067 tutto può cambiare in una notte
⸻ capitolo sessantasette ⸻
( tutto può cambiare in una notte )
Era esploso il putiferio nelle Outer Banks, e la causa era JJ Maybank.
La sua vita stava cadendo a pezzi. Era arrabbiato, frustrato, angosciato, si era reso conto di aver vissuto in una menzogna, e l'ennesima pugnalata di Luke era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. L'ultima cosa che serviva per farlo decisamente impazzire.
Aveva iniziato lanciando una sedia contro una delle finestre del Comune, ritrovandosi poi a scambiarsi pugni con varie guardie. Ma non era finito lì. JJ, infatti, aveva lasciato una scia di devastazione dietro di sé, finendo per distruggere numerose vetrine, lasciando un vivo incendio per strada, e incentivando tutti gli abitanti del Cut a rubare qualunque cosa vedessero in giro. Come se non bastasse, Pope era finito in carcere dopo aver placcato un poliziotto che aveva la pistola puntata contro il suo amico, e quello aveva permesso a JJ di scappare e di andare solo Dio sapeva dove.
Caos.
Era quella l'unica parola che Ophelia riusciva a pensare se ragionava sulla questione. Ancora non riusciva a credere a ciò che avesse fatto Luke, e probabilmente non lo aveva mai odiato come in quel momento. Aveva definitivamente fatto impazzire JJ.
Inoltre, non sapeva che fine avesse fatto il biondo, che era fuggito via da ore, e Pope era attualmente dietro le sbarre. Insomma, non poteva andare peggio.
Lei e i quattro Pogues avevano cercato JJ per quelle che sembravano delle ore, temendo sul serio per la sua vita, ma sembrava essersi eclissato, e oramai era notte fonda. Numerose auto della polizia ancora girovagano per le strade di Kildare, e il loro obiettivo era ovviamente quello di arrestare il ragazzo, che aveva superato il limite tra le guardie picchiate e i negozi distrutti. Era fuori di sé, ed era evidente che qualcosa si fosse rotto in lui, facendolo definitivamente esplodere dopo tutto quello che aveva tenuto dentro durante quegli anni.
Dire che Ophelia fosse preoccupata era riduttivo, in particolare perché se lo avessero trovato, sarebbe finito di sicuro in carcere, e nessuno avrebbe potuto salvarlo. Aveva anche paura che potesse fare qualche pazzia, e, sul serio, si aspettava di tutto a causa del suo stato mentale attuale.
Riusciva soltanto a pensare che Luke lo avesse distrutto, ma non era stato solo lui. Anche Chandler aveva un'enorme colpa in tutto quello. Luke era solo la punta dell'iceberg, ma la causa scatenante era certamente Groff, che aveva preferito l'eredità a suo figlio.
Era stata una giornata stancante, che era andata solo a peggiorare man mano che le ore erano trascorse, e Ophelia si sentiva senza dubbio debole, spenta. Così spenta che si era ritrovata a camminare fino a Figure Eight e a raggiungere la tenuta dei Cameron.
Casa di Rafe.
Non sapeva esattamente per quale motivo si trovasse lì ferma davanti al cancello a dondolarsi sui talloni, indecisa sul da farsi, ma aveva bisogno di allontanarsi dal caos del Cut. Inoltre, avvertiva una pessima sensazione allo stomaco se solo pensava di dover tornare a dormire nella casa che di lì a qualche giorno avrebbero perso, diventando dei senzatetto.
O forse voleva semplicemente stare con Rafe, in particolare dopo una giornata del genere e dopo la realizzazione che lei e i suoi amici avrebbero avuto un futuro incerto, con JJ fuggitivo e Pope dietro le sbarre.
Voleva staccare la mente, rilassarsi e aveva bisogno di Rafe.
Se ci ragionava e ci rifletteva sul serio, trovava davvero assurdo che non condividessero un momento intimo e profondo da più di un anno, soprattutto se ripensava al modo in cui si era sviluppato il loro legame, che, nonostante tutto, le era sempre sembrato quasi indistruttibile. Sul serio, un tempo avrebbero potuto ferirsi a vicenda in ogni modo, eppure avrebbero sempre ceduto l'uno davanti all'altra.
Ora però era diverso.
La morte di Ward aveva portato via Rafe da Ophelia, e, come se non bastasse, c'era anche Sofia. Nonostante le avesse detto che non stessero insieme, non voleva infilarsi nel loro rapporto, qualunque esso fosse... ma aveva bisogno del ragazzo, in quel momento, e aveva messo da parte il resto per seguire solo il suo istinto e il suo cuore per la prima volta nella sua vita.
Ma lui? Rafe aveva bisogno di lei?
Era quella domanda che la teneva lì ferma fuori il cancello da una buona mezz'ora. Aveva il terrore di citofonare e di essere rifiutata, o, peggio ancora, di ritrovarsi Sofia davanti. Inoltre, non dimenticava di certo il fatto che Rafe fosse ancora offeso per la questione "Barbados", e che la ritenesse responsabile della morte di Ward.
Fu quel pensiero a farle capire di aver assolutamente sbagliato ad essersi diretta lì, motivo per cui fece qualche passo indietro, pronta ad andare via. Aveva bisogno di tranquillità, in quel momento, e con Rafe probabilmente sarebbe scoppiato un litigio di cui non aveva assolutamente bisogno.
«Ehi, ehi, ma che fai?»
Si voltò di scatto a quella voce, paralizzandosi nel momento in cui vide Rafe avanzare verso di lei. Se dapprima aveva un'espressione confusa e infastidita, i suoi lineamenti si rilassarono nel momento in cui la riconobbe. Aggrottò comunque le sopracciglia, perplesso, raggiungendola con passo quasi incerto.
