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037 problemi di cuore

capitolo trentasette
( problemi di cuore )





«Un grande uomo una volta disse che se nasci povero, non è colpa tua, ma se muori povero... dipende solo da te. Alla fine penso che sia stata la mia paura di tornare indietro, di perdere tutto quello che ho, a farmi dimenticare quello che sono e quello che avrei voluto essere. Ho ucciso Big John Routledge. Ho ucciso lo sceriffo Peterkin. Ho sparato a Gavin Barnstead. Non posso fare nulla per alleviare le sofferenze che ho provocato. Forse ho scelto la facile via d'uscita. Ma lascio questa vita con un dolore profondo sapendo che abbandonerò la mia famiglia, distrutta dal lutto e spezzata dai miei peccati. Non pretendo che mi perdoniate per avervi lasciato così. Spero solo che capiate che non continuerò a rovinare le vostre vite. Tutto questo deve finire. Lascio a voi la mia proprietà da dividersi in parti eque. Il mio amore è più profondo di quanto vi abbia mai dimostrato. Proteggetevi l'un l'altro».

Quando il video fatto da Ward Cameron prima di morire finì, Ophelia sospirò profondamente, alzando gli occhi su Rafe Cameron, che faceva avanti e indietro nella camera con gli occhi lucidi e il volto distrutto.

Non sarebbe dovuta essere lì, lo sapeva, ma quando Rafe le aveva chiesto di raggiungerla, lei era andata senza pensarci due volte, probabilmente spinta dalla consapevolezza che stesse soffrendo. Rafe venerava suo padre, e tutt'ora continuava a farlo, non rendendosi conto che il motivo del suo essere così fosse colpa sua. Ancora non si rendeva conto del fatto che tutta la situazione che si era andata a creare fosse colpa sua e del suo essere meschino, avido e cattivo. Rafe non se ne rendeva conto, e si ritrovava a soffrire e a piangere per la morte di suo padre, e lei era lì, nella sua enorme, asettica e ordinata stanza, seduta sul suo letto con il computer sulle gambe a guardare l'ultimo lascito di quell'uomo.

Cautamente, la ragazza poggiò il computer al suo fianco, deglutendo subito dopo. «Quindi si è preso la colpa» mormorò.

Rafe, con le lacrime agli occhi, annuì. «Mi ha salvato, capisci? Si è— si è preso la colpa per una cosa che ho fatto io» si agitò, massaggiandosi le tempie con le mani.

«Ti curerai tu degli affari? Prenderai le redini della Cameron Development?» chiese ancora, facendo appello a tutte le sue forze per non sbattergli in faccia la verità sulla meschinità del padre.

«Mi occuperò della gestione. Sì, andrà tutto bene... tutto bene» sussurrò, e sembrava voler convincere più se stesso che lei.

Ophelia annuì, sfregandosi poi timidamente le mani sulle gambe scoperte. Dire che si sentisse a disagio era riduttivo, soprattutto perché si trovava nella sua stanza per la prima volta. A dire la verità, era la prima volta che entrava in casa Cameron, e sperava con tutta se stessa che non sbucassero improvvisamente Wheezie o Rose.

«Tu come stai?» gli domandò con voce flebile, tornando a guardarlo e sentendo il cuore stringersi in una morsa alla vista di quelle lacrime che non facevano che bagnargli il volto.

Rafe non rispose. Fermò semplicemente il suo avanti e indietro continuo e la guardò, rendendosi conto che mai nessuno gli avesse posto quella domanda. Mai. Poi deglutì e scosse la testa. «Non doveva finire così» sussurrò.

Ophelia si morse la lingua. Era esattamente come sarebbe dovuta finire, o almeno per quanto riguardava Ward. Infatti, nonostante fosse lì con Rafe, ancora era convinta che lui dovesse trovarsi dietro le sbarre. Era per la giustizia, e lo sarebbe sempre stata.

«Mio padre mi ha lasciato a gestire tutta la sua merda. Ho una sorella a cui non frega un cazzo, un'altra che non sa cosa diavolo stia succedendo, e una matrigna alcolizzata che non ne sa nulla di business. E— e quando io riuscirò a rimettere tutto a posto, non mi ringrazieranno, sai? No. No, loro— loro penseranno che ho fatto il mio dovere» iniziò a blaterare improvvisamente, muovendo freneticamente le mani come suo solito e con le lacrime che gli appannavano la vista.

