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065 ti fa visita chi meno ti aspetti

capitolo sessantacinque
( ti fa visita chi meno ti aspetti )





Ophelia si era ritrovata ad affrontare numerose situazioni spiacevoli da quasi due anni a quella parte, ma mai avrebbe pensato che un giorno, insieme ai suoi amici, si sarebbe trovata a ripulire la cucina di casa sua impregnata di sangue, e a dover spostare un cadavere mentre la polizia era fuori e desiderava entrare. Nonostante l'incertezza e l'indecisione iniziale, si erano poi affrettati a ripulire il pavimento con l'ansia e l'agitazione piuttosto palpabili. Inoltre, avevano anche spostato il cadavere di Terrance dietro il divano, e ora non potevano che sperare che Shoupe, che aveva espresso il suo desiderio di parlare solo con JJ, non lo notasse.

Si trovavano in giardino, tutti con il nervosismo a fior di pelle, e Ophelia, nel frattempo, ripassava con la mente i passaggi svolti all'interno dell'abitazione. Onestamente, aveva paura che, a causa dell'agitazione, avessero saltato qualche passaggio o avessero dimenticato di pulire un determinato punto, ma aveva la mente che non riusciva a ragionare in maniera lucida, in particolare se pensava al fatto che in casa sua ci fosse un dannato cadavere, e che, allo stesso tempo, dentro ci fosse anche un poliziotto.

Non sapeva esattamente per quale motivo Shoupe si trovasse lì e perché avesse voluto parlare proprio con JJ, ma poteva solo riporre fiducia nel suo amico, certa del fatto che avrebbe fatto ogni cosa per distrarre il poliziotto e per non fargli cadere l'occhio sul cadavere nascosto dietro il divano.

Da quanto avevano capito, Terrance era stato assunto da degli uomini (ex galeotti, mercenari, assassini) per trovare l'amuleto, e aveva accettato senza sapere che però fosse coinvolta Cleo. Quando Lightner, cioè lo stesso uomo che avevano visto al molo e che JJ aveva colpito col fucile subacqueo, aveva poi cercato di uccidere la ragazza, Terrance si era messo tra di loro, finendo per morire. Lightner aveva poi rubato il ciondolo poco prima portato da Pope, che era stato chiamato proprio da Cleo sotto minaccia dell'uomo.

La ragazza, dal canto suo, era paralizzata da quelle che sembravano ore, e Ophelia sentiva il cuore stringersi in una morsa ogni volta che la guardava. Aveva il volto impregnato di lacrime, e sembrava un involucro senza anima, con degli occhi quasi vacui. Non l'aveva mai vista in quello stato, sul serio. Cleo era la ragazza più forte e tosta del gruppo, e vederla in quel modo le faceva contorcere lo stomaco. Ciononostante, riusciva a comprenderla. Conosceva Terrance da quando aveva tredici anni e l'aveva praticamente cresciuta lui. Era l'unica figura genitoriale che avesse mai avuto, ed ora quell'uomo era stato ucciso davanti ai suoi occhi a sangue freddo.

L'unica cosa positiva della giornata erano le ricerche di Pope sull'amuleto. Grazie al signor Sunn, a cui si era rivolto, aveva capito di dover controllare tutti i posti in cui era stato Barbanera, e si era così diretto al Museo Sulla Storia Dei Pirati, dove c'era una mostra sul pirata. Lì era riuscito a decifrare la prima parte dell'iscrizione sull'amuleto, cioè quello sulla mezza luna. Aveva infatti detto ai ragazzi che si riferiva al blocco di Charleston. A quanto pareva, Barbanera aveva scaricato qualcosa alla Half-Moon Battery (una vecchia struttura a forma semicircolare, cioè di mezza luna), nascondendo qualcosa a Charleston.

Senza dubbio, avevano voglia di saperne di più, ma non riuscivano di certo a nascondere la loro agitazione, soprattutto dopo la morte di Terrance, che sembrava aver avuto un grande impatto sull'intero gruppo. Insomma, anche se il cattivo del passato Ward Cameron non aveva le mani pulite, faceva del male alle persone solo per motivi personali. L'uccisione di Terrance, invece, dimostrava quanto fosse pericolosa la ricerca del tesoro in cui erano coinvolti, in particolare perché il loro attuale nemico non si curava della perdita di vite umane, uccidendo anche chi non aveva nulla a che fare con la caccia al tesoro.

Una cosa era certa: la posta in gioco si era senza dubbio alzata, e i Pogues dovevano restare uniti ancora più di prima.

«Cosa ci fa lei qui?» fu la voce di Sarah a destarla dai suoi pensieri.

Inizialmente non capì di cosa stesse parlando e a chi si stesse riferendo, ma quando seguì la traiettoria del suo sguardo, si ritrovò ad assumere un'espressione al dir poco perplessa. Sofia, infatti, si stava avvicinando a loro con passo incerto e con gli occhi puntati su di lei.

Ophelia aggrottò le sopracciglia, e la prima cosa a cui riuscì a pensare era che fosse successo qualcosa a Rafe. Si drizzò, aspettando che li raggiungesse. Quando lo fece, li salutò con un tenero ma imbarazzato sorriso mentre tutti loro la osservavano con perplessità.

