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π‚πšπ©π’π­π¨π₯𝐨 𝐗𝐗. 𝐆𝐒π₯𝐲𝐚𝐬 π‘πžπ’π¬π›πšπœπ‘


I polmoni di Tristan erano sul punto di scoppiare. Β«Angor! Angor, aspettate! Dove state andando?Β» esclamΓ², accelerando per cercare di raggiungerlo.

Subito dopo la fine del racconto di Jannar, Valdemar aveva dato l'impressione di essere vicino a una crisi di nervi o di panico: il principe piΓΉ giovane lo aveva visto tremare e scuotere la testa, incapace di accettare la veritΓ  che gli era stata finalmente rivelata dopo quasi venticinque anni di esistenza, poi Angor era uscito di corsa dalla sala dei banchetti, come a voler allontanarsi da Jannar e i fratelli di quest'ultimo, soprattutto dalla consapevolezza di essere davvero stato la causa della morte della madre e dell'odio di suo padre per le Fate e gli Abitanti delle Foreste, ovvero i sudditi di Feodora.

Tristan rallentò vedendo Angor fare lo stesso e infine fermarsi, piegarsi in avanti e posare le mani sulle ginocchia. Persino da quella distanza lo sentì ansimare e respirare a fatica. Col cuore in gola lo raggiunse pian piano e non appena lo ebbe superato in modo da poter guardarlo in faccia, non si stupì scorgendo sul suo viso arrossato i segni del pianto.
Non disse niente, attese che fosse lui a dire qualcosa, sempre che lo desiderasse. Gli andava bene anche restare in silenzio, se era ciΓ² che voleva Valdemar. Costringerlo a parlare di tutto quanto non sarebbe servito a granchΓ© se non avesse deciso di farlo di sua spontanea volontΓ .
Tristan, perΓ², non resistΓ© all'impulso di posargli dolcemente una mano sulla spalla. Odiava vederlo piangere e soffrire. Era come vedere una creatura pura e fatata dei boschi venir ferita a morte da un cacciatore e arrancare sul terreno nel tentativo vano di fuggire dall'aggressore.

Era straziante, ecco cos'era per lui vedere quell'uomo in simili condizioni.

Lo vedeva, anzi lo percepiva: si sentiva in colpa, responsabile di tante cose, e non era giusto. Non aveva scelto lui di nascere e non aveva chiesto a Cordelia e a Caliban di essere generato malgrado i fin troppi rischi del caso, e non aveva di certo deciso da solo di essere creato in primo luogo da Feodora, la stessa fata che poi lo aveva trasformato in una bestia.

Pyranel non aveva dovuto chiedere a Jannar o agli altri fantasmi per sapere a grandi linee cos'era avvenuto. Aveva sentito parlare delle molteplici tecniche magiche delle fate ed era chiaro che Feodora avesse dovuto agire usando metodi invasivi e complessi, metodi che ovviamente avevano richiesto un alto tributo, perchΓ© v'erano poche discipline capaci di creare la vita dal nulla senza esigere in cambio un'altra vita. La magia, in generale, era basata su un potente e al contempo delicato equilibrio, e per nulla al mondo tale equilibrio andava disturbato. Se lo si faceva poi si dovevano affrontare le conseguenze. Nel caso dei Valdemar, il prezzo stabilito era stato, con molta probabilitΓ , che Cordelia, nel dare un figlio a Caliban, un erede al trono di Krygan e nel portare dentro di sΓ© il frutto della malia operata da Feodora, avesse poi dovuto fare una specie di scambio con Angor: lei sarebbe morta, lui sarebbe vissuto, sarebbe stato davvero vivo.

Se Caliban si era infuriato e se l'era presa con Feodora, ciΓ² andava imputato alla sua ignoranza in merito alla magia e al suo essere un bambino viziato troppo cresciuto che pensava che tutto gli fosse dovuto di diritto, senza l'obbligo di pagar mai alcunchΓ©. Le cose non andavano, perΓ², in quel modo. La vita vera era ben altra, era un complicato intrico di compromessi, di azioni cui seguivano delle conseguenze. Persino un re doveva fare i conti con leggi che andavano oltre il potere dei mortali e una semplice corona.

Le corone, d'altronde, in sΓ© per sΓ© non erano nient'altro che oggetti di metallo impreziositi da gemme rinomate. Erano gli uomini a dar loro un significato, un potere, e a temerle.

Si avvicinΓ², strinse con delicatezza fra le braccia Angor e si rasserenΓ² un poco vedendo che non rifiutava le premure. Tristan si chiedeva, anzi, con quale coraggio sarebbe riuscito ad abbandonare Palazzo dei Gigli per tornare ad Alerath, sapendo che Valdemar era in crisi esistenziale per ragioni sacrosante. Fosse per me non vi lascerei mai e poi mai, pensΓ², carezzandogli la schiena sulla quale ricadevano i lunghi capelli corvini che adorava saggiare con le dita. Sembravano davvero di seta, seta tiepida per via del calore irradiato dal resto del corpo.

