐥𝐮𝐩𝐢 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐧𝐨𝐭𝐭𝐞
https://youtu.be/aoM7GlnA7Uw
La mezzanotte era ormai scoccata da circa una ventina di minuti e questo lui lo sapeva grazie alla torre dell'orologio situata nella piazza cittadina. Anzi, nella parte vecchia e più malandata di Versya, l'esteso brandello urbano degradato e malfamato soprannominato da tutti Città Bassa, in contrapposizione alla invece ricca e ben tenuta Cittadella dove abitavano i ricchi e chiunque potesse permettersi di vivere come più gli pareva.
Da molti giorni ormai la pioggia si stava abbattendo su Versya con implacabile rigore; c'erano stati solo brevi attimi di pausa in cui, però, la stessa atmosfera aveva assunto uno spiacevole e inquietante color ruggine. A Blake non era mai piaciuto quell'esatto momento che seguiva la fine delle precipitazioni. Gli rendeva ancora più difficile tollerare la vista di quella città che mai sarebbe stata davvero sua e dove lui, molti anni addietro, aveva trovato ad attenderlo una vita intera di schiavitù e di violenza.
Se solo non fosse stato dotato di riflessi pronti e di una gran dose di testardaggine, probabilmente da un bel pezzo sarebbe caduto giù dal ripido tetto sopra il quale si era poco fa accovacciato. Lo aiutava sempre e gli offriva un'ottima visuale di gran parte della zona urbana.
Era tutto tranquillo. C'erano solo lui, la pioggia, il buio e sicuramente qualche gatto randagio a caccia di ratti, per non parlare dei suoi colleghi. Non era il solo a operare nella Città Bassa e di certo, quella notte, il suo obiettivo non sarebbe stato l'unico a tirare le cuoia prematuramente.
La luna era a malapena visibile nel cielo, stretta fra le scure e tumultuose nubi notturne impegnate a vomitare pioggia e, di tanto in tanto, tuoni e fulmini. Proprio allora una saetta serpeggiò con uno schiocco di frusta da qualche parte nel firmamento, illuminando per una frazione di secondi il profilo diritto e serio, proprio come quello di una statua, dell'Assassino. L'uomo non ebbe neppure un sussulto, rimase immobile e impassibile. I suoi capelli scuri e folti erano fradici, gocciolavano e gli coprivano parte del viso. A occhio e croce sembrava avere tra i venticinque e i trentacinque anni. Era quel tipo di persona che sembrava sempre un po' più giovane di quanto fosse realmente, cosa che di tanto in tanto gli era tornata non poco utile, specie negli incarichi più sordidi e controversi. I suoi Maestri, coloro che lo avevano addestrato fino ai diciotto anni, lo avevano definito, per prenderlo per i fondelli, uno con la faccia da bravo ragazzo e lui, dunque, aveva reso quella specie di svantaggio un punto di forza. Era più facile per lui avvicinarsi ai suoi obiettivi, quando magari gli era impossibile non essere visto e gli toccava di recitare un pochetto. La gente tendeva a fidarsi dei visi come il suo, di chi in apparenza dava l'idea di esser una persona a modo e piacevole a vedersi. Solo dopo si rendevano tutti conto dell'enorme sbaglio commesso. Se ne pentivano mentre soffocavano nel proprio sangue o, ancora, per via di una dose di veleno che aveva chiuso loro le vie respiratorie, fatto scempio degli intestini o bloccato i muscoli del cuore.
C'era da dire, però, che uccidere non gli era mai piaciuto. Non era come molti altri suoi compagni che, pur di sopravvivere nel migliore dei modi e di far pace con la coscienza che gridava, si erano fatti andar bene quel modo di vivere e la prospettiva di trascorrere ogni giorno della loro vita a scannare poveri diavoli. No, purtroppo lui aveva dimenticato di spegnere la coscienza, quella pallida e flebile fiammella d'umanità che ancora si ostinava ad ardere, seppur con grande sforzo e con gran sofferenza, dietro i suoi occhi. Forse per questo non gli avevano mai affidato compiti importanti o scenari come la Cittadella, dato che c'erano cose che persino lui, per quanto un Assassino, si rifiutava di fare: uccidere o rapire donne, bambini e anziani, torturarli, insomma... ogni genere di violenza possibile e immaginabile che poteva essere perpetrata su un essere vivente incapace di respingere sul serio l'attacco di un uomo adulto di un metro e ottantanove abituato a strapazzare la gente.