«Uhm... tutto ok?» domandò la rossa, cercando di non far trasparire la sua ansia.

Sofia annuì. «Possiamo... possiamo parlare?» le chiese, ma sembrava quasi la stesse supplicando.

Ophelia sbatté le palpebre per qualche secondo, ancora più confusa, ma alla fine decise di avvicinarsi a lei e di seguirla, allontanandosi dai ragazzi che le osservavano straniti.

Nessuna delle due parlava mentre camminavano vicine ma mantenendo sempre una certa distanza. Era senza dubbio imbarazzante per entrambe: pur non odiandosi, attualmente Sofia stava con Rafe, che aveva vissuto qualcosa con Ophelia. Ecco, quello metteva entrambe le ragazze a disagio.

Dopo un po', rossa si schiarì la voce. «È successo qualcosa a Rafe?» chiese immediatamente, fermandosi e poggiando gli occhi sulla ragazza.

Quest'ultima fece lo stesso prima di scuotere la testa. «No. Lui... lui sta bene» le rispose, facendole rilasciare un sospiro di sollievo che non passò per nulla inosservato a Sofia. «È che... — si fermò per qualche secondo, forse andando alla ricerca delle parole giuste — Ho bisogno di parlarne con qualcuno che conosce Rafe» le disse, poi.

Ophelia assunse un cipiglio, ma annuì. «Ha fatto qualcosa?» domandò.

«No» scosse la testa, stringendosi in un abbraccio e abbassando lo sguardo. «Sono io ad aver fatto una cosa di cui mi pento» confessò.

A quelle parole, la rossa iniziò a vacillare. «Cosa, esattamente?» chiese in modo cauto.

Sofia rimase in silenzio per qualche secondo. Aveva il volto che esprimeva senso di colpa e rammarico. «Ho convinto Rafe a fare una cosa» iniziò, e a Ophelia fu evidente che non volesse entrare nei dettagli, così si limitò ad annuire, invitandola a continuare con lo sguardo. «Sono stata pagata per farlo» disse velocemente.

La giovane Martin si irrigidì e ci mise qualche secondo per metabolizzare le parole di Sofia. La realizzazione che, in qualche modo, anche lei avesse "manipolato" e "tradito" Rafe le fece più male del dovuto. Non conosceva le dinamiche e non sapeva di cosa stesse parlando, ma l'avevano pagata, e questo non era da ignorare.

«E tu l'hai convinto per... soldi?» la guardò, cercando di non far trasparire il suo disgusto. Non la giudicava, ma credeva che fosse veramente orribile pugnalare qualcuno alle spalle per soldi — o forse era solo di parte perché si trattava di Rafe Cameron.

«No, io... Inizialmente non ho accettato, ma poi ha detto a Ruthie e a Topper che solo perché... scopiamo non significa che stiamo insieme, e che non starebbe mai con una Pogue, e—»

«E hai accettato, accecata dalla rabbia e dalla delusione» concluse per lei Ophelia, sentendo i lineamenti del suo volto addolcirsi davanti alla realizzazione che Sofia non lo avesse fatto con l'intenzione di ferire Rafe. L'aveva fatto perché era stato prima Rafe a ferire lei.

«Sì» rispose in un sussurro.

«Rafe non pensa sul serio la maggior parte delle cose che dice. È che vuole essere accettato» cercò di farle capire. «Non lo sto giustificando, ma—»

Sofia la interruppe. «So che pensa queste cose, Ophelia» le disse, facendola accigliare. «Insomma, so che tiene a me, ma so anche che non starebbe mai con me» si affrettò a dire.

«Credevo che foste una coppia» mormorò la rossa.

«Difficile essere una coppia quando uno dei due ama un'altra persona, non credi?» le domandò con fare retorico, mettendo su un debole e triste sorriso.

Ophelia deglutì rumorosamente. «Sofia, tra me e Rafe non c'è più niente. L'hai visto anche tu, no? Lui ci crede i responsabili della morte di Ward» le fece presente, scuotendo la testa.

«Ma questo non gli impedisce di tenere a te, anche se tenta di nasconderlo» replicò lei. «So che vuole chiarire con te e Sarah, ma è troppo orgoglioso per farlo» continuò.

«Te l'ha detto lui?» domandò debolmente.

Sofia sospirò. «Il fatto che la notte guardi le sue foto o la tua bandana la dice lunga, non credi?»

Quelle parole la colpirono profondamente. Rafe voleva chiarire con lei e con Sarah, eppure era bloccato dal suo orgoglio e dalla convinzione che avessero ucciso Ward. Realizzarlo le creò un magone allo stomaco.

«Voglio il meglio per Rafe, e faccio di tutto per stargli accanto, soprattutto perché non ha nessun altro... ma so anche che ha un passato che io non conosco. So che avete legato mentre lui attraversava i suoi momenti più bassi, e per questo il vostro legame sarà sempre più profondo di qualsiasi altro legame Rafe possa mai sviluppare con un'altra ragazza, e va bene, sul serio. Io— io lo amo, ma lui non è mio...» riprese a parlare Sofia, e più lo faceva, più Ophelia sentiva i suoi occhi inumidirsi.