Β«Andiamo a riposareΒ» gli sussurrΓ². Β«Ne riparleremo domattina, quando ci avrete dormito un po' su.Β»

Si era calmato, anche se non fino in fondo. Almeno aveva smesso di piangere, cosa di cui Tristan gli era davvero grato. Non tollerava quel suono, gli spezzava il cuore. Fece un passo indietro e gli asciugΓ² le guance. Persino dopo aver pianto Angor non perdeva il fascino che lo caratterizzava. Era una di quelle creature che, seppur ferite, continuavano imperterrite a conservare sembianze ammalianti.

Lo prese per mano e, senza mai lasciar andare la presa, proseguirono assieme il percorso a ritroso per i corridoi bui e inargentati dal riverbero della luna. Il silenzio si espandeva fra le mura di Palazzo dei Gigli come un autentico sortilegio. In parte Tristan si sentiva attratto dall'atmosfera notturna del castello che sembrava trasfigurare rispetto a quando, nelle ore diurne, c'era più movimento e la luce del sole ricolmava gli angoli immersi nelle tenebre. Dall'altro lato, però, l'antica dimora in possesso della famiglia Valdemar pareva il perfetto esempio di maniero stregato in cui gli spifferi facevano correre brividi lungo la schiena e di tanto in tanto si provava la sensazione spiacevole di essere osservati da qualcosa che si celava negli anfratti dove la luna non riusciva a dissipare le ombre. L'ora dei fantasmi. Chiamavano così quel lasso di tempo a metà fra la magia e l'inconscio terrore.

Palazzo dei Gigli, a volte, era un edificio strano. Oltre a mutare quasi aspetto durante la notte, era come se le assi intente a scricchiolare di tanto in tanto corrispondessero a contrazioni appena percepibili, simili a quelle di un diaframma che si contraeva e rilassava, come se lo stesso castello decidesse di approfittare della quiete per respirare a pieni polmoni.
Tristan di nuovo udì, complice il silenzio tombale, il monotono e lento ticchettio di un orologio continuare la solita litania. Doveva trattarsi della pendola davanti alla quale erano passati durante il tragitto verso la sala dei banchetti.

Odiava quell'orologio, in tutta franchezza. Gli metteva un'ansia tremenda e gli ricordava il battito metallico di un cuore. Rendeva ancora piΓΉ reale la metafora che dipingeva il castello come una gigantesca e silente creatura fatta di pietra, legno e vetro. Le finestre erano gli occhi; le assi, le travi e la struttura di roccia erano invece le ossa e i muscoli; le mura – esterne e interne – corrispondevano alla pelle e il severo pendolo, che a giudicare dalla fattura e dall'aspetto doveva essere davvero antico, era il cuore della creatura. Scandiva il tempo, il trascorrere dei minuti, delle ore e degli anni.

Β«Come avete fatto a resistere per dieci anni qui dentro tutto da solo?Β» chiese infine il ragazzo a Valdemar, la voce ridotta a un flebile mormorio. Si avvicinΓ² di piΓΉ al ventiquattrenne e quest'ultimo sorrise debolmente, con amarezza. Β«Sono il primo a stupirmi tutte le volte che mi fermo a realizzare di esser riuscito a mantenere la sanitΓ  mentale.Β» Neppure lui vedeva di buon occhio quel palazzo. Non gli era mai andato particolarmente a genio e dopo ciΓ² che aveva scoperto proprio quella stessa notte, non si stupiva nel ripensare alla prima impressione che aveva avuto sul castello.
Ricordava bene il momento in cui era sceso dalla carrozza e si era ritrovato faccia a faccia con quella che era stata la sua dimora forzata per dieci anni: dopo aver passato in veloce rassegna ogni finestra e orpello della facciata, si era reso conto di percepire qualcosa di negativo irradiarsi dalle mura di Palazzo dei Gigli. Qualcosa di sinistro o persino accusatorio.
Aveva fatto un passo indietro, due, tre, ma suo padre, il quale lo aveva scortato fin laggiΓΉ con al seguito poche guardie fidate, lo aveva fermato e sospinto in avanti, dicendogli che non c'era niente da temere, che era solo un castello, malgrado Angor avesse balbettato che a suo parere Palazzo dei Gigli fosse un luogo tetro e ostile. Gli era quasi sembrato di essere sgradito lΓ  dentro e forse... forse finalmente ne capiva la ragione. Se davvero il suo lontano avo, Henrik, lΓ  dentro aveva lasciato un pezzo di sΓ© e aveva impresso in ogni singola pietra un po' della propria bieca follia e sanguinosa crudeltΓ , nonchΓ© l'odio che ovviamente aveva provato nei confronti dei fratelli, specialmente Reghnar, non v'era da stupirsi che il castello non avesse visto di buon occhio l'arrivo di un discendente di quel principe assassinato.

