023 l'oro perduto
⸻ capitolo ventitré ⸻
( l'oro perduto )
Ward Cameron aveva preso l'oro.
Era la prima cosa che John B aveva detto ai suoi amici, col viso distrutto e sconfitto. Il tono di voce di chi aveva perso ogni cosa dopo aver lottato. Il tono di voce di chi, in qualche modo, aveva deluso suo padre. Ward aveva comprato la casa della signora Crain e aveva preso ogni cosa.
Ma se questo aveva reso arrabbiata Ophelia, il modo in cui Ward aveva ucciso Big John l'aveva lasciata senza parole. Già, John B aveva raccontato anche della conversazione avuta con Lana Grubbs, che da sempre conosceva la verità. Big John e Ward lavoravano insieme per trovare la Royal Merchant, ma quando il primo l'aveva trovata, aveva provato a cambiare i termini dell'accordo e Ward era impazzito. Apparentemente, non voleva realmente ucciderlo, infatti, durante una colluttazione, Big John era caduto all'indietro, colpendo il bordo della barca con il capo e iniziando a perdere sangue. Ward però non lo aveva portato all'ospedale, timoroso delle conseguenze, e lo aveva gettato nell'oceano. Successivamente, si era rivolto a Scooter, mandandolo a cercare l'oro ogni giorno per nove mesi, fino al giorno dell'uragano Agatha, quando lo aveva mandato sull'unica isola ancora da ispezionare. Tutto ciò che trovò fu la bussola di Big John, che era ancora vivo quando raggiunse quel posto. A quanto pareva, scrivere "Redfielf" era stato il suo ultimo gesto prima di morire.
Le erano venuti i brividi dall'inizio alla fine del racconto. Sapere che Big John avesse pensato a suo figlio prima di morire, l'aveva lasciata senza parole. Aveva scritto Redfield per lui. Big John sapeva che, in un modo o nell'altro, un giorno avrebbero trovato quella bussola, e sapeva anche che quella bussola sarebbe arrivata a suo figlio. Non sapeva né come e né quando, ma ne era certo.
Perché Big John e John B condividevano un legame, un qualcosa che andava oltre, e ora che l'oro era stato rubato dall'uomo che aveva ucciso suo padre per lo stesso motivo... beh, il ragazzo sentiva quasi di star morendo dentro.
Dopo essere stata con i Pogues, meno Pope che era al colloquio, Ophelia aveva abbandonato lo Chateau per tornare a casa e aiutare suo padre con alcune scartoffie da compilare per il suo lavoro. Era riuscita a distrarsi per un po', a non pensare a quell'orribile e angosciante situazione, ma ora che suo padre era andato a pesca e lei era in veranda da sola, i pensieri erano tornati di nuovo a tormentarla. Addirittura, si spremeva le meningi affinché potesse trovare un modo per recuperare l'oro, ma come potevano competere con Ward Cameron? Era furbo, meschino, e terribilmente intelligente.
Quegli stessi pensieri furono messi bruscamente a tacere da un rombo di moto che aveva imparato a distinguere fra tutti gli altri, e ne ebbe la conferma quando alzò il capo.
Rafe Cameron era davanti a lei ancora una volta.
Tremava, le mani non riuscivano a stare ferme. Gli occhi erano lucidi, arrabbiati e tristi allo stesso tempo. Si muoveva freneticamente nel giardino dell'abitazione Martin, e Ophelia, in veranda, non sapeva come comportarsi. Continuava a non capire per quale motivo Rafe si ostinasse ad andare da lei. Per quale motivo le cose fossero realmente cambiate dopo il bacio e il "loro momento" al Country Club. Perché non fosse stata una semplice "botta e via da dimenticare".
Avrebbe voluto che fosse quello. Del semplice sesso da sbronzi che non avrebbe avuto conseguenze... e invece si era sviluppato un legame che, per quanto le riguardava, era al limite del malato. Andava da lei. Andava da lei quando era in stato confusionale. Andava da lei quando veniva sbattuto fuori casa.
Semplicemente, andava da lei.