La ragazza lo guardò dolcemente. «Rafe...» lo richiamò con tenerezza. «Non puoi farti carico di tutto» cercò di fargli capire, cauta.

«Chi altro dovrebbe farlo? Sono l'unico. Sono suo figlio e lui— lui si aspetta questo da me» le rispose con fermezza. «Devo tenere la famiglia unita, Ophelia» disse tutt'un tratto, annuendo vigorosamente.

Lei inarcò un sopracciglio. «Che intendi esattamente?» domandò, perplessa.

Rafe sospirò, passandosi una mano fra i capelli. «Sì, sì, devo farlo... — sussurrò fra sé e sé prima di poggiare gli occhi su di lei — Ascolta, papà è morto... e siamo rimasti solo io, Sarah e Wheezie. Io devo occuparmi di ogni cosa. Sono a capo della famiglia, mi capisci?» le si avvicinò, piegandosi sulle ginocchia per arrivare alla sua altezza.

Ophelia capì dove volesse andare a parare e sospirò. «Rafe, dopo quello che hai—»

«Lo so, lo so... So cos'ho fatto, ok?» la fermò, ma non bruscamente. Si limitò a poggiarle le mani sulle ginocchia e a guardarla. «Ma senti, ehm... io volevo solo aiutare mio padre, ok? Io— tutto quello che ho fatto, l'ho fatto per aiutarlo, e tu hai visto il video. Diceva che dobbiamo mantenere la famiglia unita. Era il suo ultimo desiderio, ed ora è morto, e ti giuro che farò qualsiasi cosa per realizzarlo» disse con tono di voce basso, talmente serio da farle venire i brividi.

Ophelia si mordicchiò il labbro inferiore, non capendo esattamente cosa volesse dire con "farò ogni cosa", ma qualcosa le diceva che non fosse una cosa positiva, che avrebbe davvero fatto di tutto per far avverare l'ultimo desiderio di suo padre.

«Sarah non ti perdonerà mai, Rafe...» mormorò, cercando di essere cauta.

Sapeva quanto anche Sarah, nel profondo, soffrisse per aver perso suo fratello, ma ancora di più soffriva per il fatto che lui avesse tentato di ucciderla due volte. Ophelia sperava che con il tempo potessero tentare di recuperare il rapporto, per quanto fosse possibile, ma doveva partire da Rafe, e non doveva farlo solo perché così voleva Ward.

Lui chiuse gli occhi per un attimo, sospirando profondamente. «So di non poter cambiare il passato, Ophelia, ma sarò diverso d'ora in poi. Anche per noi...» le rispose, tracciando dei cerchi immaginari sulla pelle nuda delle sue gambe e facendola rabbrividire.

La rossa sospirò, abbassando lo sguardo con la consapevolezza che le cose non sarebbero mai state diverse se lui avesse continuato ad agire di riflesso a quello che voleva suo padre. Anche da morto, Ward era in grado di condizionarlo, e ora Rafe avrebbe fatto di tutto per tenere la famiglia unita. Neanche voleva pensare a cosa sarebbe stato disposto a fare.

Sospirò, allungando la mano verso di lui che, con titubanza, l'afferrò prima che lei lo facesse accomodare sul letto al suo fianco. 

«Starai bene, Rafe — sussurrò, e quando lo vide scuotere la testa, lo costrinse a guardarla — Fidati di me. Starai bene. Ci sono passata, e so che non ci credi, ma è così» gli carezzò le guance morbide e bagnate con il pollice.

Rafe si lasciò accarezzare, chiudendo di poco gli occhi come nel tentativo di rilassarsi sotto il suo tocco. «Come— come hai fatto?» le domandò a voce bassa.

«Uhm... ero piccola, in realtà, quindi non ricordo molto, lo ammetto» ammise imbarazzata.

Quelle parole così ingenue riuscirono a strappare un lieve risolino a Rafe, e Ophelia sentì il suo cuore stringersi in una morsa. Era la prima volta che lo vedeva ridere sul serio. Non un ghigno, non una risata beffarda... ma una risata breve e vera.