Sbatté le palpebre. Aveva trascorso quasi dieci minuti senza farlo. Grazie alle porcherie che di tanto in tanto gli avevano appioppato alla Scuola degli Assassini, il luogo in cui era stato addestrato, molte cose per altri normali erano diventate, per lui, superflue, come ad esempio batter ciglio o respirare. Nel secondo caso, a un occhio esterno, sarebbe passato per una creatura dalle sembianze umane in grado di restare perfettamente in apnea per un quarto d'ora di fila.
Era stato sempre bravo ad arrampicarsi, ma dopo esser diventato un Assassino quell'abilità era migliorata fino al punto da sfiorare la perfezione. Era forte, era agile e scattante, ma dentro, in un angolo che custodiva gelosamente, era ancora umano, capace di provare emozioni e sentimenti, pur avendo imparato a tenere tutto quanto per sé.
Non perché fosse proibito agli Assassini di legarsi al prossimo. Il punto era che non voleva passare per uno smidollato e per una femminuccia, tutto qui.
Si rimise su lentamente e girò su se stesso. Qualche passo verso ovest e poi gli fu sufficiente sporgersi col collo per vedere il balcone ad almeno quindici metri sotto di lui. Vide un fascio di luce che si alternava a strisce regolari di buio. Dovevano esserci delle imposte alla portafinestra.
Poco male. Non sarebbe stata una misera finestra, sicuramente malmessa, a fermarlo.
Alzò gli occhi al cielo e sorrise fra sé con amara ironia. Sarebbe stato più semplice del previsto entrare nell'appartamento.
È senza dubbio a casa. Non credo avrebbe lasciato accese le lampade, altrimenti.
Decise di smetterla di tergiversare e di calarsi giù dalla grondaia. Fu prudente e silenzioso. Quando infine balzò giù sul balcone, emise appena un leggero e sordo tonfo.
Si avvicinò alle imposte e subito notò che c'era qualcosa di strano: erano aperte, anzi erano state socchiuse così bene che neppure le aveva notate inizialmente.
Le scostò ed esaminò il vetro: socchiuso anche quello.
Ho un brutto presentimento, rifletté l'Assassino. Qualcosa era già successo, lo confermavano i dettagli che fino ad allora aveva scovato.
Non potendo comunque abbandonare il luogo, avendo un compito da svolgere, scelse di entrare, non prima di aver allungato una mano verso la schiena, raggiunto il fodero della spada legato su di essa e aver sguainato con un gesto fluido e un sibilo sordo la lama.
Teoricamente avrebbe anche potuto usare delle armi da fuoco o roba simile, tuttavia quando non doveva affrontare più persone, ma solo un disgraziato, preferiva di gran lunga usare un'arma bianca, come per l'appunto una spada o un pugnale. Non faceva rumore e andava a colpo sicuro, se si era abbastanza lesti e precisi; usare un'arma da fuoco era il più delle volte più rumoroso del necessario, e in quel caso da fanfaroni. Sarebbe stato come voler far sapere a tutto il circondario che era impegnato a uccidere un povero tizio qualsiasi. Uno sparo avrebbe attirato fin troppo l'attenzione e benché l'operato degli Assassini fosse legale e approvato dallo Stato, non bisognava mai abbassare la guardia né adagiarsi sugli allori.
Se ci si poteva permettere di essere prudenti, perché non esserlo? E poi non era così amante dei grilletti e men che meno dell'odore acre che la polvere da sparo rilasciava nell'aria.
Si lisciò i capelli fradici in modo che non gli andassero sugli occhi. Era bagnato fino al midollo come un pesce, ma era talmente abituato a condizioni del genere, che i vestiti zuppi di pioggia erano l'ultimo dei suoi problemi.
Si guardò attorno e capì di trovarsi in una spoglia e malridotta cucina. Per un attimo gli parve persino di scorgere, sulle mattonelle dell'angolo in cui si trovava la stufa, una blatta zampettare fuori da un buco nel muro. Gli venne da rimettere. Non gli erano mai piaciuti gli insetti e quell'avversione era sopravvissuta in lui sino all'età adulta. Niente gliel'aveva fatta passare.
