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051 ritorno a casa

capitolo cinquantuno
( ritorno a casa )





Ben presto arrivò l'alba, e poco dopo sorto il sole, ecco che arrivarono a Kildare. Lasciarono prima Sarah al molo vicino allo Chateau in modo che potesse verificare se John B fosse tornato o meno, e poi proseguirono verso il porto di Kildare, lì dove lasciarono la barca di Rafe.

«Benvenuta nelle Outer Banks, Cleo!» disse Pope mentre camminavano lungo la banchina.

«Anche chiamato Paradiso Terrestre, ma ora sostituirei Paradiso con Inferno» sorrise la rossa, guardandosi attorno e rendendosi effettivamente conto di essere tornata lì dopo tutto quel tempo.

«Voi siete matti. Pope, i tuoi genitori non vorranno che io venga a vivere con loro» replicò la ragazza.

«Certo che vorranno, scherzi?» rispose Pope.

Ophelia annuì. «Suo padre ti metterà ai lavori forzati come ha fatto con ognuno di noi» rise.

«Esatto — concordò il moro — Ci serve una mano, in realtà» aggiunse poco dopo.

«Non lo so, Pope... Sicuro che sarà d'accordo?» gli chiese conferma, e, per la prima volta, la rossa notò una lieve incertezza e titubanza farsi spazio in quella ragazza all'apparenza così tanto forte.

«Sì. Forse protesterà un po', ma lascia che gli parli io» le mise una mano sulla spalla, rassicurandola.

Ophelia alzò l'angolo destro della bocca a quel dolce gesto. Cleo era una boccata d'aria fresca, e Pope ne aveva assolutamente bisogno.

Poco dopo, la rossa rallentò il suo cammino in modo da poter parlare con JJ, che si passava nervosamente le mani fra i capelli.

«Ehi» richiamò la sua attenzione.

«Dovevamo restare a Poguelandia» fu la prima cosa che disse, facendola sospirare.

La ragazza era consapevole del fatto che si ostinasse a dire quello perché, a differenza loro, non aveva un posto in cui andare e non aveva una famiglia. Non era per nulla facile per JJ sapere che tutti sarebbero tornati ad abbracciare i propri genitori, mentre lui sarebbe tornato a stare da solo in casa sua, senza nessuno da aspettarlo.

Ma forse aveva dimenticato un piccolo particolare.

«Tu verrai a casa mia, lo sai, vero?» gli lanciò una veloce occhiata.

A quelle parole, lui si fermò per un attimo. «Davvero?» le domandò quasi come un bambino, assumendo l'espressione tipica di chi non si aspettava una cosa del genere.

«Sicuro. Sarai anche un Maybank, ma hai una stanza tutta per te a casa Martin, e sai che mio padre—»

Prima che potesse finire la sua frase, si ritrovò stretta fra le braccia di JJ. Rise contro il suo petto, ricambiando e dandogli delle pacche sulla schiena.

«Torniamo a casa, Jay» sussurrò lei, mettendo su un dolce sorriso.

Ophelia vide gli occhi del ragazzo illuminarsi a quelle parole, e per un attimo riuscì a vedere anche un guizzo di commozione attraversarli. Frasi del genere erano in grado di suscitare in lui tante emozioni, soprattutto perché non aveva mai avuto una casa. O meglio, aveva avuto una casa, ma aveva convissuto con un uomo come Luke, quindi non l'aveva mai considerata sua.

Ripresero a camminare per raggiungere Figure Eight, lì dove avrebbero lasciato Kiara, impaurita per il fatto che avrebbe affrontato i suoi genitori, probabilmente arrabbiati. A dire il vero, neanche lei sapeva come li avrebbe ritrovati, ma era giusto che andasse da loro.

Ophelia prese a guardarsi attorno. Non le era mai piaciuto quel versante dell'isola. Lo aveva sempre trovato troppo freddo e asettico, eppure, in quel momento, riuscì a scorgere particolari che non aveva mai visto, e forse era dovuto al fatto che, in un modo nell'altro, le Outer Banks, nel profondo, le fossero mancate. Certo, si sentiva di essersi distaccata da quella cittadina, ma era pur sempre la cittadina in cui era nata e cresciuta, e, in ogni caso, sentì il cuore tornare in pace alla realizzazione che fosse davvero lì.

Aveva sempre dato per scontato tutto di quel posto, ma ora si prese del tempo per osservare le poche persone che già erano in piedi, come i pescatori che ridevano e parlavano fra di loro, o gli anziani che facevano colazione nei bar, facendosi compagnia a vicenda.

Più camminava, più sentiva l'aria delle Outer Banks entrarle fin dentro le ossa. La inspirò, la riconobbe e sorrise flebilmente.

Al suo fianco, sentiva Cleo fare apprezzamenti alla vista delle ville di Figure Eight, e alcune erano anche in grado di lasciarla a bocca aperta. Non era abituata a tutto quello, ed era strano pensare a come una sconosciuta del posto conoscesse tutti i segreti che nascondevano le Outer Banks. Segreti che la maggior parte dei residenti neanche poteva immaginare.

Arrivarono ben presto fuori l'enorme villa dei Carrera, e Ophelia vide Kiara assumere un'espressione quasi impaurita mentre si guardava attorno. Quegli occhi sembravano non riconoscere quella casa, e lei era visibilmente titubante.

