034 un po' più in giù
⸻ capitolo trentaquattro ⸻
( un po' più in giù )
«John Booker Routledge, ai sensi della sezione 14 dello statuto della Carolina del Nord, è accusato di omicidio di primo grado con circostanze aggravanti. Se condannato, la pena massima è la pena di morte».
Il successivo colpo del martelletto riecheggiò in tutta l'aula di Tribunale.
Ophelia si pietrificò nell'udire quelle frasi. Era come se tutto stesse andando a rallentatore mentre cercava di metabolizzare quelle parole, il fatto che il suo migliore amico sarebbe potuto morire per un omicidio che non aveva commesso.
Pena di morte. Tre parole così dolorose, capaci di farla agghiacciare, soprattutto se erano rivolte a un adolescente innocente che era stato incastrato dai ricchi, dai potenti. Lui che non aveva avuto giustizia, lui che stava scontando la pena di essere un povero Pogue sul fondo della catena alimentare.
La rossa alzò lo sguardo verso John B, che era avvolto nella divisa arancione e che teneva il capo chino. Non riusciva a vederlo, ma poteva immaginare il suo volto sconfitto, provato dalle lacrime. Poteva sentirlo chiedersi "Perché?, "Perché sono qui quando dovrei essere solo fuori a divertirmi con i miei migliori amici?".
Già. Perché. Era quello che si chiedeva Ophelia da quando John B era stato accusato. Possibile che le semplici parole, le semplici accuse di Ward Cameron esercitassero una forza tale da non far scomodare nemmeno la polizia per indagare? Le sue parole erano verità a prescindere, per loro?
Non avevano indagato su nulla. Né su Gavin, né sulla pistola... e se lo avevano fatto, beh, avevano deciso di nascondere la testa sotto la sabbia, di fare finta di niente come sempre.
"È meglio non credere mai di aver toccato il fondo", diceva Big John a suo figlio, "perché puoi sempre andare un po' più in giù. L'inferno è così, ce n'è sempre un altro sotto di te".
Ophelia ricordava come se fosse ieri quando John B aveva improvvisamente esordito con una delle tanti frasi che gli diceva spesso il "suo vecchio", come lo chiamava lui, e credeva che si adattasse perfettamente a quella situazione.
Il fondo totale, per John B, era la pena di morte, ora.
Improvvisamente, fu riportata con i piedi per terra dal caos che esplose in Tribunale.
«Ha solo diciassette anni!» urlò JJ, mettendosi in piedi.
«Silenzio in aula!»
«Ma che sta dicendo?»
«È davvero assurdo!»
Ophelia sbatté le palpebre prima di guardarsi attorno. L'aula di Tribunale pullulava di Kooks, tutti contro John B, tutti felici, soddisfatti e con un sorriso in volto. Poi ecco che i suoi occhi caddero su Ward Cameron, tranquillamente seduto come se stesse assistendo a una partita di calcio e sapesse già il risultato, come se sapesse già chi avrebbe vinto.
I Pogues cominciarono ad inveire contro il Giudice, o meglio, JJ cominciò ad inveire contro il Giudice, con Pope che tentava di calmarlo perché consapevole che, in quel modo, non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Sarah, invece, cominciò a piangere, intenzionata a raggiungere il suo ragazzo, che stava per essere portato via dalle guardie. Kiara, al suo fianco, cercava di tenerla a sé.
«John B, no!» urlò la bionda, piangendo disperatamente e venendo fermata da un poliziotto.
«Sarah, andiamo» la sua amica cercò di farla tornare indietro.
Ophelia non riusciva a muovere un muscolo, e tutti i brusii e i mormorii le arrivavano ovattati alle orecchie. Non riusciva a non concentrarsi su nulla che non fossero le parole del Giudice.
Pena di morte. Pena di morte. Pena di morte.
«Ehi — sentì Kiara richiamarla — Andiamo, forza» le strinse delicatamente la mano, e, senza ribattere, si fece portare fuori dal Tribunale.
Una volta uscita da quell'ambiente, Ophelia parve riprendere a respirare e fece dei profondi sospiri nel tentativo di calmarsi.
«Giustizia è stata fatta».
«Se l'è cercata».
«Ha avuto quello che si meritava».
«Il massimo della pena. Ma scherziamo? È solo un ragazzo».
«È uno scherzo? Siamo all'inferno o...» prese parola Kiara non appena tutti si riunirono in gruppo.
«Non dovevo tornare a casa» mormorò Sarah, con le lacrime agli occhi.
«Lo uccideranno, ragazzi. Lo so» prese parola JJ, nervoso.
«Mi dispiace per quello che avete passato lei e la sua famiglia. Grazie al cielo il sistema funziona».
A quelle parole, Ophelia si voltò di scatto, trovando l'avvocato di Ward Cameron e Rose parlare proprio con i due coniugi.
«Può stare zitto?!» sbottò, attirando la loro attenzione.
«Certo che secondo lei il sistema funziona, è stato concepito per proteggere lei e le persone come lei» continuò Kiara.
«Se la vedrà in Tribunale. La giuria deciderà» rispose l'avvocato.
«Non dovrebbe nemmeno essere in quell'aula! Lei sì invece, perché è un assassino!» gridò la rossa contro Ward.
«Ha un bel coraggio a venire qui dopo tutto ciò che avete fatto!» aggiunse la castana.
Erano oramai un fiume in piena. Odiavano Ward. Odiavano Ward con ogni fibra del loro corpo.