«Sai, non mi rende molto tranquillo sapere che un Pogue è qui a vagabondare fuori la mia proprietà» le disse quando le fu davanti, ed era chiaro l'obiettivo di farla irritare e infastidire.
Ophelia rilasciò un profondo sospiro, stanca. «Non sono qui per litigare» chiarì, osservandolo.
«Oh, tu credi che io voglia litigare?» mise su un'espressione quasi sorpresa. Poi scosse la testa. «Sei fortunata, in realtà. Sono parecchio di buon umore in questo momento» sorrise fintamente.
«Lo vedo...» commentò lei, ironica.
«Già, peccato non poter dire lo stesso di te» replicò, guardandola da capo a piedi e indugiando sul suo aspetto fiacco. Cosa le era successo?
La rossa ruotò gli occhi al cielo, e, subito dopo, l'attenzione di entrambi fu catturata da una volante che passò al loro fianco, pronta a raggiungere il Cut.
«Cazzo...» mormorò Ophelia con fare esausto, passandosi poi una mani fra i capelli rossi.
A quelle parole, Rafe assottigliò gli occhi, indugiando su di lei, pensieroso. «Che succede?» domandò, per la prima volta serio da quando era iniziata la loro conversazione. «Perché sei qui?» continuò.
La rossa sospirò profondamente. «Io— uhm... In Comune è esploso il caos durante l'udienza per la zonizzazione, e ora cercano JJ» rise istericamente, iniziando a gesticolare con fare nervoso.
Rafe arricciò il naso. «Chissà perché non sono sorpreso» ammise con nonchalance, grattandosi poi la nuca.
Ophelia decise di ignorare il fastidio provocato da quelle parole, stringendosi in un abbraccio a causa del leggero vento che soffiava. «Credo— credo di aver sbagliato ad essere venuta qui... Sì, vado a casa» mormorò tra sé e sé.
Ma rimase ferma, non facendo un solo passo e continuando a guardare Rafe dal basso, timidamente. Sebbene una sua parte volesse scappare, l'altra parte non voleva trovarsi in nessun luogo diverso da quello, e desiderava solo stare con lui. E prima che potesse ragionarci, aveva deciso di ascoltare quest'ultima parte. Voleva solo che Rafe lo capisse e dicesse qualcosa.
E lui parve capirlo nel momento in cui la vide restare lì ferma, e, allo stesso tempo, realizzò anche di non volere che lei andasse via.
«È tardi, Ophelia, e tra poco pioverà» le fece presente dopo un po'. Si inumidì le labbra, quasi come se stesse ragionando su qualcosa. Poi si mosse in direzione del cancello, aprendolo subito dopo. «Forza, andiamo» la invitò ad entrare.
Lei deglutì, ma non se lo fece ripetere due volte e lo seguì all'interno della tenuta, guardandosi attorno. Non entrava da tempo lì, e nonostante ci vivesse solo Rafe, la teneva in maniera molto ordinata. Perfino il giardino era rigoglioso e florido, con qualche piccolo fiorellino ad abbellirlo.
Stava facendo la cosa giusta o stava entrando nella tana del leone?
C'era un evidente disagio fra di loro, e per Ophelia fu strano rendersi conto che anche Rafe condividesse il suo stesso stato d'animo nonostante facesse del suo meglio per mostrarsi disinvolto. Ma era difficile farlo quando lei si trovava a casa sua dopo quasi due anni.
Sembrava che nessuno dei due sapesse cosa dire nonostante avessero così tanto di cui parlare, ma come e da dove si cominciava, esattamente?
«Vuoi... uhm... Hai fame?» le domandò Rafe quando misero piede nell'abitazione, spezzando quel silenzio imbarazzante che aleggiava fra di loro.
Ophelia scosse la testa, accennando un sorriso forzato e apprezzando il suo tentativo di dire qualcosa. «No, grazie» rispose, fermandosi e guardandosi attorno. «Sei solo?» gli chiese a sua volta, incerta.
Rafe inarcò un sopracciglio, chiedendosi quale fosse il motivo di quella domanda, soprattutto perché lei sapeva che viveva da solo. Poi capì cosa volesse davvero chiedergli. «Ti riferisci a Sofia? Lei non... non vive qui» le disse quindi, iniziando a salire la prima rampa di scale.
Lo seguì. «Chiedevo. So che trascorre molte notti qui» si strinse nelle spalle, cercando di non far trasparire il suo fastidio per il fatto che trascorressero alcune notti insieme, e il suo sollievo per il fatto che, attualmente, Sofia non fosse lì.
Rafe fece un sorrisetto, entrando nella sua stanza con lei al suo seguito. «Già, sì, capita» la informò con tono divertito (era evidente che volesse infastidirla), facendole ruotare gli occhi al cielo.
Ophelia sospirò profondamente, accomodandosi sul letto e lanciandosi un veloce sguardo attorno. Non era cambiato nulla. Era tutto rimasto esattamente come lo ricordava, e avrebbe voluto che anche loro fossero così, sempre gli stessi. Ma non lo erano da un po', e quel pensiero fu in grado di contorcerle lo stomaco.
Poi, i suoi occhi furono attirati dalla bandana verde petrolio poggiata sul comò quasi come se fosse un prezioso manufatto antico, e, senza rendersene conto, sentì un sorriso spontaneo nascerle sul volto.
La teneva ancora.
«Sarah ha preso tutta la sua roba, quindi... ehm... devi accontentarti di questo» frugando all'interno dell'armadio, Rafe tirò fuori una sua maglia grigia e un pantalone della tuta del medesimo colore.
Lei annuì. «Va bene. Grazie» disse, afferrandoli e poggiandoli al suo fianco.
«Puoi usare il bagno e— insomma, fa' quello che vuoi, d'accordo? Io dormirò in un'altra stanza» la informò, non staccandole gli occhi di dosso. Era evidente che fosse ancora confuso dalla sua presenza lì e che volesse chiederle il motivo.
