[ 𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟐 ]
-Ophelia, tesoro! Credo che questa sia la prima volta nella tua vita dove arrivi in ritardo-
-Di cinque minuti, papà. Non sminuirmi in questo modo-
David Morgenstern scoppiò a ridere, stringendo la spalla della figlia con la mano. Si trovavano nella stanza più grande della libreria vicino a casa loro, la prima libreria che Ophelia avesse mai visto e visitato. Ricordava ancora quando da piccola ci andava insieme a suo padre, e ogni volta ne usciva con un nuovo libro tra le mani.
-Ti ho tenuto un posto in prima fila. Lì, vicino alla mamma- disse David, indicandole una sedia nera esattamente uguale a tutte le altre.
-Non è ancora arrivata?- chiese lei.
-Mi ha assicurato che sarebbe arrivata in cinque minuti cinque minuti fa, perciò non ci resta che sperare-
Ophelia passò in rassegna tutti i visi conosciuti per la stanza. I suoi due zii, i fratelli di suo padre. La sua unica zia materna insieme a sua cugina Cassandra. Non le era mai stata particolarmente simpatica, quella ragazza. Era di soli due anni più piccola di lei, perciò sarebbero potute andare d'accordissimo. Eppure qualcosa non aveva funzionato tra di loro, dalla prima volta in cui si erano viste. Ora le rivolse solo un cenno veloce del capo, a mo di saluto. Lei rispose allo stesso modo, per poi continuare a scrivere a chissà chi e chissà che cosa sul sul telefono.
Vide il direttore della libreria, il signor Edmonds, vide il sindaco, grande amico di suo padre, e vide persino il preside della sua vecchia scuola. Era un uomo sulla sessantina, che ora le stava rivolgendo un cordiale sorriso.
C'erano davvero molte persone, e la sala stava iniziando a riempirsi quasi interamente. Il portiere, in piedi all'ingresso, chiedeva nome e cognome a chiunque entrasse, per poi spuntare il loro nome sulla lista che aveva tra le mani. Stava per avviarsi verso il suo posto, quando sentì delle mani posarsi sulle sue braccia. Si girò di scatto, spaventata.
-Ophelia, sono solo io!- esclamò sua madre. Come sempre, Alix Morgenstern era elegantissima.
-Scusa, mamma. E' che ero persa nei miei pensieri...-
-Come al solito- concluse sua madre.
-Si...- rispose lei -come al solito-
-Vai a sederti vicino a Cassandra, papà ti ha lasciato un posto vicino a lei e a me-
-Cassandra? Mamma, sai quanto io la odi-
-Oh, non esagerare! È solo un po' viziata, nulla di che-
-Dire un po' viziata è riduttivo, mamma-
-Comunque sia, vai a sederti vicino a lei. Non voglio sentire storie-
Sbuffando, alla fine Ophelia si trascinò verso la sedia. Vi poggiò la sua borsa accanto, e poi si sedette. Subito lo sguardo critico di Cassandra si posò su di lei, che cercò di far finta di non averla vista. Stava anche per dire qualcosa, ma per fortuna tutti gli altri cominciarono ad applaudire, acclamando David. Era appena salito sul piccolo palchetto allestito per l'occasione, e ora sorrideva e salutava radioso il pubblico.
Ophelia sentì la porta della libreria aprirsi, nonostante sapesse che tutte le persone invitate alla presentazione erano già entrate. Il portiere era sparito, e così anche la sua lista. Sulla soglia comparvero due ragazzi, uno dietro l'altro. Quello davanti sembrava più giovane, forse della sua stessa età. Indossava un giubbotto di pelle nero, lasciato aperto a mostrare una maglia grigia dall'aria abbastanza vecchia. I suoi occhi incontrarono i suoi solo per un secondo, ma la ragazza poté giurare di averli visti brillare di una luce dorata.
-Mamma...- mormorò tra sé e sé, ricordandosi solamente dopo che accanto a lei non c'era solo sua madre, ma anche Cassandra.
-Che cosa stai blaterando?- sbottò la ragazza, mentre Ophelia si raddrizzava, ignorando le sue parole. Cercò di restare concentrata sul padre e su ciò che stava dicendo e facendo. Ma i suoi occhi continuavano a tornare su quel ragazzo sconosciuto, che eppure sembrava un suo vecchio amico. Lo vide mettersi a sedere insieme al suo amico, su due sedie che Ophelia non aveva visto appena era entrata nella stanza. La guardò di nuovo, ma i suoi occhi non brillavano più. Mormorò qualcosa all'orecchio del suo amico, che annuì e si alzò silenziosamente.
Ophelia iniziò a guardarsi intorno nella stanza, non riuscendo a capire perché tutti gli altri non avessero notato la presenza dei due. Nessuno si era voltato quando la porta si era aperta, cosa che di solito succedeva ogni qual volta qualcuno mettesse piede in una stanza. La signora Berkel, vecchia amica di suo padre, non aveva neanche posato lo sguardo su di loro quando avevano preso posto accanto a lei. Sembravano essere invisibili, due fantasmi che vagavano tra i vivi. Ma allora perché lei riusciva a vederli?
-Ophelia? Ophelia!- la voce di Cassandra sembrava ovattata mentre si avvicinava alle orecchie della ragazza. Poi la stanza ritornò reale, i mormorii delle persone intorno a lei la fecero risvegliare come se fossero un getto di acqua gelida -tuo padre ti sta chiamando-
Si voltò verso David, che la guardava con uno sguardo tra il preoccupato e il confuso. Aveva una mano tesa verso di lei, e probabilmente l'aveva presentata agli altri e invitata a salire sul palco. Si schiarì la voce, si alzò e si sistemò il vestito nero che sua madre aveva fatto cucire su misura per lei, che le stringeva i fianchi e poi le ricadeva morbido fino alle caviglie. Salì sul palco e si mise accanto a suo padre, che finalmente tornò a sorridere.