Le dimore, che fossero case o castelli, in un certo senso avevano un'anima ed essa veniva influenzata dai segreti che custodivano e dagli eventi che si consumavano dentro le mura. Palazzo dei Gigli non era un luogo sano: era malato, antico, decrepito e forse stanco di veder consumarsi al proprio interno tragedie e tradimenti. Per non parlare della presenza di un mausoleo sotterraneo!
Per il poco che Angor poteva saperne, forse in quel posto c'erano molte altre anime errabonde e amareggiate a vagare per le sale vuote e fredde, quelle dove nessuno, persino lui, osava piΓΉ avventurarsi.

Gli tornΓ² in mente ciΓ² che aveva udito riguardo alla regina morta di parto e al neonato deforme che l'aveva seguita a ruota nel gelido abbraccio dell'eterno riposo. Ci ripensΓ² e non potΓ© non figurarsi una pallida e traslucida figura di donna aggirarsi per le viscere sotterranee del castello con in braccio il gemente e penoso frutto del suo grembo maledetto dalla Sciagura Rossa. Gli parve quasi di vedere il minuscolo viso privo di occhi e di naso far capolino dalle fasce imbevute di sangue argenteo.

Che visione raccapricciante.

Strinse con piΓΉ intensitΓ  la mano a Tristan e affrettΓ² il passo. Ormai i suoi appartamenti erano vicini e non vedeva l'ora di ficcarsi dentro le coperte con accanto la presenza calda, rassicurante e viva del suo amato principe straniero. Non voleva piΓΉ ripensare ai fantasmi e ai morti di ere precedenti che riposavano nei loculi sepolti sotto i loro piedi.
Tristan si accorse della sua inquietudine e lo guardò con aria preoccupata. «State bene?» Le dita di Angor tremavano e così pure il resto del suo corpo. In una situazione diversa avrebbe considerato un po' esilarante vedere un uomo, un ventiquattrenne ben piazzato come quello che aveva accanto, far saettare gli occhi azzurri di qua e di là, soffermarsi con fare agitato sugli angoli più bui e rabbrividire. Al momento, però, gli era impossibile sorridere.
Si è fatto suggestionare, credo, rifletté. Era il primo a pensare che non avrebbe dormito granché bene quella notte, ma da lì ad avere una fifa blu come quella di Angor...!

«S-Sì... s-sto bene» balbettò Valdemar. A giudicare dal modo in cui sgusciò dentro i suoi appartamenti più lesto di un gatto, senza neppure aspettare che Tristan avesse finito di aprire la porta, non era completamente padrone di sé.

Pyranel lo osservò togliersi la sopraveste e poi indossare gli abiti per la notte. Sospirò e fece lo stesso, infine si distese al suo fianco e si coprì con la trapunta dai ricami damascati e ornata da rifiniture color dell'oro. Gli si avvicinò e gli prese una mano, stringendogliela e baciandone il dorso. «Abitate qui da dieci anni. Se anche ci fossero delle presenze, oltre a quelle che abbiamo visto fino ad ora, non credo siano interessate a interagire con voi o persino a spaventarvi. Di occasioni per farlo ne hanno avute tante, no?»

Angor deglutì a fatica e cercò di calmarsi. I fantasmi non gli erano mai piaciuti in sé per sé e odiava le storie dell'orrore, specialmente quando avevano fondamenta solide e narravano di eventi realmente accaduti. «Non ho mai osato andare in giro di notte» ammise. «Mio padre stesso, la prima volta che venni qui, mi disse di non farlo, e me lo hanno ripetuto in tanti. Forse... forse avete ragione voi, ma ho sempre avuto l'impressione che... n-non lo so... che questo palazzo non mi volesse qui.»

Β«Beh... forse non Γ¨ una sensazione del tutto errataΒ» ragionΓ² Tristan, cauto. Β«Con quello che abbiamo scoperto, la cosa non mi sorprende affatto.Β» Un'altra faccenda lo impensieriva. Aveva iniziato a ragionarci sin da quando erano rientrati in quegli appartamenti. Β«Non posso non pensare a Dorabella, sapete? Mi chiedo... mi chiedo se i fratelli di Henrik, stanotte, non abbiano voluto darci una specie di indizio fra le righe.Β»

Β«Ossia?Β» incalzΓ² l'altro, confuso.

Β«E se lei, in qualche maniera, fosse venuta a conoscenza del segreto della vostra famiglia? Del segreto che si cela dietro alla vostra nascita e ai vostri natali? Pensandoci bene... Krygan detesta il popolo delle Fate. Ha imparato a farlo proprio grazie a vostro padre. Cosa succederebbe se il popolo scoprisse che voi, in realtΓ , siete stato creato dalla magia di Feodora? Un metaforico schiaffo in faccia niente male, non trovate?Β»

Angor deglutì. «Qui abbiamo un nome per coloro che non vengono al mondo alla solita maniera, ma proprio grazie a una malia, a un rituale o a un sortilegio, e... badate bene... è un termine quasi prettamente dispregiativo. In tempi meno recenti simili creature vennero perseguitate e condannate a morte nei modi più disparati perché nate contronatura, in maniera forzata e che, secondo i dettami di Krygan, si contrappone alla dottrina religiosa e al volere degli dèi.»

Tristan si fece piΓΉ vicino. Β«Di quale termine parlate?Β» chiese inquieto.