«Calmatevi! Calmatevi!» sentirono dire da Shoupe in lontananza.
«Vi capisco, ragazze. So che siete arrabbiate e—»
«Arrabbiate?!» Ophelia lo fermò, sentendo le mani formicolare dalla rabbia.
«Lui vi ha presa in giro. Ha preso in giro tutti voi» continuò imperterrito l'uomo, come se, in quel modo, potesse manipolare anche loro, portarle dalla sua parte.
Ma loro non erano come la polizia.
«Non sono arrabbiata, sono proprio incazzata!» urlò Kiara, facendo per avvicinarsi ma venendo tirata indietro da Shoupe.
«Guai a voi! Portate rispetto, ragazzine!» gridò Ward contro di loro.
«E dov'è il suo rispetto, Ward? Ha fatto arrestare un ragazzo innocente!» replicò la rossa, scrollandosi di dosso le mani dello sceriffo.
«Metta la museruola ai suoi cani!» gridò JJ contro Shoupe, tirando a sé le ragazze. «Perché non se la prende con i Kooks per una volta, eh?»
«Volete che vi arresti? Andatevene!» ribatté irritato.
«Che stronzata!»
«Andatevene via!»
«Andiamo, non ne vale la pena» mormorò Sarah, stringendo le mani delle sue amiche.
«È una vergogna» mormorò JJ all'agente, guardandolo con disprezzo.
«Sa', Ward — Ophelia si voltò un'ultima volta prima, attirando la sua attenzione — Io non credo sia un caso che Sarah stia con noi e non con lei» sputò acidamente, vedendolo vacillare.
Subito dopo, i ragazzi raggiunsero lo Chateau, occupando la veranda e iniziando a spremersi le meningi nel tentativo di trovare un modo per aiutare e liberare John B, ma sembrava tutto inutile. Avevano già provato di tutto, diamine.
Ophelia si strinse le ginocchia al petto, tirando su il cappuccio della felpa di John B e osservando la pioggia cadere violentemente. Il cielo sembrava essere in grado di riflettere il loro stato d'animo interiore.
Era così che si sentivano. Tristi. Angosciati. Arrabbiati. Desiderosi di urlare. Desiderosi di piangere.
«Sentite, io voglio testimoniare in Tribunale! Io ero là — prese improvvisamente parola Sarah — Ma ho solo bisogno di contattare mia sorella» aggiunse, facendo avanti e indietro.
«Tua sorella?» domandò JJ, sperando di aver capito male.
«Hai il telefono, Kie?» le chiese, e lei glielo porse. «Wheezie è l'unica a sapere che quel giorno Rafe non era a casa» spiegò.
«Wheezie?» ripeté il biondo, come se avesse sentito un'assurdità.
«Non so che fare! È tutta colpa mia e farò il possibile per tirarcene fuori!» gli rispose Sarah.
«Sarah... — iniziò cautamente Ophelia — So che Wheezie farebbe di tutto per te, ma è piccola. Ward non permetterà mai che testimoni contro Rafe. È in quella casa. È nelle loro grinfie» cercò di farle capire.
La bionda la guardò per qualche secondo, forse pensando alle sue parole. «Può essere, ma devo provarci» rispose prima di rientrare nello Chateau col cellulare di Kiara.
«Wheezie? Certo, funzionerà...» mormorò JJ con sarcasmo. Poi sospirò. «Su una cosa ha ragione. Dobbiamo muoverci. Il nostro amico è un prigioniero di guerra, ok? È appena caduto in mano nemica. Potrebbe anche finire nel braccio della morte! Restiamo a guardare?» alzò il tono della voce.
«E qual è il nostro piano? Rapiamo Shoupe?» ribatté Kiara, alzandosi dalla poltrona.
«Forse. Non è l'idea peggiore, a dire il vero» rispose il ragazzo.
«Dici di no?»
«No!»
«È l'idea peggiore che abbia mai sentito» prese parola Pope.
«Sì, è pessima!» intervenne Sarah dallo Chateau.
«Senti, per favore, stanne fuori, ok?» sbottò JJ prima di guardare il suo amico. «Pope, ascolta. Finora ti abbiamo dato retta e cos'abbiamo ottenuto? Eh?»
«Ok, e qual è il tuo piano? Irrompere in carcere con delle mitraglie?» gli domandò il ragazzo.
«Allora, Pope... — si avvicinò a lui — Voglio solo che tu ti renda conto di una cosa: hanno il nostro amico. Dovremmo starcene qui senza fare niente? No, lo tiriamo fuori da là. Facciamo qualcosa immediatamente!» ringhiò con rabbia.
Il moro scosse la testa. «JJ, non irromperemo in carcere. Non se ne parla» disse.
«E poi come credi di fare, esattamente? Arresteranno anche noi» fece presente Ophelia.
«Va bene, statevene pure seduti in poltrona a non fare niente» annuì il biondo. «Io fermo non ci sto. Organizzerò un piano, a costo di fare tutto da solo».
«Ok...» annuì Kiara.
JJ lanciò un'ultima veloce occhiata ai suoi amici prima di girare i tacchi e uscire dalla veranda.
«Non irromperà in carcere, vero?» chiese Pope, guardando le sue due amiche.
«Uhm... a me sembrava molto serio. Di sicuro non se ne starà con le mani in mano» rispose la rossa.
«Farà qualcosa alla JJ» sospirò la sua amica.