«Cavolo, Kiara! Tu vivi qui? Sembra di stare alla Casa Bianca» commentò Cleo, incredula.

«Probabilità che vada male?» le domandò Pope.

«In una casa da uno a dieci? Venti» rispose Kiara.

«Vuoi che aspettiamo qui?» chiese dolcemente Ophelia, guardandola con dispiacere.

«No, è meglio che me la sbrighi da sola — la strinse in un veloce abbraccio — Grazie per avermi accompagnato» aggiunse, accennando un debole sorriso.

La rossa annuì, guardandola mentre iniziava a salire le scale che l'avrebbero portata in veranda.

Poi improvvisamente Kiara si fermò e si girò, poggiando gli occhi sul biondo, rimasto in silenzio fino a quel momento. «Ciao, JJ» disse.

In risposta, lui fece un cenno col capo, e l'espressione sofferente sul viso della sua amica non passò inosservata a Ophelia, che sospirò dispiaciuta.

Aspettarono che entrasse in quella casa che sembrava del tutto silenziosa, e, subito dopo, si mossero in direzione del Cut. Ophelia spesso si sentì osservata e indicata, e probabilmente quello era dovuto al fatto che alcuni avessero riconosciuto i ragazzi dispersi — e forse morti —, ma decise di ignorarli e di camminare verso casa sua.

Onestamente, aveva un po' d'ansia. Sapeva che suo padre l'avrebbe accolta con un grande abbraccio e con le lacrime, ma era spaventata per il dopo, per come avrebbe reagito una volta passata l'emozione. Insomma, si era imbarcata clandestinamente su una nave mercantile ed era sparita per oltre un mese. Non era di certo una cosa da poco, e non era neanche una cosa successa per "puro caso", e questo perché si erano imbarcati consapevolmente.

A risvegliarla dai suoi pensiero fu JJ, che le fece notare che fossero arrivati davanti casa Martin. Lei annuì, accennando un flebile sorriso.

«Buona fortuna» sentì dire da Cleo, che la strinse in un veloce abbraccio.

«Anche a voi» rispose guardando la ragazza e Pope.

Quando i due si allontanarono, Ophelia e JJ si lanciarono una veloce occhiata.

«Allora... entriamo?» le chiese, dondolandosi sui talloni con fare titubante.

La ragazza, in risposta, prese ad avanzare sulla distesa di verde che circondava la sua umile abitazione. Si guardò con attenzione attorno, rendendosi conto del fatto che il prato fosse più curato, e che addirittura ci fossero dei fiorellini. Fece un flebile sorriso. Suo padre non aveva mai avuto il pollice verde, ma ricordava di avergli detto più volte che sarebbe stato carino avere qualche fiore in giardino, e quello la fece commuovere: lo aveva fatto per lei.

Scosse la testa per cercare di reprimere le lacrime, e avanzò verso la veranda, rimasta identica a come l'aveva lasciata. C'erano i soliti due divanetti, le solite poltrone, c'era qualche cianfrusaglie in giro, e c'era un tavolino con dei giornali e dei libri.

Rimase ferma ad osservare la porta di casa per qualche secondo prima di iniziare a battere le nocche contro il legno. Lo fece più volte, ma probabilmente suo padre non era in casa, così fu costretta a recuperare le chiavi di riserva che erano soliti mettere in un buco nel muro dietro un vaso di piante. Si chinò e le prese, sorridendo nel rendersi conto che il nascondiglio non fosse cambiato.

JJ, al suo fianco, era silenzioso e le dava il tempo di cui aveva bisogno, limitandosi ad osservare ogni sua azione.

Ophelia mise le chiavi nella toppa, e dopo qualche giro, finalmente sentì il rumore che dichiarava l'apertura della porta. Rimase ferma per un attimo, come per darsi la forza giusta. C'era una parte di lei che aveva paura che qualcosa fosse cambiato o che la casa fosse del tutto diversa da come la ricordava, e quel pensiero le fece paura. Le faceva dannatamente paura pensare che le cose potessero essere cambiate in sua assenza.

Quando sentì la mano di JJ accarezzarle delicatamente la schiena, gli rivolse un sorriso e trovò la forza giusta per aprire la porta ed entrare in casa.

Rimase ferma sull'uscio per qualche secondo, e poi sorrise flebilmente: non era cambiato nulla. Era sempre casa sua. Era rimasta la perfetta casa di mare dallo stile hampton e dai colori bianchi e blu; c'erano sempre le solite piante sparse in giro, questa volta decisamente curate, e aleggiava l'inconfondibile profumo di salsedine che aveva imparato ad amare con il tempo.

Il soggiorno era stranamente ordinato, forse perché non c'era più lei a metterlo in disordine, e la cucina sulla sinistra era rimasta identica, tranne per il fatto che, al centro della tavola, non ci fosse il piccolo recipiente strapieno di caramelle che era solita mangiare. La mancanza di quel dettaglio le strinse il cuore: senza di lei, che senso aveva metterlo? Sospirò, poggiando poi gli occhi sulla porta dell'ufficio di suo padre. Era era chiusa, ma era certa del fatto che fosse strapiena di scartoffie come al solito.

