XVIII. Halloween
Altair
Aveva proposto a Zalia e Izar di indagare quella sera.
Halloween era da sempre la festa preferita della sua famiglia, c'era sempre stata la tradizione di travestirsi e andare in qualsiasi posto per divertirsi.
Indossare una maschera e fingere un po' che nessun problema esistesse.
A volte Altair credeva che ogni giorno per lui fosse come Halloween.
Stentava un sorriso, rispondeva che stava bene e andava avanti. Tutto gli ricadeva addosso e cercava di farselo scivolare via come se nulla fosse successo.
Non si sentiva compreso da nessuno e non per questo biasimava i suoi fratelli, era felice che vivessero la loro età e fossero immaturi come avrebbero dovuto essere. Altair non si sentiva un ragazzo da più di dieci anni, non riusciva a divertirsi come i suoi coetanei e per questo se ne stava a distanza.
E questo atteggiamento gli si era ritorto contro.
Freddo.
Altezzoso.
Pesante.
Arrogante.
Sentiva i sussurri degli altri studenti ad Harvard. Tutti che lo giudicavano anche solo osservandolo, con quel pizzico d'invidia perché riusciva ad ottenere i risultati che tutti avrebbero voluto.
Se solo avessero saputo quanto avrebbe voluto poter rimandare un esame per uscire a divertirsi con qualcuno, forse avrebbero iniziato a comprenderlo.
Ma non cercava la compassione negli sguardi degli sconosciuti. Era il suo dolore personale, la sua ferita aperta che non si sarebbe mai cicatrizzata.
Era solo e incompreso.
E forse era giusto così.
Si tirò in piedi presto quel mattino e si passò le mani in volto. Aveva origliato un po' i suoi fratelli e aveva saputo che si sarebbero divertiti ad una festa organizzata a scuola, per lui e Zalia sarebbe stata un'ottima soluzione.
Doveva solo riuscire a convincere Robert ed Arthur ad uscire, ma forse sarebbe stato semplice cercando di coinvolgere anche Yennefer. La zia Eleonore, invece, era una donna semplice e tranquilla, probabilmente sarebbe andata a letto presto.
Nel peggiore dei casi, avrebbe sciolto un sonnifero nei bicchieri dei due uomini, che li avevano cresciuti. Si sentiva un po' in colpa, ma poi ripensava a quanti segreti Robert e Arthur tenessero per sé.
Era un pareggio.
Più o meno.
Raggiunse gli altri in cucina e si guardò intorno.
Poteva sentire il loro chiacchiericcio già dal salone. Un piccolo sorriso gli illuminò lo sguardo. La sua sola felicità era rappresentata dai fratelli. Accarezzò Anita, intenta a giocare con una pallina da tennis, ed entrò in cucina. «Buongiorno, che succede?»
Si rivolse a Robert, che teneva le braccia intrecciate al petto e la fronte corrugata, mentre ascoltava Eris.
«Mi sta convincendo ad andare a una festa questa sera.»
«È per Halloween! Ci accompagnerà Andromeda! Lei è adulta, potrà tenerci d'occhio, no?» Eris fece il suo migliore sorriso, indossando uno sguardo carico di dolcezza.
Robert si portò una mano sul volto, coprendosi gli occhi. «Non ci provare!»
Leon, che stava sgranocchiando un biscotto, decise di inserirsi nel discorso, rischiando di strozzarsi. «Fobert! E dai, ti pfego!»
Altair ridacchiò e si sedette al suo fianco, allungandosi per prendere il latte. Leon deglutì finalmente i biscotti. «Noi non vi chiediamo mai nulla, ce la meritiamo una bellissima festa in maschera!»
«Vi ricordo che siete andati via da scuola senza la mia supervisione.»
«Ti pregoooo» urlarono tutti e due in coro.
Arthur fece scontrare la fronte contro il tavolo, forse stanco di sentire quel discorso già da più di mezz'ora. Altair incrociò lo sguardo dei fratelli e annuì. «Io voto sì. Alla fine entrambi sono stati accettati al college, studiano e una festa non sarà un gran problema.»
