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XV. Dimostrazioni di Forza

𝐌𝐚𝐱𝐢𝐦𝐢𝐥𝐥𝐢𝐚𝐧 𝐏𝐨𝐯

Era riuscito in parte ad arrivare alla piccola delle Cortez. Odiava l'idea di non poterle mettere le mani alla gola e strangolarla.
Era un gran peccato far del male a una ragazzina tanto intraprendente.
Sarebbe stato piacevole vedere quel bel faccino spegnersi sotto il suo tocco.

Gli ordini erano stati chiari e precisi. Nessun morto, non volevano attirare l'attenzione mediatica. Già la scomparsa dei due scienziati era stata una notizia piuttosto diffusa. Se si fosse aggiunta anche la morte di una delle figlie, allora un polverone si sarebbe alzato, violento come una tempesta.
Perché due membri su quattro della famiglia erano un caso, tre su quattro una certezza.
Il suo compito, così come quello dei suoi colleghi era trovare la formula avanzata.
Gli unici ad esserne in possesso erano proprio Katherine e Drew Cortez.
Peccato che fossero fuori gioco. Sapeva che fosse anche un po' colpa sua, ma si era impegnato nel migliore dei modi per acciuffarli.

Suo padre non gliel'aveva ancora perdonato. C'era sempre una vocina in lui, che gli ricordava che tanto avrebbe sempre commesso errori. Maximillian aveva sempre voluto primeggiare, c'era una malsana esigenza di riuscire a emergere sempre, eppure, in qualsiasi ambito della propria vita, si era ritrovato sempre ad essere secondo.
Il figlio indesiderato.
Il soldato mai abbastanza.
La seconda scelta di ognuno.

Era intenzionato a uscire a da quel circolo vizioso, che gli distruggeva l'anima in ogni modo.

Osservava con attenzione tutte le persone in quel piccolo ristorante, vicino al palazzo di vetro della Serpents Agency.
Non era una giornata particolarmente soleggiata, il cielo era plumbeo, fosco, e le nuvole premevano con violenza ai margini dell'orizzonte. Forse avrebbe piovuto.
Il vento infestava le strade, i rami degli alberi tendevano a piegarsi al suo passaggio, prostrandosi quasi.

Avrebbe pranzato con calma e poi avrebbe fatto un piccolo giro di ricognizione. Fece schioccare il collo. Dopodiché bevve un bicchiere di vino, ignorando il chiacchiericcio generale che rimbombava in quella sala. Le persone erano così noiosamente strane. Le loro reazioni gli avevano sempre stimolato una certa curiosità, anche quando era all'Accademia.
Sorrise un po', ripensando ai vecchi tempi. Gli mancava quell'ambiente, sebbene fin dall'inizio non avesse mai avuto un ottimo rapporto col gruppetto di Orion. Nonostante ciò, lo aveva sempre considerato un ottimo rivale. Erano tra i migliori nel combattimento corpo a corpo. A seguirli c'erano subito dopo quei due idioti di Robert e Arthur.
L'ultimo incontro gli aveva dimostrato quanto fossero fuori allenamento, ma sempre pronti a difendersi le spalle a vicenda. Dove c'era uno, c'era anche l'altro.

Sentì il cellulare vibrare nella tasca del telefono, lo sfilò e rispose. «Paul, che succede?»

Non sempre suo padre lo chiamava. Non era mai riuscito a instaurare un vero e proprio rapporto paterno, non riusciva nemmeno a chiamarlo mai papà. Erano legati, certamente, ma era sempre stato un rapporto simile a quello di un generale col proprio soldato. Max, però, gli doveva tutto. Gli aveva ridato una vita, lo aveva aiutato a non morire di stenti con i suoi genitori eroinomani.

«Se avessi bisogno di altri uomini, ho qui con me dei fascicoli di alcuni sicari, ti assicuro che hanno curriculum interessanti e di tutto rispetto, vogliamo provare?» Lo sentì sospirare frustrato. «Inizio ad essere stanco di aspettare. Ci sono ancora le ragazzine in giro, non abbiamo uno straccio di formula e non possiamo restare legati ai capricci di una ventenne.»

