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XXX. Ti vedo

Altair

Era strana l'attesa, così come i momenti di tensione.

Il tempo si dilatava. Gli attimi scorrevano veloci e poi lenti. Tutto attorno smetteva di esistere, il mondo non girava più. Mentre era lì, in piedi, a fissare suo fratello senza forze, perdere conoscenza tra le braccia di Arthur e Robert, una sensazione nauseante affondò nelle sue viscere e si sentì quasi piegare in due.

Orion era vivo e non sapeva cosa provare davvero. Si immobilizzò. Col tempo, forse, si sarebbe pentito di non essersi mosso in soccorso del fratello, ma i muscoli gli si indolenzirono di colpo. Le braccia gli dolevano, pesanti. Le lasciò cadere lungo il busto, mentre un'espressione attonita si faceva largo sul volto. Forse se si fosse lasciato andare a un pianto disperato, se solo la voce non gli si fosse atrofizzata in gola, avrebbe potuto almeno dire qualcosa ad Orion prima che svenisse.

Le gambe erano paralizzate. Sentiva un fruscio provenire alle sue spalle e le urla di Andromeda, chiusa fuori all'appartamento. L'unica cosa che era riuscito a fare era stato fermarla e impedirle che si intromettesse. Una marea di domande gli affollava la testa, sentiva quasi un dolore lancinante alle tempie. Tutto attorno a lui gli parve ovattato ed ebbe quasi la sensazione di star svenendo.

Incrociò lo sguardo, contrariato, di Arthur: probabilmente avrebbe voluto che lo aiutasse. «Al, smettila di stare lì impalato e aiutaci a portarlo alla macchina. Dobbiamo muoverci!» Tentennò. La sua mente stava ancora metabolizzando tutte quelle informazioni. Arthur gli diede l'ennesima scossa. «Al! Muoviti.»

Tutto ciò che successe dopo gli era ancora poco chiaro. Ricordava di essersi mosso come un automa, agendo senza seguire alcun piano e per un attimo credette di star impazzendo sul serio. Rabbrividì nervoso, mentre cercava di aprire di nuovo la porta principale. Arthur aveva fatto saldare i cardini con un calcio, ma era rimasta incastrata, quando aveva allontanato Andromeda -che, tra l'altro, continuava a lanciargli epiteti ben poco amichevoli e fraterni-. Diede una spallata e la aprì.

Si ritrovò ad affrontare a muso duro sua sorella, che, però, teneva lo sguardo fisso su Orion, scortato velocemente alla macchina dai due amici.

«Che diavolo ci fai qui, eh?» Altair serrò la mandibola. Strinse forte i pugni. Non sapeva spiegare perché si sentisse così tanto un bambino capriccioso, ma per un momento si sentì tradito. Andromeda gli aveva mentito fino ad allora e presumibilmente anche spiato, per essere a conoscenza di quell'informazione.

«Cerco di fermarti dal fare il cazzone, anche se è difficile, vista la tua natura!» Andromeda gli diede uno spintone. Arretrò appena, cercando di mantenersi calmo.

«Fanculo.» Si allontanò, dandole le spalle. Corse all'auto e salì insieme ad Arthur, Robert e quel fratello che credeva morto. Aveva la sensazione che tutta quella rabbia covata stesse per salire a galla. Fino ad allora aveva vissuto come chiuso in una bolla e credeva che sarebbe scoppiata a breve, una detonazione che avrebbe -inevitabilmente- travolto tutti. Adesso era il suo turno di comportarsi come un ragazzino, la vita e suo fratello glielo dovevano.

Sentì Arthur mettere in moto l'auto, quando la portiera si aprì all'improvviso e Andromeda fece il suo ingresso, costringendo Robert a stringersi e a tirare Orion al suo fianco. Altair non aveva avuto il coraggio di occupare i sedili posteriori, aveva preferito restare accanto ad Arthur, in quel momento aveva bisogno di lui, della sua comprensione. Sapeva che fossero uniti da un dolore così simile ma diverso.