Eris si voltò a guardarlo sconvolta. Si lanciò su di lui abbracciandolo e poi anche Leon si unì. Altair amava i gemelli, davvero, ma erano due grandi opportunisti. Spesso chiedere ad Eris un semplice bacio sulla guancia, per puro affetto, richiedeva sempre qualcosa in cambio, soprattutto libri di solito.
«Oh.» Andromeda entrò in cucina, storcendo il naso. «Cos'è una specie di abbraccio di famiglia?»
Leon allargò le braccia. «Ti unisci a noi a soffocare Al?»
Sua sorella ghignò e gli si lanciò addosso. Altair tossì, cercando di ricambiare goffamente quel breve e strano momento di affetto da parte dei suoi fratelli, poi li costrinse a lasciarlo andare. «Basta ora, ho capito. Mi siete grati e mi adorate.»
Quando si allontanarono, Andromeda gli rubò un pancake dal piatto. «Non esagerare ora, Al. Ti tolleriamo abbastanza.»
Pochi minuti dopo, anche Zalia, Yen e Izar fecero capolino in cucina. Quella casa non era mai stata così abitata, spesso sembrava una vecchia villa fantasma, ma era piacevole tutto sommato avere più compagnia del solito. Eleonore storse il naso, quando si rese conto che soltanto Leon ed Eris sembravano aver finito tutti i pancakes. Picchiettò sulla spalla di Arthur per farsi aiutare a prepararne altri.
Robert si massaggiò il mento, lanciandogli una breve occhiata. «E tu, Al? Non farai nulla questa sera?»
Doveva mentire. «Non so, forse anche noi andremo a una festa al campus.»
Zalia e Izar annuirono, appoggiandolo. La più piccola delle sorelle Cortez si allungò sul tavolo circolare, per afferrare un barattolo di cioccolata. «Esatto. Io e Izar lo abbiamo convinto a venire con noi.»
«Quale tortura avete usato?» Arthur ghignò divertito, servendo altri pancakes a tavola. Altair gli riservò un'occhiataccia, più che altro amichevole.
«E voi?» Si rivolse ai due uomini. «Resterete a casa a piangere la vostra gioventù andata perduta? Magari davanti a un buon vecchio film che vi faccia sentire ancora giovani...»
Tutti ridacchiarono al tavolo. Robert sorrise, incassando il colpo. «Abbiamo una piccola rimpatriata in un bar di Boston.»
Yennefer lo osservò di sbieco. Altair era sempre stato un buon osservatore, ma non ci voleva un genio per comprendere che entrambi cercassero i propri sguardi. Sapeva che Yen, però, fosse intenzionata ad ottenere informazioni da Robert. Si chiese se lui stesse giocando al suo stesso gioco, in quella complicata partita di scacchi in cui si erano tutti immischiati.
Almeno era grato che i suoi fratelli non sospettassero nulla.
Arthur alzò lo sguardo su Yen. Come al solito si preoccupava che nessuno restasse da solo. «Se vuoi, puoi venire con noi. Andiamo a trovare dei nostri vecchi amici, almeno non resterai sola.»
«Perché no.» La donna scrollò le spalle. Sorrise sfrontata in direzione di Robert, che si irrigidì appena. «Non ho nulla da fare.»
Altair ebbe la sensazione che non solo fosse un'occasione importante per Yennefer, per ottenere informazioni, ma che dietro a tanta cordialità ci fosse comunque l'intento che nessuno restasse a casa per indagare.
Dovevano sfruttare al meglio quell'occasione.
«Bene. Io mi travestirò da spiderman, voi due?» Leon sorrise in direzione delle sorelle, stemperando quella breve tensione.
Eris ridacchiò. «Da strega, semplicemente. Ho trovato un costume car-»
«Un ottimo travestimento. Rappresenta la tua indole.» Robert bevve una tazza di the ed Eris si voltò a guardarlo truce. Si alzò semplicemente da tavola e si avvicinò al pacco di farina utilizzato per preparare i pancakes. In un lampo lo svuotò sulla testa di Robert, che si dipinse di bianco, tra l'ilarità generale.
«Dolcetto o scherzetto?»
Altair era seduto alla propria scrivania da due ore e diciotto minuti. Due ore e diciotto minuti buttati all'aria nel vano tentativo di studiare. Qualsiasi oggetto in quella stanza era diventato più interessante delle sue pagine di studio. Batté la testa contro i libri e sbuffò piano. Avrebbe voluto piangere e strizzò gli occhi.