Procedé e uscì dalla stanza. Se la cucina era illuminata, il resto del minuscolo appartamento era invece buio.
Che topaia, e parla uno che vive in un tugurio!
Storse le labbra piene e appena dotate di colore. Non si sarebbe mai più lamentato della propria dimora, parola sua.
Là dentro c'era un asfissiante odore di muffa, di marcio, umidità e miseria. Un odore che purtroppo gli capitava di avvertire quasi sempre. In fin dei conti gran parte delle persone che doveva uccidere erano poveri diavoli con le toppe ai pantaloni e le tasche bucate, e l'obiettivo di quella notte era un certo...
Accidenti a me.
Roteò gli occhi ed estrasse dalla tasca della casacca nera il foglietto sul quale si era appuntato il nome della vittima. Era bagnato e l'inchiostro era colato e si era sciolto in più punti. Blake dovette aguzzare la vista per capirci qualche cosa.
«Jyren Kalas» lesse a bassa voce.
Strano che non se lo fosse ricordato. Un nome cretino come quello era difficile beccarlo spesso in giro. Nemmeno se avesse posseduto un cane lo avrebbe chiamato a quel modo.
Dovrebbero rendere illegali nomi del genere, altroché, pensò, non del tutto sarcastico.
Continuò la perlustrazione e si fermò, infine, di fronte a una porta chiusa e situata nel piccolo corridoio a sinistra. Da sotto l'uscio filtrava un debole e pallido filo di luce. Insieme ad essa, però, un odore nauseabondo che lo fece subito insospettire. Confermò, anzi, quel che già aveva capito sin da quando aveva notato le imposte socchiuse.
E comunque, se Kalas non era nel resto dell'appartamento, allora doveva per forza trovarsi là dentro, ma a giudicare dal tanfo rivoltante, Blake non era sicuro di cosa avrebbe trovato né di volerlo scoprire. Era un Assassino, ma non di certo un becchino. Un conto era ammazzare le persone e un altro, invece, aver a che fare con i cadaveri che, tra parentesi, lo disgustavano.
Si premurò di non respirare e di restare volontariamente in apnea, girò il pomello, spinse piano la porta e si affacciò. Un attimo dopo si accigliò e la sua espressione divenne profondamente scocciata. «Fantastico» sentenziò burbero, abbassando la spada. Qualcuno era arrivato prima di lui e aveva fatto fuori il suo obiettivo, e quella non era affatto una buona cosa.
Si avvicinò al cadavere riverso sul pavimento del disgustoso bagno, si chinò e al volo estrasse la freccia nera che spuntava dalla schiena di quello che un tempo era stato Jyren Kalas. Nel procedere stette ben attento a non toccare neppure per errore la punta del dardo. Non c'era bisogno che si arrovellasse chissà quanto per capire subito chi l'aveva preceduto.
«Tipico» mormorò fra sé, agitando nervoso fra due dita la freccia.
Non era la prima volta che accadeva e malgrado quello fosse più o meno un modo per scherzare e farsi in un certo senso a vicenda degli affettuosi dispetti, cominciava ad averne un po' abbastanza. Non avrebbe sbarcato il lunario in eterno accampando scuse e facendo gli occhi dolci al tizio cui doveva un bel po' di affitto arretrato, e non si sognava neppure di pagare in altre maniere, come quel porco una volta si era azzardato a insinuare. Blake aveva lottato molto contro il primo istinto di spaccare il cranio a quell'uomo e solo perché, al momento, non aveva nessun altro posto dove abitare. Si era limitato a replicare che avrebbe saldato i conti non appena avesse avuto abbastanza soldi per farlo.
Nel momento in cui avvertì un lieve spostamento d'aria alle proprie spalle, appurò di non essere da solo e di avere compagnia, se si lasciava da parte il cadavere di Kalas, morto sì e no da un giorno e mezzo, forse due. Il lerciume presente nel bagno non aveva aiutato il corpo a conservare un aspetto decente: appariva gonfio e bluastro. Rivoltante, per farla breve.
Blake si voltò lentamente e si ritrovò faccia a faccia con un dardo tale e quale a quello che stringeva ancora in mano. La punta della freccia scintillava bieca a due centimetri dal suo viso.