Β«Mazeibryd. Significa letteralmente: β€Ÿcreato dalla magia". Bastava esser chiamati cosΓ¬ una sola volta, persino da una comune contadina o dallo scemo del villaggio, e subito veniva preparato un rogo o un patibolo. Tempi davvero oscuri, quelli, e sapere che io... che io sono uno di loro...Β», il principe piΓΉ anziano non ebbe il cuore di terminare la frase.

Quella faccenda era riuscita a rinvigorire e a rinforzare il disgusto nei confronti di suo padre, impresa che quella mattina avrebbe considerato a dir poco impossibile. Suo padre, a quanto pareva, era uno che pregava bene e razzolava male, visto che era sempre stato un fervente conservatore, un fedele seguace dei costumi ormai desueti e decrepiti del regno di Krygan.
Caliban odiava le Fate, eppure apparteneva a quella stirpe. Disprezzava tutto ciò che era, secondo le tradizioni, innaturale e contro la morale, e poi era il primo ad esser stato così disperato da aver accettato di avere uno scherzo della natura come erede al trono.

Che razza di uomo era uno che mostrava molteplici facce e si ostinava a non rivelare mai il vero volto?

Angor non riusciva proprio a immaginare che un tempo Caliban fosse stato capace di amare, sempre che avesse realmente amato Cordelia.

Β«Secondo le leggi di questo reame, io non sarei dovuto neppure nascereΒ» disse infine. Β«Forse avete ragione. Forse Dorabella aveva scoperto in qualche maniera questo segreto e magari... magari lui l'ha sorpresa proprio in quel momento e ha fatto in modo che non andasse in giro a sparlare degli affari della nostra famiglia. Se Dorabella avesse detto a qualcuno che io ero stato creato con la magia, per giunta di una Fata, della stessa Feodora, sarebbe stato costretto non solo a uccidermi, ma anche a rivelare al popolo ciΓ² che ero diventato, la Bestia che aveva preso il posto del tanto odiato principe Angor. Non ero granchΓ© popolare prima di venir maledetto e non penso che sarebbe dispiaciuto a molti vedermi penzolare da una corda o bruciare su un rogo.Β»

Tristan quasi trasalì a quelle parole e si strinse a lui, serrando le palpebre. «Non osate dire più queste cose, specialmente in mia presenza» mormorò intimorito. «Non fatelo mai più.»
Quella storia non gli piaceva affatto. Non gli piaceva e la prospettiva di allontanarsi e lasciare Angor sguarnito, forse alla mercΓ© di Caliban, lo terrorizzava ormai.

Angor, inaspettatamente, sorrise con amarezza. Β«Neanche a lui dispiacerebbe piΓΉ di tanto liberarsi di me, non se dovesse venire a sapere che ho concesso la mia dignitΓ  a voi. Non solo perchΓ© siete un uomo come me, ma anche perchΓ© siete figlio della regina che lui ha sconfitto sul campo di battaglia. Credo che per lui valiate meno di un animale, Tristan. Spiegherebbe molti arcani in merito a tutta questa situazione.Β» Suo padre non era tipo da fare favoritismi nΓ© da sguazzare nel nepotismo. Se avesse scoperto della tresca fra Angor e Tristan, avrebbe guardato il suo stesso figlio salire i gradini del patibolo e indossare una stretta collana di corda intrecciata senza versare neppure una lacrima.
Se un uomo giaceva con un altro uomo, se una donna concedeva le proprie grazie a un'altra donna, la sorte che li attendeva era in primo luogo l'allontanamento dalla famiglia, l'essere diseredati e spogliati di ogni titolo – se nobili – e infine imprigionati, condannati a morte per atti immorali e offensivi nei confronti della comunitΓ  e degli dΓ¨i stessi. Nessuno la faceva franca quando di mezzo c'erano quelle che Krygan definiva β€Ÿperversioni". Nei casi piΓΉ gravi era contemplata anche la tortura, giΓ  in questioni normali perfettamente legale e lecita, quando operata con discrezione.

Angor abbandonò la fronte sui capelli candidi dell'amante. Silenziose lacrime gli bagnavano il viso. «Sono così stanco» sussurrò. «Sono stanco di nascondermi, di mio padre e di tutta questa storia.» Si chiedeva cosa sarebbe successo se avesse scelto, un bel giorno, di togliersi quei maledetti orecchini e lasciare che finalmente le sue capacità magiche tornassero a respirare a pieni polmoni. Quale pericolo c'era, dopotutto? Per anni e anni aveva studiato e approfondito l'arte della magia. Magari era arrivato il momento di imparare a domarla sul serio, fino in fondo.

Mi domando perchΓ© venni costretto a indossarli solo dopo esser arrivato qui.

