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XXVII. Piccole indagini

Eris

Tutto sommato, però, quell'avventura stava diventando piuttosto divertente. Le piaceva indagare e scoprire sempre nuovi dettagli, ma dopo quella giornata sicuramente avrebbe compreso quanto fosse pericoloso il mondo di suo fratello.
E quanto fossero stupidi tutti loro a credere di poter indagare come fossero detective famosi.

La verità era che Eris aveva bisogno di distrarsi. Doveva tenere la sua mente impegnata, perché altrimenti si perdeva nel dedalo dei suoi pensieri, rimuginando su cosa sarebbe successo se Max fosse riuscito a catturare tutti loro.

Michael e Leon stavano provando ad aprire la porta, forzando la serratura. Andromeda sbuffò piano. Raccolse una pietra da terra e iniziò a giocherellarci, tirandola verso l'alto e acciuffandola poco dopo. Si guardò attorno e le punzecchiò il fianco, facendola sussultare. «Proviamo a vedere sul retro.»

Eris guardò sua sorella e annuì. Poteva essere una buona idea. Si affiancò a lei e insieme si mossero verso il giardino sul retro. C'era qualcosa che non andava, era una strana sensazione. Non avrebbe saputo spiegarlo razionalmente. «Qualcosa non va-»

Andromeda aggrottò la fronte. Le indicò la porta e la serratura forzata. Si sentì rabbrividire, come se il sole di quella giornata fosse calato sulle loro teste. Indietreggiò confusa, aveva all'improvviso paura di cosa avrebbero potuto trovare. Sua sorella si puntò davanti a lei, costringendola a starle alle spalle. «Sta' indietro.»

Aprì la porta, che scricchiolò quasi al loro tocco, emettendo un fischio fastidioso, quasi surreale e inquietante. Eris chiamò Leon e Michael. «Ragazzi, qui è aperto.»

Andromeda si accertò che ci fossero tutti, dopo aver spinto la porta in avanti.
Eris non era più sicura di voler entrare. Lanciò un'occhiata a Leon, che, d'istinto, le prese la mano, stringendola nella sua. Sorrise, pensando a quanto riuscisse a capire ogni suo piccolo dettaglio, ogni sfumatura per Leon era un colore nitido e chiaro, nulla era confuso.

Michael si affiancò ad Andromeda. Sembrava curioso di avere risposte.

Eris sarebbe stata una bugiarda se non avesse ammesso che, in fondo, le sembrava strano tutto quell'interesse del ragazzo. Non credeva davvero che fosse semplice curiosità. Credeva che ci fosse qualcosa che stesse nascondendo oppure si era semplicemente abituata così tanto alle menzogne che riusciva a percepirle ovunque, anche laddove non ci fossero.

«Entriamo?» Michael aveva una voce troppo alta, quasi emozionata dalla frenesia.

Andromeda lo guardò male. Entrarono così insieme, uno dietro l'altro, sua sorella era davanti a tutti. Il piccolo salotto era tranquillo. C'era una strana elettricità nell'aria, Eris non avrebbe saputo spiegarlo. Semplicemente riconosceva una confusione quasi familiare, un ricordo recondito nella sua testa.
Sperava non fossero le sue speranze ad illuderla come un'idiota.

Andromeda si bloccò sul posto, quando aprì la porta della cucina. Michael andò a sbattere contro di lei. «Ahi-» si massaggiò il capo. «Che ti prende?»

Eris si pietrificò, dopo essersi affacciata. Andromeda non riuscì a coprirle lo sguardo in tempo.

Un uomo -presumibilmente Richard- era seduto su una sedia al centro della cucina, con le mani legate dietro la schiena. Il sangue era ai suoi piedi, ovunque. Era schizzato contro le pareti, sporcava quasi ogni angolo di quella casa. Il collo era accasciato sulla spalla in una posizione innaturale.