Qualcun altro si sarebbe di certo spaventato, ma non lui. No, lui si limitò a sogghignare. Era ciò che alla Scuola gli avevano insegnato sin dal principio, d'altronde: sorridere in faccia alla morte, trattarla come un'amante e non come una nemica. La morte li seguiva ovunque, trotterellava loro accanto fino alla fine, perciò che senso aveva temerla? Sarebbe arrivata per tutti, un giorno. Era inutile pensare il contrario, perché altro non era che mentire a se stessi. Era la sola lotta che ogni uomo era destinato a perdere.
«Ho una mezza idea di dove potresti ficcarti questa freccia. Se vuoi ti faccio subito un esempio pratico, giusto per evitare incomprensioni» disse, ma lo fece in maniera scherzosa e con un vago accenno di affetto.
Vide l'altro abbassare arco e quant'altro, poi riporre il dardo nella faretra che sbucava da dietro la schiena.
Blake lo conosceva eccome e in generale gli voleva bene. Erano vecchi amici e tutto il teatrino, ma al momento gli ci sarebbe voluto davvero poco sforzo per mettergli le mani al collo e strangolarlo.
Per quanto scherzetti del genere ormai da tempo fossero la norma tra di loro, ultimamente lui si ritrovava con l'acqua alla gola, con delle bocche da sfamare e un locatore poco paziente da soddisfare e che, purtroppo, sembrava aver sviluppato nei suoi confronti un torbido interesse. Francamente preferiva non tirare troppo la corda né sfidare più del dovuto la sorte che già in circostanze normali non gli aveva mai sorriso.
L'Assassino che aveva di fronte gli aveva rubato una vittima che avrebbe comportato, come sempre, un compenso in denaro. Benché non avesse chiesto al mandante dell'omicidio chissà quanto, trattandosi di un obiettivo insignificante, avrebbe potuto comunque avere qualcosa in tasca.
C'erano alcuni, come l'uomo che stava guardando, che preferivano chiedere in anticipo il compenso, ma solo i più bravi e i più ambiti Assassini potevano permettersi tanta boria. Blake, purtroppo, rientrava fra gli Assassini mediocri e di una discreta bravura, niente di paragonabile al pallone gonfiato che aveva di fronte.
Si chiedeva perché Diego si fosse preso la briga di aprire la finestra alla vecchia maniera. Era un mago, avrebbe potuto benissimo usare i poteri in chissà quanti modi, eppure aveva scelto di non farlo.
Probabilmente voleva che me ne accorgessi. Il solito stronzo.
Diego sapeva essere silenzioso come un'ombra ed era bravo a passare inosservato. Si comportava diversamente solo se lo desiderava.
I suoi occhi di un grigio chiaro e penetrante si piazzarono sul cadavere. Strinse le spalle.
«Avevo un lavoro nei paraggi e già che c'ero non ho resistito a farmi gli affari tuoi. Ho sentito dire che eri diretto qui e ti ho visto non meno di tre ore fa: stavi ancora cercando 'sta bicocca, e non dire il contrario. Ti ho fatto un favore, piantala di tenere il broncio come una scolaretta offesa.»
Una cosa da sapere su quell'uomo era che a volte fosse un vero prepotente. Era uno di quelli che se vedeva qualcuno in difficoltà, decideva di agire al suo posto e tanti saluti al dover cavarsela con le proprie forze. Saltava fuori nei momenti meno opportuni.
Certo, anche lui doveva portare a casa il pane da metter in tavola, ma non era una buona ragione per rubare il lavoro al prossimo, specialmente a Blake.
«Almeno avresti potuto avvisarmi, quando ci siamo incrociati stamattina alla Scuola. Ho fatto un viaggio a vuoto fin qui, quando potevo trovarmi altrove a svolgere il resto dei compiti che mi hanno assegnato. Diego, è la seconda volta che...», cominciò quest'ultimo, ma Diego non gli permise di finire e gli lanciò al volo un sacchetto pieno di monete tintinnanti. «Piantala di fare la predica. Questo era il mio compenso. Tienilo. Vedilo come una specie di risarcimento. Lo ammetto: l'ho fatto perché è facile farti arrabbiare e quando sei incazzato risulti esilarante.»
Non appena Blake ebbe appreso la verità, scosse il capo con convinzione e fece per restituirgli tutto.
«No, Diego. Non mi sono guadagnato una cifra del genere! Insomma... no! Riprenditeli, dico sul serio!»