Alzò l'angolo destro della bocca. «È un bel suono» gli disse senza peli sulla lingua.

«Cosa?» le domandò confuso, aprendo gli occhi.

«La tua risata» disse. «Dovresti seriamente ridere di più e smetterla di avere il broncio. Sai, ti si forma una ruga proprio qui—»

Prima che potesse finire la sua frase e la presa in giro nei confronti di Rafe, si ritrovò intrappolata fra il materasso e il suo corpo ben definito, ma contro ogni aspettativa, iniziò a strofinare le dita contro i suoi fianchi, facendole spalancare gli occhi.

«No— Rafe, ti prego, il solletico, no» disse fra gli ansimi e le risate, dimenandosi sotto il suo corpo.

«Una ruga, hai detto?» replicò lui, continuando a torturarla con quel solletico infernale.

Lei continuò a scalciare, ma Rafe non era per nulla intenzionato a lasciarla andare, e, istintivamente, fece la prima cosa che era certa lo avrebbe fatto smettere.

Lo baciò.

Premette le labbra contro le sue e, come previsto, smise di solleticarle i fianchi e li afferrò con le mani, tenendola ferma e ricambiando il bacio senza aspettare troppo. Ophelia gli allacciò le braccia al collo e le gambe attorno alla vita, spingendolo verso di sé e facendogli uscire un gemito strozzato nel momento in cui le loro intimità si sfiorarono. Gli sorrise sulle labbra, continuando a baciarlo velocemente, con le lingue che giocavano fra di loro e i denti che si mordicchiavano di tanto in tanto, facendo sì che entrambi ansimassero in modo incontrollato.

Ophelia spense il mondo, spense ogni cosa e si concentrò solo su Rafe mentre la passione prendeva pian piano il sopravvento. Continuava ad essere intrappolata tra lui e il materasso, e questo le permetteva di strofinarsi contro il rigonfiamento nei suoi pantaloni, facendolo gemere vergognosamente nella sua bocca.

«Cazzo» si lasciò sfuggire, facendola sorridere durante il bacio.

Spinta dall'eccitazione e dal desiderio di controllo, capovolse la situazione e si mise a cavalcioni sul corpo di Rafe, che inizialmente spiazzato dal gesto, mise su un ghigno e la osservò come se fosse pane per i suoi denti, una preda da sbranare.

Si prese un attimo per guardarlo. Alcune ciocche di capelli gli sfioravano la fronte. Gli occhi blu erano colmi di desiderio, di lussuria e di bramosia, e le labbra erano gonfie e arrossate a causa del bacio. Nonostante non fosse al meglio delle sue condizioni mentali, era così dannatamente bello ed eccitante.

Avvolse le braccia attorno al suo collo, avvicinando il volto al suo e permettendo ai loro nasi di sfiorarsi. Lui le poggiò le mani sulle cosce, stringendole con forza e desiderio, e proprio quando fecero per baciarsi, una voce li fermò.

«Rafe!»

Ophelia spalancò gli occhi, rilassandosi solo quando la riconobbe come la voce di Rose e non di Wheezie. Questo, però, non toglieva il fatto che avrebbe potuto parlare a Sarah della sua presenza nella stanza di Rafe.

«Oh cazzo» disse Rafe, ruotando gli occhi al cielo.

Ma la ignorò, riappropriandosi delle labbra di Ophelia e mordendole il labbro inferiore.

«Rafe! Vieni subito—»

«Arrivo, cazzo! Arrivo!» sbraitò irritato, serrando la mascella con rabbia e facendo un profondo sospiro. Poi poggiò gli occhi sulla ragazza, ancora a cavalcioni su di lui. «Torno subito. Mi aspetti?» le domandò, ma sembrava più che la stesse supplicando di non andare via.

«Mi trovi qui» gli rispose subito.

Rafe annuì. «Bene» le lasciò un veloce bacio sulle labbra prima di farla scendere dalle sue gambe.