Avanzò con JJ al suo fianco, e fu investita da una marea di ricordi. Vedeva lei e suo padre sul quel divano. Vedeva lui che le spiegava storia, e lei che faceva di tutto per rimanere sveglia. Vedeva lei e i suoi amici divertirsi insieme a suo padre. Vedeva perfino Rafe che le chiedeva aiuto.

Vedeva ogni cosa, e probabilmente solo in quel momento realizzò quanto quella casa custodisse la maggior parte dei suoi ricordi migliori.

Tirò su col naso e si decise finalmente a raggiungere la sua stanza, mentre JJ raggiunse quella che, con il tempo, era diventata sua. Camminò cautamente, aprendo la porta con una lentezza che non le apparteneva affatto.

E le lacrime iniziarono a scendere nell'esatto momento in cui si rese conto del fatto che fosse rimasta così come l'aveva lasciata. Suo padre non l'aveva messa in ordine, probabilmente perché quel disordine era l'ultima cosa che lei gli aveva lasciato. Alcuni vestiti erano sparsi a terra, e tra di essi Ophelia riuscì a riconoscerne anche alcuni che appartenevano a Kiara. La chitarra era sempre poggiata sulla sedia girevole, e le sue scarpe erano gettate nel solito angolo. Le polaroid erano sempre attaccate al muro con lo scotch, e le coperte del letto toccavano il pavimento.

Una miscela di emozioni prese il sopravvento nell'esatto momento in cui si sedette sul morbido materasso, e si ritrovò a piangere e a coprirsi il volto con le mani. Non si era resa mai davvero conto di quanto fosse stato pesante ciò che aveva affrontato fino a quel momento. Era diventata una naufraga a soli diciassette anni, ma il naufragio era solo l'apice di tutto ciò che avevano affrontato. Anche il recupero dell'oro e della Croce era stato davvero pesante, soprattutto per dei semplici adolescenti.

Si sentì calda e protetta all'interno di quelle quattro mura, all'interno della sua casa, e, in particolare, della sua stanza. Era il posto in cui si sentiva a suo agio, il posto che rispecchiava la sua personalità, e ogni angolo urlava il suo nome.

Se una parte di lei sentiva di essersi distaccata dalle Outer Banks, non poteva dire lo stesso di quell'abitazione. Lì era senza dubbio nel posto giusto.

Non sapeva dire con esattezza da quanto tempo lei e JJ fossero entrati lì, e solo in quel momento parve rendersi conto del fatto che non avesse un telefono da più di un mese, ma una volta aver smesso di piangere, decise di andare a fare una veloce doccia in modo che il tempo potesse trascorrere più velocemente mentre aspettava che suo padre tornasse a casa.

Quando tornò nella sua stanza, sentì JJ fare lo stesso, e, nel frattempo, lei si vestì, tornando ad indossare i suoi soliti vestiti e rendendosi conto di quanto le fossero mancate le sue canotte e i suoi pantaloncini.

Solo dopo un'altra mezz'ora — o forse un'ora — sentì la porta di casa aprirsi, segno che suo padre fosse tornato dal lavoro, e che, di conseguenza, fosse più o meno l'ora di pranzo. Scattò immediatamente in piedi, continuando a chiedersi come avrebbe reagito vedendola.

Quando aprì la porta della sua stanza, si ritrovò davanti JJ, che era fermo sull'uscio della sua. Si osservarono per qualche secondo, e dopo un flebile sorriso, uscirono allo scoperto, voltandosi verso l'ingresso.

Eddie Martin si bloccò quando li vide, e addirittura cadde per terra la cartella che solitamente portava con sé a lavoro. Li osservò per secondi interminabili, probabilmente chiedendosi se fossero reali o se fosse la sua mente a giocargli brutti scherzi.

Ophelia, dal canto suo, sentì gli occhi inumidirsi mentre lo osservava con attenzione. Aveva perso qualche chilo, la barba brizzolata era cresciuta, e i suoi occhi erano vuoti, privi di qualsiasi tipo di emozione... o almeno fin quando non metabolizzò. Difatti, dopo eterni secondi, presero ad inumidirsi.

«Ophelia... JJ...» disse in un sussurro strozzato, e le lacrime iniziarono nuovamente a sgorgare dagli occhi della ragazza.

«Papà» mormorò prima di correre verso di lui.

Eddie la strinse immediatamente a sé, lasciando che le lacrime abbandonassero anche i suoi occhi, e si abbracciarono così forte che per un attimo Ophelia pensò che le sue ossa si sarebbero rotte, ma non le importava. Era di nuovo tra le braccia di suo padre, del primo e unico uomo della sua vita.

«Sei viva...» singhiozzò, e lei, in risposta, affondò la testa nel suo petto, continuando a piangere.

Sentì suo padre muoversi, e inizialmente non comprese cosa stesse facendo, ma quando si rese conto del fatto che JJ si fosse unito all'abbraccio, capì che lo avesse invitato ad avvicinarsi, e si ritrovò stretta fra loro due: fra suo padre e il suo fratello non di sangue.

«Mi dispiace così tanto, papà, davvero, io—»

«Shh, va tutto bene, Lia... non scusarti. Sei viva, siete vivi, e mi basta questo» la mise a tacere, e Ophelia sentì la stretta di JJ farsi più forte a quelle parole.