Non erano amici. Non erano amanti. A quel punto, a Ophelia veniva da dire che non fossero nemmeno più nemici. O forse, erano nemici con un legame ambiguo, nemici che avevano condiviso qualcosa. Qualcosa che li aveva influenzati più di quanto si aspettassero. Lei stessa, per quanto volesse mentire, non riusciva a non pensare, almeno una volta al giorno, ai momenti trascorsi con Rafe. Si giustificava dicendo che fosse stato semplicemente il miglior sesso della sua vita, ma in fondo sapeva che non si trattasse solo di quello.
Era il modo in cui erano partiti. Era l'odio profondo e viscerale che avevano sempre provato l'uno nei confronti dell'altra. Era il modo in cui desideravano strozzarsi a vicenda. Era il modo in cui la tensione cresceva fra di loro ogni volta che erano vicini. Era il modo in cui perdevano la lucidità quando si guardavano negli occhi e si sfioravano. Era il modo in cui lui l'aveva fatta sentire in quel lussuoso bagno. Rafe Cameron l'aveva fatta sentire viva tanto quanto la facevano sentire viva le esperienze con i Pogues, e quello... Dio, quello non andava affatto bene.
Era buffo, in realtà. Sentiva di odiarlo. Di nutrire per lui sentimenti avversi. Odiava il modo in cui aveva sempre trattato i Pogues. Odiava il modo in cui aveva picchiato Pope e JJ. Odiava il modo in cui si rivolgeva a Sarah. Odiava il modo in cui l'aveva fatta sentire nell'esatto momento in cui aveva toccato le sue labbra per la prima volta.
E odiava il rapporto che si era andato a creare. Un rapporto non sano con lui che andava da lei quando era fuori di sé. Ancora di più, Ophelia odiava se stessa per il fatto che trovasse intimo il loro rapporto. Trovava intimo che corresse da lei nel momento in cui stava per crollare. Come se lei, in qualche modo, potesse rimettere i pezzi del puzzle in ordine.
Odiava non riuscire ad essere indifferente quando lui era in quello stato.
E così aprì la porta della veranda, scese le scale e si avvicinò a lui cautamente. Sembrava quasi stesse avendo un attacco di panico. Si guardava attorno con occhi spalancati, come un cervo sorpreso dai fari, e tremava come una foglia. Ma era più vicino ad uno scoppio di rabbia, che di ansia.
«Rafe...» il suo nome le uscì lentamente dalle labbra, facendo fermare il suo cammino frenetico e quasi isterico.
Chiuse gli occhi per un attimo, portandosi le nocche dei pollici sulle tempie e massaggiandole nel tentativo di calmarsi.
«Lui— lui... non capisco, Ophelia» scosse la testa, riprendendo ad agitarsi. «Io— io sul business so un miliardo— un miliardo di cose in più di Sarah. Che significa?» disse con voce strozzata, sull'orlo di una crisi isterica.
Lei, istintivamente, gli poggiò la mano sul braccio, facendolo quasi tremare. Rafe osservò quel contatto per qualche secondo, alzando poi lentamente gli occhi blu e inchiodandoli a quelli azzurri della ragazza.
Ophelia non capiva esattamente di cosa stesse parlando e cosa c'entrasse Sarah con il business, ma qualcosa le diceva che avesse a che fare con Ward, e se aveva a che fare con Ward, allora lei doveva saperlo in qualche modo.
«Tu— sì, tu ne sai di più, Rafe. Non Sarah. Tu» gli diede corda. Una parte di lei odiava il fatto che lo stesse, in qualche modo, manipolando, ma doveva spingerlo a parlarle, a dirle cosa significassero davvero quelle parole.
Rafe annuì, tirando su col naso e facendo sì che i suoi occhi si inumidissero. La sclera che si era arrossata e la vena sul collo che pulsava.
«Tu mi capisci» sussurrò, guardandola. «Tu— non so come ci riesci, ma— ma ho bisogno di vederti quando sto per impazzire, Ophelia. Ho bisogno.... ho bisogno che mi tranquillizzi, capisci?» parlò velocemente nonostante il balbettio confusionario e le frasi sconnesse, e quelle parole la colpirono più del dovuto.