Ophelia si mordicchiò il labbro inferiore. «Non ti senti solo in questa casa enorme?» domandò con fare ingenuo, guardandosi attorno.
La guardò come se fosse pazza. «Solo? Non lo diresti se avessi vissuto con la mia famiglia... con un'alcolizzata come Rose e con due... petulanti sorelle» borbottò, mettendo su una piccola smorfia al ricordo. «Qui posso concentrarmi sugli affari senza essere disturbato» le disse ancora, incrociando le braccia e tamburellando l'indice della mano destra sul bicipite sinistro.
La rossa annuì. «Ha senso...» si limitò a dire, ritrovandosi poi ad essere avvolta da un enorme imbarazzo e disagio.
Era capitato che stessero vicini e che parlassero (in spiaggia o al negozio) ma, in quel momento, le circostanze erano diverse, loro erano diversi. Non solo si trovavano a casa di Rafe, da soli, ma c'era anche una strana tensione dovuta alla consapevolezza che, probabilmente, fosse arrivato il momento di parlare.
Rafe la osservò per qualche secondo, grattandosi poi la nuca con fare agitato e facendo un piccolo sospiro. «Sai, non ho— non ho ancora capito per quale motivo sei qui. Hai forse bisogno di qualcosa?» le chiese, non nascondendo la sua confusione ma anche tanta diffidenza.
Era lì per lui o perché voleva qualcosa da lui?
«Come?» quasi lo guardò torva, inarcando un sopracciglio e mettendo su una smorfia.
«Lia, pensi che io sia un idiota?» fece una lieve risata frustrata. «Pensi che io non sappia esattamente — si fermò, lasciando attutire l'ondata di rabbia che lo attraversò per un secondo. Poi continuò — Esattamente quello che stai facendo?» concluse, osservandola.
Lei inclinò la testa, non smettendo di guardarlo. «Uhm, e cosa starei facendo, esattamente?» quasi lo sfidò.
«È chiaro. Hai bisogno di un posto in cui stare... o forse... forse vuoi che metta una buona parola per quegli irresponsabili dei tuoi amici? Beh, non lo farò, ok? Non vi aiuterò» chiarì con il tono di voce di chi non accettava repliche.
Ophelia sospirò: non si fidava di lei, ovviamente.
«Non te l'ho chiesto, Rafe. Ho una casa in cui andare, e di certo non verrei da te se avessi bisogno di aiuto con JJ e Pope» replicò, incrociando le braccia sotto il seno.
Rafe annuì in maniera quasi impercettibile, mettendo su un'espressione pensierosa. «Allora cosa? Ti sei ritrovata per puro caso fuori la mia proprietà? O magari, non lo so—»
«Dio, Rafe!» lo fermò, alzando di poco il tono della voce. «Deve esserci per forza un motivo che abbia a che fare con un mio tornaconto personale?» si esasperò, guardandolo.
«Beh, non so cos'altro possa giustificare la tua presenza qui» le rispose con nonchalance, facendole stringere il cuore.
Una parte di lei le suggerì di alzarsi dal letto e di andare via senza guardarsi indietro, ma ormai era lì, e tanto valeva dire ogni cosa. In fondo, non aveva nulla da perdere, no? Anzi, magari ne sarebbe uscito qualcosa di buono se avesse semplicemente detto la verità.
«Sono qui perché ho bisogno di te» ammise quindi, facendolo ammutolire.
Rafe, inizialmente, quasi rimase paralizzato dopo aver ascoltato quelle parole. La guardò e stette in silenzio, non sapendo esattamente cosa dire. Era la prima volta che qualcuno gli diceva una cosa del genere. Mai nessuno aveva avuto bisogno di lui, a meno che non ci fossero di mezzo dei favori.
A quella realizzazione, fece un profondo sospiro. «Sai, non credo tu sia nella posizione di poter venire qui a chiedermi un favore» disse piccato e con una lieve nota acida.
Ophelia scosse la testa. «Non ho bisogno di te per questo. Non voglio nessun favore, Rafe» spiegò con tono di voce stanco. «Voglio solo... voglio solo stare con te» confessò in un sussurro, abbassando poi lo sguardo.
Rafe fu invaso da insoliti brividi, gli stessi che non provava da un anno e mezzo, da quando lei non era più con lui. Si schiarì la gola, e, incerto, fece qualche passo verso di lei, accomodandosi poi al suo fianco e osservando il pavimento.
Era chiaro che, con quel gesto, avesse voluto abbassare uno dei tanti muri che aveva innalzato. Aveva diminuito la distanza, si era avvicinato a Ophelia, e una sua parte sperava che fosse davvero così, che lei volesse semplicemente stare con lui. Allo stesso tempo, però, non era in grado di fidarsi come se niente fosse.
Deglutì. «Che intendi?» le domandò con cautela, o forse desiderava solamente sentirsi dire a voce alta ogni cosa.
Lei si inumidì le labbra, rimanendo in silenzio per qualche istante mentre andava alla ricerca delle parole giuste. «Non lo so, ma... Sai, è stata una giornata schifosa, e riuscivo solo a pensare di voler stare con te» gli disse timidamente, giocherellando col bracciale al polso.
Quelle parole colpirono Rafe più del dovuto. Non si era mai sentito necessario per qualcuno, e men che meno era mai stato una sorta di rifugio per le persone. Era strano, nuovo, ma piacevole.
«Ricordi quando eri tu a venire da me? Quando dicevi che io ti tranquillizzavo?» domandò lei, immergendosi nei ricordi di quel tempo che sembrava essere così lontano.
Era assurdo il fatto che fosse passato appena un anno e mezzo, in particolare perché Rafe aveva fatto un notevole cambiamento, sia fisico che comportamentale, e sembrava un uomo rispetto al ragazzino problematico a cui lei si era avvicinata.