Un dubbio lo stava assalendo e per quanto folle che fosse, sembrava plausibile, persino elementare. Malgrado le lacrime gli affollassero la vista, i suoi occhi si tinsero di determinazione mista a un'antica e repressa rabbia. Era davvero un pensiero dissennato, quello, ma sentiva che corrispondeva alla veritΓ .
Il corpo di Tristan si strinse di più al suo. Erano così vicini che il loro respiro era diventato quasi un unico soffio vitale. «Non dovrete farlo mai più. Non sarete più costretto a nascondervi, Angor, né a temere vostro padre» disse piano il ragazzo, con l'implicita e silenziosa promessa che non avrebbe mai permesso a Caliban di fare del male all'uomo che lui amava. Se anche fosse successo, per assurdo e per volere degli dèi in vena di crudeltà, Tristan sapeva che si sarebbe vendicato, che non avrebbe lasciato che il male fatto ad Angor passasse inosservato da tutti.

La vendetta era l'arma dei vigliacchi. Sin da bambino gli avevano ripetuto quelle parole, quell'insegnamento che incoraggiava a non scendere mai e poi mai al livello di chi magari gli aveva fatto un torto, anche il meno perdonabile, ma quei dettami dove avevano condotto Alerath, in fin dei conti? Erano stati sconfitti in guerra e in poche parole erano stati poi schiavizzati, umiliati. Non c'era stato molto altro da fare, lo ricordava bene, eppure, per un breve istante, gli tornarono alla mente le parole di Ferdinand che lui stesso non aveva lasciato correre, ritenendole offensive nei confronti di Gatria. Davvero quella sera suo fratello aveva detto una fesseria?

Non ne aveva idea, ma era certo che se re Caliban si fosse permesso anche solo di torcere un capello ad Angor, al suo Angor, lui si sarebbe vendicato. Sì, lo avrebbe fatto, e sarebbe stata una vendetta implacabile mirata a distruggere quell'uomo fino all'ultimo brandello. Tale pensiero, tuttavia, lo ricondusse a un'altra cosa, ovvero alla visione che aveva avuto prima di parlare con i fantasmi di Reghnar e gli altri tre Valdemar defunti.

Che quello fosse stato davvero un presagio? Un fugace sguardo rivolto al futuro? Di tale avvenire fatto di sangue e rabbia, di odio, aveva parlato Jannar?

Se era così... allora...

Sollevò lo sguardo e incrociò gli occhi azzurri di Angor, ma non vide il suo viso così com'era in quel preciso istante. No... vide qualcos'altro. Qualcosa che gli mozzò il fiato in gola e al contempo gli fece venir voglia di gridare. Non è reale, si disse. Non è neppure una visione! Non so cosa sia, ma non è reale e non lo sarà mai!

«Tristan, restate qui con me» gli disse Valdemar, capendo immediatamente che stava succedendo di nuovo quanto accaduto un'ora addietro. Gli sfiorò una guancia e lo sguardo turbato, quasi febbrile del principe più giovane, lo colse di sorpresa. Deglutì. «Non so cosa abbiate visto di nuovo, ma...»
Il ragazzo scosse la testa. Β«N-Non chiedetemelo. Vi prego, non chiedetemi niente.Β»
Β«Non lo farΓ²Β» lo rassicurΓ² Angor, cercando di abbozzare un sorriso. Β«Per quanto mi riguarda, ho fatto indigestione di previsioni per il futuro.Β»

Tutti, poi, sapevano che la preveggenza era quasi sempre fallace e inesatta. La verità era che nessuno poteva fino in fondo sapere cosa gli avrebbe riservato l'avvenire e forse era meglio così. Sarebbe stato come leggere un libro conoscendone già il finale.

Il principe di Krygan posΓ² un delicato e casto bacio sulla fronte di Tristan. Β«Domani mattina gradirei mi faceste compagnia per una passeggiata nei boschi, anche se... non Γ¨ per fare quattro passi che intendo recarmi laggiΓΉ.Β»

Β«E allora per quale ragione?Β» incalzΓ² Pyranel, perplesso.

Angor si umettò le labbra e accomodò la schiena sul materasso. Tristan, allora, incrociò le braccia sul suo torace e vi posò sopra il mento, senza smettere di guardarlo. «Voglio fare un esperimento, chiamiamolo così.»

Β«Ovvero?Β»

«Un dubbio mi tormenta e desidero finalmente dissiparlo. Riguarda questi...», Valdemar sfiorò uno degli orecchini. «Mio padre me li fece indossare dopo che fui giunto qui e mi disse di non toglierli mai, per nessun motivo, perché ne valeva della sicurezza mia e di chi mi circondava, ma... sono così tante le cose su cui mi ha mentito, da spingermi a domandarmi se quella non fosse una mera scusa per celare ben altro.»

Si guardarono negli occhi e il ragazzo, dopo un paio di minuti, sembrΓ² comprendere e spalancΓ² gli occhi violetti. Β«Credete che siano gli orecchini a impedirvi di superare i confini del castello e dei boschi di proprietΓ  del re?Β»

«Sì, è proprio ciò che penso e temo. Inizialmente pensavo si trattasse di una barriera magica, ma per tanti motivi sarebbe stata davvero poco pratica. Sono difficili da evocare e da mantenere costantemente operative, se aggiungiamo che sono dieci anni che mi trovo qui...! Senza contare che sono alla pari di autentiche mura e i muri non lasciano passare le persone a seconda di chi e cosa sono. Chi è dentro rimane dentro, chi è fuori... beh, fuori resta.»