Lei era in grado di tranquillizzarlo, e lo aveva già fatto una volta. Era vero, litigavano spesso, se ne dicevano di ogni, eppure quando lui stava crollando, andava da lei e riusciva a mantenere la calma.
Ophelia sospirò tremante, facendo scontrare le loro fronti e chiudendo gli occhi. In risposta a quel gesto, si ritrovò le mani di Rafe sulle guance e le labbra a premere sulle sue in un bacio quasi disperato.
Ricambiò immediatamente, stringendo la sua maglia color salmone. La punta della sua lingua le danzò sulle labbra, cercando di entrare. Lo invitò, dando vita all'ennesimo bacio sbagliato. Sbagliato per le circostanze. Sbagliato per i Pogues. Ma era sbagliato anche per lei? Per lei che si aggrappava a quel bacio come se potesse tornare a respirare. Per lei che si lasciava stringere da quelle braccia e perdeva la lucidità sotto il suo tocco.
Si staccarono, entrambi tremanti e con gli occhi chiusi. Le fronti ancora premute l'una contro l'altra.
«Non riesco a— non riesco a non sentire qualcosa... dentro di me, qui» deglutì rumorosamente Rafe, poggiando la mano all'altezza del cuore.
«Rafe—»
La fermò, premendo nuovamente le labbra contro le sue. Un semplice bacio a stampo dal quale si staccò dopo pochi istanti.
«So che sembra tutto uno schifo adesso, e— e hai ragione, ma... riuscirò a sistemare lo cose da solo, ok? Io— io mi rimetterò in riga. Lo farò. Metterò la testa a posto» le promise, farfugliando. «Devo parlare con mio padre prima— prima che parta con l'aereo. Merito di andare io con lui, Ophelia. Non Sarah. Vero?» cercò conferma in lei, guardandola disperatamente negli occhi.
Lei si limitò ad annuire, incapace di parlare mentre riusciva solo a pensare che Ward stesse per partire. Con l'oro. Ne era certa.
«Bene. Sì» annuì Rafe, allontanandosi da lei e guardandosi attorno. «Devo— devo andare, ma... Rimetterò le cose a posto» ripeté ancora una volta.
Nell'esatto momento in cui risalì sulla sua moto e andò via, Ophelia cominciò a correre a perdifiato verso lo Chateau, maledicendo suo padre per il fatto che avesse deciso di prendere l'auto.
Era così concentrata sull'oro che neanche aveva realizzato a pieno il fatto che Rafe Cameron le avesse fatto cosa, esattamente? Una dichiarazione? No, Ophelia non lo credeva affatto. O meglio, gli credeva quando diceva che lei fosse in grado, in qualche modo, di tranquillizzarlo, ma rimanevano sempre parole dette in un momento di poca lucidità. Che si fosse sviluppato un legame era evidente, ma era anche difficile comprenderne la natura, e Ophelia non credeva di volerlo, in tutta onestà.
Oltretutto, era anche un qualcosa destinato senza dubbio a terminare dato che Rafe sosteneva Ward e lei, al momento, era contro di lui con i Pogues.
E forse era meglio così.
Quando giunse a destinazione, si guardò attorno e poi riprese a correre in direzione del pontile, dove trovò i suoi amici e Kiara e John B discutere sul fatto che lui si fosse sfilato il tutore.
«Ragazzi!» gridò a perdifiato, ignorando i piedi doloranti e attirando la loro attenzione.
«Ophelia?»
«Ehi, stai bene?»
Nel momento in cui li raggiunse, fece un profondo sospiro sotto le loro occhiate stranite. «Io— oddio, fa caldo oggi, eh?» si passò una mano sul volto.
«Sicura di stare bene?» le domandò Kiara.
«Hai fumato erba?» chiese anche JJ.
«Sì, Kiara. No, JJ» rispose, voltandosi poi verso John B. «Ward ha intenzione di partire» andò dritta al punto.
«Cosa?»
«Sì. Partirà oggi con l'aereo, e sono certa che lo farà con l'oro» spiegò.
Kiara aggrottò le sopracciglia. «Scusa, tu come fai a saperlo?» le domandò, confusa.