Max apprezzava che gli permettesse di sfruttare ogni forza a suo favore. Detestava le critiche. Era facile comandare dall'alto, ma la vera azione, l'adrenalina e le armi erano il suo campo. Si grattò il capo, poco appena sulla piccola cicatrice che gli tagliava il sopracciglio.
Aprì il proprio portatile e osservò i nomi che gli erano stati inviati. «Resta in linea.» Fece qualche ricerca.
Lesse quei nomi.
Gli erano familiari.
Uno di loro era lo stesso che, sebbene nettamente inferiore a livello di forza, era riuscito a far saltare un soldato speciale come loro. Ricordava anche che fosse stato preso in considerazione per sottoporsi allo stesso siero, ma l'esercito aveva bloccato tutto, una volta scoperta la sua condizione mentale: poteva diventare un'arma troppo pericolosa.
Ne aveva sentito parlare abbastanza spesso, ma era un cane sciolto troppo rognoso.
Il vero problema era che nessuno di loro gli sembrava disponibile.

«A chi avevi pensato, esattamente?»

«Isak e Bendik Dahl mi sembrano piuttosto prolifici. Anche il loro amichetto Jeremiah Atlas Spector Harris.»

Max pensò che avesse troppi nomi, ma se lo tenne per sé. «Sto leggendo, ma c'è un problema. Tutti e tre sono dati per dispersi. L'ultima localizzazione risale all'Amazzonia.»
Sentì Paul sbuffare frustrato dall'altro lato del telefono. «Non preoccuparti. Ho assunto due uomini che ci saranno fondamentali... ho anche un piccolo asso nella manica da sfruttare a tempo debito.»

«Lo spero.» La voce di suo padre si indurì. «Voglio quella formula. Dopodiché ci occuperemo di seppellire le sorelline Cortez insieme ai loro genitori. Chiaro?»

«Chiarissimo.»

Attese qualche istante. Lo sentì prendere fiato, quel solito fruscio pesante. «Sto riponendo tutta la mia fiducia in te. Non costringermi a scendere ad occuparmene personalmente.»

Chiusero la telefonata. Sbuffò scocciato e si guardò intorno.

«Posso portarle altro, signore?» Una cameriera, dagli occhi chiari e la pelle come porcellana, gli sorrideva gentile.

«No, grazie. Sto aspettando qualcuno.»

La ragazza annuì con un cenno del capo. Si congedò e si prese un istante per osservarle il culo sodo. Sbuffò annoiato e roteò gli occhi al cielo. La sua ospite stava impiegando troppo tempo, eppure avrebbe dovuto ricordare come la pazienza non fosse una delle sue migliori virtù. Tamburellò con le dita sul tavolo, quando il rumore di alcuni tacchi appuntiti, in lontananza, attirò la sua attenzione.

Gli si incresparono le labbra in un sorriso compiaciuto. Allargò le braccia, come finalmente soddisfatto della sua presenza. «Pensavo non arrivassi più, ce ne hai messo di tempo!»

La donna si lasciò cadere sulla sedia di fronte a lui. A volte gli capitava di perdersi un po' in quegli occhi verde smeraldo, ma non l'avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura. C'era cascato già una volta, quando credeva che forse qualcuno non l'avrebbe considerato come seconda opzione.
Ovviamente si era sbagliato di nuovo.
Era una vipera ben addestrata, capace di avvelenare anche con un sorriso. Aveva raccolto i capelli rossi in uno chignon alto. «A cosa devo questo incontro, Max? Mi hai chiamato piuttosto alterato, sai benissimo quanto io e l'agente J ci stiamo impegnando su ogni fronte per tenere d'occhio quella famiglia.»

Annuì, lo sapeva bene. Purtroppo l'ordine di non agire non era suo, ma veniva dall'alto. Se fosse stato lui a comando avrebbe fatto una carneficina in pochi giorni, almeno da morti nessuno avrebbe potuto fiatare. «Non mi sembra che stiate ottenendo ottimi risultati.»