Sospirò profondamente, mandando giù il groppo che lei si era formato in gola. Se alla lei del passato avessero detto che un giorno si sarebbe ritrovata in quella situazione, sarebbe scoppiata a ridere. Credeva davvero che fosse tutto assurdo: Sofia che andava da lei, che le parlava di Rafe, che ammetteva di essere consapevole del fatto che loro avessero un legame profondo e sincero, e che, soprattutto, ammetteva di essere consapevole del fatto che Rafe volesse lei. Eppure Ophelia non poteva ignorare la realtà dei fatti: Rafe stava con Sofia, e le bastava sapere quello.

«Senti... — riprese parola — Questa cosa che gli hai convinto a fare è pericolosa?» cambiò discorso, focalizzandosi sul vero motivo per cui Sofia era lì.

La ragazza scosse la testa. «No. Mi hanno assicurato che è una cosa sicura. Volevano solo che lui accettasse» si affrettò a rispondere.

Ophelia arricciò il naso. «È strano. Insomma, ti hanno addirittura pagata affinché tu lo convincessi ad accettare...» mise su un'espressione pensierosa.

«Dici che è una cosa pericolosa?» Sofia si agitò mentre i suoi occhi venivano attraversati da scie di preoccupazione.

«Non lo so, ma non mi fiderei» ammise prima di fare un profondo sospiro. «Senti, devi— devi dirgli la verità. Rafe non lo merita. Se questa cosa dovesse rivelarsi "pericolosa"... lui non la prenderà bene, capisci? Si fida di te. Ha solo te, Sofia» la guardò attentamente negli occhi.

Neanche voleva immaginare come si sarebbe sentito Rafe davanti alla realizzazione di essere stato tradito ancora una volta, di essere stato tradito dall'unica persona che gli era rimasta. Ophelia sperava con tutta se stessa che non si trattasse di qualcosa di pericoloso, ma questo non toglieva il fatto che Sofia dovesse parlarne con lui e dirgli la verità. Aveva comunque agito alle sue spalle per soldi, e nonostante tutto, Rafe non lo meritava.

«Forse sono ancora in tempo» mormorò Sofia. «Sai, magari non ha ancora accettato» tentò di convincere più se stessa che Ophelia.

Quest'ultima annuì vigorosamente. «Va' da lui a dirglielo, allora. Se non vuoi dirgli la verità, cerca di fargli cambiare solo idea» le consigliò.

La castana fece un sospiro prima di guardarla e accennare un sorriso. «Tieni ancora a lui, vero?» le chiese dolcemente.

«Insomma, non lo nego...» si limitò a dire, sentendosi piuttosto a disagio a sfogarsi proprio con lei. Allo stesso tempo, non desiderava mentirle.

Sofia la guardò per qualche secondo prima di sorriderle nuovamente e guardarsi attorno. «Bene, allora io... io vado. Grazie» le disse.

«Convincilo a cambiare idea» quasi la supplicò.

«Ci proverò» le rispose prima di girare i tacchi e andare via sotto il suo sguardo angosciato.

Rimase lì ferma per qualche secondo, ripensando alle parole di Sofia e sentendo il cuore perdere un battito. Sperava sul serio che dicesse la verità a Rafe, e, nel peggiore dei casi, sperava che questa "cosa" non fosse pericolosa. Rafe si fidava di Sofia, e, probabilmente, l'ennesima pugnalata alle spalle non avrebbe fatto altro che distruggerlo ancora di più. Allo stesso tempo, si chiese quanto sarebbe stato saggio andare lei stessa da lui, e sebbene una sua parte volesse farlo, l'altra parte le consigliò di non immischiarsi e di lasciar fare a Sofia, che tutto era meno che una cattiva persona. Di certo, non si poteva presentare improvvisamente da Rafe per dirgli che la sua "ragazza" era stata pagata affinché lo convincesse a fare "qualcosa". Insomma, non aveva neanche ben chiare le dinamiche e di cosa effettivamente si trattasse. Poteva solo sperare che Sofia gli dicesse la verità.

Sospirò profondamente, trovando finalmente il coraggio di tornare dai suoi amici al molo, che continuavano a guardarla con curiosità, ma prima che uno di loro potesse farle anche una sola domanda, la porta di casa venne aperta e Shoupe uscì dall'abitazione con JJ al suo seguito.

«Che cos'ha detto?» fu la prima cosa che domandò Kiara quando il biondo li raggiunse velocemente.

«Che cosa voleva?» aggiunse John B.

JJ si accertò che Shoupe andasse via, e quando vide la volante allontanarsi, si concentrò sui suoi amici. «Tutto bene... Più o meno».

«Ha trovato il cadavere o no?!» strepitò Pope.

«Se lo avesse trovato, non se ne sarebbe andato» gli fece presente Ophelia, guardandolo.

Il moro arricciò il naso. «Giusto. È che questa situazione mi rende un po' agitato» replicò.

«Non ha trovato Terrance» confermò JJ.