L'altro sollevò una mano e con tale gesto fece intendere che la discussione era conclusa. «Hai una sorella e questi ti serviranno per mandarla a scuola. Hai anche un figlio malato da mesi e dubito che il dottore verrà da te per semplice carità. Dicevi di essere anche indietro con l'affitto, no? Ancora non capisco perché ti ostini ad abitare lì. Se solo me lo permettessi, ti darei una mano a cercare un posto migliore, magari una casa tutta vostra. Risolverebbe almeno uno dei tuoi tanti problemi.»
Con riluttanza Blake decise di tacere e di mettere il sacchetto nella piccola bisaccia che portava al fianco. Gesti di generosità come quello lo facevano sempre sentire a disagio, come se in un certo senso non fosse capace di provvedere a se stesso, al figlio e alla sorella. Sapeva che Diego era in buona fede, ma a volte esagerava. «Se è per questo, amico, anche tu hai una famiglia.» Scelse di evitare appositamente il discorso circa la casa. Per tanti motivi, pur essendo il suo un appartamento misero e piccolo, là dentro conservava tanti ricordi che gli erano molto cari. Non si sentiva pronto a lasciarseli alle spalle e comunque, anche se avesse voluto farlo, non avrebbe mai permesso a Diego di pensare addirittura a una questione del genere.
Doveva cavarsela da solo. Era lui il capofamiglia e come tale aveva il dovere di stringere i denti e lavorare sodo per mandare avanti la baracca, e soprattutto guadagnarsi da vivere senza ricorrere a espedienti umilianti come quello proposto dal locatore. Rabbrividiva al solo pensiero.
Diego alzò gli occhi al cielo. «Quante manfrine! Ti assicuro che mi pagano benissimo e che ho un bel po' di soldi da parte! Tienili e non farmi incazzare, per piacere.»
Quando si impuntava, non c'era verso di farlo desistere. Blake, consapevole da tempo di quel lato del carattere del suo migliore amico, per non dire l'unico che avesse, scelse con molto giudizio di far cadere il discorso. «Che genere di lavoro avevi stanotte?» chiese poi.
L'altro Assassino, con un'indifferenza tale da mettere i brividi, replicò: «Sottrarre dei sogni a una famiglia di disgraziati. Insomma, le solite cose, niente di speciale».
Non era esattamente uno che ci girava intorno e, in generale, un bel po' di gente sicuramente pregava ogni sera per non ritrovarselo in casa nelle vesti di Assassino; a volte sapeva essere un vero sadico e non sempre le vittime ricevevano il trattamento del poveraccio riverso lì a terra.
Gli Assassini erano considerati dei mostri senz'anima e Diego era fra i più disumani di tutti o, almeno, così appariva sul posto di lavoro, benché Blake non sapesse con certezza quanto fosse possibile separare la vita privata di un membro della Confraternita da ciò che faceva invece per soldi. A volte il confine era così labile e sottile da far sorgere non pochi dubbi.
«Non capirò mai perché tu abbia accettato un simile compito» disse Blake, tentando di non far suonare quella frase come una velata critica. Con Diego era sempre meglio comportarsi come se ci si fosse trovati su un campo minato.
Diego, nel frattempo, si riprese il dardo che il collega aveva estratto poco fa dal corpo di Kalas; ne ripulì la punta acuminata con un panno che era sempre solito portarsi appresso. Non gli piaceva sprecare le armi e quando poteva, cercava di recuperare il salvabile. Lo spreco era un lusso per pochi lì a Versya. «Neanche io, se può farti sentire meglio. Credo di averlo fatto per disperazione. Insomma, non è che mi annoiassi e per riempire le mie serate abbia scelto appositamente di fare l'esattore di sogni.» Da come parlava dell'argomento, era chiaro che ci avesse riflettuto a lungo.
Sapeva occuparsi di molte cose e questioni. Era sostanzialmente un mercenario a tutto tondo, non solo un Assassino, e ciò significava che lavorava anche in proprio per guadagnarsi da vivere.
Faceva parte, tra l'altro, di una sezione ‟speciale" dell'Organizzazione composta da pochi elementi scelti con cura, e quella selettività non era dovuta all'esclusività del compito.
Chi diavolo sarebbe stato così senza cuore, d'altra parte, da arrivare a passare di casa in casa per riscuotere i sogni altrui?