Ophelia si limitò a sospirare, guardandolo andare via. Dopodiché, si lanciò delle occhiate attorno, osservando la stanza di Rafe, così tanto anonima che pareva essere più la stanza di un hotel che la stanza di un ventenne. Non c'era quasi nulla di lui se non delle foto che lo ritraevano con suo padre. Si avvicinò ad una di essa, vicino al comodino, e le nacque un flebile e spontaneo sorriso quando si rese conto del fatto che Rafe stesse sorridendo. Sorridendo davvero. Era così felice vicino a suo padre, vicino a quell'uomo che lo aveva rovinato.

Improvvisamente, però, si ritrovò ad aggrottare le sopracciglia nel momento in cui, dietro la cornice, trovò una busta con dentro della polverina bianca. Deglutì, afferrandola con titubanza e osservandola.

«Rose mi farà uscire fuori di testa, cazzo, te— Che stai facendo?» la voce di Rafe la fece tornare con i piedi per terra.

Ophelia si voltò, e il ragazzo la guardò prima di poggiare gli occhi sulla bustina che stringeva fra le mani. La sua espressione mutò, e serrò la mascella.

«Hai frugato tra la mia roba?» chiese a denti stretti, facendo un passo verso di lei.

La rossa scosse la testa. «Era qui» disse.

«Oh, e hai pensato che sarebbe stata una buona idea farti gli affari miei, vero?!» alzò di poco il tono della voce, dilatando le narici a causa del respiro profondo che fece subito dopo.

«No, Rafe—»

«Cos'è? Sei forse qui per i tuoi amici Pogues? — le strappò la bustina dalle mani, torreggiando sul suo corpo minuto e facendola finire con le spalle contro il muro — Stai facendo il doppio gioco, Ophelia?»

No. Stare con lui significava indubbiamente tradire, in un certo senso, i suoi amici, ma non era una doppiogiochista. Fare il doppio gioco significava aiutare Rafe all'insaputa e ai danni dei suoi amici, e lei non avrebbe mai tradito i Pogues.

«Sono qui solo perché mi hai chiesto di venire, imbecille» gli sputò acidamente contro, reggendo il suo sguardo.

Le afferrò con decisione il polso destro. «Sta' attenta alle parole, Ophelia» l'avvertì.

«Sniffi ancora cocaina?» andò dritta al punto.

Rafe vacillò a quelle parole. «Sto cercando di—»

«Stai cercando di smettere con un bustina in camera? Sul serio?» gli disse rabbiosa, cercando di scrollarselo di dosso, ma lui rimase fermo.

«È che a volte— a volte, sai, impazzisco, e devo...» si fermò, facendo un profondo sospiro. «Senti, cambierò, ok? Ma mi serve del tempo per farlo».

Lei scosse la testa. «Non cambierai mai se continuerai ad avere questa roba» replicò.

«Lo so, lo so, lo so... ti prego» la voce si incrinò, e, senza rendersene conto, prese a stringerle con forza la mano attorno al polso.

«Rafe, lasciami» mormorò, spaventata. «Mi stai facendo male».

«Senti, ascoltami—»

«No, Rafe, devi lasciarmi!» urlò, dandogli una spinta e facendolo indietreggiare.

Lo guardò con occhi spalancati, massaggiandosi il polso dolorante e chiedendosi chi diavolo fosse quel ragazzo.

«Mi— mi dispiace» disse, visibilmente mortificato. «Sul serio, mi dispiace. Non volevo offenderti o farti del male» continuò, supplicandola di credergli.

Lei scosse la testa. «Non mi hai offeso, ma devo... devo andare» sussurrò, desiderosa di uscire da quella casa.

«Non andartene, ti prego. Non farlo!» alzò il tono della voce e vacillando.

Ophelia deglutì rumorosamente. «Rafe, devi cercare di stare bene... e io non posso aiutarti se non parte da te il desiderio di cambiare» cercò di fargli capire, stringendogli delicatamente la mano.

«Quindi è così? — la guardò, deluso — Corri da quei Pogues e mi lasci in tutto questo?» la voce gli si incrinò.

«Non cercare di fare leva sui miei sensi di colpa. Non funzionerà, Rafe!» chiarì a denti stretti.

Rafe chiuse gli occhi per qualche secondo, probabilmente nel tentativo di calmarsi. Poi fece qualche passo verso di lei, arrivando ad un centimetro dal suo volto. Gli occhi gli si incupirono così come il suo viso, completamente diverso rispetto a quando erano sul letto a baciarsi.