«Perché voleva parlare con te senza di noi?» chiese Sarah, visibilmente confusa.

«Uno dei Kooks ha fatto un video mentre minacciavo di ucciderli in spiaggia, quindi lui voleva...»

«Oh mio Dio» mormorò Pope, passandosi una mano sul volto esausto.

«Per questo?» la bionda spalancò gli occhi.

«Sì, e perché ho distrutto la camera iper— Non importa. Non ha visto Terrance, e questo è l'importante, ok?» JJ li guardò uno ad uno. «Ma c'è qualcos'altro» aggiunse.

«Cioè?» Ophelia lo invitò a parlare.

«Crede che Genrette sia stato ucciso, che si tratti di omicidio, e che noi c'entriamo qualcosa. Io gli ho detto che eravamo molto distanti da casa sua» li informò.

«E ti ha creduto?» domandò Kiara, visibilmente agitata.

«Ovvio. Dai, Kiara, io so mentire bene, e Lia dice sempre che sono il migliore a dire cazzate, quindi ci ha creduto, ok?» disse con tono ovvio, facendole accigliare mentre Pope sembrava vicino ad una crisi isterica. «Non l'ha visto, Pope. Non ti devi preoccupare. Ehi, ascolta — gli si avvicinò, costringendolo a guardarlo — Sei stato in gamba, tranquillo. Non c'è niente di cui preoccuparsi» cercò di fallo tranquillizzare, e il ragazzo, in risposta, osservò i suoi amici con preoccupazione.

Ophelia era davvero esausta del fatto che venissero sempre accusati di cose che non avevano fatto, e neanche riusciva a capirne il motivo. Insomma, non erano gli unici Pogues in giro, quindi perché la colpa ricadeva sempre su di loro? Come se non bastasse, avevano un cadavere in casa, ed era anche abbastanza certa che Shoupe non avesse creduto a JJ. Certo, il ragazzo sapeva mentire molto bene, ma lo sceriffo non si lasciava facilmente abbindolare da qualcuno, in particolare se quel qualcuno era un Pogue. O meglio, se quel qualcuno era JJ Maybank, che non aveva affatto una buona nomea.

Decisero di mettere da parte la questione "Shoupe" nel momento in cui guardarono Cleo, che era senza dubbio la loro priorità. Non parlava da ore, e continuava a rimanere ferma e con gli occhi spalancati. Si occuparono di lei per tutta la giornata, standole vicino e dicendole parole di conforto. Le ragazze le prepararono anche la sua tisana preferita. Solo quando arrivò la sera e tutti si riunirono in veranda, sembrò essersi più o meno ripresa dallo shock.

«Per prima cosa, dobbiamo pensare a Terrance» fu la prima cosa che disse, continuando a conficcare il suo pugnale sul tavolino di legno. «Non possiamo lasciarlo qui. Non mi sentirei a posto con la coscienza» aggiunse, facendo annuire i suoi amici.

«Ha ragione, non possiamo abbandonarlo» concordò John B. «Ma poi dovremmo tutti andare via da qui, ok? Facciamo un viaggio» disse, piazzandosi davanti a JJ.

Quest'ultimo lo guardò stralunato. «Cosa?»

«Sì, fare un viaggio quando siamo sospettati di omicidio è la cosa più intelligente da fare, John B. Di certo non darà a Shoupe altri motivi per dubitare di noi» replicò Ophelia ironicamente, stringendosi le ginocchia al petto e scuotendo la testa.

Kiara annuì. «Oltretutto, non sappiamo neanche dove andare» fece presente.

«Charleston — intervenne Pope — Come vi ho detto, forse la Stella Polare e la Half-Moon Battery si riferiscono a Charleston» ricordò ai suoi amici.

«E se arrivassimo prima di loro, avremmo una possibilità» continuò John B. «Pensateci, non abbiamo altre opzioni. Che cosa facciamo?» li guardò, nervoso.

«In che senso "non abbiamo altre opzioni", John B?» si esasperò Kiara.

«La zonizzazione. Perderemo Poguelandia

«John B, hanno ucciso Terrance! È tutto molto, molto più grande di noi!»

«Lo so, Kiara, ma non abbiamo altra scelta. Partiremo domattina» concluse. «Ehi, JJ? — gli mise una mano sulla spalla — Voglio il Twinkie pronto per l'alba».

«Ok...» si arrese il ragazzo, annuendo.

John B guardò gli altri. «Noi invece penseremo a Terrance. Ci vediamo qui alle sette del mattino. Il traghetto è alle otto. Andremo a Charleston» diede le direttive. «D'accordo, Cleo?» si rivolse alla ragazza.

Lei osservò il suo pugnale per qualche secondo. «E lì potremmo trovare l'uomo che ha ucciso Terrance. Molto bene» si limitò a dire, visibilmente desiderosa di vendetta.