Beh, merda. Era corsa lì con l'obiettivo di dare loro la notizia, ma non aveva pensato a come giustificare il suo esserne a conoscenza. Cosa avrebbe dovuto rispondere, esattamente? Di certo, non poteva parlare di Rafe.
«Beh—»
Fortunatamente, fu fermata da una voce che venne in suo soccorso, distogliendo l'attenzione da lei.
«Ragazzi! Ragazzi!»
Si voltarono di scatto, rimanendo perplessi quando videro Pope correre verso di loro con fare agitato, come se da quello dipendesse la sua stessa vita.
«Non era mica al colloquio?» chiese confusa Ophelia, ma anche con una nota preoccupata.
In quell'esatto momento, Pope raggiunse il molo, piegandosi sulle ginocchia. «Oddio, che corsa» disse fra gli ansimi, facendo poi dei respiri profondi nel tentativo di regolarizzare il suo battito.
«Stai bene?» chiese stranito JJ, intento a fumare una canna.
«Com'è andato il colloquio?» domandò John B.
Lui scosse la testa. «Sorvoliamo... — rispose prima di rimettersi in piedi — John B, senti... mi dispiace, amico. Per tutto» disse, guardandolo.
«Tranquillo» scrollò le spalle.
«Ma non ho molto tempo e ho un'informazione tatticamente rilevante» sottolineò, e tutti si drizzarono. «Dunque... mio padre ha detto che stava andando alla pista d'atterraggio per tagliare delle palme per l'aereo dei Cameron, e questo perché è troppo pesante e gli serve più strada per il decollo. Durante il colloquio pensavo: perché a Cameron serve una pista più lunga per il decollo? Cosa potrà mai portare di tanto pesante?»
Ophelia sorrise. «Oro. Ve l'avevo detto!» esultò.
«Esatto! Ragazzi, è la nostra chance! — annuì vigorosamente Pope — Ma parte stanotte e dobbiamo andare! Ora!»
«Non ci arrenderemo adesso».
«Bene, bene, bene... allora qual è il piano?» domandò la rossa, guardando i suoi amici.
«Ce lo andiamo a riprendere» rispose immediatamente John B, serio in volto.
Si scambiarono tutti un'occhiata veloce e annuirono, mettendosi in piedi.
«Andiamo!»
«Forza, ragazzi!»
Non era ancora tutto perduto.
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«Entriamo con le pistole, facciamo implorare pietà a Cameron, raccogliamo più oro possibile e poi vámonos, ce ne andiamo!» diceva JJ con entusiasmo mentre John B guidava verso la pista d'atterraggio.
«Yucatán?» chiese divertita Ophelia, guardandolo.
«Oh sì, decisamente. In Messico a raccogliere aragoste a mani nude!» rispose, annuendo.
«Gettiamo lo stronzo nell'oceano!» esclamò John B.
«Aspettiamo il bel tempo...» iniziò Kiara.
«E dritti a Cuba» continuò Pope.
«Cuba? No, amico. Xcalak, il gioiello dello Yucátan. Aragoste giganti, mango, e nessun problema di soldi» JJ ricaricò la pistola.
Ophelia batté le mani. «Bene. Riprendiamoci il nostro oro!»
«Diamoci da fare!» concordò John B, parcheggiando il van fuori la recinzione che circondava la pista d'atterraggio.
La rossa abbandonò il Twinkie, guardandosi attorno. «Ok... quindi, cosa faremo esattamente?» chiese.
«Non ci abbiamo pensato...» mormorò il castano, avvicinandosi alla rete metallica.
Pope afferrò il binocolo, osservando la pista a distanza ravvicinata. «Stanno caricando l'oro» li informò, cedendo poi l'oggetto a John B.
«C'è Ward» disse, intercettandolo.
Ophelia aggrottò le sopracciglia, notando il cambio di espressione del suo amico. «Che succede?»
«Sarah» rispose dopo un po', e solo in quel momento la rossa si rese conto del fatto di aver omesso un piccolo dettaglio: Sarah con Ward.