«Hai deciso da che parte stare, Ophelia» le soffiò sulle labbra.

Lei lo guardò per un attimo, stupendosi del fatto che pochi istanti prima fossero sul letto a baciarsi mentre invece adesso erano lì a dichiararsi guerra, ma in fondo era così con Rafe, no? Era sempre stato così. Litigavano, si facevano del male, e poi bastava che lui crollasse, che si guardassero negli occhi, e prendeva vita la passione che c'era fra di loro.

«Sono sempre stata dalla stessa parte, e non è la tua».

Fu l'ultima cosa che gli disse prima di girare i tacchi e andare via. Ritornò a casa per aiutare suo padre con la correzione dei compiti dei ragazzi del primo anno, e, successivamente, quando sopraggiunse la sera, si diresse allo Chateau per stare con i suoi amici.

Si trovava stesa sulla barca tra Pope e John B, entrambi col cuore a pezzi a causa della loro vita sentimentale. A quanto pareva, infatti, alla fine Sarah aveva lasciato il ragazzo per la situazione pesante e perché non aveva ricevuto "supporto" da lui, che sapeva cosa significasse perdere un padre. Anche se si trattava di Ward, avrebbe voluto ricevere un minimo di affetto e di comprensione dal suo ragazzo, che invece si era mostrato impassibile.

Non che Ophelia stesse meglio, comunque. Stava riflettendo da ore, e credeva che fosse arrivato forse il momento di lottare sul serio contro se stessa e di dire basta: nonostante Rafe cercasse a tratti la redenzione, probabilmente, per sua natura, non l'avrebbe mai ottenuta, e ora, come se non bastasse, era sul punto di perdere il controllo anche con lei, e il lieve livido al polso ne era la dimostrazione.

Non erano destinati, semplicemente.

«Non capisco, davvero...» mormorò improvvisamente John B, spezzando il silenzio che aleggiava attorno a loro.

«Ah, l'amore... — esordì d'un tratto Pope — Cinque minuti di piacere e una vita intera di sofferenze» recitò teatralmente, tenendo lo sguardo fisso in cielo.

«Wow...» rispose il castano, ammaliato da quella frase in cui, probabilmente, si rivedeva.

Ophelia girò il capo prima a sinistra, guardando John B, e poi a destra, guardando Pope. «Sapete cosa penso? Che dovreste smetterla di frignare. Sul serio» disse senza peli sulla lingua.

«Ti sei mai innamorata, Lia?» le domandò il ragazzo a sinistra, facendola irrigidire per un momento.

Innamorata. Amore nei confronti di qualcuno.

Era amore quello che provava per Rafe Cameron? Era amore il suo desiderio di stargli accanto? Era amore il suo volere che lui migliorasse in modo che potessero, col tempo, magari diventare qualcosa? Era forse amore il modo in cui lui faceva leva sui suoi sensi di colpa? Era forse amore il loro essere nemici? Era forse amore il loro cedere di tanto in tanto e mettere in pausa il mondo?

No. Non era amore. Era solo un legame profondo, senza dubbio ambiguo, ma che non poteva diventare altro se lui continuava ad essere il solito Rafe. Non avrebbe mai potuto amarlo in quelle condizioni.

«No» rispose poco dopo.

«Allora non puoi capire...» sospirò JB, scuotendo la testa.

«Forse — concordò — Ma restare a piagnucolare non vi farà stare meglio. Anzi, succederà il contrario».

Il castano annuì lievemente. «Già» disse prima di mettersi seduto e guardare Pope. «Senti, tu e Kiara... Che succede tra voi? Raccontami» lo invitò a parlare.

Pope sbuffò, alzandosi di poco e mantenendosi sui gomiti. «Beh, lei vuole che siamo solo amici».

«Oh, colpo mortale» commentò John B.

«Brutta situazione, ma continuò a credere che non sia la fine del mondo» replicò Ophelia.

Credeva fermamente che fosse buffo il fatto che riuscisse a dare consigli a tutti i suoi amici quando lei era la prima a ritrovarsi in una situazione al dir poco complicata.