«I piccoli Grey non sono poi così interessanti. Fanno qualche danno in giro, sono viziati e capricciosi, ma oggi so per certo che hanno lasciato prima la scuola. A quanto pare Andromeda è andata a prenderli.» Alzò la propria borsa, in pelle -e avrebbe giurato che potesse essere quella di coccodrillo o era la sua ennesima fantasia malata-. La vide sfilare una foto. La poggiò sulla superficie del tavolo, facendola poi scivolare fino a lui.

Max osservò le dita affusolate della donna, concentrandosi per qualche istante sullo smalto rosso e l'eleganza del suo sorriso malizioso. A volte detestava che trascorresse così tanto tempo in compagnia dell'agente J, avrebbe voluto essere lui al suo posto. Osservò quell'istantanea e storse appena il naso. «Come si chiama questa stellina alla guida? Andromeda, giusto?»

«Già. Sono andati a casa di una ragazza, che suppongo sia una sua amica. Ivy Cheong.»

Bisbigliò quel nome a fior di labbra e sospirò piano. «Perché mi è familiare?»

«Sorella di Bora Cheong, una volta anche detto il Tasso. È scomparso qualche tempo fa, insieme a tutto il gruppo di criminali di cui faceva parte. Se ha le stesse abilità del fratello, allora probabilmente è stata lei ad entrare nei server dell'azienda.»

«Non è stato un gran problema, in realtà. I file erano quasi tutti censurati. Riuscire a capire da dove venisse l'attacco, però, mi ha permesso di trovare la piccola Cortez.»

La donna annuì e sbuffò stanca. «Sai cosa penso?»

«Illuminami.»

«Che se J si sta occupando dei ragazzini, tenendoli sotto controllo, allora io potrei avvicinarmi a qualche altro membro della famiglia. Dobbiamo trovare qualsiasi cosa che possa aiutarci a far vacillare uno di loro, basterebbe così poco.» Vide il suo sguardo illuminarsi appena. Gli posò una mano sul polso e i brividi gli percorsero la spina dorsale, come una scarica elettrica. «Dobbiamo trovare un punto debole, l'anello che cederebbe, e attaccare lì.»

«Forse so quale ragazzino potrebbe essere interessato alle mie informazioni.» Max si allontanò da quel contatto. Era una donna bella e affascinante, ma non si fidava, nonostante lavorasse con loro. Non l'avrebbe sorpreso se stesse facendo il doppiogioco, ancora. D'altronde anche all'accademia si divertiva a saltare da un legame all'altro. La conosceva abbastanza bene. Sfogliò alcuni fascicoli, che aveva con sé, su tutta l'allegra famigliola Grey. Si soffermò a leggere alcune informazioni di Orion, sebbene ormai le conoscesse a memoria.
Quell'idiota era sempre stato un po' la sua nemesi. Inclinò il capo. «Sai, c'è il sospetto che non sia morto... a quanto pare i piccoli della cucciolata Grey sono sulle sue tracce.» Le allungò il fascicolo dell'uomo.

La vide sgranare gli occhi. Riconobbe quello stupido luccichio. La speranza era l'ultima a morire, ma la prima ad illudere. Max credeva che fosse la prima ad uccidere.
Alzò lo sguardo su di lui e scosse il capo. «È impossibile. Si è schiantato e ha fatto un volo enorme, nessuno sopravviverebbe-»

«Ma lui è come noi, tesoro.»

«Allora non avrebbe senso se per dieci anni si fosse tenuto lontano dai suoi fratelli... sai meglio di me quanto ne era ossessionato. Si sarebbe fatto uccidere per ognuno di loro.»

Max scosse il capo. Era assurdo che riuscisse a capirlo meglio lui, che di sentimentalismi non era un esperto, piuttosto che quella stupida e meravigliosa idiota. «Ma sa bene che per tenerli al sicuro, avrebbe dovuto restare lontano.»

La vide alzarsi di scatto. «Farò le mie indagini.»