Ophelia sospirò profondamente. Il ragionamento di John B non faceva una piega: probabilmente avrebbero perso Poguelandia, e, come se non bastasse, Shoupe credeva che c'entrassero qualcosa con la morte di Wes Genrette. Partire non avrebbe fatto altro che dargli ulteriori conferme, ma restare, probabilmente, sarebbe stato peggio per loro. Forse dirigersi a Charleston e andare alla ricerca della Corona Blu, restando lontani dalle Outer Banks per un po', era la cosa migliore da fare. Se Pope avesse avuto davvero ragione sulla Half-Moon Battery, ci sarebbe stata una possibilità di salvare la loro casa e di non tornare come prima. A ragionamenti conclusi, era l'unica cosa che potessero fare.

Così si adoperarono per preparare i loro zainetti, infilandoci all'interno tutto il necessario. La mattina successiva, alle sette, si concentrarono sul cadavere di Terrance. Lo avvolsero in un lenzuolo, lo caricano su una carrucola e poi lo portano in barca.

«Ehi, ci stanno seguendo» li avvertì Pope poco dopo che si allontanarono dal molo.

Voltandosi, videro in lontananza una piccola barca che sembrava essere della polizia.

«Seminiamolo. Ha una barca piccola» rispose Kiara.

John B annuì prima di accelerare, non permettendo all'agente di stargli dietro. Pochi minuti dopo, non c'era più traccia della barca alle loro spalle.

Arrivarono a largo, nel bel mezzo dell'oceano. Lì, i due ragazzi si aiutarono per mettere il corpo di Terrance sul bordo della barca. Rimasero tutti in silenzio, aspettando che Cleo prendesse parola e dicesse addio all'uomo.

«So voi non conoscevate bene Terrance, ma lui si è sempre preso cura di me. Era come un padre per me, e... gli volevo bene. Mi mancherà molto...» disse la ragazza sotto lo sguardo rammaricato dei suoi amici. «Non dimenticherò chi ha fatto questo. Sarai vendicato» promise con tono di voce fermo e serio.

Ophelia si morse il labbro inferiore, lanciando una veloce occhiata alla sua amica. Comprendeva il suo stato d'animo e giustificava la sua sete di vendetta, ma era anche consapevole del fatto che spesso quella rabbia non facesse altro che deteriorare la persona che la provava anziché il vero nemico. Sperava che Cleo non si facesse avvolgere da quell'ira, in particolare perché non portava mai a niente di buono.

Dopo un cenno, John B e Pope lasciarono cadere il corpo di Terrance nell'oceano.

«Mi dispiace...» sussurrò Pope.

Cleo lo guardò. «Dispiace sempre a tutti, ma non cambia mai niente» replicò risentita, andandosi ad accomodare a prua, lontano da loro.

Ophelia fu colpita, un'altra volta, dalla realizzazione di quanto fosse pericolosa la situazione in cui si stavano immergendo andando alla ricerca della Corona Blu. I loro nemici non erano nemici normali: erano assassini, ex galeotti e mercenari, e non si sarebbero fatti alcun problema ad uccidere uno di loro.

Era una caccia al tesoro diversa dalle altre, ma era anche la loro unica possibilità.

Quando tornarono a casa, notarono immediatamente l'assenza di JJ, e l'attenzione di Ophelia venne richiamata da un biglietto incastrato nei tergicristalli del Twinkie. Titubante, l'afferrò, riconoscendo la scrittura disordinata del suo amico.

«Cos'è?» le chiese John B, curioso.

«"Ho fatto il pieno, ma devo fare una commissione. Andate a Charleston senza di me. Vi raggiungo dopo, JJ"» lesse a voce alta, arricciando il naso e guardando i suoi amici.

«Da quando JJ fa commissioni?» domandò Sarah, perplessa.

«Mai fatte» rispose Kiara, che stava provando a chiamarlo.

«Niente, Kiara?» le domandò il castano.

Lei scosse la testa. «Non risponde».

«Ottimo. Che facciamo adesso?» prese parola Pope.

«Beh, ci ha detto di andare — fece presente Cleo, spinta dalla voglia di uccidere Lightner — Dobbiamo andare» concluse.

«Andate voi. Io resterò qui e magari vi raggiungeremo dopo» li guardò Kiara.

Ophelia si schiarì la gola. «Resto con Kiara, così ci dividiamo equamente. Meglio due che uno ora che ci sono quelle persone in giro» disse, affiancando la sua amica.

«Sì, così terremo anche il negozio aperto» annuì la riccia.

«Buona idea, ragazze» replicò John B. «Ma state attente, ok?» si raccomandò, facendole annuire.

I quattro ragazzi salirono sul Twinkie, pronti a raggiungere il traghetto e poi Charleston, mentre Kiara e Ophelia rimasero lì, entrambe con il cellulare in mano nel tentativo di contattare JJ.

«A volte mi chiedo perché diavolo mio padre gliene abbia comprato uno. Non lo usa mai» borbottò la rossa quando sentì la sua segreteria per l'ennesima volta.

Kiara sospirò profondamente. «Ho una strana sensazione» ammise, assumendo una smorfia.

«Dici che si sta cacciando in qualche guaio?» le chiese, preoccupata.

«Sarebbe strano?» domandò retoricamente.

«Per niente — ammise — Ma sappiamo anche che sa cavarsela. Non è stupido. Probabilmente sta facendo qualcosa di importante» aggiunse.