Ophelia, in risposta, si mise in piedi e raggiunse JJ, che si trovava in sella alla sua moto da cross rossa.
«Ehi, JJ!» cercò di farlo fermare, strizzando gli occhi a causa della pioggia.
Lui la guardò. «Ophelia, se sei qui per farmi cambiare idea—»
«Certo che sono per qui per questo!» lo interruppe. «Non fare cazzate. Sul serio. Non lo aiuteremo da dentro una cella!» strepitò.
«Nemmeno da fuori, e non abbiamo più tempo» si limitò a dire prima di mettere in moto e andare via.
La ragazza serrò la mascella e fece un profondo sospiro prima di rientrare allo Chateau, nervosa e agitata. Non solo John B, ma ora anche JJ si aggiungeva alla lista delle "persone di cui preoccuparsi".
Decisero di tornare tutti a casa tranne che Sarah, che rimase allo Chateau. Kiara, invece, accompagnò prima Pope e poi Ophelia, la quale andò a rintanarsi nella sua stanza. Subito dopo, si tuffò sul letto per guardare il suo amato soffitto.
Per una volta fu felice del fatto che non ci fosse suo padre. Gli voleva bene, sul serio, ma non aveva alcuna voglia di rispondere a domande, di parlare, o di sentire frasi motivazionali come "John B ce la farà", soprattutto perché, al momento, non ce la stava facendo.
Trascorse il tempo con le cuffie nelle orecchie e le canzoni strappalacrime, peggiorando il suo umore già negativo, e per un attimo si chiese se soffrisse di un lieve masochismo. Se così fosse stato, si sarebbero spiegate molte cose.
Improvvisamente, nel momento in cui fece per cambiare canzone, sentì un rumore. Aggrottò le sopracciglia, sfilandosi poi le cuffie, ed effettivamente qualcuno stava bussando alla porta di casa. E anche in maniera piuttosto violenta.
Abbandonò la sua stanza, chiedendosi chi fosse, e sperò con tutta se stessa che si trattasse di JJ che era ritornato lucido e aveva abbandonato il suo folle piano.
Ma quando aprì, si ritrovò a spalancare gli occhi.
«Kiara?» chiese preoccupata, trovandola in preda alle lacrime e con un borsone sulle spalle.
«Lia...» pianse, allacciandole immediatamente le braccia al collo.
Ophelia, piuttosto scossa, chiuse la porta prima di ricambiare l'abbraccio della sua amica e stringerla forte a sé, accarezzandole la schiena delicatamente.
«Ehi, Kie... sh... sono qui» sussurrò al suo orecchio nel momento in cui la sentì singhiozzare. Dopodiché, afferrò il suo volto fra le mani e la guardò negli occhi. «Ora ci calmiamo, mh?» le disse dolcemente, togliendole le lacrime con i pollici.
La castana si limitò ad annuire e si fece portare nella cucina, ritrovandosi poi un bicchiere d'acqua fra le mani, che mandò immediatamente giù.
Ophelia di fermò a guardarla. Era triste, affranta, con il volto rigato dalle lacrime, e tremava. Tra le mani stringeva ancora il borsone, e fu allora che capì.
«Kie... — iniziò cautamente — Non dirmi che ti hanno cacciata, ti prego» supplicò in un sussurro, non riuscendo a credere ad una cosa del genere.
«È quello che hanno fatto» annuì. «Mia madre mi ha lanciato i vestiti fuori dalla veranda. "Se vuoi essere una Pogue, vivi come una Pogue", ha detto» mise su un sorriso amaro. Le lacrime ancora abbandonavano i suoi occhi.
«È parecchio... offensivo» mormorò Ophelia, aggrottando le sopracciglia.
«Il fatto che mia madre pensi che essere una Pogue significhi vivere per strada? Decisamente» disse. Poi sospirò. «Non sapevo dove andare, e—»
«Kie, ehi, sta' tranquilla. Sei venuta qui un miliardo di volte. È anche casa tua» la tranquillizzò, facendole poi cenno di seguirla in camera. «Spero non sia un problema per te dormire nello stesso letto. C'è anche quello di JJ. Puoi usarlo quando non c'è, o magari lui può dormire sul divano se siete entrambi qui».
Kiara la guardò dolcemente, accomodandosi. «Sì. È perfetto. Grazie, Lia» disse.
«Non ringraziarmi. Piuttosto, fatti spazio nell'armadio e nei cassetti» rispose, tuffandosi al suo fianco.
La castana sospirò, stendendosi a pancia sotto e guardando la sua amica. «Non sono riuscita a convincere i miei a pagare un avvocato per JB» le disse, angosciata.
«Sapevamo che non avrebbero mai accettato. Non sentirti in colpa — le strinse la spalla — Dovrà accontentarsi di un pessimo avvocato di ufficio».
Kiara abbassò lo sguardo. «Hai sentito JJ?» le chiese, poi.
«No» scosse la testa. «Spero non si metta nei guai, ma è impossibile che non lo faccia» sospirò.
«È JJ. Lo farà sicuramente» replicò prima che le vibrasse il telefono. «È Pope. Dice che vuole vederci assolutamente» lesse.
«Digli di venire qua — disse, facendola annuire — Il suo "assolutamente" mi fa sperare che abbia qualcosa in mano per aiutare John B» aggiunse.
Kie fece un debole sorriso. «Sarebbe da lui».