Leon, al suo fianco, era impallidito. Ognuno di loro sembrava un fantasma. Michael le si affiancò, provando a prenderle la mano. Eris si scansò dal contatto e si portò una mano alla bocca.
Corse fuori dalla casa. Sentì i suoi fratelli chiamarla.

Voleva stare da sola, non voleva nessuno di loro attorno. Le lacrime cominciarono a pizzicarle le guance. Si incamminò nervosamente per le strade di Boston, correva veloce, senza avere una meta o idea di dove andare.

Le persone si voltavano a guardarla con confusione. Alcuni di loro provarono a fermarla per sapere se stesse bene. Si rifugiò in un vecchio e sudicio viale. Probabilmente non sarebbe stata una buona idea, visto l'alto tasso di criminalità di quella città.
Dicevano che in quei vicoli ci fossero criminali psicopatici, alcune delle loro identità erano sconosciute alla polizia, ma molti portavano soprannomi di animali, che rappresentavano il loro animo corrotto.
Si poggiò contro una di quelle pareti sudicie e sentì di la puzza di piscio invaderle le narici, fino a toccarle lo stomaco.

Si accasciò su se stessa e vomitò ai propri piedi, sporcandosi le scarpe. Sentiva quasi che gli occhi stessero per esplodere, fuoriuscendo dalle orbite, e strinse i pugni.

«Eris!» La voce di Michael la fece voltare. Aggrottò la fronte e alzò una mano, come ad allontanarlo. Si sentiva un topo in trappola tra le pareti di quel viale, ma era l'unico posto dove avrebbe potuto sentirsi da sola, nascosta come un ratto. Boston era affollata, c'erano sempre troppe persone in ogni angolo.

Vomitò di nuovo, singhiozzando tra le lacrime. Sentì i passi di Michael farsi sempre più vicini, finché un tocco familiare le accarezzò i capelli, portandoglieli all'indietro, per evitare di sporcarsi. «Vuoi che vada a comprarti un po' d'acqua?»

Eris scosse il capo e si ritrasse. «Perché sei qui?»

Michael scrollò le spalle. Con un gesto nervoso della mano, si tirò un ciuffo di capelli all'indietro. «Andromeda stava aiutando Leon a riprendersi dallo shock e ti ho inseguito. Non credo fosse il momento migliore per perdersi, raggio di sole.»

Eris sbuffò. Aveva così tanta voglia di colpirlo con un pugno allo stomaco, ma allo stesso tempo pochissime forse per farlo davvero. «Volevo dire-» Prese un grosso respiro. «-perché ci stai aiutando? Cosa ti interessa davvero di questa storia? Da quando sono bambina ho capito che nessuno fa qualcosa per nulla. Non esistono i santi nella realtà. Quindi? Perché ci aiuti? Saresti dovuto scappare fin dall'inizio.»
Michael provò ad avvicinarsi, ma Eris si ritrasse. «Allora?»

«Promettimi che non ti arrabbierai e che non penserai subito al peggiore scenario.» Michael alzò le mani in segno di resa.

Lo sapeva. Era stata una stupida a credere che volesse davvero essere amico di suo fratello e che tenesse a loro. Strinse i pugni. «Non ti assicuro un bel niente.»

«Mio padre è un poliziotto. Prima del coma stava indagando su tuo fratello, la Serpents Agency. So che aveva interrogato Arthur e Robert all'epoca, perché non riusciva a trovare tuo fratello pochi giorni prima dell'incidente.» parlò piano.

Eris sgranò gli occhi e indietreggiò. «Tu vuoi aiutarci solo per vedere mio fratello dietro delle stracazzo di sbarre perché credi sia stato lui a fare del male a tuo padre!»

Michael si morse l'interno guancia. Abbassò lo sguardo, colpevole. «Mio padre è importante per me, Eris. Sta morendo perché credeva che ci fosse qualcosa che tuo fratello e i suoi amici nascondessero. Non penso che Orion l'avrebbe ucciso, ha fatto un "incidente"» mimò quelle parole con le virgolette alte «lo stesso giorno in cui i genitori Cortez sono scomparsi. Voglio solo risposte. Come tutti voi!»
Provò ad avvicinarsi.