«È questo che mi preoccupa. Cosa può mai esserci, per JJ, di più importante di una caccia al tesoro? E se fosse in pericolo?» iniziò ad agitarsi.

Ophelia le andò vicino, mettendole le mani sulle spalle per guardarla negli occhi. «Kie, ehi. La calligrafia è la sua, quindi non è in pericolo, ma se andarlo a cercare può farti tranquillizzare, va' pure, ok? Resto io qui» le sorrise dolcemente.

«È che sono così preoccupata...» mormorò.

«Va'» ripeté. «Puoi passare da me a prendere le chiavi della Volvo. Chiedile a mio padre. Dovrebbe trovarsi a casa» continuò.

Kiara annuì a quelle parole. «Ok, d'accordo. Grazie, Lia» alzò flebilmente l'angolo destro della bocca.

«Tranquilla. Ci teniamo in contatto» le indicò il telefono, facendola annuire.

Ophelia guardò Kiara andare via, e, subito dopo, andò a recuperare un coltello prima di dirigersi verso il negozio. Doveva ammetterlo, non era per nulla tranquilla se pensava di essere da sola mentre in giro c'erano dei mercenari, e non poteva che sperare che non tornassero da loro, in particolare perché non avevano più nulla che potessero volere, ed era anche abbastanza certa che stessero lavorando sulla traduzione dell'iscrizione sull'amuleto, quindi, probabilmente, avrebbero dato un po' di tregua ai ragazzi.

Oltretutto, non la esaltava neanche l'idea di andare a Charleston e di rischiare di morire, motivo per il quale si ritrovò a sperare che non succedesse nulla ai suoi amici, e che tornassero sani e salvi.

Sospirò profondamente, dedicandosi al lavoro per mettere a freno i pensieri. Si ritrovò a rispondere alle chiamate e a occuparsi di qualche cliente, riuscendo, almeno in parte, a non pensare all'assurda situazione in cui si trovavano. Nel frattempo, di tanto in tanto, si scambiava messaggi con Kiara, che, anche a distanza di ore, non sembrava aver trovato JJ da nessuna parte nonostante avesse girovagato per tutte le Outer Banks.

Ecco, quello si aggiungeva senza dubbio alla lista delle "cose di cui preoccuparsi". Insomma, JJ non era solito sparire per delle ore senza dare notizie a nessuno, in particolare se l'alternativa era quella di andare a Charleston alla ricerca di un prezioso manufatto. Oltre che chiamarlo e mandargli messaggi, però, non poteva fare altro che rimanere lì ad aspettare e a sperare che Kiara riuscisse a trovarlo o a mettersi in contatto con lui.

La sua attenzione venne attirata da un rumore di passi. «Un momento e sono da lei» disse, affrettandosi a scrivere l'ultimo messaggio a JJ per chiedergli dove fosse finito.

«Tranquilla, non ho fretta» Ophelia alzò di scatto la testa quando riconobbe la voce di Rafe, lì fermo sull'uscio della porta a osservarla con un sorriso sarcastico in volto. «Ciao, Lia» la salutò.

La ragazza deglutì rumorosamente, lasciando perdere il telefono e concentrandosi solo su di lui. «Ehi... Cosa— cosa ci fai qui?» domandò confusa, ignorando il battito accelerato del suo cuore.

Rafe fece un passo in avanti, cominciando a vagare all'interno del negozio e guardandosi distrattamente attorno. «Ehm... non potrei essere soltanto un normalissimo cliente che è venuto a fare compere nel suo negozio di esche di fiducia?» chiese, rovistando nella ceste delle cime.

«Vuoi una risposta sincera, o...» non completò la frase, strappandogli un altro mezzo sorriso.

«A volte dimentico quanto tu sia perspicace» replicò, avvicinandosi al bancone.

«Non bisogna di certo essere perspicaci per capire che non sei qui per comprare» disse a sua volta, incrociando le braccia sotto il seno e osservandolo. «Tutto ok? Hai bisogno di qualcosa?»

«Uhm... cercavo te e mia sorella. Dov'è?»

«È fuori con John B — rispose — Ci cercavi per quale motivo, mh? Per chiacchierare, forse?»

Rafe smise di prestare attenzione agli attrezzi da pesca e la guardò. «È mia sorella. Posso venire a chiacchierare con lei quando voglio. E tu sei...» si fermò, assumendo un'espressione pensierosa.

«Io sono?» lo invitò a continuare, curiosa.

«Beh, non so come definirti? Una ex? Ma non siamo mai stati insieme... Mh... Non ne ho idea, sai?»

«Oh, sei venuto qui per discutere su quale sia l'etichetta da dare al rapporto che abbiamo avuto?»

Lui si strinse nelle spalle, continuando a camminare nel negozio senza una meta esatta. «È triste non dare un nome a qualcosa, non credi?» le lanciò una veloce occhiata.

Ophelia sospirò profondamente. Anche lei lo pensava, e spesso si ritrovava ad odiare il fatto di non poter dare un nome a ciò che aveva vissuto con Rafe. Sembrava quasi come se fosse stato qualcosa di non concreto. Allo stesso tempo, le faceva paura anche la parola ex. Solitamente si riferiva a due persone che erano state insieme ma che poi avevano chiuso. Due persone che, semplicemente, condividevano un passato e basta. Ma erano anche due persone che sarebbero potute tornare insieme se solo avessero voluto entrambe.