«Come vanno le cose?» le domandò, curiosa.
«È tutto così imbarazzante. Sai... non è stato male, ma era come... non so—»
«Calma piatta» concluse per lei, ripensando al discorso affrontato con JJ. «Zero scintille, zero fuochi di artificio, zero desiderio, zero ricordi di quella notte» continuò.
La riccia la guardò per qualche secondo prima di annuire. «Solo imbarazzo» sospirò. «Non so come andranno le cose... so solo che ora è tutto strano».
«Kia, io voglio bene a Pope, sul serio, e voglio bene a te, ma non credo... insomma, a te serve qualcuno che ti stimoli, qualcuno che ti faccia vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo. Questo non vuol dire che Pope sia noioso... significa solo che non è quello giusto per te — cercò di farle capire — Ognuno cerca il proprio tipo di amore. C'è chi lo cerca calmo e chi cerca le montagne russe, e tu cerchi decisamente le montagne russe» concluse, accennando un flebile sorriso.
Avrebbe voluto continuare, dirle il nome del ragazzo che più credeva affine a lei, ma si morse la lingua. Era evidente che nessuno dei due l'avesse ancora compreso, e, inoltre, Kie aveva una "situazione aperta" con Pope, e non sarebbe stato giusto farle il nome di un altro ragazzo.
Kiara rimase in silenzio per qualche secondo, probabilmente riflettendo sulle parole della sua amica. Poi, poco dopo, si ritrovò ad annuire lievemente, trovandosi d'accordo. «Montagne russe, eh?» chiese divertita. «Tu cosa cerchi?»
«Io?» mormorò, puntando poi lo sguardo sul pavimento. «Non ne ho idea, Kie. Sì, sai... scintille, passione, un po' di pericolo, ma voglio senza dubbio essere amata e sentirmi amata».
Si guardarono per qualche secondo prima di scoppiare a ridere, probabilmente chiedendosi come e perché si fossero infilate in quel discorso. Prima che una delle due potesse aggiungere altro, bussarono alla porta di casa.
«Ragazze, ehi!» disse Pope, precipitandosi in casa Martin.
«Ehi, tutto ok? Tuo padre come l'ha presa?» gli domandò curiosamente Ophelia mentre rientravano nella sua stanza.
«Ehm... beh, papà era arrabbiato» rispose, sedendosi sul letto.
«Arrabbiato? Perché hai lasciato il pick-up a Charleston o per altro?»
«Non lo so, ho cercato anch'io di capirlo, ma non riesco a trovare nessun motivo per la sua rabbia. Ma gli ho chiesto della chiave» le informò, e i loro occhi si illuminarono.
«Ti prego, dacci buone notizie» lo supplicò la rossa.
Il ragazzo fece un lieve sorriso. «Mi ha detto che sua nonna ne aveva una simile. Quindi sono andato nella vecchia casa della mia bisnonna e... — si fermò, frugando all'interno della tasca dei pantaloni — Ecco, ho trovato questa» tirò fuori una scatoletta al cui interno c'era la chiave.
«Oh mio Dio» sussurrò, Kie afferrandola e guardandola attentamente.
«Sì».
«Oh cazzo, Pope!» esclamò Ophelia, entusiasta.
«È quello che ci serve per farlo scagionare!»
«Ero proprio in mezzo alla stanza ed è venuta giù dal soffitto!»
«Oh mio Dio!»
«Spegnete la luce — disse il ragazzo, ricevendo occhiate perplesse — Fidatevi di me» sorrise, e la riccia si alzò per spegnerla.
La rossa sbatté le palpebre. «Adesso? Io non vedo niente» mormorò, osservando la chiave.
Pope afferrò la mano di Kie, che stringeva la chiave, e la mise sul cuscino che si trovava sulle sue gambe. «Così, non muoverla» disse, tirando fuori la torcia che solo in quel momento Ophelia notò.
«Ok...» mormorarono stranite.
Pope fece luce sulla chiave e subito dopo diede un pugno al cuscino. Grazie a quel gesto, fece innalzare della polvere, e, come per magia, riuscirono a leggere la scritta incisa sulla chiave. Essa, infatti, si rifletté sulle particelle in aria illuminate dalla luce della torcia.
«Oh cazzo!»
«Oh cazzo! Ma come diavolo ci sei arrivato?!»
«"La via che porta alla tomba parte dalla Sala dell'Isola"» lesse Ophelia. «Ma che significa?»
«Io non riesco a capire» sussurrò Kie.
«Sono abbastanza sicuro che questa storia sia legata a Denmark Tanny... e ad un angelo. Perché ricordo che Limbrey ha parlato di un angelo e poi di una chiave che conduceva a una Croce» spiegò Pope.
«Ma è assurdo, Pope! Tu sei un cazzo di genio!» disse la rossa, sconvolta.
«Ha ragione! Sei un vero genio!» annuì Kiara.
Pope sorrise soddisfatto. «Grazie».
«Ora mi chiedo cosa sia la Sala dell'Isola» mormorò la riccia.
«Non ne ho idea».
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Ophelia aveva da poco finito di aiutare JJ a non finire in carcere, dato che, a quanto pareva, aveva realmente creato un piano di fuga che, ovviamente, non era andato a buon fine. Anzi, guidando un'ambulanza — sulla quale c'era un vero paziente anziché John B — era finito con il farsi inseguire dalla polizia, ed era toccato poi ai tre Pogues raggiungerlo con l'auto e portarlo via. Il tutto era finito con lui che raccontava ai suoi amici di aver visto suo padre in carcere.