Onestamente, non capiva per quale motivo si trovasse con lui. Insomma, era pur sempre suo padre, e probabilmente non credeva alla storia secondo cui avesse ucciso Big John, ma voleva davvero partire? Voleva farlo dopo tutto quello che aveva trascorso con i Pogues?
In fondo un Kook restava un Kook, no?
«È con lui?» chiese Pope, sbigottito.
«No! Non vuole andare!» esclamò improvvisamente John B, continuando ad osservare la scena con il binocolo.
Tutti lo guardarono straniti. «Cosa?»
«Litigano — rispose — Oh cazzo...» mormorò, passando il binocolo a Kiara.
«È salita?» domandò JJ.
Ophelia, invece, seguì John B con lo sguardo, ritrovandosi a spalancare gli occhi nel momento in cui salì sul Twinkie. «John B? Che diavolo stai facendo?» chiese preoccupata, facendo voltare anche gli altri
In risposta, lui mise in moto.
«John B, dove vai?» continuarono a chiedere, ma lui li ignorò.
Improvvisamente, partì a tutta velocità.
«Fermo!»
«John B!»
«Fermati, cazzo!»
«Non fare l'eroe!»
Tutto risultò vano. John B ruppe la rete metallica e corse verso l'aereo in procinto di partire. Accelerò al massimo, superando il velivolo e piazzandosi davanti ad esso, fermando il suo decollo.
Osservando la scena dal binocolo, Ophelia vide Sarah stringersi con forza a John B mentre Ward tentava, invano, di tirarla a sé.
Con la consapevolezza che le cose non si sarebbero messe affatto bene, i quattro Pogues dovettero abbandonare il posto a causa delle sirene della polizia.
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L'oro era andato. Quella volta per davvero.
Vedere l'aereo dei Cameron decollare con ciò che si erano sudati, aveva fatto contorcere lo stomaco di Ophelia, nascosta sotto un capannone assieme ai suoi amici. Non avevano idea di cose fosse accaduto su quella pista d'atterraggio, ma niente di buono se l'oro era andato via e la polizia aveva fatto la sua entrata. Poteva solo sperare che John B stesse bene.
Ancora non sapeva esattamente come sentirsi riguardo al fatto che avessero perso tutto. Sicuramente era arrabbiata. Si sentiva come se avessero lavorato e rischiato per il nulla. O meglio, come se avessero lavorato e rischiato per Ward. Avevano fatto il lavoro sporco per lui, che aveva atteso nella sua enorme villa a Tannyhill. Poi, a lavoro sporco terminato, era entrato in gioco, rubando l'oro facilmente.
Una parte di lei si sentiva perfino una sciocca. Come avevano potuto pensare di riuscire a vincere contro Ward Cameron? Contro il Re dell'isola? L'avrebbe sempre fatta franca e avrebbe sempre avuto ogni cosa.
I Kooks avrebbero sempre vinto a discapito dei Pogues. Era una sorta di regola non scritta delle Outer Banks.
«Addio oro» disse JJ a denti stretti.
Ophelia sospirò profondamente, massaggiandosi le tempie e chiudendo gli occhi nel tentativo di attenuare il suo mal di testa. Era la giornata più schifosa della sua vita, e non era nemmeno terminata. Qualcosa le diceva che sarebbe peggiorata col passare delle ore.
Inaspettatamente, nonostante provassero tutti una grande rabbia, quello che sembrava avere accusato maggiormente il colpo era Pope, che prendeva a calci tutto ciò che gli capitava sotto tiro. Era fuori di sé, fuori controllo, e la sua rabbia era più che plausibile: aveva abbandonato il colloquio più importante della sua vita, aveva perso tutto nel tentativo di aiutare i suoi amici... e per cosa? Per vedere l'oro andare via. Già, esatto. Bella merda.
«Cazzo!» afferrò una sedia di plastica, lanciandola contro il muro.
«Pope!»
«Vaffanculo! — continuò — Merda! Cazzo!» prese una mazza da baseball, utilizzandola per rompere gli oggetti.
«Pope, calmati!»
«Merda! Dannazione!»
«Pope!»