Ridacchiò. La sua risata era sempre stata particolarmente inquietante. Le fece cenno di tornare a sedersi. «Non mi pare di averti detto che puoi andare.» Il suo sguardo si indurì, di colpo, con la stessa freddezza con cui cala la notte.
La donna tornò a sedersi, muovendosi a disagio sulla sedia. Adorava poter avere il controllo delle situazioni, manovrarle e manipolarle a modo proprio. «Devo portarti in un posto, per mostrarti cosa succede a chi non obbedisce e segue i nostri precetti.»

«E perché mai?»

Scrollò le spalle con uno sguardo indifferente. Fece cenno alla cameriera dal culo sodo di portargli il conto. La donna seguiva tutti i suoi movimenti con attenzione.
«Sei una dei nostri da solo pochi mesi, è importante che tu sia adeguatamente informata, sai com'è Paul ci tiene parecchio.» Dopo aver pagato, si tirò in piedi.
La sua compagnia lo imitò, seguendolo fin fuori al ristorante.

Si incamminarono verso la sua auto e, da bravo gentiluomo, le aprì la portiera per farla accomodare. Sembrava lo stesse studiando con un po' di apprensione. Il suo sguardo famelico gli ricordava quello dei serpenti. Di solito tendevano ad osservare le proprie prede per giorni, preparando il proprio corpo a modificarsi per poter inghiottire animali più grossi di loro. «Dove hai intenzione di portarmi?»

Maximillian chiuse la portiera. Salì poi al suo fianco e mise in moto la vettura, una berlina scura di proprietà dell'azienda. A volte gli facevano dei regalini molto graditi. «Ti mostro un po' l'impero e cosa succede a chi non vuole darci ascolto...» sorrise sornione. Le poggiò l'indice sotto il mento, costringendola a guardarlo intensamente negli occhi.

«Non sei mai stato rassicurante nella tua vita.»

Scosse il capo. Interruppe quel contatto visivo e iniziò a guidare. «Non ho mai voluto rassicurarti, mia cara, credimi. Sto cercando solo di farti comprendere cosa potrebbe succederti se non ci ascoltassi. La notizia di Orion potrebbe mandare su di giri la tua bussola.»

«Sai perché mi sono unita a voi, Max?»

«No. Proprio per questo non mi fido, agente S.»

«Puoi anche chiamarmi col mio vero nome, non mi offenderei.»

«Quale dei due? So bene che ne hai due, dolcezza.»

«Come preferisci... allora vuoi avere la tua risposta?»

Maximillian non distaccava lo sguardo dall'asfalto. Osservava la strada con attenzione, mentre abbandonavano il centro di Boston, spostandosi verso le zone più periferiche e lontane. «Pendo dalle tue labbra.»

«Voglio sapere cos'è successo quel venti luglio in Afghanistan.» La voce le si incrinò appena. Max non si scompose. Era una debolezza umana la ricerca della verità. Ed era stupido cercare risposte dai morti, ma preferì tenere per sé quelle considerazioni. «Voglio sapere chi ha ucciso mio fratello.»

«Per quanto ne so io, è morto in missione...» aggrottò la fronte. «Cosa è cambiato?»

La donna si strinse nelle spalle. «Non ti interessa, ti ho già detto abbastanza.»

Max fece un sorriso sghembo. Restarono in silenzio ancora per molto tempo durante il viaggio. Non aveva mai amato quei momenti, lo portavano a fare cattivi pensieri, lo trascinavano in un passato troppo violento e doloroso da ricordare.
A volte gli sembrava di sentire ancora le strilla dei vicini di casa, quando l'avevano trovato disteso sul divano a fissare sua madre boccheggiante, con la bava alla bocca e una siringa conficcata nel braccio.
Lo avevano abbracciato, gli avevano coperto gli occhi e l'avevano trascinato via dal corpo morto di suo fratello accanto, aveva poco meno di sei anni. Aveva battuto il capo, quando aveva cercato di abbracciare sua madre, che l'aveva spinto lontano.
Non era riuscito ad intervenire in tempo.