Di certo non era quello il modo in cui la ragazza desiderava trascorrere la serata, ma poteva dire, quantomeno, di essersi distratta mentre giocava a guardia e ladri.
Aveva poi deciso di andare a fare una passeggiata, lasciando a casa un'assonnata Kiara, mentre JJ si era diretto allo Chateau. In quel momento, Ophelia passeggiava per la spiaggia con le cuffie nelle orecchie e la voce di Billie Eilish a farle compagnia.
Si teneva stretta nella felpa in cui sembrava navigare dentro, e gli occhi erano puntati sul mare tranquillo. Nonostante la pioggia avesse smesso di scendere, l'aria era rimasta umida, motivo per cui, ad ogni respiro, le usciva una nuvoletta bianca dalla bocca.
Fece un flebile sorriso. Un tempo, quando erano piccoli, lei, JJ e John B si sfidavano su chi era in grado di fare la nuvoletta più grande, e il più delle volte vinceva il castano, facendo assumere un cipiglio al suo migliore amico.
Senza neanche accorgersene, una lacrima le solcò la guancia a quel ricordo, e si mordicchiò il labbro inferiore. Aveva paura. Temeva per la vita del suo migliore amico, e sì, avevano trovato quella dannata chiave, ma questo non cambiava le cose al momento. Poteva solo sperare che Sarah riuscisse a testimoniare, che le credessero e che tutto andasse per il meglio.
Peccato che l'accusatore fosse Ward Cameron.
Sospirò profondamente, abbandonando la spiaggia e tornando in strada. Nell'esatto momento in cui fece per attraversare, lo stridio delle ruote la fece sobbalzare, e solo in quel momento si rese conto del fatto che un'auto si trovasse a un centimetro da lei. Stava per essere investita.
«Si può sapere dove diavolo hai la testa?! — sentì sbraitare improvvisamente — Stavo per investirti, cazzo!» continuò, rabbioso.
La ragazza, ancora paralizzata, si voltò lentamente verso il conducente dopo aver riconosciuto la voce. Lo guardò con occhi spalancati e con il cuore in gola.
«Sei forse sor— Ophelia?» il suo nome lasciò le labbra di Rafe in un sussurro, e, subito dopo, lui era già di fianco a lei ad assicurarsi che stesse bene. «Merda! Cosa ti dice il cervello? Stavo per metterti sotto, maledizione!» iniziò a blaterare, visibilmente nervoso.
Ophelia deglutì, rendendosi conto solo in quel momento di avere ancora la musica nelle orecchie. Si sfilò le cuffie, poggiandole attorno al collo, e sospirò. «Non ti avevo visto» si limitò a dire.
«No, è chiaro» replicò, irritato.
«E neanche tu hai visto me. Perché non hai i fari accesi? Volevi forse uccidere anche me?!» gli sputò contro, guardandolo con occhi iniettati di odio.
A quelle parole, la rabbia già evidente di Rafe parve raddoppiarsi. Serrò la mascella e sospirò profondamente nel tentativo di non sbraitare. «Ascoltami molto attentamente, Ophelia — fece un passo verso di lei — Sono parecchio nervoso, e non è il momento giusto per farmi arrabbiare» disse a denti stretti, avvertendola.
«Oh, mi stai minacciando?» ribatté, stizzita. «Lo sai che John B rischia la pena di morte per un crimine che non ha commesso? Tu hai uccis—»
«No!» la fermò, stringendole con forza il polso. «Non concludere quella cazzo di frase» minacciò ancora.
Ophelia lo guardò negli occhi, entrambi rabbiosi e con i nervi a fior di pelle. Guardandolo, lei non poteva fare altro che ripensare al suo migliore amico, attualmente dietro le sbarre. Era furiosa.
Poi, improvvisamente, il suo sguardo mutò quando notò che la traccia di una lacrima passata gli rigava il volto. Prima che se ne rendesse conto, la sua mano libera era già scattata verso l'alto e il suo pollice strisciava sulla guancia del ragazzo, che parve tremare a quel gesto così insolito per lui. Come se non bastasse, solo in quel momento notò l'ematoma alla mascella destra.
«Che hai fatto?» gli chiese in un sussurro. Abbassò gli occhi, osservando le maniche della giacca impregnate di acqua. «Perché sei bagnato? Chi ti ha colpito?» continuò.
Rafe quasi vacillò a quella domanda. Rimase in silenzio per qualche secondo, probabilmente immerso nei suoi pensieri, e poi, quasi come scottato, si ritrasse dal suo tocco.
«Dovresti imparare a non fare domande» si limitò a dire.
Si voltò, probabilmente pronto a rientrare in auto, ma poi si fermò, piantando i piedi sull'asfalto umido. Parve ragionare su qualcosa, lottare contro se stesso, e prima che Ophelia se ne potesse rendere conto, Rafe era tornato indietro e stava premendo le labbra contro le sue.
Spalancò gli occhi, rimanendo paralizzata per un istante e riflettendo su quanto fosse assolutamente sbagliato baciarlo, ma nel frattempo aveva già allacciato le braccia attorno al suo collo e le loro lingue erano pronte a dare vita a un bacio caldo, bagnato e fatto essenzialmente di gemiti incontrollati e di morsi. E lei avrebbe voluto staccarsi, continuare ad accusarlo di essere la causa di tutto, ma il cervello aveva completamente smesso di funzionare mentre pensava al fatto che le fosse mancato terribilmente baciarlo e avere le sue mani sul suo corpo.