Lui schiuse di poco le labbra, annuendo lievemente e, come lei, ripensò a quei momenti. «Sì. Io... io lo ricordo» rispose con tono di voce basso.
«Ecco, credo che per me sia lo stesso» ammise Ophelia. «Ho sempre... cercato di trattenermi, ma ora è stato fisicamente impossibile, per me, non venire qui. Mi capisci?» chiese conferma in lui, osservandolo negli occhi con attenzione.
Rafe la guardò. Una parte di lui avrebbe voluto risponderle di no, che non la capiva, che doveva andare via, che non doveva poggiare su di lui quegli occhi azzurri in grado di farlo vacillare e di fargli dimenticare i motivi per cui ce l'aveva con lei.
Ma non poteva farlo perché la capiva, perché era stato il primo ad essersi sentito in quel modo e ad aver avuto bisogno di lei per tranquillizzarsi e per mettere a tacere tutti quei pensieri che lo tormentavano.
Deglutì rumorosamente. «Ti capisco...» mormorò alla fine, decidendo di non mentirle.
«Rafe, mi dispiace» sussurrò con sincerità, poggiando la mano sulla sua gamba e facendolo irrigidire. «Per la barca, per tuo padre... Non c'è un solo giorno in cui non mi senta in colpa, e non avrei mai voluto lasciarti alle Barbados, sul serio...» continuò, stringendo lievemente la presa senza rendersene conto.
Il ragazzo sospirò, passandosi una mano sul volto con fare frustrato. «Stai cercando di alleviare i tuoi sensi di colpa? Hai capito di aver sbagliato e ora sei qui a elemosinare il mio perdono? Cos'è? Un modo per stare bene con te stessa?» blaterò, assumendo un cipiglio e non nascondendo la diffidenza che provava nei suoi confronti.
Non poteva semplicemente crederle. Non riusciva a farlo.
«Beh, ad essere onesti sì, Rafe — disse, secca — Non ti ho mai chiesto scusa per averti buttato giù dalla barca, e sì, farlo mi allevia i sensi di colpa» confessò senza peli sulla lingua, togliendo la mano dalla sua gamba e incrociando le braccia sotto il seno.
Lui fece un sorriso amaro. «Quindi riguarda te. Nulla di tutto questo riguarda me» capì, con una velata nota di delusione.
«Riguarda anche te» lo bloccò. «Credi sul serio che andrei a chiedere scusa ad una persona di cui non mi importa nulla?» domandò retoricamente.
Rafe si strinse nelle spalle. «Non lo so. Dimmelo tu» le rispose con nonchalance.
Ophelia ruotò gli occhi al cielo. «Certo che mi importa di te, idiota, e— e mi dispiace per ogni cosa, ok? E vorrei che mettessi da parte il tuo dannato orgoglio—»
«Ah, niente orgoglio» scosse la testa, arricciando il naso.
«Ti prego, se l'orgoglio avesse un nome sarebbe il tuo» replicò, certa. Poi sospirò profondamente. «Dico sul serio, Rafe. Mi dispiace se ho fatto qualcosa che ti ha ferito» ripeté con sincerità, non staccando gli occhi dai suoi.
«Non mi hai ferito» replicò, secco.
Lei inarcò un sopracciglio. «Davvero?» lo provocò.
«Già. Non hai tutto questo potere su di me, sai?» la guardò, duro.
«Non penso—»
Rafe si rimise in piedi, scuotendo la testa. «Sai, non puoi presentarti qui a casa via e parlarmi del passato. Cos'è? Cerchi di manipolarmi? È questo— è questo che stai facendo?» prese a gesticolare.
Si stava innervosendo, si stava agitando e stava diventando nervoso. Ophelia, in qualche modo, stava riuscendo nell'intento di arrivare a lui, ed era così frustrante per Rafe, che, guardandola, riusciva solo a pensare a lei che si allontanava sulla sua barca. Eppure, lui era accomodante nei suoi confronti, ed era una cosa che Rafe odiava. Era quasi come se Ophelia, in un modo o nell'altro, avesse il totale potere su di lui e sul loro rapporto. La cosa peggiore era che al ragazzo, che da sempre voleva controllare ogni cosa, non desse fastidio. Anzi, paradossalmente, era una cosa che lo sollevava, da un lato.
Ma, dall'altro lato, era anche fottutamente spaventato. Darle il controllo, significava darle anche il potere di ferirlo, manipolarlo, prendersi gioco di lui, e Rafe non poteva permetterlo. Non dopo aver trascorso gli ultimi diciotto mesi nel tentativo di rimettere insieme i cocci (non che costruirsi una vita nuova e chiudere con il passato fosse la soluzione migliore, comunque).
«Onestamente, credo tu sia l'ultima persona che possa essere manipolata» ammise Ophelia, osservandolo.
«Esatto!» schioccò immediatamente le dita, annuendo. «Non sta funzionando. Non funziona con me. Non mi entrerai nella testa e non mi—»
«Oh mio Dio...» mormorò, fermando le sue parole. «Siediti, Rafe» lo invitò.
Il ragazzo deglutì. Sembrava quasi spaventato, timoroso di aprirsi a lei come aveva fatto un tempo e ritrovarsi nuovamente ad essere pugnalato alle spalle.
Ma si accomodò nonostante l'incertezza, guardandola negli occhi proprio come lei voleva.
«Bene» disse Ophelia. Poi sospirò. «Non sono qui per un secondo fine, ok? Avevo davvero bisogno di vederti e di stare con te» cercò di fargli capire.
In risposta, il ragazzo si passò nervosamente una mano sugli occhi. Non era solito affrontare conversazioni del genere, probabilmente perché mai con nessuna persona era arrivato a quel punto. Mai nessuna ragazza lo aveva portato ad affrontare dialoghi così profondi. Solo lei.