«Che diavolo fai qui, tu, a proposito?» Robert aveva un tono agitato. Orion teneva il capo poggiato contro la sua spalla e respirava in maniera irregolare. Il sangue gli macchiava tutti i vestiti e ancora un po' il mento. Altair non l'aveva mai visto così pallido. Il terrore si insidiò in lui, sinuoso e strisciante come una vipera velenosa. Se Orion fosse morto in quel momento era come se non fosse mai stato vivo.

Arthur li ignorò iniziando a guidare e trascurando tutti i semafori che interrompevano il loro tragitto.

«Volevo impedire a mio fratello di farlo arrestare.» Andromeda fissava Orion con uno sguardo speranzoso ma terrorizzato. Altair la osservava di sbieco, sapeva bene cosa la stesse tormentando; erano sempre stati molto empatici l'uno con l'altro ed era consapevole che si stesse lasciando divorare dalle sue stesse paure.

«Che cosa? Nessuno qui ha parlato mai di polizia.» Robert gli lanciò un'occhiata eloquente e Altair si ritrovò ad abbassare lo sguardo sulla punta dei piedi.

«Tecnicamente, Orion dovrebbe essere morto. Ora stiamo dando rifugio a un terrorista, diventeremo anche noi nemici dello Stato.» Fissò con freddezza la strada davanti a sé.

Sentì un borbottio indistinto provenire dal suo fianco. Osservò Arthur, che, pur tenendo alta la concentrazione sulla strada, si lasciava sfuggire espressioni inequivocabili. Sorrideva ironico, sprezzante e aveva aggrottato la fronte. «Certo, non ci credo nemmeno un po', Al. E sai perché?»

Si irrigidì. Affondò le mani nelle tasche del cappotto. Stava cercando di non torturarsi i palmi, affondando le unghie nella carne, ma era difficile con tutta quella tensione accumulata. «No. Illuminami.»

«Perché sei quello che ha più bisogno di tuo fratello. Non voglio crederti.»

Se ne tornò in silenzio, distraendosi e provando a guardare il paesaggio attraverso il finestrino. Non riusciva a smettere di pensare a Orion, a tutto ciò che aveva combinato, ai danni che aveva lasciato dietro di sé. Avrebbe voluto parlargli, ma al tempo stesso prenderlo a pugni. Strinse i denti, cercando di ingoiare quel magone pressante, che aveva iniziato anche a pizzicargli gli occhi. Orion era riuscito a farlo sentire ancora più solo con la sua assenza premeditata. Altair aveva sempre pensato che si nascesse soli. La solitudine, quella vera, è insita. Credeva che ci fosse una sorta di nostalgica solitudine nella sua anima, che non sarebbe mai riuscito a scrollarsi via. Orion aveva scavato a fondo in quel buco della sua essenza, lo aveva svuotato del tutto, lasciandogli un vuoto che nessuno gli avrebbe mai colmato.

«Questo però non risponde a una domanda...» si voltò a guardare sua sorella, con il solito sguardo impenetrabile e colmo di freddezza e rabbia. Vide Andromeda mordersi l'interno guancia. «Tu come sapevi che saremmo venuti qui? Come sapevi di Orion?»

«Vi ho spiati.» Ammise. «Sapevo che qualcosa non andasse, da quando Izar ti ha avvicinato al cimitero. Dovevo sapere. Avresti dovuto dirmelo.»

«Non te l'ho detto prorio perché sei una testa di cazzo!»

«Oh. Giusto, Al il grande quello che non sbaglia mai. Lo stesso Altair che ha messo in pericolo le vite dei suoi fratelli!»

Altair diede un pugno al cruscotto, facendo sobbalzare tutti. «Ovviamente! Alla fine di ogni vostra cazzo di storia sono sempre io il cattivo. Bene, se può accontentarti, raccontatela come ti pare. Mi assumo sempre le responsabilità e le vostre stracazzo di  colpe da quando ero un ragazzino! Tu, Leon ed Eris avete avuto un'infanzia, un'adolescenza, mentre io ero a guardarvi e ad assicurarmi che non vi succedesse nulla. E sai perché? Perché ho fatto l'adulto! A quindici anni! E adesso siete tutti preoccupati per questo cazzone che ci ha rovinato la mia vita! Ma se fossi morto io, eh? Avreste fatto lo stesso? Mi avreste pianto allo stesso modo? Non sai quante volte avrei voluto poter scomparire, come ha fatto lui, ma non potevo!» sentì l'aria mancargli. Lo sguardo gli si annebbiò e si asciugò quelle poche lacrime solitarie dal volto con la manica della giacca. Iniziò a massaggiarsi la mano, arrossata dal pugno. Gli bruciava, ma non parve farci particolarmente caso. Tremava nervoso.