Certo, era riuscito a memorizzare almeno cinque pagine, ma erano nulla in confronto a quante ne avrebbe potute studiare in quello stesso lasso di tempo, nelle sue migliori condizioni.
Detestava sentirsi così.
Serrò la mandibola e si tirò in piedi. Iniziò a camminare nervoso per la stanza. Osservò lo schermo del televisore, che quasi mai accendeva, preferendo leggere un libro o estraniandosi con la musica.
Iniziò a massaggiarsi il petto. Gli mancava l'aria. Aveva da studiare.
Doveva proteggere i suoi fratelli e i suoi amici da una società che li voleva quasi tutti morti, perché in possesso di una formula che nemmeno sapevano che aspetto avesse.
Per non contare l'effettiva possibilità che Orion fosse vivo.
Perché non l'aveva mai cercato? Orion non aveva idea di quanto avesse avuto bisogno di lui in quegli anni.
Si lasciò cadere contro la parete, scivolando lentamente a terra e si portò le ginocchia al petto.
Appariva sempre quello più forte, scostante e sicuro della famiglia.
Altair era certo di essere l'essere più insicuro del mondo, soprattutto quando era solo, quindi quasi sempre. Nascose il capo tra le gambe, accovacciandosi su se stesso.
Ricordava quando era piccolo. Orion gli aveva insegnato a correre in bicicletta, perfino a studiare. Ogni volta che si avviliva gli diceva sempre che il mondo era un posto crudele, ma che era abbastanza forte per affrontarlo.
Aveva sempre amato suo fratello per non avergli dipinto la realtà come un luogo felice e ameno, ma per quello che era. Lo aveva amato perché era stato il primo a credere in lui.
Socchiuse gli occhi e inspirò appena. Poggiò il capo contro la parete, provando a respirare regolarmente. «Sono abbastanza forte per affrontarlo.»
Si asciugò una lacrima solitaria, che aveva iniziato a solcargli il volto, e si tirò in piedi.
Dopo qualche ora, tutta la casa era in subbuglio. I ragazzi si stavano preparando per la festa. Altair sapeva bene che Arthur e Robert avrebbero abbandonato per ultimi la villa, così avrebbe finto di andarsene, nascondendosi in uno dei vialetti alberati e nascosti dal buio notturno, insieme a Zalia e ad Izar, per attendere che i due se ne andassero. Yennfer avrebbe dovuto tenerli sotto controllo durante il loro ritrovo con i vecchi amici e avvisarli nel caso decidessero di tornarsene prima; inoltre era anche un'ottima occasione per poter indagare un po' più a fondo nella vita dei due.
Non gli piaceva dover fingere in quel modo, né prendere in giro le persone che erano state più vicine alla sua famiglia, ma era l'unica soluzione per tenerli fuori da una questione, alla quale si sarebbero chiusi a riccio più del solito. Ed era abbastanza certo che potessero sopravvivere e resistere a qualsiasi tipo di interrogatorio, visti i loro trascorsi.
Scese rapidamente le scale di casa, indossando uno stupidissimo e fastidioso mantello. Zalia e Izar lo avevano costretto ad accettare di buon grado un travestimento. Sarebbe risultato ridicolo se fosse andato a una finta festa senza un costume da idiota.
Zalia gli prese il polso. Riconobbe il suo tocco e si voltò a guardarla. Inarcò un sopracciglio. «Che vuoi?»
Si morse la lingua subito dopo. Non voleva che uscisse così quella frase, con tanto astio. Era solo nervoso.
Ormai era troppo tardi per tornare sui propri passi.
La vide corrugare la fronte, forse in un gesto stizzito. «I denti. I denti da vampiro.» Sorrise un po' sadica e aprì il palmo della mano, per l'ennesimo travestimento finale.
Altair sbuffò, roteando gli occhi al cielo. «Devo proprio?»
La ragazza annuì, dondolandosi sui piedi e tenendo su un'espressione soddisfatta. Gli prese il volto. «Hai qualcosa in faccia.»
Tutti i suoi muscoli si irrigidirono, formando un unico fascio di nervi. La pelle gli solleticava ansiosa e avrebbe voluto scomparire. Desiderò che si creasse una falla nel terreno, che lo inghiottisse e lo trascinasse verso il centro della terra.