Ricordava benissimo quella sensazione. Si era sentito sollevato, lontano da una madre eroinomane e un padre alcolizzato. Ma suo fratello, la sua morte, non se lo sarebbe mai perdonato. Sembrava dormisse. Non aveva avuto più sue notizie.
Era cresciuto in un orfanotrofio. Gli assistenti sociali dicevano che si sarebbero presi cura di lui. Assurdo come poi fosse stato adottato da un altro sadico. Paul Kinglsey gli aveva sicuramente salvato la vita, affidandola a una delle sue tante domestiche russe. Dopotutto, però, era stato l'unico padre che gli aveva concesso di continuare a vivere.
Sempre se con padre si poteva intendere un uomo abbastanza violento da colpirlo con la cintura sulla schiena ogni qual volta mancasse il bersaglio con la pistola. Aveva imparato a sparare a dodici anni. Suo padre gli rinfacciava sempre di non essere tanto veloce e preciso quanto Orion Grey, nonostante i numerosi anni di allenamento.

Non era mai stato abbastanza.

«Quanto tempo ci vorrà ancora?»

Si intromise all'improvviso nei suoi pensieri invasivi. La guardò con la coda dell'occhio e sbuffò scocciato. Attraverso la boscaglia si aprì un viale ciottoloso, fino ad arrivare davanti a un vecchio edificio. Le pareti grigie erano così tristi da far mancare il fiato. Le finestre si affacciavano sul bosco, nell'enorme distesa di verde, ma avevano l'aspetto di un carcere o di un ospedale psichiatrico. «Eccoci, dolcezza. Arrivati proprio adesso.»

«Max, smettila di chiamarmi così o ti spacco il naso.»
Ghignò. Parcheggiò l'auto e uscì, guardandosi intorno. Le fece cenno di seguirlo, mentre saliva le scale. «Questo posto è inquietante, cos'è?»

«Una struttura privata per curare tutti i nostri lavoratori... Teniamo molto alla loro salute.»

La donna rabbrividì, percorrendo quei corridoi dedalici. La luce a neon bianca si adeguava perfettamente a quelle candide pareti, così come sembrava. Camminando in quel posto si aveva la sensazione di muoversi in un luogo distaccato dalla terra, in un mondo disincantato ma altrettanto inquietante. Tutto quel bianco accecava, stordiva. Anche a Max dava fastidio.

«Sarà, ma non è rassicurante.»

Max non rispose. Si avvicinò una dottoressa, bassa e tarchiata. «Romolow, solita visita ai coniugi?»

Annuì. Vide l'agente S, accanto a lui, corrugare la fronte. Insieme seguirono la dottoressa, fino al primo piano. I pazienti erano così silenziosi. Drogati, certamente, ma silenziosi. Trovava l'essere umano molto più gradevole quando se ne stava zitto.
La dottoressa aprì la porta, permettendo ad entrambi di entrare.

La donna al suo fianco, invece, sussultò. Di fronte a loro dei macchinari tenevano in vita un uomo e una donna. I loro visi erano tumefatti dai lividi. Del sangue era rappreso ancora sulle loro fronti.

«Sono stabili.» La dottoressa si congedò poi, lasciandoli soli.

L'agente S si avvicinò ad entrambi e scosse il capo. «Sono loro? Davvero? Cos'è successo.»

Max fece un sorriso sghembo. Vide un'ombra di terrore calare sul volto della donna. «Non si sono mai presentati a noi, durante le sessioni, ma permettimi di presentarti i coniugi Cortez.» inclinò il capo. «Così smielati e stupidi da credere di poter fottere Paul. Ecco, vedi? Questo succede a chi cerca di fregarci, tesoro.»

«Max, io-»

Avanzò, avvicinandosi a lei pericolosamente. Poteva sentire il suo profumo al bergamotto invadergli la mente. Le accarezzò la guancia, portandole un ciuffo di capelli dietro l'orecchio, con delicatezza. Lo fissava. «Non rischiare. Non costringermi a ucciderti, perché lo farò. Non mi tiro mai indietro.»



Angolino

Come state? Mi andava di presentarvi anche il punto di vista opposto a quello dei protagonisti.
Ci somo un paio di easter egg e la cosa mi diverte😂
Alla prossima!

Come fanta non cambia nulla, solo per la squadra di marwoleth abbiamo +30 +15, che sommerò direttamente nel prossimo capitolo.
Alla prossima ❤️‍🩹

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