«Lo sai che ha le ore contate questo posto, vero?» la voce di Rafe la destò dai suoi pensieri.

Mise su un sorriso falso. «Che notizia che mi stai dando, Rafe. Anzi, sai, questa domanda mi fa pensare che tu possa c'entrare qualcosa. È così?» gli chiese, curiosa.

A dirla tutta, una parte di lei avrebbe voluto dirottare la conversazione da tutt'altra parte e indagare sulla questione "Sofia" per cercare di capire se lei gli avesse detto qualcosa, ma le sembrava che Rafe stesse bene, quindi probabilmente era andato tutto per il meglio. Allo stesso tempo, l'altra sua parte voleva semplicemente parlare con lui senza tirare in ballo Sofia, e decise di dare ascolto a quest'ultima.

«Ehm... potrebbe anche essere, ma no, non è così» lui scosse la testa.

«Immagino ti dispiaccia non essere la causa della possibile chiusura di questo posto» replicò, non staccandogli gli occhi di dosso.

«Sai, in realtà mi ferisce il fatto che tu creda che io voglia mandarvi, mandarti in mezzo ad una strada» le rispose a sua volta, e nonostante il tono velatamente ironico, Ophelia riuscì a scorgere un po' di serietà nelle sue parole.

Lei scrollò le spalle. «Era una semplice supposizione» si limitò a dire.

«D'accordo — liquidò la questione — Ehm... in realtà voglio aiutarvi. Sto cercando di farvi un favore, di essere migliore e di essere un buon fratello e una buona... persona con cui condividere dei ricordi» aggiunse, facendo un passo verso di lei.

Ophelia ignorò i brividi provocati dalle sue ultime parole. «Oh, davvero carino da parte tua» rispose con ironia pungente.

«Ti ringrazio. Ma è evidente che ti sto facendo arrabbiare anche se voglio solo aiutarti» mise su una finta espressione ferita.

«Uhm, non sono arrabbiata. Apprezzo il tuo aiuto. In cosa consiste, esattamente?» domandò, curiosa.

Rafe, in risposta, tirò fuori un piccolo foglietto rettangolare. «Tieni, il mio biglietto da visita. Tu e Sarah potete chiamarmi» glielo passò.

Ophelia lo afferrò, lanciando una veloce occhiata all'indirizzo e al suo numero. «CEO... Ti stai dando da fare. Tutti quegli affari immobiliari. Hai anche costruito quell'appartamento sulla Bayline. Il terreno riqualificato...» elencò lei con una nota di orgoglio nel tono della voce.

Non aveva mai smesso di seguire i progressi di Rafe, anche se avevano smesso di frequentarsi. Anzi, era piuttosto fiera di lui e di ciò che stava facendo. Era consapevole del fatto che il suo più grande desiderio fosse quello di diventare come suo padre, che era stato il miglior imprenditore di sempre, e credeva che stesse andando alla grande.

«Quella è una... cosa da niente, ma sto andando bene, sì. Ho un grande progetto fra le mani» la informò con un sorriso soddisfatto.

«Beh, complimenti» replicò lei con sincerità.

Improvvisamente, Rafe poggiò i gomiti sul bancone di legno, avvicinandosi al volto della ragazza, che vacillò. «Hai sbagliato con me, Lia» le soffiò sulle labbra, guardandola negli occhi con una velata delusione.

«Parli ancora della barca? Dio, Rafe, io non—»

«No, no, tranquilla. Ti perdono. Non siamo nemici» la fermò, scuotendo la testa e non smettendo di osservarla attentamente, passando dagli occhi alle labbra, e tornando poi nuovamente agli occhi.

Ophelia sospirò, sentendosi accaldare a causa di quella vicinanza, ed era anche abbastanza evidente che stesse aleggiando della tensione tra di loro. Ciononostante, non riusciva a non pensare alle sue parole. Rafe aveva detto "ti perdono", ma lo conosceva, ed era abbastanza certa del fatto che non fosse davvero così, e che ancora fosse ferito da quel gesto che aveva fatto nei suoi confronti. Certo, erano trascorsi quasi due anni, ma Ophelia riusciva a comprendere il suo risentimento, in particolare perché Rafe faceva fatica a fidarsi, e lo aveva fatto con lei, che, in risposta, lo aveva lasciato su un'isola piena di guardie che cercavano anche lui. Ma non era solo questo. Ciò che feriva maggiormente Rafe era che lo avesse fatto proprio lei, in particolare dopo la notte che avevano condiviso da Carlos Singh.

Non era stato molto carino da parte sua.

Le dispiaceva soltanto che non avessero mai avuto modo di chiarire.

«Sono dalla tua parte» aggiunse improvvisamente Rafe, facendo un mezzo sorriso sghembo.

«Fantastico. È sempre bello avere Rafe Cameron dalla propria parte. Credi di poter fare qualcosa con la zonizzazione?» andò dritta al punto, guardandolo.