Andromeda provò a prendergli la spalla, ma la respinse via, scostandosi ferito.

«Smettetela, dai. Non è importante che ci abbiate spiati o altro. Adesso quello che conta è restare uniti...» Robert manteneva un tono calmo, nonostante avesse il suo migliore amico morente tra le braccia. «Al, tu sarai sempre importante per tutti noi, lo sai.»

Storse il naso poco convinto. Arrivati alla villa, Robert e Arthur tirarono fuori Orion dall'auto e corsero dentro per prendersene cura.

Altair sentì le urla di tutti, riuscivano probabilmente a raggiungere gli ultrasuoni. Non aveva il coraggi di entrare in salotto e farsi sopraffare da una marea di domande, perché ne aveva anche lui così tante e nessuno avrebbe potuto rispondergli. Si lasciò cadere in giardino. Accarezzò alcuni filamenti di erba con gesti nervosi e tesi della mano. Le dita gli tremavano ancora. Alzò lo sguardo verso il cielo scuro: le stelle lo illuminavano e mai come quella volta le detestò. I loro nomi erano incisi lì in alto, così distanti ma così vicini. Avrebbe voluto esplodere, illuminare solo un'ultima volta il cielo, e restare un vecchio ricordo, da richiamare di tanto in tanto durante qualche cena di famiglia, tanto non sarebbe mancato a nessuno. Si portò le mani in volto, premendo i polpastrelli contro le tempie, lasciandosi segni rossastri, che avrebbe coperto come sempre coi ciuffi più lunghi dei capelli.

Andromeda lo raggiunse, provò a sedersi al suo fianco, ma la guardò male. «Vattene.»

«Al...dai. Non puoi pensarlo davvero.»

«Ti ho detto di andartene...lasciami da solo.» Sospirò piano, prendendo grossi respiri poi. Socchiuse gli occhi. «Ti prego» mormorò.

Sentì uno sbuffo sommesso. Quando riaprì gli occhi, era solo. Non voleva prendersela con sua sorella, ma non era pronto ad affrontare la realtà. Suo fratello era vivo e non l'aveva mai cercato in tutti quegli anni, nemmeno per una parola di conforto.
Qualunque motivo avesse avuto, l'aveva abbandonato. L'aveva lasciato da solo col proprio dolore e la propria malinconia.

Si tirò in piedi, barcollando appena sulle proprie gambe e ripulì i pantaloni dai fili d'erba. Non avrebbe voluto varcare la porta d'ingresso, non voleva vedere nessuno. Tutti i suoi fratelli si erano presi gioco di lui, lo avevano ingannato per avere informazioni. Era sicuro che Andromeda avesse coinvolto anche Leon ed Eris. Adesso riusciva a spiegarsi anche qualche loro sospetto atteggiamento.

Si passò una mano tra i capelli e alzò lo sguardò all'insù, verso il cielo nero, puntellato di stelle poco appena visibili, ma luminose. Raramente c'era stata una serata così libera, così pulita lì a Boston. C'era sempre qualche nuvola ad oscurarlo.

A volte i ricordi felici con suo fratello erano vividi come quella notte. Altre, invece, sembravano sfumare come fari nella nebbia. E in quel momento la sua mente era totalmente appannata e offuscata dal rancore e dal dolore.

Si incamminò lentamente. Non voleva entrare dall'ingresso principale. Sicuramente tutti lo avrebbero bombardato di domande. Poi avrebbero iniziato ad aspettare intensamente tutta la notte, per il risveglio di Orion.
Altair non aveva idea di cosa fare. Avrebbe solo voluto poter urlare, tirare calci e lasciarsi piangere come un bambino.