«È che non me lo sarei mai aspettato — disse il ragazzo, guardando poi la sua amica — Tu però non mi sembri sorpresa. Lo sapevi già?» le chiese.

John B annuì. «Già. Voi tre siete sempre a parlare, e sono certo che parlare di ragazzi sia in cima alla vostra lista degli argomenti da affrontare».

«Dovresti imparare ad essere più umile. Non parliamo solo di voi — sospirò — Comunque, Pope... sì, insomma, in realtà non c'è mai neanche stato bisogno che me lo dicesse. Era evidente. Forse sei stato tu a non aver colto i segnali perché speravi in altro» si rivolse a lui, addolcendo lo sguardo. Poi si girò verso John B. «E tu, stupido, avresti dovuto darle un po' d'affetto. Capisco che si tratti di Ward Cameron, ma Sarah è la tua fidanzata e sta soffrendo» lo ammonì, guardandolo severamente.

Il ragazzo sospirò, passandosi una mano fra i capelli castani. «Era... era la mia ragazza» la corresse.

«Sarah ti ama, JB. È solo una situazione molto difficile per lei, ma ti prometto che passerà» gli strinse delicatamente il braccio, accennando un flebile sorriso.

«E tu? — chiese improvvisamente Pope, poggiando gli occhi scuri su di lei — Dopo quell'avventura terribilmente sbagliata con Rafe Cameron, come va la tua vita sentimentale?» indagò.

«Oh Dio, non ricordamelo» mormorò John B. «Credo rientri nella top three delle cose peggiori che tu abbia mai fatto in vita tua. Anzi, sai cosa? Si aggiudica il primo posto» commentò.

Ophelia si sentì quasi fisicamente male davanti a quelle parole, consapevole di aver trascorso la mattinata insieme a lui a loro insaputa. Si odiava per quello, ma almeno sapeva, pur cedendo di tanto in tanto, da che parte stare.

Si sforzò di ridacchiare. «Stabile. Se ci fosse qualcuno, sareste i primi a saperlo» si limitò a dire.

«Attenzione, bomba in arrivo al volo!»

Urlò improvvisamente JJ, lanciando una birra che cadde violentemente ai piedi dei ragazzi in barca.

«Che riflessi, ragazzi...» commentò sarcasticamente Kiara, sporgendosi dal parapetto di fianco al biondo.

Ridacchiando e mettendosi in piedi, i tre riuscirono ad afferrare al volo le loro birre.

«Che fate laggiù? Piangete?» domandò JJ.

«Piangere?» ripetette Pope, scuotendo la testa.

«Cosa? No, io non piango» rispose John B.

Ophelia li guardò entrambi. «Hanno appena finito di farlo, in realtà» li sbugiardò, aprendo la lattina di birra.

«Non è colpa tua, lo sai» intervenne Kiara, guardando il castano.

«Ophelia dice che cambierà idea. Tu cosa ne pensi, Kie?» domandò speranzoso il ragazzo.

«Ma sì che cambierà idea. È una di noi» asserì con convinzione.

John B sorrise dolcemente prima di abbassare lo sguardo. «Sarah è una Pogue — disse più a se stesso che a loro — Cambierà idea. Sì, tornerà da me. Giusto» annuì, certo. «Al solo pensiero... mi viene voglia di fare un tuffo all'indietro» guardò i suoi amici.

«Non è vero».

«No, menti».

«Ah no? Ok, tenetemi la birra che già vi siete scolati» sorrise prima di saltare all'indietro con una capriola e finire in acqua.

Tutti risero, esultando e applaudendo.

«Sei il migliore, John B!»

E così trascorsero la serata tra birre e erba, e Ophelia si ritrovò a pentirsene il giorno successivo quando aprì gli occhi e fu colpita da un lancinante dolore alla testa mentre cercava di mettere a fuoco il volto di Kiara, che si trovava a un passo dal suo.

«Uhm?» domandò confusa, massaggiandosi le tempie e ritrovandosi a chiudere gli occhi.

«Ehi — la scosse lievemente — Abbiamo scuola e devi alzarti. Forza. Fai una doccia veloce. Ti ho lasciato i panni puliti nella stanza di John B» la tirò verso di sé.