Con un movimento felino, Zalia prese un rossetto rosso e gli disegnò una bava, come fosse sangue, all'altezza delle labbra. Si allontanò pochi istanti dopo. «Ecco qua, ora metti i denti.»
Le scoccò un'occhiataccia. «Sai che non andremo a nessuna festa, vero?»
Scrollò le spalle in tutta risposta. «Vuoi essere o no credibile, Al? Già il tuo costume è scontato.»
Altair roteò gli occhi al cielo. «E tu cosa saresti?»
«La sposa cadavere... non hai mai visto il cartone? Tim Burton è un genio! Io adoro Tim Burton, è fantastico, conosco tutta la sua filmografia a mem-»
Altair alzò le mani in segno di resa. In realtà l'avrebbe ascoltata per ore a parlare di qualsiasi cosa le venisse in mente, ma dovevano andare. «Va bene, sì. E no, non l'ho mai visto. Ero troppo impegnato a pensare ai miei fratelli per dedicarmi alle cose normali da ragazzo.» Sbuffò stanco.
Zalia si rabbuiò. Gli prese la mano. «Allora lo vedremo insieme!»
«Io ci sono-» Izar sbucò dal salone, sistemandosi il papillon. Altair sorrise involontariamente, pensando a quanto l'amico fosse appassionato di Houdini, a tal punto da travestirsi come lui. Si allontanò da Zalia e fece cenno ad entrambi di seguirlo.
Salutò velocemente tutti i componenti della famiglia e prese le chiavi dell'auto. Iniziò a guidare, mentre Zalia si era accomodata ai sedili posteriori e Izar al suo fianco. Uscì dal vialone principale, circondato da alti cipressi, che rendevano l'atmosfera di casa ancor più tetra quel giorno. Si nascosero in un vialetto accanto, attendendo che tutte le auto di casa abbandonassero la villa. Spense i fari e l'auto. Sbuffò piano, guardando il vuoto.
«Non posso credere tu non abbia mai visto la sposa cadavere... Izar, almeno tu, dammi soddisfazione.»
Izar rise e annuì con un cenno energico del capo. Si allungò verso Altair. «Davvero non lo conosci?»
«Siete ossessivi.»
Restarono in attesa. Yennefer inviò loro un messaggio non appena la casa fu completamente svuotata da qualsiasi elemento, tranne la zia delle ragazze, che era stata messa al corrente della loro piccola indagine.
Altair riprese a guidare, tornando subito a casa. Fu felice di liberarsi di quegli stupidi canini finti. Li osservò per un attimo, lasciandoseli scivolare nella tasca dei pantaloni e seguì gli altri in casa.
Zalia iniziò a correre verso l'ufficio di suo fratello, tenendo io vestito tirato verso l'alto per non inciampare. «Secondo te cosa significava quella filastrocca? Credo che lì ci sia una risposta.»
Altair scosse il capo. Non ne aveva la più pallida idea.
Non faceva altro che ripeterla in mente.
Non era una filastrocca, non poteva essere solo una poesia, era un messaggio ne era certo.
«Puoi ridarmi il suo block notes? Non c'è nient'altro?»
Zalia scosse il capo, passandogli quella vecchia agenda. Le pagine ormai erano ingiallite. Izar era corso, nel frattempo, nella camera di Arthur, alla ricerca della chiave per l'ufficio.
Altair sfogliò le pagine vuote, appoggiandosi alla parete e corrugò la fronte, cominciando a leggere.
Sepolto
Lì
alle undici e nove
in un campo a morir
dal dolor mi sento impazzir
Di colpi
subiti, ch'
Ho preso. è peggio questo, con la nostra storia
voglio dormir,
avanti come un vecchio cd.
Gli sembrava così stupida e senza un vero significato, eppure riusciva a percepirne il dolore. Era senso di colpa.
Si morse l'interno guancia.
Corrugò la fronte. Poteva sentire il cuore in gola.
Le ultime lettere.
Suo fratello e lui giocavano così quando erano piccoli. Si lasciavano pochi messaggi in codice, tutto non aveva senso, tranne le ultime lettere.
Oliver Richard.