Rafe prese un lungo sospiro. «È che... Voglio dire, mi aspettavo qualcosa... da te» confessò finalmente, cercando di abbassare lievemente la guardia.
Non si aspettava di certo qualcosa dagli altri Pogues, ma da lei sì.
«Cosa?» chiese, guardandolo attentamente.
Rafe rimase in silenzio per qualche secondo, osservando il pavimento con espressione pensierosa, quasi come se stesse ragionando su quanto sarebbe stato saggio dirle la verità. Ma poi lo fece.
«Io— sì, sai, mi aspettavo che— che venissi da me dopo la morte di mio padre» confessò d'un tratto, iniziando a giocare nervosamente con le sue stesse dita. «Già, me lo aspettavo...» ripeté, annuendo.
Ophelia si mordicchiò il labbro inferiore. «Lo so e mi dispiace, ma... sì, insomma, ci credi i responsabili della sua morte...» mormorò.
«Questa dovrebbe essere una giustificazione?» le chiese infastidito, osservandola con un cipiglio. «Sai che sei sempre stata diversa dai tuoi amici Pogues».
A quelle parole, lei sospirò. Era vero. Rafe aveva sempre avuto un occhio di riguardo per lei, e, probabilmente una parte di Ophelia sapeva che Rafe, davanti ai suoi occhi azzurri, avrebbe ceduto.
«Credo mi sia mancato il coraggio di guardarti... Sai, guardarti negli occhi, vederti stare male... e poi c'era Sofia» cercò di spiegare, tenendo il capo chino.
«C'era solo lei» replicò, passandosi una mano sul volto. «Tutti al club sussurrano stronzate alle mie spalle, mi guardano dall'alto in basso, e lei... lei c'era» le confessò.
Ophelia annuì. Nonostante tutto, non poteva che essere felice della presenza di Sofia nella vita di Rafe. Una presenza positiva.
«Mi avresti perdonato?» domandò improvvisamente, osservandolo.
«Ti avrei perdonato. Sì, io lo avrei fatto» rispose subito, senza neanche ragionarci troppo.
Lei sospirò. «Credi che ora sia troppo tardi?» chiese ancora. «Insomma, so che per te è difficile da credere, ma non c'entriamo niente con la morte di tuo padre. Io non c'entro niente. Ma credo anche che sia compito di Sarah parlartene» aggiunse.
Rafe chiuse per un attimo gli occhi a quelle parole.
Stava cedendo, e lo sapeva. Durante quei tanti e lunghi mesi aveva fatto appello a tutte le sue forze per convincersi di odiarla, e voleva davvero farlo. L'aveva odiata e lo faceva ancora, in un certo senso. Ma ora, in piedi nella stessa stanza con lei dopo tutto quel tempo, non poteva nemmeno guardarla senza sentirsi come se stesse perdendo la presa su qualcosa che pensava di essere ormai in grado di riuscire a controllare.
Perché per quanto si sforzasse di nutrire odio nei suoi confronti a causa delle Barbados e di suo padre, non poteva negare che Ophelia Martin fosse stata la prima e unica persona ad averlo fatto sentire visto per intero nonostante gli sbagli e i numerosi errori commessi.
Non era come Sofia che non conosceva una parte del suo passato. Una parte essenziale del suo passato. E nonostante Rafe si fosse aggrappato quasi disperatamente a questo e al fatto che fosse l'unica in giro, non credeva di essere più in grado di mentire a se stesso e di nascondersi.
La verità era che l'aveva tenuta lontana perché voleva prendere le distanze dal suo passato, e così aveva creato con Sofia un rapporto fondato sull'apparenza, basato su lei che non lo conosceva per davvero. Insomma, Rafe aveva bisogno di stabilità dopo la morte suo padre, e l'unico modo, per lui, di avere un rapporto sano era quello della menzogna, perché nessuna persona con una morale sarebbe mai stata con lui dopo ciò che aveva fatto.
Ma un rapporto basato sulla menzogna non poteva di certo essere paragonato a quello pieno di intensità e di verità che condivideva con Ophelia, di cui sentiva una profonda mancanza. Forse era tossico, malato, instabile, ma era anche qualcosa di cui non credeva di poter fare a meno.
Lei era lì fin dall'inizio, e lo conosceva a trecentosessanta gradi. Non aveva mai assecondato le sue follie, gli aveva sempre sbraitato contro quando aveva commesso degli errori, e non lo faceva sentire perfetto perché non lo era. Ma era sempre stata lì e non era mai andata via nonostante questo. Anzi, il suo unico desiderio era sempre stato quello che lui migliorasse per se stesso e per loro, ma le circostanze non avevano giocato a loro favore.
Forse però era pronto a fare i conti col suo passato.
Inoltre, tolto il resto ed eliminando le questioni "Barbados" e "Ward", Rafe si rendeva conto di quanto la volesse. E forse avrebbe dovuto farlo. Mettere da parte il rancore, provare ad andare avanti proprio come lei aveva sempre fatto con ogni suo sbaglio.
«Lia, io... — si fermò, prendendo un profondo e lungo sospiro — Sono disposto a passarci sopra, se vuoi» le disse, guardandola negli occhi.
A quelle parole, lei parve illuminarsi e inchiodò gli occhi ai suoi, osservandolo per qualche secondo. Le faceva così strano rendersi conto di trovarsi lì vicino a Rafe dopo un anno e mezzo, e ancora di più realizzare che fosse disposto a perdonarla perché anche lui, in fondo, provava le sue stesse emozioni e sensazioni.
Annuì vigorosamente. «Certo che voglio» si affrettò a dire, accennando un flebile ed emozionato sorriso.
Rafe la guardò. Era la prima volta che qualcuno si mostrava così felice per il suo perdono, e quella non poteva che essere un'ulteriore conferma del fatto che lei lo volesse davvero. Con tutta se stessa.