Quella società era così malsana, avida e corrotta fin al midollo, che si era giunti persino a creare degli appositi congegni atti a individuare i sogni che una persona faceva durante la notte e a catturarli e accumularli fino all'arrivo dello Sceriffo dei Sogni che aveva il compito di riscuoterli.
Diego aveva ottenuto l'incarico alcuni anni addietro e risultava fra i più giovani della sua divisione, nonché il più zelante.
Una volta aveva confidato a Blake che era terribile fare quel lavoro; aveva detto che lo faceva sentire la persona più abbietta sulla faccia del pianeta perché i sogni erano tra le ultime cose di cui si potesse spogliare una persona. I potenti risucchiavano a tutti loro i soldi, la vita stessa, la speranza, il futuro, e per ultimo anche i sogni; avevano ottenuto il potere di calpestare il suolo più sacro che fosse mai esistito, quello dove chiunque, a rigor di logica, si sarebbe dovuto sentire protetto e libero, inviolato.
Non c'era più scampo alcuno e questo, purtroppo, entrambi lo avevano compreso sin da quando erano stati sbattuti dentro la Scuola, un posto orribile dove avevano imparato a seppellire la coscienza e a predare i loro simili. Malgrado entrambi ne avessero viste di cotte e di crude, a volte Blake non poteva non domandarsi lo stesso dove sarebbero andati a finire, e aveva paura che prima o poi la risposta sarebbe arrivata.
Ripose la spada e insieme a Diego uscì nel corridoio. Si diressero entrambi in cucina e poi verso la finestra. «Che aveva combinato il tizio di stasera?» domandò Diego, senza alcun reale interesse, solo per fare conversazione.
«Lo hai ammazzato addirittura ieri, perciò credevo lo sapessi già.»
«Sarò tante cose, Blake Syders, ma non di certo un indovino.»
«Doveva dei soldi a Sardegar. Il solito debitore disgraziato che ha incontrato il creditore sbagliato. Niente di nuovo sotto il sole.»
Diego parve lì lì per sputare a terra in segno di disprezzo. «Quel vecchio bastardo! Come se la grana gli mancasse!»
«Beh, la sua corruzione morale non è un mio problema. Mi disturba solo pensare che forse avrei potuto chiedergli un compenso migliore.»
«Non avresti fatto male. Comunque... spero che un giorno qualcuno mi dica di piantargli una freccia nella schiena o da qualche altra parte. Allora sì che mi farei una bella risata.»
Blake sorrise di sbieco. Aveva conosciuto di persona Sardegar quando era andato a casa dell'uomo per farsi mettere a parte dei dettagli del compito da svolgere, e poteva confermare che fosse uno spregevole esemplare di essere umano. «Chissà! Magari un giorno succederà!»
Diego gli lanciò una breve occhiata e abbozzò un sorriso appena percettibile. Accennò al balcone. «Prima i più anziani» disse con un mezzo ghigno dei suoi.
L'altro smise di sorridere. «Va' a crepare, Rivagni» replicò, punto sul vivo. «Non sono così vecchio.» Con un balzo e qualche altro movimento fluido balzò sul parapetto del balcone e infine si aggrappò alla grondaia, eseguì una fluida capriola e si ritrovò sul tetto, in piedi e in perfetto equilibrio.
Il collega gli fu accanto quasi subito dopo e nel farlo dimostrò di avere riflessi ancora migliori dei suoi, simili a quelli di un felino in piena regola.
A volte non si poteva non sospettare che fosse un grosso gatto sotto mentite spoglie.
Stava ancora piovendo e la precipitazione impietosa non sembrava aver intenzione di placarsi.
I capelli corvini di Diego ci misero ben poco a infradiciarsi.
«Beh, vediamola così...» fece Blake, scostandosi la chioma gocciolante dal volto. «Almeno non avremo bisogno di fare il bagno, quando torneremo a casa!»
Il più giovane lo squadrò, serio come la morte. «È incredibile quante occasioni per stare zitto tu sia capace di sprecare nell'arco di una sola giornata.»
«Era una battuta.»
«Sì, una vera battuta del cazzo. L'avevo capito» bofonchiò Diego, ma pareva faticare molto a non sorridere. «Sei un idiota.»