«Forse ho la soluzione.» Si avvicinò a Zalia. Poteva sentire il suo profumo dolce invadergli la mente. «Le ultime lettere. Se le unisci trovi un nome e un cognome. Oliver Richard.»
Zalia sgranò gli occhi. Digitò il nome su internet, dopo aver sfilato il telefono. «È uno scienziato... ha un ufficio al MIT. Possiamo chiedergli un incontro, no? Presentarci al suo ufficio.»
Altair annuì. Le mani gli tremavano ancora nervose.
Izar uscì dalla camera di Arthur. Alzò le mani in alto, mettendo in bella vista una chiave. Sorrideva soddisfatto. «Ringraziamo che ho sistemato tutto esattamente com'era prima. La teneva nascosta sotto una mattonella... non capisco perché tutta questa segretezza. L'altra volta siamo stati in ufficio, spesso studiamo lì.»
Altair lo guardò con attenzione. «Perché evidentemente hanno capito che stiamo pianificando qualcosa e non vogliono farci indagare lì. C'è qualcosa che nascondono-»
Un rumore sordo li fece sussultare. Proveniva proprio da quell'ufficio. Altair era sempre stato razionale nella sua vita. Non credeva ai fantasmi, né alla stupida diceria della maledizione che affliggeva i più grandi della sua famiglia.
Trovava assurdo, però, che qualcuno fosse entrato in quell'ufficio, dove l'unica finestra era stata murata anni prima e che non aveva alcun ingresso dall'esterno.
Il fatto che quelle strane coincidenze fossero alimentate anche dalla notte di Halloween, rendeva tutto un po' più teatralmente pericoloso.
Zalia sfilò le chiavi dalle mani di Izar, nervosa. «Dobbiamo vedere cosa succede! Non possiamo far scappare nessuno.» Si avvicinò a grandi falcate alla porta.
Altair le prese il braccio, tirandola indietro. «Se fosse qualcuno armato, preferirei che se ne andasse piuttosto che avere una pallottola alla testa.»
Zalia sembrava un'anguilla, si liberò dalla sua presa e aprì la porta, spingendola in avanti.
Erano passati pochi minuti, ma tutto era silenzioso. La ragazza indietreggiò confusa. «Lo avete sentito anche voi quel rumore... I-io-»
Altair corrugò la fronte. Forse Andromeda aveva ragione quando parlava di un suo disturbo ossessivo compulsivo, perché, a un occhio disattento, tutto sarebbe sembrato in ordine. Invece, non gli sfuggì la scrivania leggermente spostata verso sinistra, non in perfetto ordine, come al solito, e allineata con la libreria. «'Zar dammi un aiuto. Spostiamo la scrivania.»
Il ragazzo annuì. Insieme la smossero, non dopo qualche fatica. Non credeva fosse così pesante. Aggrottò la fronte, individuando una mattonella mancante nel pavimento e una valigetta.
«A quanto pare gli ex soldati hanno una passione per nascondere le cose sotto il pavimento.» Izar ridacchiò teso, grattandosi dietro la nuca.
Altair si abbassò e prese la valigetta. La posizionò sulla scrivania e si scambiò un'occhiata di intesa con Zalia. La ragazza annuì nella sua direzione, dandogli coraggio. La aprì e sgranò gli occhi. «È vuota.»
«chiunque si sia intrufolato, ha rubato il contenuto. Forse è questo quello che Arthur e Robert nascondono. Dobbiamo capire cosa ci fosse al suo interno.»
Zalia si passò le mani in volto. «Da dove è entrato?»
«E se fosse la formula? Se avessero sempre avuto loro la formula?» Izar aggrottò la fronte.
«Non ha senso.» Altair mormorò quelle parole, con disincantata attenzione. La testa gli faceva male. Non aveva idea di cosa pensare.
Suo fratello forse non era morto.
Aveva un nome segnato su un'agenda e per di più c'era un passaggio segreto per entrare nel suo ufficio.
Orion gli nascondeva fin troppe cose.
Alzò lo sguardo su Zalia, che intrecciò le braccia al petto, fissando uno degli scaffali della libreria. Lo indicò. «Se provassimo a muoverlo? Credo ci sia una botola lì sotto. Se ci fai caso, questo scaffale è più in avanti degli altri. È stato spostato.»
Angolino
Come va?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e alla prossima
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