Ophelia non intervenne, limitandosi ad osservare Pope distruggere l'intero capannone mentre Kiara lo pregava di calmarsi. Comprendeva la sua rabbia, e, oltretutto, una parte di lei, in quelle settimane, non aveva fatto altro che chiedersi quando sarebbe arrivato quel momento. Era sempre stato controllato e aveva sempre usato la testa, non scoppiando mai, nemmeno davanti alle peggiori situazioni che avevano affrontato. Ed ora era esploso. Una rabbia accumulata da quando aveva avuto inizio quell'assurda situazione.
Improvvisamente, dopo aver dato sfogo a tutta la sua ira, si lasciò cadere su un divano logoro e sporco, osservando poi un punto indefinito con sguardo perso.
«Pope, ehi...» mormorò dolcemente Ophelia, accomodandosi al suo fianco e massaggiandogli la schiena.
«Beh, era ora! Mi chiedevo quando sarebbe successo!» esordì JJ, tirando fuori lo spinello perfettamente rollato e porgendoglielo. «Coraggio. Un po' d'erba non ha mai fatto male a nessuno» lo incoraggiò.
Kiara gli lanciò un'occhiataccia. «JJ... ti sembra il momento?» disse, infastidita.
«Rilassati, Kie» replicò, secco.
La rossa sospirò. «Beh, sai che Pope non fuma. Non so se sia il caso fargli iniziare ade—»
Prima che potesse terminare la frase, il ragazzo aveva afferrato lo spinello e lo aveva infilato fra le labbra.
JJ, con un sorriso soddisfatto, glielo accese. «Alla tua!» esclamò.
«Pope, a che ti servirà uno spinello?» domandò Kie, cercando di farlo ragionare.
«La borsa di studio è sfumata» mormorò Pope, e Ophelia addolcì lo sguardo. «Me ne sono andato a metà del colloquio, e— È finita. Non ci andrò più» i suoi occhi divennero lucidi.
La castana lo guardò. «Hai fatto tutto questo per noi?» chiese in un sussurro.
«No. Non per noi — si mise in piedi, piazzandosi di fronte alla sua figura — Per niente!» sottolineò.
L'aveva fatto per lei, spinto dalle parole che la ragazza gli aveva rivolto la sera precedente. L'aveva fatto perché sperava, in qualche modo, che Kiara potesse guardarlo con occhi diversi, che potesse stimarlo, che potesse provare sentimenti per lui dopo aver mandato tutto a puttane per lei.
«Sono con te, Pope!» esclamò improvvisamente JJ, circondandogli le spalle con il braccio. «Benvenuto nel mio mondo» gli diede una pacca sul petto.
Ophelia sospirò. «JJ...» lo ammonì.
«Che c'è, Lia? — la guardò — Ha ragione! Ormai che importanza ha?!» le rispose con ovvietà.
Kiara lo ignorò, rivolgendosi a Pope che, nel frattempo, aveva fatto un tiro allo spinello che ancora stringeva tra le mani. «Non risolverai nulla così, Pope» gli disse.
«Che te ne frega?» replicò, espirando il fumo dalle labbra e dalle narici.
Improvvisamente, Pope spalancò gli occhi, osservando qualcosa alle spalle dei ragazzi. Confusi, si voltarono di scatto, trovandosi davanti John B.
Dapprima sollevata per il fatto che fosse vivo, Ophelia si ritrovò a spalancare gli occhi quando realizzò il suo vero stato. Aveva il volto stravolto, pallido, cadaverico. Era terrorizzato. Tremava. I suoi vestiti erano impregnati di sangue, così come le sue mani.
«John B, ehi!» corse immediatamente da lui.
«Ehi, stai bene?!» JJ lo affiancò, preoccupato.
«Mio Dio! John B!»
«È tuo?» mormorò, Kiara, osservando con spavento il sangue.
«Di chi è quel sangue?»
«Allora, tutto bene?»
«Come stai? Tutto ok?»
Il ragazzo non rispose. Era paralizzato.
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Una parte di Ophelia non avrebbe mai voluto ascoltare le parole di un angosciato John B. Sul serio. Non avrebbe voluto sentirgli raccontare di come lo sceriffo Peterkin stesse per arrestare Ward per l'omicidio di Big John, e di come poi si fosse improvvisamente accasciata sull'asfalto a causa di un proiettile sparatole alla schiena.