«Faccio da contrappeso a te che invece sei una noia mortale.»
«Ottima ripresa. Questa mi è piaciuta.»
«Grazie, mi vengono in mente sul momento!»
«Adesso, però, falla finita.» Diego scosse la testa e in tal modo allontanò i capelli bagnati dal viso. «Ho ancora un bel po' di lavoro da sbrigare, stasera. Devo girare per dodici case e poi far fuori un tale alla Cittadella. Non dormo quasi da una settimana a furia di girare in qua e là come un'ape.»
Blake si morse il labbro inferiore. Gli bruciava ancora non essersi guadagnato tutte quelle monete. «Vuoi che ti dia una mano?» buttò lì. «Così, magari, torni prima a casa e ti fai una dormita. Io sono ancora bello carico, tra l'altro.»
Diego parve prendere sul serio in esame la proposta. «Sicuro? Neanche tu hai avuto modo di riposare più di tanto. Porca miseria, hai certe occhiaie che potrei scambiarti per un morto che cammina!»
«Questo e altro per te, amico.»
«Va bene, allora.»
«Grazie» si lasciò sfuggire Blake. «Voglio dire... grazie per permettermi di aiutarti.» Si sentiva in debito con lui e anche per quello si era offerto di alleggerirgli il carico di lavoro.
Diego controllò un'ultima volta la cinghia che teneva la faretra ben assicurata alla sua schiena. Si bloccò udendo le parole dell'amico e gli rifilò un'occhiata obliqua. «Meglio se la pianti di fare il sentimentale, almeno quando ci troviamo all'esterno. Ricorda cos'è successo l'ultima volta che hai dimenticato chi siamo.» Vedendo l'espressione un po' abbattuta del collega, però, non poté non sentirsi in colpa. Forse era stato troppo duro e aveva sbagliato maniera per dar voce ai pensieri, alla preoccupazione costante che sentiva da qualche anno a quella parte per Blake. Lo vedeva tornato più o meno alla normalità, eppure...
Non ci voglio ripensare, pensò angosciato.
«Non devi ringraziarmi per una cosa del genere. Ci diamo una mano a vicenda. L'abbiamo sempre fatto, no?» ritentò. «Voglio solo che tu faccia attenzione, visti i tuoi trascorsi con il Direttore e il Sovrintendente Lakos.» I due uomini in questione erano i loro superiori, i vertici della Scuola degli Assassini di Versya, e alcuni anni prima Blake aveva avuto di che rompersi il capo con entrambi gli individui.
«Sì, lo so» replicò a mezza voce Syders. Intanto decisero di scendere dal tetto. A Diego fu sufficiente saltare e atterrare un bel po' di metri più sotto, ma Blake invece dovette calarsi giù alla vecchia maniera. Non era sicuro se facendo altrimenti sarebbe arrivato tutto intero a destinazione e benché da ragazzino lo avessero imbottito di robaccia per potenziare i suoi riflessi, era sempre meglio non testare fino in fondo le capacità che gli erano state donate a forza. In fin dei conti aveva trentun anni, non venti, e lì raramente quelli della sua estrazione sociale arrivavano oltre i cinquanta. In pratica aveva già vissuto più della metà della propria esistenza, prospettiva assai demoralizzante. Contando che era anche un Assassino, sarebbe stato già miracoloso per lui compiere quarant'anni godendo ancora di una buona salute.
Imprecò accorgendosi di esser atterrato su una grossa pozzanghera. La solita sfortuna!
Si guardò gli abiti del mestiere e agitò le braccia per scrollarsi di dosso l'acqua residua mista a fango. «Tu guarda che roba! Non è proprio la mia serata!»
«Vuoi che ti dia una mano?» Diego era già pronto a risolvere l'inconveniente servendosi della magia.
«Nah, lascia stare. Tanto finirei per sporcarmi di nuovo. È pieno di pozzanghere qui attorno» lo rimbeccò Syders. Diego annuì e si accigliò notando che l'amico, solo per un breve istante, pareva esser stato a un passo dal perdere l'equilibrio o avere un autentico mancamento. «Tutto bene?» chiese lentamente, cauto. «Blake, se sei stanco... torna a casa e basta. Davvero, non devi sdebitarti per forza.» Era da un po' che gli capitava di assistere a scene come quella e iniziava leggermente a preoccuparsi.