Vide Arthur uscire poco dopo. Gli si avvicinava lentamente. Aveva sempre visto in lui un'ancora di salvataggio. Era il migliore amico di Orion, ma anche un fratello per lui. Ricordava che ogni Natale gli portava una scatola di cioccolatini fondenti.
Si fermò davanti a lui e sfilò una sigaretta dal pacchetto. Gliene porse una, ma rifiutò scuotendo nervosamente il capo.

«Come sta?» Le parole gli sfuggirono dalle labbra. Si morse l'interno guancia, sentendosi stupido e incoerente.

Arthur scrollò le spalle. «Gli abbiamo fatto l'iniezione dell'antidoto prima che perdesse i sensi, è entrato in circolo di sicuro. Credo che dobbiamo aspettare. Aveva un'infezione e la febbre alta. Gli effetti collaterali del siero stavano sicuramente iniziando a farsi sentire.»

Altair non poteva quasi credere che tutti loro non fossero ciò che ai suoi occhi erano sempre sembrati. Si erano sottoposti agli esperimenti di un governo per migliorare le loro qualità e, sebbene non avesse chiaro ancora del tutto il quadro della situazione, non poteva smettere di pensare a quanto fossero stati incoscienti e stupidi. Ma d'altronde erano solo dei ragazzini che volevano sentirsi importanti e inclusi in qualche modo. Inoltre, era abbastanza certo che non fosse stata una scelta del tutto spontanea, quanto più una particolare manipolazione psicologica e militare.

«Va bene. Credo che andrò a dormire.»

«Ho detto agli altri di lasciarti stare questa sera. Hai bisogno di riposare, Al.»

Strinse i pugni e annuì. Ricacciò le lacrime indietro. «Grazie.» si incamminò, avvicinandosi alla porta.

«Al?»

«Che c'è?»

«Non sei solo. E non lo sarai mai. Qualsiasi problema, noi ci saremo sempre per te. Sei la loro famiglia e anche la mia.»

Fece un piccolo cenno di assenso, quasi più sconsolato, ed entrò in casa. Regnava il silenzio. Ormai doveva essere anche tardi. Sospirò piano, poggiando il cappotto sull'attaccapanni e accarezzò Anita, che, scodinzolante, gli andò incontro.
Si avviò verso le scale e si fermò sul corridoio, osservando tutte le stanze dei suoi fratelli. Ebbe la sensazione di sentire i loro sussurri. Sospirò piano e continuò a salire, raggiungendo la vecchia soffitta.

Erano anni che non andava lì. Di solito si rifugiava in quel posto per dipingere. Orion era stato il primo a incoraggiarlo a seguire quella passione. Diceva che i suoi quadri riusciva a sentirli: gli parlavano.

«Io lo sento cos'hai dentro, fratellino. E non è per niente sbagliato. Però non sei solo, ci sarò sempre io con te.» Poi gli sorrise, dondolandosi sui piedi e fissando i paesaggi luminosi e colorati. Altri deserti e tristi, i colori grigiastri li incupivano. «Però qui manca la tua opera d'arte migliore!»

Altair si accigliò. Aveva i vestiti completamente sporchi di pittura. Una macchia verde gli camuffava la guancia e Orion gliel'asciugò, passando un pollice sulla pelle. «E cioè?»

Orion allargò le braccia. «Io! Ti manca un mio ritratto.»

Altair rise e gli svuotò un secchio di vernice in testa. Ricordava ancora le lamentele di suo fratello. Durò circa un mese quella lagna continua.

Quando aprì la porta, tossì così forte che ebbe la sensazione che i polmoni stessero collassando. Era tutto impolverato. Entrando, dovette abbassare il capo, per evitare di scontrarsi contro la parte più bassa della soffitta.
C'erano tantissimi scatoloni, quasi tutti vecchi ricordi e cimeli di famiglia. Una piccola finestra dava sul giardino e di giorno illuminava abbastanza quel piccolo posto completamente in legno.

Aveva coperto tutti i suoi cavalletti e dipinti con alcuni vecchi teli. Non aveva voglia di riguardarli. Aveva sepolto da tempo quella passione, forse perché gli ricordava troppo suo fratello e non aveva voglia di rimuginare su ricordi dolorosi come stilettate nel fianco.