Β«E dunque, se ci fosse stata una barriera, io non sarei potuto mai recarmi fin qui e i servitori, per primi, non avrebbero mai potuto andare e venire a loro piacimento, come ad esempio Adriana e suo figlio.Β» Tristan realizzΓ² che il discorso di Angor non faceva una piega ed era per giunta molto, molto plausibile. Β«Invece, se vostro padre avesse fatto in modo di impedirvi di gironzolare per i boschi, persino fino al villaggio o addirittura fuggire dal Paese, con un metodo magari sottile e piΓΉ astuto, voi non ve ne sareste mai accorto, se non riflettendoci molto seriamente e dopo tante elucubrazioni.Β»

Β«EsattamenteΒ» convenne con un debole sorriso Angor, lieto che Pyranel lo avesse seguito nel ragionamento senza incontrare intoppi. PassΓ² le dita di una mano fra i suoi capelli nivei. Β«Pertanto, domani, voglio arrivare in fondo alla faccenda e scoprire se i miei sospetti sono fondati. In questi anni non ho mai avuto una reale ragione per fermarmi a riflettere o addirittura voler scappare dalla prigionia, ma adesso ci siete voi. Avete riportato nel mio cuore l'estate, Tristan, e con essa Γ¨ risorta la mia voglia di vivere e di non perdere piΓΉ neppure un prezioso istante di quanto mi resta da vivere. Siete stato capace di affilare persino il mio ingegno.Β»

Tristan sbattΓ© le ciglia in maniera esageratamente civettuola e sorrise di sbieco, sulle gote un accenno di rossore. Β«Oh, Angor! Voi mi lusingate! Siete un vero adulatore!Β»

Β«Sono molto serio, invece!Β» lo rimbeccΓ² Valdemar, sogghignando. Β«E vi sono grato anche per... insomma... per aver evitato il discorso riguardo ciΓ² che Jannar e gli altri hanno detto. Avevo bisogno di non pensarci e voi, senza che dicessi alcunchΓ©, lo avete capito subito.Β» Le dita delle loro mani, rispettivamente la sinistra e la destra, si intrecciarono e carezzarono a vicenda. Β«Grazie per essere la luce nei miei momenti di buio e di sconforto, e... grazie per essere qui con me, per non esservi fermato alla prima impressione. Non credo riuscirΓ² mai a sdebitarmi.Β»

«Un modo ci sarebbe» lo contraddisse Tristan, calmo. «Amatemi, Angor. Amatemi e basta. È tutto ciò che vi chiedo. Amatemi e vivete.»

Β«Allora sono il debitore piΓΉ fortunato al mondo.Β»

La neve ammantava ancora i boschi, ma non era piΓΉ una presenza insistente e uniforme. In alcune zone si era sciolta completamente mettendo in mostra il freddo e umido terreno, le rocce e i tronchi morti cosparsi di licheni. Oltre la foresta si estendeva la brughiera e da qualche parte, custodito dai cespugli di brugo che erano soliti fiorire in autunno, quasi a voler accogliere con le loro rosee spighe l'arrivo del temibile condottiero chiamato inverno, c'era il villaggio, ma Tristan non ne aveva ancora appreso il nome.

I confini della proprietà di Palazzo dei Gigli terminavano proprio al limitare del bosco ed era lì che il giovane principe di Alerath e il figlio di re Caliban si trovavano. Fra gli alberi spogli e i sempreverdi spirava una brezza gelida ed entrambi, per un attimo, inspirarono in silenzio l'odore inconfondibile degli abeti e quello dolciastro della resina. Angor, per qualche istante, non poté evitare di osservare Tristan e pensare che vestito di azzurro e bianco a quel modo, complici i capelli nivei, paresse una specie di visione, un'entità invernale dei boschi.

Lui, in compenso, sembrava l'esatto contrario. Solo una ventina di minuti prima erano passati accanto a un laghetto ghiacciato e aveva avuto modo di specchiarsi su quella lastra uniforme e gelida. Senza farlo apposta lui e Tristan si erano abbigliati con colori del tutto agli antipodi. Valdemar aveva optato per abiti le cui tonalitΓ  comprendevano il rosso scuro e il nero. La maggior parte dei suoi vestiti, in realtΓ , era dotata di quella combinazione cromatica, per quanto Angor non la apprezzasse particolarmente.
Una credenza assai curiosa di Krygan era che il colore bianco avesse una pessima reputazione. Era legato, infatti, alla morte e ad altre nefandezze, cosa che aveva lasciato Tristan a bocca aperta non appena aveva sentito parlare di una simile concezione. A volte Pyranel aveva la sensazione che Krygan e Alerath fossero Paesi perfettamente agli antipodi da ogni punto di vista.