Sentiva di star facendo un torto a John B, un torto a tutti i suoi amici. Rafe era decisamente il nemico, e lei stava ricambiando il suo bacio come se da esso dipendesse la sua stessa vita. Si alzò perfino sulle punte e si lasciò spingere contro il suo petto, ed erano così disperati e bisognosi che i loro corpi si incurvavano l'uno verso l'altro.
Era come se avessero aspettato tutta la vita solo per quello.
Le mani di Rafe la toccarono, si insinuarono al di sotto della sua felpa e arrivarono alla schiena. Le punte delle dita iniziarono a premere poco sotto le scapole della ragazza nel tentativo di tenerla più vicino, e, poco dopo, iniziarono a disegnare cerchi delicati contro quella piccola striscia di pelle nuda, portando Ophelia a sobbalzare con un sussulto.
Quando si staccarono, entrambi senza fiato, fecero scontrare le loro fronti, chiudendo poi gli occhi e facendo dei respiri profondi nel tentativo di riprendersi. Ophelia sentiva il cuore batterle talmente forte che per un attimo ebbe paura che potesse uscirle dalla gabbia toracica, e, allo stesso tempo, non poteva che provare disprezzo nei confronti di se stessa.
Era davvero così debole? Così stupida da arrendersi e lasciarsi andare non appena Rafe la baciava? Anche dopo tutto ciò che aveva fatto?
La verità era solo una: Ophelia era dannatamente stanca, in quel momento, e non fisicamente. Odiava il fatto che Rafe fosse il nemico, odiava Rafe perché non migliorava, e odiava che fosse stato Ward a far peggiorare la sua situazione. Odiava se stessa perché ora si ritrovava a dover nascondere ancora altro ai suoi migliori amici.
Deglutì, aprendo gli occhi e ritrovandosi davanti quelli blu di Rafe, che la osservavano con bisogno, con desiderio, come se fosse l'unica in grado di farlo stare bene in quel momento in cui stava lentamente cadendo giù in fondo.
"No fair
You really know how to make me cry
When you gimme those ocean eyes
I'm scared
I've never fallen from quite this high
Fallin' into your ocean eyes
Those ocean eyes"
La voce di Billie Eilish, che intanto continuava ad andare avanti, le arrivò ovattata alle orecchie, e si rese conto di quanto, effettivamente, gli occhi di Rafe fossero simili all'oceano, ma non all'oceano calmo. Piuttosto, all'oceano in tempesta.
E una volta che ti ritrovavi in mare, venivi travolto senza sapere se ne saresti uscito vivo o morto. Quella scelta non dipendeva da te, ma dal mare.
Dipendeva da Rafe.
Fu lui ad interrompere il contatto, facendole sentire improvvisamente freddo. Si girò, tornando verso l'auto sotto lo sguardo di Ophelia, che aggrottò le sopracciglia quando lo vide voltarsi a guardarla.
«Che fai? Sali?» le chiese, ma non sembrava starle facendo una domanda. Piuttosto, sembrava che già conoscesse la risposta.
Lei sospirò, ritrovandosi di nuovo intrappolata tra "la cosa giusta da fare" e "la cosa che desiderava fare".
Stanca. Stanca di lottare contro i suoi desideri e le sue voglie. Stanca di dover stare lontana dalla persona che voleva avere vicino. Stanca che fosse la persona più problematica e sbagliata di sempre.
Stanca.
Così stanca che non riuscì a mentire. Non riuscì a scuotere la testa e a rifiutare. Piuttosto, si mosse verso il Range Rover e si accomodò sul sedile del passeggero, venendo travolta da numerosi brividi. Anche l'interno di quell'abitacolo era freddo, asettico, privo di odori e di emozioni. Era vuoto.
Quando anche Rafe rientrò, la guardò per qualche secondo. «Dove—»
«A casa. Accompagnami a casa» lo fermò.
Lui si limitò ad annuire e a mettere in moto prima di partire. Il viaggio fu silenzioso e nessuno dei due spiccicò parole. Anche la radio era spenta. C'erano solo i loro respiri ad interrompere, di tanto in tanto, il silenzio che aleggiava in quell'abitacolo.
Ophelia si prese del tempo per guardarlo, incurante che lui potesse rendersene conto. Lo osservò, chiedendosi ancora per quale diavolo di motivo, quando si erano incontrati, fosse così tanto agitato e con una lacrima ancora a bagnargli il volto. Si chiese anche chi lo avesse colpito con quello che aveva tutto l'aspetto di essere un pugno. Aveva litigato con suo padre? O, magari, aveva fatto a botte con qualcun altro? Non ne aveva idea, ed era anche abbastanza chiaro che lui non ne avrebbe parlato.
Continuando a studiarlo, si rese conto, probabilmente per la prima volta, che anche la sua vita era stata sconvolta nel giro di poche settimane. Se ci rifletteva sul serio, Rafe era passato dal vivere nella sua bolla di ragazzino ricco a tutto quello. Tutto ciò si combinava facendo sì che Rafe essenzialmente impazzisse.