«Piantala, Diego. Ho già avuto una madre» borbottò Syders, un po' scontroso. «Sono solo scivolato e mi sono ripreso in tempo, niente di più.» Sapeva di aver mentito, ma non avrebbe mai e poi mai ammesso di provare, di tanto in tanto, una specie di leggera e vaga fitta al torace che poi, certe volte, pareva persino espandersi fino al braccio sinistro.
Non avrebbe neanche potuto farsi dare una controllata. Dei medici della Scuola non si fidava, erano dei veri macellai, e quelli veri del sanatorio, invece, volevano una fortuna anche se dovevano semplicemente visitare una persona per un innocuo mal di testa.
Gli importava solo di veder suo figlio guarire, il resto non contava.
Diego cercò di insistere, ma rinunciò vedendo che non c'era verso di ragionare con quel testone del suo migliore amico. Odiava Blake quando si comportava in quel modo, come se la sua salute non fosse una priorità. Tendeva a dimenticare che se fosse successo qualcosa a lui, poi tutti i sacrifici per il figlioletto e la sorella minore sarebbero andati in fumo.
Procedettero per la via e imboccarono l'uscita del buio vicolo.
Non c'era anima viva, visto e considerato che a Versya vigeva il coprifuoco. Scattava subito dopo il tramonto, almeno in inverno, e in estate veniva scelta una fascia d'orario piuttosto severa e prematura, quando ancora il sole era alto nel cielo o stava a malapena tramontando.
Le strade erano completamente deserte, c'erano solo i lampioni che gettavano una spiacevole luce giallognola sui marciapiedi di basalto ricoperto in alcuni punti da un accenno di muschio.
Sembrava uno scenario surreale, ma loro erano abituati a vedere la Città Bassa in quelle condizioni.
«Non ti ho chiesto come se la passano Fiammetta e i ragazzi» cambiò discorso Blake, stiracchiandosi i muscoli intorpiditi e stanchi. «Sarà una vita che non li vedo!» L'ultima volta che li aveva visti era stata più di un mese addietro.
Diego si strinse nelle spalle. «Stanno bene, grazie al cielo. Vorrei solo poter essere più presente, specie per quelle due piccole canaglie.» A volte sentiva di star perdendosi tante piccole cose importanti riguardanti i suoi figli, ma non poteva fare diversamente e solo grazie alla sua bravura aveva ottenuto un permesso speciale che gli consentiva di avere una compagna e una prole. Blake, invece, non aveva avuto la stessa fortuna ed era successo un bel casino quando, anni prima, era saltata fuori la sua relazione con una donna che ormai non era più fra di loro, purtroppo. Il peggio, però, era arrivato quando era emersa anche la presenza del figlio che quella ragazza aveva lasciato come solo ricordo di sé a Blake. Un bel pasticcio.
«Sono bambini intelligenti, Diego. Lo sanno che non ci sei perché devi lavorare.»
«Lo sanno, certo, ma non possono capire. Sono troppo piccoli.»
«Beh, se tu rimanessi disoccupato, poi sarebbe un gran bel problema e i figli non crescono solo grazie all'amore dei genitori. Se hanno le pance vuote, poco importa l'affetto.»
«Anche questo è vero» concordò Diego, accennando poi verso est. «Da quella parte. Possiamo arrivarci camminando.» C'era una via ferroviaria che attraversava la città, un treno più piccolo e adatto a far salire i cittadini e a trasportarli da un posto all'altro, ma non era mai un male approfittare delle circostanze per fare una salutare passeggiata, per usare un eufemismo. «Pare che mi vedrai per la prima volta all'opera nei panni di Sceriffo dei Sogni» aggiunse Rivagni.
«Quale onore!» scherzò Blake, anche se non era così ansioso di vedere l'amico derubare una famiglia dei sogni.
«Augurati solo che una volta o l'altra non tocchi pure a te» lo apostrofò Diego, tra il serio e il faceto, anche se sapevano entrambi che gli Assassini erano esentati da quella procedura. Non avevano tempo per sognare né la voglia di indulgere in un lusso che non gli apparteneva.
Nel silenzio della città che ancora dormiva, i due Assassini, proprio come pericolosi lupi nella notte in mezzo a una foresta, proseguirono il viaggio, decisi a compiere, come al solito, il loro dovere.
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