«Tu hai sempre perdonato i miei— i miei sbagli e le cose orribili che ho fatto, quindi posso fare lo stesso... con te» le disse con tono fermo, annuendo e guardandola negli occhi.
Ophelia sentiva che di lì a poco il cuore le sarebbe esploso fuori dal petto, e mai avrebbe pensato che, un giorno, avrebbe provato una tale gioia davanti al perdono di Rafe Cameron.
Ripensava a un anno e mezzo prima, quando Rafe era uno stronzo viziato che faceva parte dell'élite delle Outer Banks e che si divertiva a torturare i suoi migliori amici. Ripensava a quando aveva tentato di uccidere sua sorella. Ripensava a quando aveva ucciso Peterkin, o a quando si era presentato allo Chateau con Barry, pieno di ira e di odio, e con una pistola fra le mani per far del male a John B e a Sarah. Ricordava di essersi nascosta da lui, su quell'albero, perché una sua parte, seppur piccola, si era chiesta se avrebbe fatto del male anche a lei.
Non poteva di certo negare che un suo minuscolo lato aveva avuto paura di Rafe, in quel momento. Eppure ora era semplicemente diverso, e per un attimo si chiese come e quando fosse successo tutto quello. Quando, esattamente, aveva iniziato a desiderare di stare con lui e di essere confortata da lui?
Aveva iniziato a vederlo, per la prima volta, quando si era presentato a casa sua dopo essere stato cacciato da Ward, ma poi aveva fatto una marea di cose orribili, rendendole impossibile stare al suo fianco per davvero. Poi le cose erano cambiate in quella stanza, quando erano stati rapiti da Carlos Singh. Lì avevano avuto il loro primo confronto, e Rafe aveva mostrato i primi segni di cambiamento, dandole l'opportunità di avvicinarsi ulteriormente a lui e di aprirgli il suo cuore. Poi aveva fuso la Croce. Altra cosa orribile. E infine si erano allontanati per diciotto mesi, per così tanto e troppo tempo, e, paradossalmente, quello non aveva fatto altro che avvicinarla a lui.
Istintivamente, e senza pensarci troppo, Ophelia gli poggiò con lentezza la mano sinistra sulla guancia, sentendosi invasa da un confortevole calore a quel contatto che non avevano da fin troppo tempo. Rafe parve sentirsi allo stesso modo, e lei lo capì dal sospiro di sollievo che gli sfuggì dalle labbra e dal fatto che sembrasse quasi appoggiarsi alla sua mano.
«Ophelia...» sussurrò, aprendo gli occhi poco prima chiusi e osservandola con bisogno, necessità.
Lei parve comprenderlo, e schiuse le labbra. «Ma Sofia—»
«Non stiamo insieme» la fermò. «Noi non... Non potevo stare con lei» continuò, scuotendo la testa.
«Perché?» domandò, sentendo il cuore andare sempre più forte.
La guardò per un istante, avvicinandosi lentamente a lei, così tanto che i respiri iniziarono a mischiarsi e i profumi ad intrecciarsi.
Fece un sorrisetto. «Oh, mi chiedi perché?» le domandò in un sussurro.
«Mh mh» annuì, totalmente alla sua mercé.
Rafe si bagnò il labbro inferiore, accarezzandole delicatamente la guancia.
«Lo sai».
Fu l'ultima cosa che disse prima di appropriarsi delle labbra di Ophelia, che gli allacciò immediatamente le braccia al collo, ricambiando senza perdere tempo. Iniziò come un bacio lento, quasi timido, ed era evidente che entrambi stessero cercando di riabituarsi a quella sensazione di cui avevano decisamente sentito la mancanza. Poi, diedero vita a un bacio più passionale, caldo e bagnato, caratterizzato da ansimi e da denti che mordicchiavano il labbro inferiore dell'altro.
Con una mossa secca, Rafe la tiro su di sé, facendola mettere a cavalcioni sulle sue gambe, e passandole il braccio dietro la vita. La tenne stretta, manifestando il suo desiderio di non volere che andasse via, mai più. Le sue mani fredde vennero a contatto con la pelle calda della schiena di Ophelia, che si ritrovò inizialmente a sobbalzare a causa dell'improvviso gelo, ma poi si rilassò sotto il suo tocco, massaggiandogli, a sua volta, la nuca e facendogli rilasciare un sospiro di sollievo.
«Sei dentro di me...» sussurrò Rafe tra i baci. «Che cosa posso farci?»
Ophelia gli sorrise sulle labbra, rendendosi conto di quanto le fossero mancati quei baci e di quanto anche Rafe, oramai, fosse dentro di lei in maniera indelebile. Era sinceramente stanca di far finta di niente, e, per la prima volta, era certa che non si sarebbe pentita di quel momento per nulla al mondo.
Improvvisamente, si ritrovò incastrata tra il petto del ragazzo e il materasso, e, in risposta, alzò di poco il bacino, facendo scontrare le loro intimità e facendolo gemere nella sua bocca. Poi, si sorrisero durante il bacio.
Era evidente che entrambi fossero al settimo cielo, quasi come se aspettassero quel momento da tutta la vita, e Rafe non riusciva a credere che lei non fosse stata sua per un intero anno e mezzo. La riteneva una cosa al dir poco assurda.
Si allontanarono per un istante, guardandosi negli occhi e chiedendosi se davvero stesse per succedere nuovamente. Era davvero assurdo pensare che nonostante il loro rapporto andasse avanti da così tanto, fossero stati fisicamente insieme solo una volta.
Poi si sorrisero e tornarono a baciarsi, consapevoli che non servisse nient'altro.
La ragazza afferrò i lembi della sua maglietta grigia, sfilandogliela velocemente e interrompendo il bacio durante quell'azione. Quando rimase nudo sotto le sue mani, Rafe si riappropriò subito delle sue labbra, lasciandosi accarezzare da quei palmi caldi, che gli toccarono le spalle muscolose e seguirono la linea dei suoi pettorali, arrivando poi alla schiena, i cui muscoli si contrassero.