Eris indietreggiò ancora, ferita. Scosse il capo. «Sei un bugiardo del cazzo!»

«Eris-»

«Non mi toccare!» alzò la voce, sebbene fosse strozzata dal pianto. «Credevo che per qualche assurdo motivo tenessi a noi, che fossi davvero un amico per Leon. Invece sei l'ennesima persona che si avvicina alla mia famiglia per i propri scopi del cazzo e per accusare di tutto qualcuno che non può ancora difendersi!» Lo spinse lontano, quasi facendolo rotolare all'indietro.

Michael aggrottò la fronte. «Che cosa? Io sono stato amico di Leon e lo sarò sempre. Perché tu hai diritto a delle risposte e io no?»

«Non provarci.» Eris gli puntò un dito contro. «Tu hai finto di essere nostro amico solo per arrivare ad ottenere le tue risposte.»

Lo vide rabbuiarsi. Ebbe la sensazione che i suoi capelli biondi si fossero ingrigiti all'improvviso. Fece un passo in avanti, tentando di avvicinarsi.
Provò a prenderle la mano. Riuscì ad acciuffarle il polso.
Eris combatté contro la sua presa. Gli calpestò un piede con rabbia. Dalle labbra di Michael si liberò un leggero rantolo doloroso.

«Ti ho detto che non devi toccarmi!»

«C'è qualche problema lì?» una voce rauca sconosciuta li colpì alle spalle.

Entrambi si voltarono a fissare l'uomo davanti a loro. Emanava una strana energia, quasi inquietante. Il busto era fasciato da una camicia, il cui colletto sporgeva dal lungo cappotto, che scendeva poco sopra le ginocchia. Eris l'avrebbe trovato un uomo elegante -forse anche stranamente affascinante- se i suoi occhi non si fossero posati per prima sulle scarpe lucide, ma sporche di sangue rappreso.
Aveva le mani ricoperte dai guanti e agitava le dita, come se stesse cercando di mantenere qualche tic nervoso.
Gli occhi neri, come la pece, li scrutavano dall'alto al basso, quasi con un'espressione disgustata, mentre un ghigno strano gli contorceva il volto.
Si liberò del cappello e inclinò il capo, osservandoli con attenzione.
Una piccola cicatrice gli spaccava il sopracciglio.

Michael scosse il capo. «No, ehm, signore, grazie. Ce ne stavamo andando.» Provò a tirare via Eris, che si era paralizzata.

Credeva di averlo già visto a qualche notiziario. Una piccola spilla d'oro sul cappotto attirò la sua attenzione: aveva la forma di un corvo.
Impallidì.

«Non mi sembra che la ragazzina abbia detto lo stesso, Michael, giusto?»

«Ehm noi stavamo solo discutendo... Eris è un po' esagerata nelle reazioni. Diglielo anche tu.» Michael la guardava preoccupato.

Per quanto avrebbe voluto prendere a pugni e calci Michael, di certo non lo avrebbe lasciato in preda a un serial killer omicida, tra l'altro anche evaso e ricercato da un anno circa.

Eris mise in mostra il suo sorriso migliore. Ebbe quasi la sensazione che in quel vecchio viale sudicio fosse calata la notte, come se il sole avesse smesso di splendere in quella parte di città. Rabbrividì appena e annuì con un cenno del capo. «Stavamo solo discutendo, non è nulla di cui preoccuparsi...» lo fissò intensamente negli occhi e le sembrò quasi di non rilevare nessun sentimento umano. «Io- ehm, la ringrazio.»

L'uomo si mosse nervoso sul posto. «Sei sicura? Posso chiamarti un taxi per farti tornare a casa in sicurezza.»