Doveva sicuramente essere molto emozionante per lui sentirsi dire quelle cose. Sentir dire da qualcuno, da un padre, che era felice di vederlo.

La rossa singhiozzò. «Mi sei mancato così tanto».

«Anche voi mi siete mancati, ragazzi...» sussurrò, continuando a stringerli. «Credevo che foste morti. Dio, vi rendete conto?» rise fra le lacrime.

Eddie li tenne stretti a sé per un bel po' di tempo, forse anche per verificare che fossero effettivamente veri e che non stesse sognando.

Poi gli spiegarono ogni cosa, gli parlarono della Croce, del fatto che l'avessero ritrovata, del fatto che fosse stata rubata da Rafe. Gli dissero che per recuperarla erano saliti a bordo della Coastal Venture, gli dissero che Ward era vivo, e gli parlarono dell'isola deserta. Ophelia evitò di raccontargli del rapimento per non farlo preoccupare ulteriormente. Quell'espressione terrorizzata era già abbastanza.

Lui invece raccontò ai ragazzi di averli cercati per giorni a bordo della sua barca, e aveva organizzato anche delle ricerche con i genitori di Kiara e di Pope, ma dopo qualche settimana avevano deciso di lasciar perdere, e di dover forse accettare l'idea che loro non sarebbero mai più tornati. Quel racconto strinse il cuore di Ophelia in una morsa così stretta che quasi sentì di star tornando a piangere, ma non lo fece e si trattenne.

Poco dopo JJ andò via, dicendo di voler passare a casa sua per verificare in che condizioni fosse, ma prima Eddie diede a entrambi due cellulari.

E una volta rimasti soli, la ritrovata famiglia iniziò a raccontarsi storie, a ridere, a scherzare, e a rendersi conto di quanto avessero sentito la mancanza l'uno dell'altra. Ophelia era di nuovo con suo padre, e non aveva più intenzione di abbandonarlo, e tantomeno di naufragare su un'isola deserta.

Era a casa.

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Erano tornati a casa da poche ore ma Ophelia era già stata inondata di chiamate da Kiara, che prima le aveva mandato un'e-mail per chiederle quale fosse il suo numero, e, subito dopo, per circa due ore, le aveva raccontato di aver affrontato JJ dopo essere andata a casa Maybank e averlo ritrovato lì. Come aveva previsto, il biondo non si sentiva per nulla all'altezza della ragazza, motivo per il quale le aveva urlato contro dicendo che lei fosse una Kook e che lui non avesse niente da offrirle. Erano troppo diversi, con mentalità fin troppo differenti, e quindi non potevano per nulla al mondo stare insieme. Era ovvio che quelle parole fossero solo una conseguenza della sua bassa autostima. JJ poteva comportarsi da spavaldo quanto voleva, ma non era così tanto sicuro di sé come voleva far credere.

Ora, a distanza di mezz'ora dalla fine della chiamata, Ophelia si trovava insieme a Sarah a vagare per le strade di Figure Eight in sella alla sua bicicletta. La ragazza era andata a casa sua qualche minuto prima, chiedendole se potesse accompagnarla a Tannyhill per recuperare dei vestiti che avrebbe portato allo Chateau, e desiderava avere compagnia perché l'ultima volta che era stata lì non aveva vissuto dei bei momenti.

Ophelia aveva immediatamente accettato, nonostante odiasse con tutta se stessa quell'enorme e bellissima abitazione che, però, non faceva altro che farle ricordare Rafe (e, tra le tante cose, non sapeva neanche se fosse riuscito ad abbandonare le Barbados, ma cercava di non pensarci per non impazzire).

Aveva deciso di mettere da parte quei pensieri, e di aiutare Sarah, e, in quel momento, si trovavano su due bici a parlare di John B, che era tornato allo Chateau con suo padre.

Ebbene sì, Big John Routledge era vivo, e Ophelia non riusciva neanche a spiegare quanto fosse felice per il suo amico e per il fatto che finalmente avesse ritrovato suo padre. Inoltre, in tutta onestà, non vedeva l'ora di riabbracciare quell'uomo, quel secondo padre che aveva conosciuto quando aveva solo otto anni e che l'aveva vista crescere. Aveva sempre trattato lei e JJ come due di famiglia, come se fossero suoi figli, e sapere che fosse vivo rientrava tra le miglior cose successe fino a quel momento.

Almeno Ward non aveva vinto quella volta.

Ancora non aveva ben chiare le dinamiche di come Big John fosse riuscito a sopravvivere, ma, al momento, non le importavano. Era solo felice che fosse vivo.

«Quindi, aspetta, Big John e John B ora cercano la Città d'Oro? El Dorado?» chiese perplessa Ophelia, entrando nella tenuta dei Cameron.

«Sì, ma non ho capito molto, in realtà» ammise la bionda che pedalava al suo fianco.

«Beh, credevo avessimo chiuso con le cacce al tesoro» borbottò la rossa, fermando la bici sul lato sinistro della casa.

Sarah fece un sorrisetto. «Sul serio? Credi che smetteremo mai?» le domandò retoricamente.

