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[ 𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟑 ]

Ophelia prese un grande respiro, poi si allontanò di qualche passo dal ragazzo sul suo divano. Aveva perso i sensi, quello era ovvio. Aveva gli occhi chiusi, le lunghe ciglia nere che si arricciavano verso l'alto. Le sue labbra erano semiaperte, come se fossero state interrotte durante un urlo. Cosa che probabilmente era successa, considerando le sue condizioni.

La ragazza lo sollevò delicatamente, poggiandogli una mano sul petto e una dietro la schiena, e lo sistemò in modo tale che potesse ripulirgli e medicargli le ferite. Proprio in quel momento il suo cagnolino, Jupiter, corse nel salotto, abbaiando contro lo sconosciuto.

-Jup, no! Jup, fai silenzio per favore...- tentò di pregarlo, prendendolo in braccio e allontanandolo. Lo riportò nella sua stanza e chiuse la porta, ma non a chiave. Jupiter era talmente piccolo che non sarebbe mai riuscito ad aprirla. Ritornò in salotto, e per poco non perse l'equilibrio nel vedere il ragazzo con gli occhi aperti, in piedi in mezzo alla stanza.

-Carino il tuo cane- furono le sue prime parole, mentre il suo sguardo vagava per tutto il salone. Ma non si posò mai su di lei, che si schiarì la voce come infastidita da quel suo menefreghismo.

-Anche le tue ferite non sono niente male- rispose -sarebbe meglio se gli dessi un'occhiata-

Solamente in quel momento i suoi occhi incontrarono quelli di Ophelia. E la ragazza, per la seconda volta in quella giornata, ebbe la strana sensazione di avere già visto quegli occhi e quel ragazzo da qualche parte.

-Oh, fidati, non ce n'è bisogno. Guariranno da sole-

-No no, non se ne parla neanche. Io ti ho salvato la vita, ora tu per ricambiare il favore ti siederai su questo divano e ti farai medicare quelle ferite-

Lui la guardò di nuovo, le labbra piegate in un mezzo sorriso. Ophelia non sbatté ciglio, aspettando che facesse esattamente quello che gli aveva chiesto. Alla fine si incamminò, a passo volutamente lento, verso il divano. Vi si lasciò cadere, senza staccare per un attimo gli occhi da quelli della ragazza.

-Hai ragione- disse, con tono di voce improvvisamente molto meno spavaldo di prima -tu mi hai salvato la vita, e io ti sarò eternamente grato per questo-

Ophelia sorrise, quasi controvoglia.

-Beh, l'eternità è un bel pò di tempo, non trovi?-

-Passa subito, se sei con le persone giuste-

-Parli come se avessi vissuto per mille anni- commentò, con un risolino -Stai fermo e immobile lì dove sei, io vado a prendere dell'acqua e delle bende- e si incamminò verso il bagno, dove riempì una bacinella con dell'acqua non troppo calda, un asciugamano pulito e un rotolo di bende. Poi ritornò in salone e, con un sospiro di sollievo, notò che il ragazzo era rimasto esattamente dove lo aveva lasciato.

-Vedi, sono ancora qui- disse, mentre Ophelia si sedeva accanto a lui sul divano. Le sembrò estremamente imbarazzante una vicinanza così, perciò si allontanò di un pò, avvicinandosi al bracciolo.

-Quando vorrai, mi dovrai spiegare due cose. La prima è come avete fatto tu e il tuo amico ad entrare il libreria senza che il portiere vi dicesse nulla. La seconda è come hai fatto a ridurti così e come mai ti sei ritrovato proprio davanti alla porta del mio appartamento-

-In verità queste sono tre domande-

-Ma per ora- lo interruppe -la cosa più importante è medicare le tue ferite, e anche darti dei vestiti nuovi. Dovrei avere qualche vecchia felpa di mio padre, nell'armadio. Ti darò una di quelle-

Lui annuì, e Ophelia prese la bacinella e l'asciugamano.

-Potrei farti un pò male, ma giuro che non è mia intenzione-

-Molto rassicurante, grazie mille-

Poi alzò di poco l'orlo della sua maglia, e ad Ophelia si gelò il sangue nelle vene. Le ferite erano molto più grandi e profonde di quanto pensasse, delle ferite che nessuna arma umana avrebbe potuto fare.

-Ti senti bene? Sei diventata ancora più pallida di come già sei- le chiese il ragazzo.