Rafe abbandonò le sue labbra, scendendo a baciarle l'incavo del collo, che prese a mordicchiare e a leccare, facendola ansimare nel suo orecchio e dandogli così più motivi per continuare il suo gioco di lingua.
«La maglia, Ophelia» ansimò al suo orecchio, e solo in quel momento lei si rese conto del fatto che stesse tentando di sfilargliela.
In risposta, alzò di poco la schiena affinché potesse rimanere davanti a lui solo con il suo reggiseno di pizzo.
La guardò per qualche secondo, osservando il rigonfiamento dei suoi seni, e un ghigno si fece spazio sul suo volto. Ophelia fu curiosa di sapere a cosa stesse pensando, ma sentendo la sua erezione premere contro il suo centro, di certo non erano pensieri negativi.
Tornò a baciarle il collo poco dopo, e con le mani iniziò ad accarezzarle il seno da sopra la stoffa che lo separava dalla nudità vera e propria. Eppure, già solo quello fu sufficiente a farla impazzire e a farle alzare di scatto il bacino in modo che potesse scontrarsi nuovamente col suo rigonfiamento. Le gemette sommessamente nella bocca, e lei lo prese come un invito a continuare, e così fece, strofinandosi più e più volte contro di lui, che intanto le aveva sfilato il reggiseno e stava lavorando con il suo capezzolo turgido. Iniziò a leccarlo e a mordicchiarlo, stringendo l'altro tra il pollice e l'indice della mano sinistra.
«Rafe» ansimò vergognosamente, desiderosa che i loro corpi si fondessero in uno solo.
Le era mancata così tanto quella sensazione.
Incontrollata e bisognosa, Ophelia riuscì a raggiungere il bottone dei suoi jeans, e dopo aver tentato invano per qualche volta, riuscì finalmente a sfilarglielo, lasciandolo solo con i suoi boxer neri e la sua evidente erezione in bella vista.
Rafe le sorrise sulle labbra, apprezzando probabilmente quella sua iniziativa, e ricambiò il gesto, lasciandola solo con le sue mutandine nere. Far scontrare le loro intimità, coperte solo da quella leggera stoffa, bastò a farli eccitare ulteriormente.
Ricominciarono a baciarsi voracemente, a mordersi in modo incontrollato, e le loro lingue non facevano che rincorrersi e intrecciarsi. Ophelia gli prese il labbro inferiore fra gli incisivi, e Rafe emise un gemito gutturale prima di tornare a baciarle il collo e poi i seni.
Ma quella volta non si fermò lì. Scese più in basso, baciandole e leccandole la pancia, scendendo poi verso ventre piatto. Inaspettatamente, le baciò il centro da sopra il pezzo di stoffa, facendola gemere.
«Cazzo...» mormorò, infilandogli la mano fra i capelli fin troppo corti per essere tirati.
Rafe lo prese come un invito a continuare, e con la certezza che non sarebbe stato fermato, le sfilò gli slip, lasciandola completamente nuda davanti ai suoi occhi blu colmi di desiderio. La osservò per qualche secondo, leccandosi successivamente le labbra prima di portare una mano nel suo centro.
Ophelia inarcò istintivamente la schiena nel momento in cui Rafe le sfiorò il clitoride sensibile con l'indice, infilandoglielo successivamente dentro, seguito ben presto da un altro dito. Lei spalancò gli occhi, spingendo il bacino contro di lui in segno di invito e di apprezzamento, e lui ghignò, accontentandola e pompando velocemente in maniera regolare.
«Rafe...» lo richiamò fra i gemiti, non riuscendo più a sopportare il suo volto vicino alla sua intimità e lui immobile.
«Cosa?» domandò con occhi colmi di lussuria.
«Ti— ti prego» supplicò in maniera imbarazzante.
Era evidente che non riuscisse a parlare a causa dei gemiti e del piacere che stava provando in quel momento, ma a Rafe non servivano istruzioni. Sapeva quali punti toccare, come far impazzire una donna. Aveva mani e bocca esperte, e glielo dimostrò soprattutto quando, continuando a pompare, le baciò il pube. Lei, in risposta, spinse il bacino contro il suo volto, vogliosa di altro.
E lui l'accontentò ancora una volta, cominciando a darle piacere anche con la sua lingua esperta, succhiandole il clitoride e facendola gemere e avvampare a causa del piacere che la stava investendo ogni secondo di più. Il respiro e il battito erano oramai irregolari.
Ophelia era certa di una sola cosa: non avrebbe retto per molto, e già la sola vista di lui vicino alla sua intimità era in grado di farla scoppiare. Le gambe le tremavano e non una sola parola riusciva ad abbandonare la sua bocca. Era in totale e in completa estasi, inebriata dal piacere che Rafe le stava dando con le sue mani e la sua lingua.
Ma non bastava. Voleva sentirlo. Sentirlo per davvero.
Gli spinse leggermente indietro la testa nel tentativo di farlo allontanare, sperando che lo capisse senza dover parlare. Dopo un'iniziale resistenza, si allontanò dalla sua intimità, osservandola con i suoi occhi bramosi e lussuriosi.
«Cosa— che...» anche lui pareva non avere più la capacità di formulare frasi con un senso compiuto mentre la guardava confuso e si chiedeva perché lo avesse fermato.
Ophelia riuscì in qualche modo a farlo tornare su, e rispose alla sua confusione nel momento in cui iniziò a giocherellare con i lembi dei suoi boxer. Sentì Rafe sorriderle nell'incavo del collo, e l'aiutò a farsi sfilare l'ultimo e fastidioso indumento rimasto sul suo corpo.