Nonostante fosse visibilmente fuori di sé, Ophelia riuscì a mettersi in piedi e a guardarsi attorno, assumendo un'espressione disgustata quando si rese conto del fatto che il salotto dello Chateau fosse un vero porcile, con lattine di birra sparse sul pavimento assieme a cartoni di pizze e briciole di patatine. Non ricordava molto, ma certamente si erano divertiti, in particolare lei, John B e JJ, che sembravano incoscienti sul divano mentre Pope cercava di svegliarli.

«Perché tu e Pope state bene?» chiese confusa Ophelia. «Ricordo di avervi visto fumare erba».

«Non come voi — le rispose Kiara, spingendola poi nel bagno — Muoviti» e chiuse la porta.

La rossa sbadigliò stanca, massaggiandosi il volto e guardandosi allo specchio. Diamine, fare festa durante la settimana era stata l'idea peggiore di sempre, e quasi si spaventò quando vide i suoi capelli arruffati e briciole di patatine incastrate in alcune ciocche. Il volto era pallido, e le occhiaie erano fin troppo accentuate.

Mise su un'espressione disgustata prima di infilarsi sotto la doccia e rilasciare un sospiro di sollievo. Rimase lì per qualche minuto, sentendo i nervi distendersi e massaggiandosi la nuca nel tentativo di alleviare il suo mal di testa. Successivamente, si strinse nel primo accappatoio che trovò, e lavò i denti con lo spazzolino che aveva lasciato lì tempo addietro.

Entrò nella stanza di John B, indossando i vestiti puliti che le aveva preparato Kiara, e poi passò l'asciugamano sui capelli bagnati nel tentativo di togliere quantomeno l'umidità. Ancora stordita, tornò in cucina, trovando John B piuttosto dormiente nonostante fosse seduto nel bel mezzo del divano, e JJ al suo fianco che era steso nella stessa posizione di prima.

«È vivo? Respira?» chiese confusa, indicando il biondo con un cenno del capo.

«Non lo so» mormorò John B con la voce impastata dal sonno.

Ophelia si strinse nelle spalle, ritrovarsi poi davanti Kiara che le porgeva un'aspirina e un bicchiere d'acqua.

«La colazione dei campioni» commentò prima di regalarle un sorriso di gratitudine e mandare giù la pillola.

«Ehi, dobbiamo andare a scuola! — Pope continuò a scuotere JJ — Abbiamo il compito di geometria tra mezz'ora».

A quelle parole, Ophelia spalancò gli occhi. «Cazzo, lo avevo rimosso!» disse, lamentandosi.

«Hai studiato, no?» la guardò Kiara.

«Certo» annuì. «Ma fare un compito di geometria post-sbronza non è il massimo» arricciò il naso.

Fortunatamente, riuscirono a far alzare JJ, visibilmente fuori di sé. Dopo un'aspirina a lui e a John B, i ragazzi entrarono nel van, trascorrendo tutta la durata del viaggio nel silenzio più totale, con il biondo che rischiava di vomitare ad ogni curva.

Quando entrarono a scuola, il quartetto salutò Kiara, che avrebbe avuto lezione di scienze, e si infilò in aula, pronto a svolgere il compito di geometria.

«Mi fa piacere vederti, John B. Routledge» esclamò la professoressa, avvicinandosi al ragazzo.

«Piacere mio» rispose lui, assonnato.

«In tempo per il questionario» ghignò la donna, passandogli il foglio.

John B spalancò gli occhi prima di voltarsi verso Ophelia e Pope. «Questionario?» mimò.

«Ve l'avevamo detto che oggi c'era un compito!» gli rispose il ragazzo, guardandolo in malo modo.

«Non è vero!» ribatté preoccupato.

«Te l'abbiamo detto almeno sette volte!»

Quando la professoressa diede inizio al compito, Pope e Ophelia si ritrovarono a dover aiutare John B e JJ, che non facevano altro che richiamarli, ottenendo occhiatacce dalla donna dietro la cattedra.

Fortunatamente, l'ora passò in fretta, e i quattro abbandonarono l'aula e raggiunsero il cortile.

«Falò? Sono sicuro che voleva darlo a me — disse certo JJ, rigirandosi fra le mani il biglietto che una ragazza aveva dato a John B — Quindi ci andiamo, certo che ci andiamo!» batté le mani.