«Ora che ci ripenso, già una volta mi assalì il dubbio che mi fosse stato reso impossibile valicare questi confini» disse a mezza voce Angor. «Accadde l'unica volta in cui mi venne in mente di fuggire. Dorabella era morta da poco e io mi sentivo in colpa, volevo andarmene, scappare da tutto quanto. Non so bene cosa avessi in mente, ma lo feci: attesi che tutti fossero andati a dormire e poi corsi per i corridoi, uscii dalle porte del castello e non osai guardarmi indietro. Ricordo che c'era una fitta e spettrale nebbia, oltre a quella solo il silenzio. Udivo solo i miei passi frenetici sul terreno, il fruscio del mantello. Avevo paura di addentrarmi nel bosco di notte, ma l'alternativa era rimanere prigioniero di Palazzo dei Gigli fino alla morte.»

Tristan lo guardΓ², il fiato sospeso. Β«E poi cosa avvenne?Β»

Β«Quando capii di esser giunto ormai al limitare del bosco mi rallegrai realizzando che stavo per tornare libero. Proseguii e infine giunsi alla brughiera.Β» Angor tacque e restrinse lo sguardo per cercare di rimembrare l'accaduto. Β«La luna faceva a malapena capolino da oltre le nubi nel cielo notturno, ma quel poco di luce mi incoraggiΓ² a concentrarmi, solo per un momento, sulle rovine di quelle che sembravano vere e proprie mura di cinta atte a delineare il confine fra i boschi di proprietΓ  del re e il resto del territorio. Erano quasi del tutto crollate, delle rovine, come giΓ  ho detto. Quando le superai, venni letteralmente sbalzato indietro e respinto. Non fu come se fossi andato a sbattere contro una parete invisibile. Era come se catene che non potevo vedere mi avessero strattonato all'altezza del collo, delle braccia e delle gambe. Ritentai una volta, due, tre, ma alla fine mi arresi, capii che non sarei riuscito a proseguire e dovetti tornare indietro.Β»

Tristan deglutì. «E non fu colpa delle mura, giusto?»

Β«No, non lo fu. Sapevo che quel qualcosa che mi aveva trattenuto aleggiava su di me, ero io a portarmelo dietro, anzi sulle spalle. PerciΓ², Tristan, prima vi mostrerΓ² cosa accade se tento di superare i confini e poi riproverΓ², ma stavolta lo farΓ² senza indossare gli orecchini. Tutto chiaro?Β»

Pyranel esitΓ². Β«Ma se dovesse succedervi qualcosa non appena li avrete tolti?Β»

«È un rischio che dobbiamo correre. Per ora sappiamo che riescono a confinare e a controllare i miei poteri, ma ora devo accertarmi di ulteriori capacità delle quali potrebbero disporre.» Tristan annuì, si fece coraggio e gli afferrò la mano libera. «Andiamo, allora. Facciamo un tentativo.» Si diressero in fretta verso la zona dove la vegetazione andava facendosi più rarefatta, poi ancora più in là finché la foresta non si fece rarefatta fino a svanire per cedere il posto alla fredda brughiera dove le colline s'alternavano a depressioni del terreno. Loro si trovavano ai piedi di un pendio e in cima ad esso vi erano i resti delle mura di cinta.

Salirono adagio, si avvicinarono e quando Tristan le superò, sentì la mano di Angor scivolare via. Si voltò e lo vide immobile fra due porzioni delle mura crollate che avevano dato vita a una spaccatura. «Ritentate» disse incerto il più giovane, ma se ne pentì immediatamente appena Valdemar venne trattenuto ancora una volta da una forza invisibile e, nel farlo, parve soffrire dal punto di vista fisico. Angor cadde in ginocchio, stremato. Tremava come una foglia. «D-Devo ammettere che gli effetti sono peggiorati nel tempo» commentò, sforzandosi di scherzare, ma era paurosamente cereo.

Tristan allora tornò indietro e lo raggiunse. «Toglieteli, forza. Vi aiuto ad alzarvi.» Appena gli ebbe dato una mano, si prese un attimo per accertarsi che stesse bene. «F-Forse hanno un effetto così potente su di voi, adesso, perché... i-insomma... siete sulla soglia dei venticinque fatidici anni, no?» Cercava in ogni maniera di non pensarci, di ripetersi che sarebbero riusciti insieme a risolvere tutto quanto, ma in momenti come quello la paura tornava.

Gli pose le mani ai lati del viso. Dopo la prodezza di un paio di minuti addietro gli sembrava piΓΉ sciupato e indebolito. Β«Prima ve ne andrete da qui e meglio sarΓ Β» sentenziΓ², sistemandogli il mantello e lisciandoglielo sulle spalle.

Angor sbuffò una risata. «Questo è poco ma sicuro.» Seguì un breve momento d'esitazione e poi, con lentezza, il principe di Krygan si tolse gli orecchini che subito smisero di brillare come lanterne le cui fiamme erano state spente. Di nuovo il vento si sollevò, ancor meno gentile rispetto a prima, e qualcosa di indefinibile e indefinito parve cambiare nel bosco alle loro spalle. Tutto, improvvisamente, là dentro sembrò tacere. Fino ad allora avevano udito il canto di alcuni uccelli abituati alle rigide temperature, ma all'improvviso... silenzio. Il silenzio era piombato sulla foresta, denso e quasi assordante, innaturale.