-E' che...le tue ferite sono veramente terribili...come te le sei procurate?-

-Credimi, se te lo dicessi non ci crederesti-

-Non ti contesto solamente perché devo ripulirle immediatamente, prima che si infettino. Ma quando avrò finito me lo dirai. Devo ricordati ancora una volta che ti ho salvato la vita?-

Lui alzò gli occhi al cielo, poi annuì.

-Perfetto, vedo che ci capiamo al volo- disse soddisfatta Ophelia, per poi immergere l'asciugamano nell'acqua e iniziare il lavoro. Passò delicatamente il panno sulla pelle lacerata, facendo attenzione a non fare troppo male al ragazzo. Lo vide stringere i denti, nel vano tentativo di nascondere il dolore.

-Scusa- mormorò lei, per poi continuare con il suo lento e minuzioso lavoro. Di tanto in tanto si fermava, nonostante lui continuasse a ripetere che non gli faceva male e che non c'era bisogno di stopparsi. Ma in realtà Ophelia sapeva quanto gli stesse facendo male, lo vedeva dalle tracce di lacrime di dolore intorno ai suoi occhi e dai muscoli dell'addome che gli si contraevano ogni volta che poggiava l'asciugamano sulla sua pelle.

-Sei di New York? Non mi pare di averti mai visto, all'università. Eppure hai un viso conosciuto- disse, più per spezzare quella lastra di disagio che si era creata nella stanza che per altro.

-No, io...sono venuto qui per incontrare una persona- rispose lui, le parole smorzate dal dolore.

-Sei un appassionato di libri come me? Dovevi veramente essere interessato al libro di mio padre se hai addirittura convinto il portiere a lasciarti entrare-

-Quello era tuo padre?-

-Si, David Morgenstern. Io sono Ophelia Morgenstern- continuò, rendendosi conto solo in quel momento che non gli aveva ancora rivelato il suo nome.

-Ho letto così tanti libri da non ricordarmeli neanche tutti, Ophelia- rispose alla fine, soffermandosi sul suo nome con particolare attenzione. Alla ragazza piacque come lo pronunciò, aveva quasi un suono diverso quando usciva dalle sue labbra.

-Ho visto che ti guardavi intorno, prima. Credo che avrai notato che praticamente tutti i muri di questa stanza sono tappezzati di libri-

Ed era vero. Ad ognuna delle pareti del salone, compresa quella dove c'era la porta d'ingresso, era poggiata una o due librerie stracolme di libri, tutti quelli che Ophelia aveva letto fino ad allora e anche alcuni appartenuti a suo nonno e a suo padre.

-E non sono neanche finiti. Gli altri sono nella mia camera, sempre che Jupiter non li abbia azzannati e distrutti tutti-

-Chi?-

-Jupiter, il mio cane-

-Quell'essere demoniaco che ha abbaiato così forte che è riuscito a svegliarmi dal mio stato di coma temporaneo?-

-Si, proprio lui-

Ophelia finì di ripulire le ferite e rimise l'asciugamano, che ormai da bianco era diventato quasi del tutto scarlatto, nella bacinella, e poi prese le bende. Si voltò nuovamente verso il ragazzo, che ora stava fissando una delle scaffalature piene di libri.

-Non so come dirtelo in modo diverso e più raffinato, ma ora dovresti toglierti la maglia-

Lui la guardò negli occhi, con quel suo mezzo sorriso che somigliava più a un ghigno. E Ophelia, nuovamente contro la sua volontà, arrossì terribilmente.

-Sempre che tu non voglia che ti bendi le ferite con la maglia di sopra, ovviamente- aggiunse, la voce tremante per l'imbarazzo.

-Tranquilla, Ophelia- la interruppe. Poi, con un solo e rapido movimento, si tolse la maglia ormai completamente inutilizzabile.

Lei cercò in tutti i modi di non sembrare troppo interessata a vedere uno sconosciuto a petto nudo, e cercò anche di non incrociare in alcun modo gli occhi del ragazzo.

Mentre finiva di sistemare le bende nel modo migliore possibile, pensò a cos'altro potesse dire per spezzare il silenzio.

-Non mi hai ancora detto il tuo nome- disse alla fine -credo sia un buon modo per iniziare a ricambiare il mio favore. E magari in questo modo riuscirò a capire come mai il tuo viso mi è così tanto familiare-

Lui prese un grande respiro, quasi temesse dall'inizio l'arrivo di quella domanda.

-Druig- rispose -mi chiamo Druig-

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