«Non voleva darlo a te» disse Ophelia. «John B è l'uomo del momento. Il sopravvissuto» gli diede una pacca sulla spalla.

«Oh signorina Martin, signor Heyward, signor Routledge, signor Maybank, proprio le persone che volevo vedere!» disse improvvisamente il professor Sunn, mettendo le mani sulle spalle dei ragazzi per farli rientrare nella struttura.

«Vorrei dire lo stesso» replicò JJ sarcasticamente.

Una volta entrati nell'aula di storia, li guardò. «Ho una domanda di natura storica per voi quattro».

«Abbiamo fatto qualcosa?» domandò Ophelia, confusa.

Il professore la guardò prima di scuotere la testa e prendere parola. «Ho digitalizzato i documenti per il Museo Marittimo, e in cambio mi hanno dato l'accesso. Ho trovato questo» aprì la stanza degli archivi, afferrando una scatola.

«Una scatola» mormorò Pope, perplesso.

«È più di una scatola. Guardate — la posò sulla cattedra e la aprì subito dopo, rivelando una busta di plastica con dentro qualcosa — Procedi, Heyward».

Il ragazzo afferrò la busta e la strinse tra le mani prima di aprirla. Al suo interno c'era un diario che sembrava essere molto antico data la copertina di cuoio usurata.

«È un diario. L'autore è ignoto» li informò il professore.

Pope lo aprì. Le pagine erano ingiallite, alcune dimezzate, e alcune scritte erano state oramai leggermente sbiadite dal tempo. Ad attirare la loro attenzione, però, fu la pagina iniziale, sulla quale era inciso il simbolo del grano.

«Wow» sussurrò John B, sbigottito.

Quel diario aveva senza dubbio a che fare con la Royal Merchant, con l'oro e con Denmark Tanny. Probabilmente anche con quella strana chiave.

«Questa è una copia di una lettera di Denmark Tanny — il professore afferrò un foglio, mettendolo davanti ai ragazzi — Confrontate la calligrafia».

«Sono identiche» notò Ophelia.

«È il diario di Denmark Tanny» disse Pope, certo.

Sfogliando le pagine, notarono anche dei piccoli disegni oltre alle scritte.

«Questo dev'essere il capitano Limbrey» il moro indicò il disegno di un uomo. «6 agosto 1829» lesse.

«È l'anno in cui la Royal Merchant è affondata» rifletté John B.

«Ed è anche l'anno in cui è andata persa in mare la Croce di Santo Domingo» aggiunse la rossa.

«Ho pensato che potesse interessarvi» riprese parola il professore.

«Non so come ringraziarla» rispose Pope, completamente rapito da quel diario.

Il signor Sunn sorrise. «È importante conoscere la storia dei nostri avi».

A quelle parole, assunsero tutti un'espressione confusa mentre lo guardavano abbandonare l'aula e lasciarli soli.

«Oh mio Dio — disse improvvisamente Pope — È la Croce di Santo Domingo!» esclamò, e tutti si avvicinarono a lui per osservare il disegno della Croce che veniva sorretta da degli uomini.

«Era sulla Royal Merchant».




































Btw, piccola nota per dire che so che probabilmente qualcuno di voi si aspetta qualcosa come "i can fix him", e io penso che, nel suo piccolo, Ophelia abbia provato parecchie volte ad aiutarlo, prendendosi cura di lui quando crollava, ma ricordiamoci che aiutare qualcuno a cambiare NON significa annullarsi per questa persona, perché altrimenti finisci per perdere anche te stesso, ed è evidente che il Rafe della seconda stagione non desideri per nulla cambiare, e lei non può aiutarlo se il primo a non volere questa redenzione è lui. Inoltre, Ophelia è ben consapevole del fatto che se lo seguisse, cadrebbe nel baratro con lui. Ciononostante, è abbastanza evidente che speri che lui cambi per se stesso e anche per loro, e ogni volta che lui chiama, lei corre spinta anche da questa speranza.

Inoltre, è ben chiaro che la squadra di Ophelia sono i Pogues. Stare dalla parte di Rafe significherebbe tradirli, e non lo farebbe mai 🫡🫡

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