Eris non aveva idea di cos'avrebbe fatto poi a Michael, ma non era certa di volerlo scoprire.  «Sicurissima. È solo un coglione.»

Michael sorrise, quando, però, formulò le informazioni nella sua mente, si rabbuiò offeso. «Come scusa?»

Eris lo afferrò per il braccio. Costringendolo a indietreggiare. Camminarono in silenzio, senza dargli le spalle, diretti verso l'uscita dal viale, per potersi riversare tra le strade di Boston.

Killian Hunt li guardava con tranquillità. Indossò di nuovo il cappello e uscì dal lato opposto, lasciandoli soli.

Michael abbassò lo sguardo sul polso, dove Eris teneva ancora la sua mano. «Quindi, ehm, abbiamo chiarito?»

Eris lo spinse di lato. «No! Assolutamente no. Mi hai mentito. Ci hai mentito. Vuoi solo far arrestare mio fratello!» Era nervosa. Nella sua mente c'erano così tante informazioni da processare, che si sentì quasi venire meno nella gambe.
Il quasi rapimento di lei e suo fratello.
Un cadavere con la gola squarciata.
Michael che aveva mentito fino a quel momento.
E, ciliegina sulla torta, l'incontro con un serial killer.

Si portò le mani in volto. Aveva voglia di piangere. Michael tentennò. Lo vide avvicinarsi piano, come se stesse studiando il momento migliore per riprendere a parlare. Le posò una mano sulla spalla. «Eris... ti giuro che non farei mai una cosa simile. Sono abbastanza certo che mio padre stesse indagando contro la Serpents Agency e che volesse un aiuto in Arthur, Robert e tuo fratello. Lo hanno eliminato dai giochi.»

Eris alzò lo sguardo su di lui. Gli occhi le si erano quasi appannati dalle lacrime, che cercava stupidamente di trattenere.

«Voglio solo delle risposte e giustizia per mio padre... È tanto sbagliato?»

Scosse il capo.

Michael sorrise e si avvicinò. Le prese una mano e la tirò a sé, abbracciandola. Era stanca, in quel momento, di combattere una guerra che non era solo sua. Era stanca di nascondere tutto, dei segreti e delle bugie.
Soprattutto era stanca di non poterei fidare delle persone. Poggiò il capo contro il suo petto e prese a respirare piano e con calma.

Si staccò poco dopo e riprese a camminare in avanti.

«Eris? Dove stai andando?»

«A casa. Ho appena visto un messaggio di Andromeda, sta tornando con Leon. Abbiamo visto abbastanza per oggi.»

«Ti accompagno. Abbiamo appena incontrato un potenziale psicopatico.» Michael le si affiancò subito.

Eris sorrise e scosse il capo. «Ho chiamato Al. Gli ho chiesto di venirmi a prendere.» Inclinò il capo. Nascose le mani nelle tasche del giubbotto. «E comunque quello avrebbe ucciso solo te tra noi due. So che ha una particolare predilezione per gli stupratori.»

Michael sgranò gli occhi. «Oh. Oh mio dio. Era-?»

Eris annuì.

«È un evaso! Dovevamo chiamare la polizia! Ma non doveva essere morto?»

«Sto iniziando a credere nella teoria per cui se non vedo un cadavere, allora non è morto.» Eris scrollò le spalle. Si sentiva un po' amareggiata e sola. Avrebbe potuto chiamare Robert, ma sarebbe partito un interrogatorio di ore, finché non avrebbe raccontato tutto quello che era successo. Robert non le avrebbe mai permesso di tenersi tutto dentro e non aveva voglia di farlo preoccupare ancora. «Vuoi un passaggio a casa?»

Michael scosse il capo. «Siamo vicini alla metro. Tornerò così a casa, magari mi schiarisco un po' le idee...» Si passò una mano tra i capelli, mettendoli ancora più in disordine. Eris era abbastanza convinta che il suo più grande incubo sarebbe stato diventare calvo.
«Aspetto con te, però. Cioè, finché non arriva tuo fratello.»