Un proiettile sparatole da Rafe Cameron, che era poi scappato con Sarah sotto richiesta di Ward.
Rafe ha sparato allo sceriffo. Erano queste le parole che continuavano a vagare nella testa di Ophelia da quando John B aveva raccontato tutto. Il ragazzo con cui condivideva una sorta di legame ambiguo era un assassino. Una persona capace di sparare a sangue freddo uno sceriffo.
Ophelia sentiva di dover vomitare, come se quello potesse, in quel modo, ripulirla dai momenti trascorsi con Rafe, dalle emozioni provate con lui e per lui. La nauseava anche solo il pensiero che si fossero baciati quella mattina stessa... e lui era finito con lo sparare ad una persona senza pensarci due volte, come se premere il grilletto fosse un gioco da ragazzi. Come se fosse normale.
E forse per Rafe lo era. Insomma, con un padre che aveva gettato Big John nell'oceano e che aveva picchiato Barry davanti ai suoi occhi, Rafe Cameron non poteva di certo essere un agnellino, la personificazione dell'angelo buono. Piuttosto, aveva interiorizzato tutti i modi di fare di Ward, credendo che fossero giusti e normali.
Ciononostante, Ophelia credeva che un conto fosse stare dalla parte del proprio padre e fare di tutto per avere la sua approvazione, e che un altro conto fosse sparare ad un poliziotto a sangue freddo. E per quanto una minima parte di lei volesse giustificarlo — e si odiava per questo — non c'erano giustificazioni, al momento. Riusciva solo a pensare che avesse sparato ad una persona, che avesse premuto un dannato grilletto... ed era terribile.
Si sentiva male per aver condiviso quei momenti con una persona del genere. Ci era stata insieme, e non solo fisicamente. In qualche modo, erano arrivati a stare insieme anche a livello umano, e Ophelia lo detestava. Voleva dimenticare ogni cosa. Voleva rimuovere dalla mente tutto ciò che riguardava Rafe Cameron. Dimenticare i baci, le vicinanze, i sussurri e ricordare solo le cose terribili che aveva fatto.
E si odiava perché non ci riusciva. Si odiava così tanto già solo perché andava alla ricerca di un motivo che potesse spiegare le azioni di Rafe. Non avrebbe dovuto farlo. Avrebbe dovuto semplicemente etichettarlo come un "pazzo assassino", ma purtroppo aveva iniziato a cercare le ragioni delle sue azioni già tempo addietro, da quando Sarah le aveva parlato della sua famiglia, e smettere era ormai impossibile per lei.
Ma doveva farlo. Rafe aveva sparato ad una persona, e lei doveva assolutamente smettere di ragionarci troppo. Non c'erano motivi che potessero giustificare quello.
Doveva odiarlo esattamente come prima.
Come se non bastasse, non poteva non provare pena per lo sceriffo Peterkin, che sperava davvero con tutta se stessa che riuscisse a sopravvivere, anche se, a detta di John B, era spacciata. Quella donna li aveva avvertiti fin dall'inizio, in fondo. Aveva detto loro di non avvicinarsi all'oro della Royal Merchant, e non per un tornaconto personale, ma solo per proteggerli. E poi aveva anche avuto il coraggio di schierarsi contro Ward Cameron, il signore dell'isola. Peccato che ci avesse rimesso lei, alla fine.
Sospirò, passandosi una mano fra i capelli e sbirciando fuori dal finestrino nell'esatto momento in cui Kiara fermò l'auto che avevano recuperato poco prima da casa Carrera, la più vicina alla pista di atterraggio.
Aggrottò le sopracciglia. «Perché siamo alla Stazione di Polizia?» domandò confusa.
«Qualcuno deve dirgli cos'è successo» rispose JB.
«Alla polizia?!» ripetette, guardandolo come se fosse un cane a tre teste.
Improvvisamente, Pope iniziò a tossire ripetutamente dopo l'ennesimo tiro di spinello.