Si appollaiò su un vecchio pouf e sospirò piano. Storse il naso quando l'ennesimo turbinio di polvere si alzò. Forse avrebbero dovuto svuotarlo e ripulirlo. Sicuramente sarebbero riusciti a ricavare una stanza in più. Non aveva mai pensato di poterlo dire, ma avevano quasi esaurito tutte le camere di quella casa.
Ormai era sempre così affollata.

Sentì alcuni passi e si drizzò, come in allerta. Ebbe il panico che potesse essere Orion e non era assolutamente pronto per poterlo affrontare, non in quel momento e non in quello stato.
Avrebbe dovuto dormirci su.

«Al? Sei qui dentro?» Zalia si affacciò e si soffermò poi a fissarlo. Si chiese come avesse fatto a trovarlo, ma negli ultimi tempi forse aveva sottovalutato tutti, persino quella ragazza logorroica e fastidiosa.

«Come mi hai trovato?» Sbuffò un po' brusco, ma Zalia lo ignorò, incamminandosi incuriosita verso di lui. Si lasciò cadere sul pouf al suo fianco e iniziò a tossire istericamente per la polvere. Si portò le mani alla gola, in alcuni gesti un tantino melodrammatici. Altair inarcò un sopracciglio. «Stai bene?»

«Sì- scusa.» Tossì un'ultima volta e si strinse poi nelle spalle. «Ero da poco uscita dal bagno quando ti ho visto salire le scale. Pensavo che volessi parlare con qualcuno... cioè so che Arthur ci ha detto che non volevi vedere nessuno, però non lo so. Non mi sembrava giusto lasciarti solo. Puoi anche non parlarmi di come ti senti, eh, capirei, insomma non immagino che cosa tu possa avere nella testa, per cui se vuoi restiamo qui in silenzio a fissare questo meraviglioso posto polveroso e chiaramente potenzialmente mortale per un soggetto allergico.»

Altair sorrise. Parlava sempre così tanto. Scosse il capo e si passò una mano tra i capelli. «È che non so cosa sentire.»

«Credo sia giusto... hai sempre creduto in qualcosa che poi non era così.» Si tirò in piedi. Dimenticava quanto fosse smaniosa. Iniziò a osservare i teli con una spasmodica curiosità. «È normale tu sia arrabbiato o deluso, non devi fartene una colpa.»

«Credevo fosse morto. Credevo fosse un pazzo assassino e tante altre cose. Però quando l'ho visto morente, ho sperato che non mi stesse abbandonando di nuovo...» Si alzò appena. «E al tempo stesso lo odio.»

Zalia alzò un telo e osservò uno dei suoi quadri. Aveva dipinto un'enorme distesa d'acqua. Aveva sempre amato osservare l'oceano. Trovava quasi surreale e magico il rumore delle onde che si infrangevano contro gli scogli. Avrebbe trascorso ore a fissare quell'infinto ondoso. «Lo hai fatto tu, vero? Izar mi ha detto che sai dipingere.»

Altair lo ricoprì e storse il naso. «Sapevo. Non dipingo da dieci anni e non ho intenzione di farlo.»

«Il ritratto di Orion in corridoio è tuo?»
Annuì. «Beh è molto bello... cioè non il soggetto, cioè anche quello... va bene lascia stare.»

Altair ridacchiò appena e sospirò piano. Fissò la porta. «Non dovresti dormire?»

«Quello anche tu.» Zalia gli posò una mano sulla spalla e sussultò. La fissò per un istante. Aveva sempre alcune rughe d'espressione dovute a sorrisi continui. Le si formavano anche delle fossette gentili agli angoli della bocca. «Senti, se ti piace il mare, per richiamarlo insomma, lasciati andare. Qualunque cosa provi, seguila, come la marea. Credo tu abbia bisogno solo di questo. Devi seguire la tua corrente, le tue onde.»

Altair annuì. «Forse domani gli parlerò.»

«La corrente non fa dei programmi.»

Sorrise e alzò le mani in segno di resa. «Va bene, ho capito il concetto... grazie.»

Zalia gli ammiccò e si avviò verso la porta. «Buonanotte.»

«'Notte.»




Angolino
Come molti di voi sanno non è un grande periodo per me.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima

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