E per quanto riguardava Peterkin, diamine, lui era pienamente consapevole di averla uccisa, ma attribuiva la colpa a John B proprio come faceva Ward per non andare prigione. Era evidente, per lei, che fosse abbastanza divorato dall'uccisione di qualcuno, ma ormai era in modalità sopravvivenza. Lui sapeva cosa aveva fatto, ma doveva soffocare quel senso di colpa e quella paura insieme a ogni altra emozione che avesse mai provato. In quel modo, non sarebbe finito in prigione.
Peccato che stesse pagando qualcun altro le sue colpe.
Ed ecco che ora lei si ritrovava in macchina con il ragazzo che avrebbe dovuto trovarsi dietro le sbarre al posto del suo migliore amico, e anche se si sentiva terribilmente in colpa, si sentiva anche di essere nel posto giusto. Per un attimo, per una sola sera, desiderava smettere di nascondersi e di lottare contro se stessa. Voleva deporre le armi, non vedere Rafe come un nemico, e passare qualche istante con lui.
Domani avrebbero ricominciato a giocare.
«Fermati qui» disse improvvisamente la ragazza, che non voleva che Rafe parcheggiasse fuori casa sua e rischiare che qualcuno lo vedesse.
«Perché?» indagò, ma fece come richiesto, accostando sul ciglio della strada.
Lei si tolse la cintura, guardandolo. «Kiara e JJ stanno da me».
«JJ vive da te?» la fermò, osservandola come chi sperava di aver capito male.
Ophelia annuì. «Suo padre è un violento, e—»
«Cos'è? Ve la fate insieme?» chiese. Il tono di voce di chi era visibilmente irritato.
«Uhm... è il mio migliore amico» replicò, confusa. Poi sbatté le palpebre. «Sei geloso?» capì, perplessa.
Rafe strinse la mano attorno al volante. «Gelo— Sto cercando di proteggerti» disse a denti stretti.
«Da JJ? Sul serio?» lo guardò come se fosse una cane a tre teste.
«Dai Pogues» ribatté, secco.
«Sono la mia famiglia».
«La tua famiglia... — ripeté, quasi ridendo — Puoi avere di meglio, fidati».
«È già il meglio, per me».
Mise su un'espressione stizzita, osservandolo con nervosismo e sentendo le mani formicolare dalla rabbia. Dopo tutto quello che aveva fatto, aveva forse anche il coraggio di giudicare i Pogues?
Rafe improvvisamente la guardò per qualche secondo, studiandola. Poi le si avvicinò, poggiandole le nocche della mano sinistra sulla guancia e accarezzandogliela con delicatezza. I respiri si mischiarono mentre lei era alla sua completa mercé.
La baciò. Un bacio rapido e veloce.
«L'hai capito, Ophelia?» domandò improvvisamente, soffiandole sulle labbra.
La ragazza aprì la bocca per rispondere, ma si rese conto di non aver capito cosa intendesse. «Capito cosa?» chiese, confusa.
«L'altra sera. Sono venuto da voi con Barry. So che eravate lì—»
«Sei venuto con una pistola per ucciderci» lo bloccò, irrigidendosi al ricordo.
Rafe sì inumidì le labbra. «Ero lì per John B e mia sorella, ma... pensaci, ok? Anche con Peterkin. Tu non lo faresti per i tuoi amici, per la tua famiglia?» spiegò, osservandola intensamente in attesa di una risposta.
Ophelia deglutì, e ci pensò. Se qualcuno stesse puntando una pistola contro i suoi amici o contro suo padre, cosa farebbe? Avrebbe voluto rispondere e dire che non avrebbe agito, ma c'era una parte di lei, quella istintiva, che lo avrebbe fatto. Che avrebbe fatto qualsiasi cosa per la sua famiglia.
«È istinto, giusto? Per proteggere chi ami» riprese parola, quasi come se le leggesse il pensiero.
Lei vacillò un attimo. «Di certo non darei la colpa a qualcun altro. Non è giusto che una persona rischi di morire per un crimine che non ha commesso» rispose dopo istanti di silenzio.
«Se la verità venisse fuori, non sarei solo io a cadere. Sarebbe mio padre, la mia famiglia, i Cameron. Tutto quello che abbiamo e per cui abbiamo lavorato» le disse con tono duro. «Sto cercando di farti capire che—»
«John B non merita di morire solo perché voi avete tutto e lui non ha niente!» lo bloccò immediatamente, scuotendo la testa.
«Cazzo» sussurrò, passandosi una mano sul volto con frustrazione. «Non sono io il cattivo qui...»
«Beh, qualcuno lo è, Rafe» replicò. «Io— io vorrei crederti, sul serio, ma come faccio? Vieni allo Chateau con una pistola per ucciderci, minacci le persone, le uccidi, e come— come faccio a credere che tu non sia il cattivo? Dio, vorrei che tu non lo fossi, sul serio!» blaterò, rendendosi conto che avrebbe potuto continuare per delle ore.
Rafe prese fiato, e, per un istante, lei riuscì a scorgere un piccolo, piccolissimo barlume di disperazione nei suoi occhi. Un senso di colpa che lei sapeva ci fosse, ma che riusciva sempre a perdere contro il suo "istinto di sopravvivenza".
«È un vero peccato che tu sia contro di me» quasi sussurrò. «Perché è così, no? Sei contro di me fin dall'inizio» disse a voce bassa, guardandola negli occhi.
Ophelia deglutì. Non era contro di lui. Era contro Ward. Era contro ciò che quell'uomo aveva scatenato. Non era contro Rafe, ma stare dalla parte di Rafe significava voltare le spalle a John B, e non lo avrebbe mai fatto.