«Perché dovremmo continuare se finiscono sempre con il rubarci ciò che troviamo?» le fece presente, poggiando la bici contro il muro, di fianco a quella di Sarah. «Non so te, ma non mi va più di fare il lavoro sporco per gli altri» aggiunse, mettendo su una smorfia.

La ragazza al suo fianco annuì prima di assumere un'espressione angosciata mentre osservava la sua casa. La sua vecchia casa.

«Ehi — Ophelia le strinse delicatamente la mano — Vuoi che entri io per te?» le domandò.

Sarah rimase in silenzio per qualche secondo prima di scuotere la testa e accennare un debole sorriso. «No. Ce la faccio... È solo strano. Non è più casa mia» mormorò, e la rossa vide un guizzo di tristezza attraversarle gli occhi.

Le due si lanciarono una complice occhiata prima di mettere piede all'interno dell'abitazione dopo che Sarah ebbe recuperato le chiavi di riserva.

Ophelia si guardava attorno con circospezione, quasi spaventata che, da un momento all'altro, potesse uscire qualcuno e far loro del male, eppure non c'era nessuno.

Era avvolta dal silenzio, e, stranamente, non la inondava più di brividi come un tempo. Ricordava il senso di inquietudine provato quando era entrata lì per parlare con Rafe prima di salire sulla Coastal Venture. Ricordava Sarah chiusa a chiave, e poi drogata dalla sua matrigna. Allora, quella casa le faceva quasi paura. Eppure ora era diverso. Non provava più quelle sensazioni, e forse era proprio per il fatto che fosse disabitata, che i Cameron fossero andati via, e che quindi non aleggiasse più quell'aria ambigua, e non fosse più avvolta dai segreti e dai misteri.

Era una semplice e bella tenuta illuminata dai flebili raggi del sole, ma era inevitabile che ogni angolo portasse alla mente di Sarah momenti belli e momenti tristi, motivo per il quale si guardava attorno con occhi lucidi.

Fu la stretta di Ophelia a farla tornare con i piedi per terra.

«Andiamo. Non voglio restare un secondo di più in questa casa» le disse Sarah, portandola con sé nella sua camera.

La rossa non era mai entrata nella stanza della sua amica, e si prese del tempo per guardarla, rendendosi conto di quanto fossero belle le pareti pitturate di un leggero e tenue azzurro. Quando immaginava la camera della Principessa Kook, si ritrovava a pensare ad un ambiente asettico, bianco, quasi ospedaliero. Invece si ritrovò davanti una stanza piena di oggetti sparsi in giro, colorata, con foto e fogli appesi al muro. C'era perfino un quadro con i vari tipi di farfalle, e delle conchiglie poggiate sulla scrivania strapiena di cianfrusaglie. Aleggiava un dolce profumo di vaniglia, e tutto era illuminato dalla grande e unica finestra a forma di cerchio posta in un angolo della stanza.

«Sai, credo che dovreste chiamare la cameriera» disse divertita Ophelia, sedendosi sul letto disfatto della sua amica. «Uh, anche i cuscini con la 'S' sopra. Fa molto Regina Kook, non Principessa» scherzò.

Sarah ridacchiò, recuperando un borsone dall'enorme armadio. «Me li ha regalati Rose al mio quattordicesimo compleanno» spiegò.

«Oh, credeva sul serio che fosse un bel regalo?» mise su una smorfia, guardandola.

«Ehi, alla me quattordicenne piacevano!» replicò fra le risate, affrettandosi a mettere i vestiti nel borsone.

«Oh mio Dio... — sospirò — Sta per cambiare l'opinione che ho di te» disse teatralmente.

Sarah alzò l'angolo destro della bocca in un sorriso divertito. «Beh, allora fammi dire che la Sarah di oggi li odia. Potrei anche bruciarli».

Ophelia ridacchiò prima di rimettersi in piedi e iniziare a camminare per la stanza. «Sai cosa ne sarà di Tannyhill? Se la tua famiglia tornerà mai?» le chiese curiosa.

«No» rispose la sua amica. «Posso solo sperare che non mettano mai più piede qui» aggiunse poco dopo con tono risentito.

La rossa annuì, avvicinandosi poi alle polaroid attaccate al muro. Sorrise dolcemente alla vista di una piccola Sarah in spiaggia, in bici, e insieme a un'altrettanto piccola Wheezie. Poi i suoi occhi caddero su una foto che ritraeva una foto di una lei probabilmente dodicenne insieme a un Rafe forse quindicenne. Sarah sorrideva dolcemente mentre stringeva un cagnolino, e lui, dietro, si limitava ad osservare l'obiettivo con un sorriso appena accennato. Eppure aveva gli occhi ancora calmi. Non erano un mare in tempesta come erano poi diventati col tempo.

«Tu e Rafe siete mai andati d'accordo?» le domandò d'un tratto, non staccando gli occhi da quella foto.

Sarah si fermò a quella domanda, e, poco dopo, l'affiancò, seguendo la traiettoria del suo sguardo. Ophelia la sentì fare un profondo sospiro mentre osservava la foto, e poté notare anche un lieve rammarico.