Si prese del tempo per guardarlo, per ammirarlo come non aveva fatto prima, neanche durante la loro prima volta insieme, veloce, bramosa, senza alcuna dolcezza. Solo voglia di fondersi.
Ma quella volta era diverso, e non c'era bisogno di dirselo per saperlo.
E così gli carezzò ogni centimetro della pelle, partendo dalle spalle, arrivando alle braccia, passando poi agli addominali ben scolpiti e definiti, e ogni volta che lo toccava, lui ansimava e la osservava attentamente con sguardo vigile ma addolcito per il fatto che qualcuno lo toccasse con così tanta cura, come se fosse prezioso, come se valesse qualcosa, e lui si sentiva così maneggiato bene da quella ragazza che sperava di poter essere per sempre l'unico ad avere il privilegio di sentirsi in quel modo grazie a lei.
Poi un gemito soffocato uscì dalla sua bocca nel momento in cui Ophelia strinse la mano attorno alla base della sua erezione, indirizzandola verso la sua entrata. Rafe le allargò le cosce, posizionandosi meglio, e la guardò negli occhi mentre lentamente entrava dentro di lei, facendola gemere per un breve istante mentre il respiro parve fermarsi.
E poi sentì nuovamente quel calore, quella pienezza che solo lui era in grado di farle provare, e sorrise, permettendogli di affondare completamente in lei, lasciandola senza fiato.
Rafe quella volta fu dolce e inizialmente lento, come se avessero tutto il tempo del mondo, come se potessero rimanere chiusi in quella stanza per sempre. Iniziò a lasciarle baci languidi sul petto, a sfiorarle i seni, e ad aumentare pian piano ritmo e velocità.
E lei in tanto era in totale estasi mentre lui entrava e usciva, facendola sentire come se fosse la sua prima volta in assoluto. Chiuse gli occhi, mordendosi il labbro inferiore e affondando le testa nel cuscino, dandogli il completo controllo di ogni cosa.
«Guardami... Ophelia» uscì più come un gemito strozzato, ma lei capì e lo accontentò, aprendo gli occhi e trovandosi davanti quel blu oceano.
Un oceano calmo.
Rafe poggiò la fronte sulla sua, permettendo ai loro respiri di fondersi, mischiarsi, diventare un tutt'uno come i loro corpi, mentre le spinte iniziavano ad essere sempre più veloci e intense.
Quando Ophelia si sentì vicina al culmine, allacciò le gambe attorno al suo bacino, aiutandolo ad andare più in fondo, e lui l'accontentò, afferrando poi una sua mano e facendo in modo che le loro dita si intrecciassero, affondando nel cuscino.
Erano sudati, allo stremo delle loro forze, ma colmi di desiderio, e si unirono in un bacio disordinato, fatto essenzialmente di lingue calde e bagnate, e di gemiti soffocati nella bocca l'uno dell'altra.
Poi Rafe colpì un punto. Il punto esatto che le fece spalancare gli occhi e immergere nel piacere più totale, e lui parve capirlo, motivo per cui iniziò ad insistere e ad andare più in fondo proprio lì, lasciandola ancora di più senza fiato mentre ogni muscolo di lei iniziò ad irrigidirsi, e una sensazione nel basso ventre le fece capire che sarebbe esplosa di lì a poco.
«Ra—»
Non completò mai il suo nome perché raggiunse il culmine proprio in quell'esatto momento, spalancando gli occhi e svuotandosi mentre lui continuò con qualche altra spinta fin quando non venne. Respirò a bocca aperta per qualche istante prima riversarsi e caderle sul corpo sudato tanto quanto il suo.
Entrambi senza fiato, chiusero gli occhi mentre i loro petti facevano su e giù velocemente, e Rafe non sembrava intenzionato a staccarsi da lei. Piuttosto, si accomodò meglio sul suo petto, poggiando il capo fra i suoi seni, e chiudendo gli occhi.
«Cazzo, mi era mancato...»
Lei sorrise dolcemente a quelle parole, iniziandogli ad accarezzare la schiena e facendolo rilassare sotto il suo tocco delicato. Rimasero in silenzio per un po', riprendendosi dal momento che avevano appena condiviso, ma entrambi felici per il fatto che fosse accaduto e che, in qualche modo, avessero finalmente chiarito.
Ophelia sospirò, credendo di non essersi mai sentita così felice come il quel momento.
Questo capitolo è nato assolutamente per caso e non sarebbe dovuto esserci, in quanto la mia idea era quella di farli chiarire in Marocco, ma poi ci ho ripensato e, non so, credo che dopo tutto quello che hanno trascorso, si meritassero un momento del genere, che sicuramente non avrebbero potuto condividere durante la missione. Volevo che parlassero e comunicassero, e volevo che lo facessero qui, lontano dagli altri.
Inoltre, se li avessi fatti chiarire in Marocco, probabilmente avrei dovuto inserire il loro chiarimento durante quello di Rafe e Sarah, e boh, quel momento fra i due fratelli è stato così toccante che non mi andava di "togliergli di intensità", e volevo che fosse un momento solo loro.
QUINDI NULLA, eccoli qui che chiariscono 😭😭 Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi piace oppure no, anche perché, sono sincera, non mi convince al cento per cento, ma sono un'indecisa cronica di natura, quindi idk 🤷🏻♀️🤷🏻♀️
Altra cosa importante: come nella serie, Sofia non è assolutamente un personaggio negativo, e non mi andava neanche di trasformarla in una specie di "rivale" di Ophelia. Penso davvero che Sofia sia una bella persona, e non mi va di sminuire il suo rapporto con Rafe, quindi, anche nella storia, lei è una persona di cui lui si fida e a cui tiene nonostante tutto.
ps, scusate se non sto pubblicando quasi tutti i giorni come prima, ma mi sto godendo le feste con la mia famiglia 🫶🏻
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