«Purtroppo no. Quello non dipende da me, Ophelia» le rispose con assoluta sincerità. «Ma vorrei tanto che tu dicessi a Sarah di passarmi a trovare. Le devo parlare» continuò.

Ophelia annuì. «D'accordo».

Improvvisamente, gli occhi di Rafe caddero sul bancone, lì dove erano poggiate le mani di Ophelia. Quando lei lo vide irrigidirsi, aggrottò le sopracciglia. Confusa, seguì la traiettoria del suo sguardo, rilasciando un sospiro nel momento in cui capì che stesse osservando l'anello che lui le aveva dato alla pista di atterraggio e che lei ancora indossava all'anulare della mano sinistra.

Non lo aveva mai tolto, in particolare perché era l'unica cosa materiale che le rimaneva di Rafe. L'unica cosa che le dava la certezza che tra di loro ci fosse stato effettivamente qualcosa.

Lo vide deglutire, perdere la spavalderia e la sicurezza che aveva indossato fin dalla prima parola che aveva detto nel momento in cui era entrato.

«Ehi...» tornò a guardarla, abbassando il tono della voce. «Mi... mi dispiace tanto per quella stronzata in spiaggia di ieri. Non ci sono scuse, lo so. È solo che "Pogue di qua, Pogue di là"—»

«Sono una Pogue, Rafe. Da sempre» gli fece presente.

«Sai che non mi è mai importato. Non sono come Topper e gli altri...» replicò.

Lei sorrise amaramente. «Questo puoi dirlo a Sofia, ma io so che un tempo eri anche peggio di loro. Forse dimentichi che in giro c'è chi ti conosce per davvero — fece presente, tamburellando le dita sul bancone — Puoi fingere di essere una persona perfetta con chi ti conosce da poco, ma non con me» gli disse a un passo dal volto.

Era da tempo che voleva dirgli quelle parole, in particolare da quando aveva iniziato a capire che stesse con Sofia anche per il fatto che lei non conoscesse il suo passato, e che quindi lo credesse una brava persona. Ciò di cui lui aveva bisogno.

Ma Rafe non poteva far finta di non aver fatto determinate cose. Non poteva cancellare i suoi errori e i suoi sbagli solamente mettendosi di fianco una persona che non sapeva nulla del suo "vecchio lui".

Non poteva semplicemente nascondersi.

Il ragazzo annuì lievemente. «Già, non posso fingere con te...» sussurrò, mettendo su un flebile sorriso.

«Già, non puoi» ripeté lei.

Rafe lanciò un'altra occhiata all'anello, sfiorandolo lievemente con i polpastrelli, e facendo sì che il corpo di Ophelia venisse invaso da mille brividi.

«Avrei voluto averti al mio fianco, davvero... Peccato che per te non sia stato lo stesso» le disse in modo inaspettato, lasciandola senza parole.

Poi Ophelia ricordò. Ricordò tutte le volte che Rafe le aveva chiesto di andare con lui, che le aveva dimostrato di volere lei. Ma stare con lui avrebbe significato voltare le spalle ai Pogues, e non lo avrebbe mai fatto.

E ora invece... ora forse era troppo tardi.

«Rafe—»

«No, ehi, sul serio, va bene. Siamo entrambi felici, ormai, e siamo... siamo in tregua, sì» si drizzò, allontanandosi da lei e facendole sentire improvvisamente freddo.

«Sul serio?» inarcò sopracciglia, ben consapevole del fatto che fosse ancora offeso.

Lui si limitò a sorridere. «Ci vediamo» fu l'ultima cosa che disse prima di andare via, e Ophelia lo guardò allontanarsi, sentendo il cuore stringersi in una morsa.

Nessuno dei due sembrava aver chiaro quale fosse stato il punto della conversazione. Forse, se al posto di Ophelia ci fosse stato qualcun altro, Rafe sarebbe andato via subito dopo aver dato il biglietto da visita, o forse ci avrebbe litigato. Non potevano dirlo. Tutto ciò che sapevano era che per la prima volta dopo diciotto mesi, non erano sembrati estranei l'uno all'altra.

In qualche modo, nel profondo, erano ancora loro.





















































Piccolo spazio per chiedervi un favore: se, per caso, vi capitasse di leggere qualche storia uguale o anche solo simile alla mia (ovviamente, mi riferisco a dialoghi aggiuntivi o a scene aggiunte da me e che non hanno a che fare con la serie, perché mi rendo conto che, in quel caso, è inevitabile che le cose siano uguali) potreste dirmelo, per favore? Ve lo chiedo perché è già capitato con questa storia e non vorrei che ricapitasse. Grazie mille 🫶🏻🫶🏻

Btw, oggi pomeriggio ho creato queste due foto stile polaroid di Rafe e Ophelia

Nella prima sono più piccoli, mentre nella seconda sono più grandi (in bianco e nero mi sembrava più carina, idk). Non so perché le ho fatte, forse perché mi fanno immergere di più nella storia e mi fanno pensare che Ophelia esista davvero nella vita di Rafe. Comunque, fatemi sapere cosa ne pensate 🫶🏻

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