Il pubblico la accolse con un applauso, e alla fine anche lei sorrise. Era un sorriso forzato, suo padre lo aveva capito di certo. Le facevano male i muscoli della mandibola, e si sentiva i denti di piombo. La sua mente continuava a vorticare vertiginosamente, e i suoi occhi tentavano in ogni modo di non incrociare quelli del ragazzo seduto infondo alla stanza. Poi David parlò, e tutti i suoi pensieri cessarono di colpo.
-Sono molto felice che mia figlia, Ophelia, abbia finalmente- qui la guardò con un sopracciglio alzato -accettato di salire sul placo e affiancarmi. Sono molto felice che sia venuta in questa libreria per questo evento. E, soprattutto, sono molto felice di rivelarvi che il mio libro è dedicato proprio a lei-
Un secondo applauso, durante il quale David aprì il libro e mostrò a tutti cosa vi era scritto sulla prima pagina: A mia figlia Ophelia, che mi ha convinto a scrivere il libro che ora avete tra le mani. Che la fantasia possa sempre essere la tua più fedele alleata, e che sia proprio lei a presentarti, finalmente, il mondo reale.
L'applauso terminò solamente quando Ophelia scese dal palco, non prima di aver lasciato un bacio sulla guancia del padre. Il sorriso che ora aveva sulle labbra, a differenza dell'altro, era un sorriso vero. I suoi occhi, contro la sua volontà, andarono in cerca del ragazzo dagli occhi dorati. Ma ora, dove prima era seduto accanto al suo amico, c'era solo una sedia vuota.
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-Maledizione- sbottò Ophelia, mentre camminava scompostamente, non riuscendo più a sopportare quei tacchi che sua madre le aveva costretto a mettersi. Chiuse il telefono, dopo aver provato a chiamare Hazel almeno una ventina di volte. Nessuna risposta.
-Probabilmente sarà in qualche locale a divertirsi- mormorò tra sé e sé, sbuffando. Era sempre stata così, da quando le due si conoscevano. Vale a dire dai tempi dell'asilo. Hazel era sempre quella pronta a fare festa, a restare fuori di casa anche ventiquattro ore al giorno, che se ne infischiava delle regole e che prendeva la vita così come veniva. Ophelia, al contrario, aveva sempre la scusa per rimanere a casa a studiare pronta. Non usciva praticamente mai il sabato sera, non le piaceva immergersi in uno di quei locali stracolmi di persone, non le piaceva tutto quello che invece piaceva ad Hazel. Eppure il destino le aveva fatte incontrare, e non si erano mai lasciate.
La sua famiglia, i Morgenstern, era una delle più famose e rispettate della città. Suo padre, oltre ad essere uno scrittore di successo, dirigeva un'agenzia finanziaria insieme a sua madre. David era amico con le persone più importanti di New York, era da tutti ritenuto una bravissima persona e perciò tutti lo ammiravano. Alix, invece, era da molti ritenuta la donna più bella della città, nonché una delle più intelligenti e scaltre. Era per questi e molti altri motivi che Ophelia aveva sempre sentito un immenso peso sulle sue spalle, il compito di mantenere saldo il buon nome della famiglia. E, fino a quel momento, poteva dire di esserci riuscita più che bene.
Quando aprì la porta del suo appartamento, affacciato sul fiume Hudson, stava persino pensando a che corso avesse l'indomani alla prima ora. Non si ricordò neanche che il giorno dopo sarebbe stato il suo unico e vero giorno di tregua, ovvero la domenica. Si buttò sul letto con vestito, acconciatura e scarpe così come erano. Non passarono più di dieci minuti, poi qualcuno bussò al suo campanello.
In un primo momento decise di non alzarsi. Chiunque ci fosse dietro alla porta avrebbe creduto così che in casa non ci fosse nessuno. Ma poi il campanello iniziò a suonare in modo più insistente, trapanandole i timpani.
Si alzò dal letto con un solo salto, pestando i piedi sul parquet di legno lucido per la frustrazione.
-Hazel, giuro che se sei di nuovo tu ubriaca fradicia io...- ma le parole le rimasero bloccata in gola. Davanti a lei non c'era Hazel, ma il ragazzo che era entrato in libreria e che nessuno aveva notato.
Il suo giubbino di pelle era sparito, e la sua maglia grigia era quasi del tutto strappata. Dai numerosi tagli si intravedeva la pelle grondante di sangue denso e scuro, un sangue che non sembrava affatto umano. Il suo viso era un reticolato di tagli, tutti aperti e anch'essi sanguinanti.
Ophelia lanciò un grido, coprendosi la bocca con le mani. Il ragazzo tese una mano verso di lei, mormorando un "aiuto" così a bassa voce che sembrava quasi stesse parlando con se stesso. Poi ruotò gli occhi all'indietro, e cadde a faccia in giù sul pavimento. Ophelia fece appena in tempo a prenderlo al volo, assicurandogli le mani attorno al petto, prima che si schiantasse e peggiorasse ulteriormente la sua situazione.
Chiuse la porta spingendola con un piede e, non senza fatica, trasportò il ragazzo verso il divano. Lo distese sopra questo, poggiandogli la testa su due cuscini l'uno sopra l'altro. Poi si mise una mano sulla fronte, imperlata di sudore.
Aveva visto e passato tante cose assurde in vita sua, ma avere uno sconosciuto in fin di vita coricato sul divano del suo salotto no, quello non le era mai successo.
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