«Come preferisci.»

Lo vide mordersi un labbro. Tentennò quasi, come se avesse ancora voglia di parlare, ma se ne stette in silenzio. Lo apprezzò. Per una volta non c'era l'assurda necessità di snocciolare banali discorsi che avrebbero solo aumentato l'imbarazzo di una giornata già di per sé particolare.

Dopo una decina di minuti, intravide l'auto di suo fratello. Sembrava ancora in tensione per lo scontro del giorno precedente. Ancora una volta, tramite Andromeda, avevano spiato tutti loro. Avevano evitato uno scontro a fuoco per poco.
Michael la salutò ed Eris salì in auto, accomodandosi accanto a suo fratello. Inserì la cintura.

Altair la osservò per un istante. Sentiva i suoi occhi di ghiaccio addosso. Inserì la marcia e prese a guidare. Eris si accorse che non era diretto verso casa. «Giornataccia?»

Annuì. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani e sospirò piano. Avrebbe voluto urlargli che sapeva cosa stesse nascondendo, che sapeva ogni cosa su Orion. Voleva gridargli che non era solo e che non lo sarebbe mai stato, che non doveva temere di rincontrarlo né di consegnarlo alla polizia. «Un po'. Tu come stai?»
Avrebbe anche voluto dirgli che sapeva che stesse male. Glielo si leggeva in faccia. Voleva tanto che suo fratello tornasse ad essere felice e spensierato. Si sentiva anche in colpa di essere uno dei motivi della sua precoce crescita, aveva dovuto occuparsi di lei e Leon, perché avevano solo sei anni.

Altair mantenne lo sguardo sulla strada. «Sono stato meglio, ma si va avanti, giusto?» Si fermò vicino al mare. Si voltò a guardarla e inclinò il capo. «Ti va di parlarmene?»

Eris sentì le lacrime pizzicarle di nuovo le guance. Non avrebbe saputo da dove iniziare. Scosse semplicemente il capo. Altair fece un cenno di assenso col capo e scese dall'auto. Aprì poi la sua portiera.

«Perché siamo qui?»

«Qui c'è la tua gelateria preferita. Prendiamo qualcosa vicino alla banchina e poi torniamo a casa, ti va?»

Sorrise. Si portò una mano in volto e asciugò le lacrime. Scese dall'auto e attese che suo fratello la chiudesse. Altair cominciò a incamminarsi davanti. Eris gli corse dietro e lo abbracciò. Sentì suo fratello irrigidirsi inizialmente, poi si voltò verso di lei. Ricambiò il suo abbraccio, tenendola stretta a sé. Le asciugò le lacrime coi pollici. «Qualunque cosa sia successa, sappi che puoi sempre parlarmene, Eris. Sempre. Per voi mi butterei nel fuoco. E se non vuoi parlarne, va bene. Aspetterò. Aspetterò anche un'infinità di tempo pur di sapervi al sicuro.»

«Ti voglio bene, Al. Tanto. So che non te lo dico spesso. Te ne vorrò sempre.»

Altair fece un leggero sorriso. Aveva dimenticato come fossero i sorrisi di suo fratello. Lo vedeva sempre così avvilito, nervoso, tra studio e decisioni da adulto. Le diede un bacio sulla fronte. «Lo so. Te ne voglio anche io...» Guardò verso la gelateria. «Ti piace ancora il gusto puffo?»

«No, per fortuna.» Eris rise, asciugandosi le lacrime. Si allontanò dall'abbraccio.

Altair scrollò le spalle. «Menomale... sai che piace a Robert?»

Eris scoppiò a ridere e annuì. «Sì, perché quando mangiamo il gelato insieme finge di prendere quel gusto perché crede ancora che mi piaccia. Glielo lascio fare, però.»

Altair ridacchiò e le posò una mano sulla spalla, incamminandosi con lei verso la gelateria.

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