Tristan e Valdemar si scambiarono un'occhiata spiazzata e tesa. Β«Questa cosa non mi piace per nienteΒ» sentenziΓ² il piΓΉ anziano. Si sentiva strano. Era come se una morsa invisibile che per dieci anni lo aveva serrato fra impalpabili spire fosse svanita. IntercettΓ² una mano di Pyranel e la strinse, proprio come prima di venir spinto indietro, lontano dalle mura, e quando si mossero, quando avanzarono senza intoppo alcuno, impiegarono un minuto o forse un'eternitΓ  intera per capire che ci avevano visto giusto e che Angor, senza gli orecchini addosso, era libero di andarsene quando e come gli pareva.

Si abbracciarono d'impeto e si scambiarono un intenso bacio, lieti che l'impresa fosse andata a buon fine senza conseguenze negative, ignari che tra gli alberi del bosco poco lontano vi erano due figure con addosso le divise inconfondibili delle guardie di Krygan. La piΓΉ alta e di presenza piΓΉ intimidatoria guardΓ² l'altra. La sua voce rauca, scura e severa disse, a bassa voce: Β«PartirΓ² per Krygan oggi stesso. Il re deve sapere cosa sta accadendoΒ». Ben attenti a non farsi scoprire avevano seguito fino ad allora quei due e, nel farlo, origliato le loro conversazioni, appreso che, a quanto pareva, progettavano di fuggire assieme ad Alerath. Se fino ad allora re Caliban aveva avuto solo un debole sospetto delle innaturali inclinazioni del figlio maggiore, ormai il capo delle sue guardie, Gilyas Reisbach, ne aveva purtroppo la certezza. Se poi quanto una giovane cameriera aveva udito – spiando una delle conversazioni di quei due – corrispondeva al vero, ossia che il principe di Alerath era determinato a partire in tutta segretezza per tornare a casa, la situazione peggiorava. Era ovvio che ciΓ² avrebbe significato un indebolimento del potere di Caliban sui Pyranel. Niente ostaggio, niente obbedienza forzata, e forse quel ragazzino era a conoscenza di altri fatti strettamente legati ai Valdemar.

Reisbach tornΓ² indietro insieme al secondino. Β«Non mi interessa come, ma impedite a quel marmocchio straniero di far ritorno in patria. Bada che deve restare in vita, almeno per il momento e finchΓ© sarΓ  il re a volerlo vivo.Β»

L'altra guardia esitΓ². Β«Ma quale scusa potrei usare?Β»

Gilyas, noto in patria con il soprannome non troppo gentile di BarbablΓΉ per via dei capelli e della barba di un nero intenso e dai riflessi bluastri, si fermΓ² e sospirΓ² scocciato. Β«E va bene. FarΓ² quattro chiacchiere con quel mollaccione di Hume e lo esorterΓ² gentilmente a trovare un ottimo pretesto per impedire a Pyranel di partire.Β» Doveva sempre fare tutto da solo. Roba da matti!

Se Hume si fosse rivelato inutile, a quel punto avrebbe dovuto passare alle maniere forti e meno ortodosse, nonchΓ© quelle che Reisbach, francamente, preferiva. Aveva combattuto per due decenni contro le forze di Alerath, era diventato un militare rispettato e temuto, aveva fatto scempio dei prigionieri di guerra e sistemato una volta per tutte il traditore che rispondeva al nome di Edogar, il figlio di un duca che era stato a un passo dallo schierarsi con il nemico e mettere in ridicolo l'intero esercito con i suoi perversi e indicibili atteggiamenti. Era disposto, pertanto, anche a macchiarsi le mani con un principe da quattro soldi che aveva dimenticato il proprio posto.

In quanto ad Angor, solo Caliban avrebbe stabilito cosa fare di lui e quali provvedimenti prendere.

Era poco probabile che lo avrebbe condannato a morte, ma quell'uomo aveva perso la ragione, era incapace di capire l'anormalitΓ  che lo affliggeva e, per giunta, era custode di poteri che non sapeva controllare. Il re lo avrebbe sicuramente fatto scortare in uno di quegli appositi asili dove i genitori di famiglie importanti erano soliti nascondere da secoli le proprie vergogne, fra le quali anche figli e figlie che avevano scelto, in modo deliberato, di voltare le spalle alla natura stessa e al buongusto.

Si sceglieva di fare così piuttosto che condannare a morte simili individui. Lo si faceva nella speranza che guarissero dalla pazzia e un giorno tornassero a ragionare come tutte le persone normali.

Gilyas mai avrebbe pensato, perΓ², che proprio un membro della famiglia reale, uno che aveva giΓ  abbastanza tolto prestigio ai Valdemar, si sarebbe macchiato anche di un simile crimine.

Fosse stato mio figlio, sarei andato lì per ammazzarlo di botte, pensò disgustato. E c'era chi affermava che i giovani fossero la speranza per il futuro. Bell'avvenire che si prospettava!

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