«Noi litigavamo spesso... ma a volte, poche volte, siamo stati anche complici, e ci capivamo con un solo sguardo. Una volta mi ha anche difesa contro delle ragazzine che continuavano a chiamarmi 'Principessa Kook' — fece un sorriso amaro — Credo che una parte di lui abbia sempre saputo che non fosse colpa mia il fatto che nostro padre preferisse me, ma prendersela con me era più facile. E poi ha del tutto perso il controllo...»

Ophelia sentì il cuore stringersi in una morsa davanti all'espressione rammaricata di Sarah. Era ovvio che, nonostante tutto, sentisse la mancanza di suo fratello, ma non il fratello che le aveva fatto del male. Sentiva la mancanza di quel fratello con cui era complice, con cui riusciva a capirsi con un solo sguardo, e che l'aveva difesa da quel gruppo di ragazzine. Eppure, in quel momento, il dolore era ancora troppo grande, ed era davvero difficile superare il fatto che lui avesse provato ad ucciderla per ben due volte.

«Credi... credi che un giorno... insomma, sai...» le disse quasi balbettando.

Sarah si strinse lievemente nelle spalle. «Non lo so, forse — sospirò — Ma ora quando penso a lui, quando lo guardo... io non faccio che pensare alle sue mani strette attorno al mio collo, o al modo in cui mi ha guardato prima di premere il grilletto...» una lacrima sfuggì al suo controllo.

Ophelia si morse violentemente il labbro inferiore, maledicendosi per aver aperto quel discorso senza dubbio difficile da affrontare per Sarah. Eppure c'era una parte di lei che sperava che con il tempo potessero, quantomeno, tornare a parlare. Sapeva che sarebbe stato difficile, ma era anche evidente che la loro attuale situazione fosse esclusivamente colpa di Ward, che aveva fatto sì che tra Sarah e Rafe si andasse a creare una specie di risentimento.

Improvvisamente, le due ragazze, immerse nei propri pensieri, si ritrovarono a sobbalzare a causa del rumore di una porta che veniva chiusa.

Spalancarono gli occhi, bloccandosi e guardandosi.

«Sarah... sei sicura che nessun altro abbia le chiavi di casa?» le chiese in un sussurro, visibilmente ansiosa.

La bionda annuì. «Solo la mia famiglia, ma loro non sono qui» mormorò. «Cosa— che facciamo? Cosa facciamo?!» quasi strillò, entrando nel panico.

Ophelia fece un profondo sospiro. «Senti... tu finisci di raccattare le tue cose, ok?» la guardò. «Io vado a vedere chi è» aggiunse.

«Vuoi andare da sola? E se fosse un ladro?» la osservò come se fosse un cane a tre teste.

«Un ladro qui? Non riuscirebbe a superare neanche il cancello» fece presente. «Sta' tranquilla, ok? Se mi dovesse succedere qualcosa... urlerò» scrollò le spalle.

«Oh mio Dio» sussurrò Sarah, visibilmente ansiosa.

La rossa le fece cenno di stare in silenzio e, lentamente, abbandonò la stanza della sua amica, richiudendosi la porta alle spalle. Si guardò attorno con attenzione e con il cuore che voleva uscirle fuori dal petto.

«Sì, hanno detto due giorni per il trasferimento».

A quella voce, si ritrovò a spalancare gli occhi, e, prima che potesse rendersene conto, si avvicinò al parapetto di legno delle scale, sporgendosi verso il basso.

«Ci sto lavorando, quindi non devi preoccuparti».

Rilasciò un sospiro di sollievo alla realizzazione che Rafe fosse vivo e che stesse bene, ma non poté che chiedersi per quale motivo fosse nelle Outer Banks. Sembrava uno scherzo del destino: lei ritornava, e, poco dopo, tornava anche lui.

Lentamente, e facendo attenzione a non fare neanche il più minimo dei rumori, scese la prima rampa di scale, trovandosi fuori la stanza di Rafe, lì dove lui era intento a parlare con qualcuno a telefono. Si appiattì contro il muro e ascoltò.

«Sì, sono di sopra, perché? Volevi parlarmi di qualcosa? Che succede? Aspetta, stai dicendo sul serio? Ero con te poco fa. Nel frattempo che cos'è cambiato? Di cosa stai parlando?! Papà, no!»

Sembrava agitato, nervoso, e Ophelia aggrottò le sopracciglia: se stava parlando con suo padre, significava che Ward si fosse risvegliato dal coma, ed era abbastanza chiaro che stessero discutendo perché Rafe non era d'accordo con suo padre riguardo a qualcosa.

«Ascoltami, papà. La Croce è mia. Me la stai rubando! È una cosa che mi sono guadagnato con il mio lavoro. È assurdo. Credi che ti sentirai meglio dando via la mia roba? E non volevi neanche dirmelo!»

A quelle parole, la ragazza si accigliò. Decise di mordersi la lingua e di non rimuginare sulla frase di Rafe circa il fatto che la Croce l'avesse guadagnata con i suoi sforzi, e pensò al resto di ciò che aveva sentito: Ward voleva dare via la Croce e suo figlio non era d'accordo, e, anzi, se ben ricordava, desiderava venderla, motivo per il quale era finito con il ritrovarsi da Carlos Singh.