«Non scuotere la testa — la fermò — È così».
«Non sono contro di te, Rafe. Ma bisogna fare la cosa giusta, capisci?» cercò di spiegargli.
«La cosa giusta? Fare la cosa giusta è il motivo per cui hanno sparato a Sarah!»
«Tu hai sparato a Sarah!»
«Perché andava dietro a John B!»
«John B rischia di morire per colpa tua, Rafe!»
«Ecco. Questo. È esattamente a questo che mi riferivo, Ophelia! A questo» la sua voce si incrinò e gli occhi si fecero lucidi, ma non pianse. Si lasciò semplicemente andare contro il sedile, passandosi una mano sul volto esausto.
Ophelia deglutì, guardandolo mentre faceva dei respiri nel tentativo di calmarsi.
«Ti è mai importato qualcosa di me?» disse in un sussurro. Non era una domanda. Piuttosto, sembrava la stesse accusando.
La rossa mise su un'espressione ferita. «Sono l'unica persona a cui sia mai importato qualcosa di te, Rafe, nonostante tutto — ammise senza peli sulla lingua — Ma ancora di più mi importa dei miei amici, e desidero con tutta me stessa che venga fatta giustizia» continuò con voce ferma, guardandolo con serietà.
Lui sospirò profondamente, stringendo le mani in due pugni forti. «Ti senti male per me? Provi... provi dispiacere per me?» le chiese piano, andando disperatamente alla ricerca di una risposta sincera.
Ophelia lo osservò. Sebbene riuscisse spesso a leggere e a capire Rafe, altre volte le risultava davvero difficile. Aveva degli improvvisi cambi d'umore: prima l'accusava e poi quasi si disperava. Addirittura, spesso le parlava ma era come se non fosse neanche lì davanti a lei.
Si mordicchiò il labbro inferiore. Era disperato, sconfitto e visibilmente in colpa, costretto a fare cose per il suo bisogno di essere apprezzato e accettato. Era capace di emozioni umane e lei lo sapeva. Era capace di accarezzarla dolcemente e di baciarla con altrettanta tenerezza. Stava male e lo sapeva. Voleva aiuto, ma veniva ignorato.
Rafe non solo provava emozioni, ma era spesso governato da esse. Fin troppo.
«Sì, mi dispiace per te, Rafe» confessò alla fine, annuendo.
Lui si appoggiò leggermente contro il sedile, quasi come se non si aspettasse una risposta del genere. Le sue spalle si abbassarono lentamente, mostrando sollievo.
«Tu, invece?» riprese parola lei. «Ti senti male per John B, per Peterkin... Per qualcosa?» lo interrogò, osservandolo con attenzione.
Rafe chiuse gli occhi, prendendo fiato e pensandoci su per qualche istante. Era evidente che volesse darle una risposta sincera, sicura. Avrebbe potuto mentirle, dirle che le dispiaceva per ogni cosa, e forse lei avrebbe mostrato compassione... ma non voleva mentirle. Non a lei.
«Non lo so» ammise alla fine.
Lei deglutì con difficoltà. «Ok...» sussurrò, non sapendo esattamente cos'altro dire.
Lo guardò un'ultima volta, osservando i suoi occhi vacui e il suo sguardo perso. Provava un senso di impotenza e quasi si sentì male davanti alla consapevolezza di non poter fare davvero nulla di concreto per lui.
Era Rafe a doversi salvare.
Sospirò, sporgendosi verso di lui e schioccandogli un dolce bacio sulla guancia. «Grazie per il passaggio. Buonanotte, Rafe».
Senza aspettare risposte, scese dall'auto e andò via.
COSÌ TOSSICO 😭😭😭😭😭
Btw, voglio solo che sia chiara una cosa: anche se Ophelia crolla davanti a Rafe e finisce per baciarlo nonostante tutto (onestamente la capisco), NON andrà mai contro i Pogues e starà sempre dalla loro parte. Non è sottona fino a questo punto🫡🫡
Un'altra cosa che voglio chiarire è che, come potete ben vedere, Ophelia non dice neanche a se stessa cose come "sono innamorata di Rafe", perché NON è innamorata di lui, anche perché hanno condiviso pochi momenti prima che lui uscisse fuori di testa, ma sono stati momenti importanti per entrambi, non tanto il sesso quanto i baci e quanto lei che lo consola dopo essere stato cacciato di casa. Rafe si è sentito capito e per la prima volta qualcuno si è preso cura di lui, per questo motivo ha sviluppato una sorta di "ossessione" quasi profonda nei confronti di Ophelia, vedendola come un rifugio. Lei, dal canto suo, è stata la prima e l'unica a vedere la sua umanità e a capire quanto dolore e sofferenza si nascondano dietro quella "pazzia", e, senza dubbio, per lei è stato molto impattante anche il momento che hanno condiviso nel bagno del Country Club perché ha provato emozioni vere per la prima volta.
Fondamentalmente, in questo momento condividono un legame che va "oltre", ma Ophelia non può dire di esserne innamorata, soprattutto non in queste circostanze. È, però, legata a lui profondamente e disperatamente, e forse Rafe rappresenta un po' il suo punto debole nonostante siano nemici e nonostante lei scelga sempre i Pogues.
Magari con il tempo e con i miglioramenti di Rafe, chissà......... 🤷🏻♀️
(molto molto tossico, ik)
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