«Vacci piano, Pope! Che cavolo!» lo riprese JJ.
Ophelia inarcò un sopracciglio. «Gli hai letteralmente messo uno, anzi due spinelli fra le mani. Che cosa ti aspettavi?» fece presente.
«Beh, doveva rilassarsi» si giustificò. Poi lanciò uno sguardo alla Centrale e si rivolse a John B. «Allora, voglio essere sincero con te. Puoi anche finire nella tana del leone, ma non devi andarci di proposito. Sono le basi. Il mio vecchio me l'ha sempre detto: "non devi mai, mai fidarti degli sbirri, in qualsiasi circostanza ti trovi"» disse.
«Il tuo vecchio è un bugiardo violento» gli ricordò Kiara, secca.
«Io sono con JJ — annuì Pope — Vaffanculo la polizia» aggiunse.
«Sei passato al lato oscuro?» domandò la castana.
«Quando mai la polizia ci ha aiutato?» le ricordò con ovvietà.
«Peterkin mi ha protetto, ok? — esordì improvvisamente John B — Se non altro, ci ha provato. Devono sapere» continuò, guardandoli.
Subito dopo, scese dall'auto, camminando lentamente verso la Stazione di Polizia.
«Non gli crederanno mai» scosse la testa Ophelia, che aveva davvero poca fiducia nei confronti della polizia.
«Ragazzi, abbiate fiduc—»
«Ma per favore!» JJ interruppe Kiara. «Sono tutti corrotti. Nessuno escluso!»
«Hanno sparato all'unica persona che non lo era» si lasciò sfuggire Pope.
La castana sospirò. «Ancora non riesco a credere che Rafe abbia sparato ad una persona».
«Sinceramente... cosa ti aspettavi?» le domandò JJ con fare retorico.
«Sparare è una cosa grossa, ok? Bisogna essere pazzi per fare una cosa del genere!»
«Appunto, Kie. Appunto».
Ophelia sospirò profondamente quelle parole, ma prima che potesse ragionarci troppo, una voce attirò la loro attenzione.
«Kie! Metti in moto!»
John B correva a perdifiato verso di loro, inseguito da due agenti.
«Cosa?! John B!»
«Muoviti, Kie!»
«Dai, dai, dai!»
«John B, cos'hai fatto?!»
Il castano, si tuffò nell'auto. «Forza, forza! Parti!»
«Sto partendo!» rispose agitata Kie, partendo a tutto gas.
John B era stato accusato di aver sparato allo sceriffo Peterkin.
Piccola precisazione: so che JJ dà a Pope la sua JUUL, ma nella JUUL non c'è erba. Non so se sia stato un errore o una dimenticanza degli sceneggiatori, ma, in ogni caso, ho sostituito la JUUL con uno spinello.
Btw, in questo capitolo abbiamo una mezza dichiarazione di un Rafe sempre distrutto, e un'Ophelia che inizia a riflettere sul loro legame. Ambiguo, sbagliato, ma quasi necessario, e ritiene intimo il fatto che Rafe vada da lei per tranquillizzarsi. Il che potrebbe essere un gesto davvero intimo... se non si trattasse di Rafe Cameron, che finisce per uccidere la Peterkin (ps, meritava di più 😭)
Come ormai è stato ripetuto più volte, Rafe ha degli evidenti problemi. NON sto provando a giustificare le sue azioni, ma a renderle "comprensibili" in modo che non venga etichettato solo come uno "psicopatico pazzo assassino", perché non credo che lo sia. Credo solo che sia il prodotto di Ward.
In ogni caso, ripeto che quello tra Ophelia e Rafe è un rapporto non sano, ai limiti della tossicità, e mi auguro che nessuno abbia mai a che fare con un Rafe Cameron pensando di "poterlo aggiustare". Persone del genere hanno bisogno di una terapia, non di qualcuno che annulla se stesso per aiutarle.
Ci vediamo al prossimo capitolo 😎
Ps: mi scuso per la lunghezza eccessivamente lunga di alcuni capitoli, ma non riesco a fermarmi una volta che inizio a descrivere situazioni o a parlare dei pensieri di Ophelia. Spero non sia un problema.
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