«Sarah! Sarah!» urlò improvvisamente Rafe, facendo sobbalzare Ophelia. «Certo, ci risiamo! Io lo sapevo! È la solita storia, papà! — diede dei pugni a quello che la ragazza pensò essere il tavolino di legno posto nella sua stanza — C'è qualcos'altro di cui vuoi derubarmi per fare colpo su Sarah, a cui non gliene frega niente di te?» continuò a sbraitare, visibilmente nervoso.

Seguirono attimi di silenzio, e la rossa quasi si sentì in pena per quel ragazzo. Sebbene la Croce non fosse di Rafe e l'avesse rubata a loro, Ophelia era ben consapevole del fatto che l'avesse presa per la sua famiglia e per fare colpo su suo padre, che, a sua volta, voleva darla via per fare colpo su Sarah. Una cosa del genere avrebbe reso amaro chiunque, probabilmente.

Ophelia di sporse di poco, ignorando le sensazioni che stava provando alla vista di Rafe, che, girato di spalle, sembrava stesse facendo di tutto per non sbraitare.

«Senti, secondo me è una grande stronzata, d'accordo? Quella è roba mia — riprese a dire il ragazzo; poi sospirò — Ad ogni modo, certo, lo sai che puoi contare su di me» lo vide afferrare carta e penna. «Un momento... Ok, Wilmington. Domani notte alle otto. Vagone 750x del treno per Raleigh. Ho capito».

A quelle parole, la rossa scattò, pronta a raggiungere la sua amica al piano superiore. Peccato che quel rumore di passi non sfuggì all'udito di Rafe.

«Ehi, aspetta. Resta in linea».

Ophelia imprecò, correndo a nascondersi dietro il muro a destra.

«Chi c'è?» disse il ragazzo.

Lo sentì avvicinarsi, e lei, in risposta, fece il giro del muro e si infilò velocemente nella stanza di Rafe, andandosi a nascondere nel bagno. Trattenne il respiro nel momento in cui lo sentì rientrare, ma, fortunatamente, si limitò ad afferrare il suo telefono e a tornare alla chiamata.

«Sì. Dalla banchina allo scalo dei treni. Bene, d'accordo» disse, scendendo al piano inferiore.

La ragazza rilasciò un sospiro di sollievo, e, lentamente, uscì dalla stanza, scontrandosi con Sarah, che stringeva il suo borsone.

«C'è Rafe? Che sta facendo?» chiese agitata.

Ophelia, in risposta, le fece cenno di andare via, e la ragazza annuì. Scesero velocemente le scale, trovando Rafe fermo sull'uscio della porta di vetro che portava in giardino. Facendo attenzione a non fare alcun rumore, camminarono verso la porta sulla destra e abbandonarono la tenuta dei Cameron.

Velocemente, si misero in sella alle loro biciclette e andarono via con il cuore in gola. Pedalarono facendo appello a tutte le loro forze e allontanandosi velocemente da Tannyhill.

Quando si fermarono, oramai ben lontane dalla tenuta dei Cameron, abbandonarono le loro bici e si guardarono, respirando in maniera irregolare a causa dello sforzo.

«Cosa... cosa ci fa Rafe? È tornato?» chiese agitata Sarah.

Ophelia sospirò. «Non so se sia tornato in maniera definitiva, ma è qui per la Croce. La porterà a Wilmington domani notte» spiegò.

«Cosa?» chiese sconvolta.

«Sì. Dobbiamo dirlo agli altri. Dobbiamo dirlo a Pope» disse immediatamente la rossa.

«Beh, andiamo allo Chateau a dirglielo! Quella è la sua Croce!» strepitò Sarah.

La rossa scosse la testa. «Pope è in punizione. Non può andare allo Chateau» la informò.

Sarah arricciò il naso, rimanendo in silenzio per qualche secondo. Poi riprese parola. «Ok, ascolta, io informerò Kiara, Pope e Cleo. Tu puoi occuparti di John B e JJ?» propose.

Ophelia annuì immediatamente. «Certo. Sì».

Le due ragazze, subito dopo, si divisero, e la rossa si affrettò a raggiungere il Cut e poi lo Chateau. Sorrise istintivamente quando lo vide. Era la sua seconda casa, il secondo posto in cui risiedevano i suoi migliori ricordi, e dire che le fosse mancato era riduttivo.

«John B!» urlò, non ottenendo alcuna risposta.

Aggrottò le sopracciglia, notando un biglietto attaccato alla porta, e si avvicinò ad esso, prendendolo e leggendo ciò che il suo amico aveva scritto:

"Ho trovato il Twinkie e sono in giro con papà. Ci vediamo presto — JB"

Sospirò profondamente, non riuscendo però a nascondere un flebile sorriso alla realizzazione che stesse davvero con suo padre. Leggere quelle parole lo rendeva più reale, e lei sentì il cuore fare una capriola. Era davvero felice per il fatto che potessero trascorrere del tempo insieme.

Si mosse in direzione del capanno del surf, sedendosi su una delle tante logore sedie pieghevoli e prendendosi la testa fra le mani. Rafe era tornato sull'isola, nelle Outer Banks. Era certa che sarebbe accaduto, ma non credeva che sarebbe successo così presto. Era ovvio che prima o poi si sarebbero rincontrati, riguardati negli occhi, e sperava davvero con tutta se stessa che non fosse tanto arrabbiato nei suoi confronti.

Sperava che non tornassero indietro dopo aver fatto tutti quei passi in avanti, e sperava che non nutrisse del risentimento nei suoi confronti. Era abbastanza sicura del fatto che Rafe non potesse e non riuscisse a provare odio per lei, ma stesso non si poteva dire per la rabbia. Lui viveva di rabbia, nonostante i miglioramenti che, pian piano, stava facendo. Ma erano piccoli e graduali passi, ed era risaputo che "ricadere" facesse parte del processo.

Sperava solo che non ricadesse con lei.

I suoi pensieri furono messi a tacere da un rombo di moto, e, poco dopo, si ritrovò davanti JJ intento a scendere dal suo veicolo rosso.

«John B! Ehi!» urlò, guardandosi attorno.

Ophelia si mise in piedi, uscendo allo scoperto. «Ehi, JJ» lo richiamò, accennando un sorriso.

Lui la guardò, salutandola con un cenno del capo. «John B non c'è?» le domandò.

«No. Ma almeno ha recuperato il Twinkie dal deposito della polizia ed è con suo padre» gli passò il bigliettino che il loro amico aveva lasciato sulla porta.

JJ alzò lievemente l'angolo destro della bocca. «Già, Big John è vivo. Me l'ha detto Kiara. Assurdo, vero?» la osservò.

La rossa annuì. «Sai io da Kiara cosa ho sentito?» gli chiese a sua volta.

A quelle parole, il ragazzo fece un profondo sospiro. «Immagino. Voi ragazze vi raccontate tutto» borbottò.

«Già, e posso dire che sei un totale e completo stupido?» gli diede una leggera spinta.

JJ scosse la testa. «Lo faccio per lei, Ophelia, ok? Senti, guardarmi! — si indicò — Cosa posso mai offrire a una come Kiara? Non ho una famiglia, e non ho neanche più una casa! Se non fosse per tuo padre, dormirei per strada, ok?!» alzò il tono della voce, che si incrinava ad ogni parola che diceva.

Ophelia sospirò profondamente, addolcendo poi lo sguardo. Odiava il fatto che JJ non si sentisse all'altezza di Kiara solo perché era stato costretto a vivere quella vita. Vedeva la sofferenza nel suo sguardo, il suo desiderio di fare un passo in avanti, ma il suo essere bloccato dalla convinzione di non meritare una come Kiara Carrera.

«Jay, ascoltami... Credi che a Kie importi qualcosa? Credi che lei scelga i ragazzi in base a ciò che hanno da offrirle? E lo so che non credi di essere alla sua altezza, ma fidati, io non credo esista qualcuno migliore di te. Ti sei ritrovato a vivere una vita difficile non per tua scelta, eppure sei la persona più buona del mondo. Questo la dice già tanto su te, non credi?» gli chiese retoricamente, mettendogli le mani sulle spalle e osservandolo con attenzione.

JJ abbassò il capo a quelle parole, e strinse con forza gli occhi, probabilmente per non piangere. Poi tirò su il naso e decise di cambiare discorso. «Perché sei qui?» le domandò.

Lei sospirò, facendo un passo indietro. «Si tratta di Rafe» iniziò.

«Cos'ha fatto? Si è vendicato?» scattò subito il ragazzo.

«Cosa? No, no — scosse la testa — È solo che... è tornato sull'isola. Ho accompagnato Sarah a prendere dei vestiti a casa sua e l'ho visto» gli spiegò, arricciando il naso.

JJ mise su una smorfia. «Che meraviglia!» borbottò ironicamente.

«Già. Ma il punto è che l'ho sentito parlare al telefono. La Croce verrà portata a Wilmington domani notte» andò dritta al punto, guardandolo con attenzione.

Sbuffò rumorosamente. «Grandioso — disse con fastidio — Pope lo sa?» le chiese.

«Sarah è andato a dirlo a lui, a Cleo e a Kie, ma John B e Big John hanno preso il Twinkie, quindi non possiamo muoverci senza il van» fece presente la ragazza.

«Certo, proprio quando ci servono...» commentò con sarcasmo. Poi, improvvisamente, assunse un'espressione pensierosa e la guardò. «Aspetta un momento... Ora sappiamo dov'è diretta la Croce, il che vuol dire che è ancora in circolazione — iniziò a ragionare, facendo avanti e indietro in modo frenetico — Possiamo fare un'incursione. Siamo ancora in gioco, Lia! Dobbiamo riunirci tutti ed escogitare un piano. Muoviamoci! Andiamo a Wilmington!» si mosse in direzione della moto.

«JJ! Ehi, ehi!» gli afferrò il braccio e lo fece fermare.

«Cosa?» la guardò confuso.

«Non possiamo andare a Wilmington senza un piano! Dobbiamo chiamare gli altri, farli venire qui e creare un piano insieme» fece presente.

Il biondo ci mise qualche secondo, ma alla fine si arrese e annuì.

Avevano ancora una possibilità.


















































Ik, capitolo in cui non succede nulla di che a parte il ritorno a casa e la chiamata di Rafe, ed è tipo lunghissimo (più di 6000 parole), ma dovevo dividerlo dal prossimo 😭😭😭😭

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