𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑶𝑳𝑶 𝑻𝑬𝑹𝒁𝑶 .
𝐍𝐀𝐑𝐂𝐈𝐒𝐎 ── .✦
Qualcuno si sarebbe fatto male quel giorno. Il colore del cielo preannunciava una tempesta piuttosto forte. Che il suo adorato dio del Cielo fosse in un momento no?
Il tormento di Zeus era sempre stato frutto di un divertimento quasi infantile per Narciso, nonostante avesse sempre avuto l'ordine di rispettare un uomo come il Verne.
Era onestamente difficile farlo però, con un uomo che l'aveva praticamente cresciuto.
Già lui e quell'omuncolo dotato di poteri troppo potenti erano amici da un bel pezzo. E la fiducia che i due riponevano l'uno nell'altro era sorprendente, contando il comportamento che Charles gli riservava costantemente. O almeno, lo sarebbe stata se l'avessero un minimo mostrata.
Era tra l'altro un anno che i due non si rivedevano da un lunghissimo anno ormai. Il che non sarebbe stato un problema, se ciò non gli disse stato imposto dai piani alti. Quei tizi avevano dei problemi enormi sua con lui che con Verne, nonostante fossero entrambi dei lavoratori modello. Non li capiva proprio a volte.
Si sistemò i capelli castani tirandoli all'indietro, ad eccezione di quella ciocca ribelle, che come sempre ricadde ribelle sulla sua fronte, e che si sollevò per un attimo al suo sbuffo. In quei momenti avrebbe voluto che ci fosse il suo tutore lì. Assolutamente non per dargli un abbraccio e un bacio ─── non aveva mica sei anni, diamine! ─── ma per sistemarsi e rendersi presentabile un minimo.
Gli era stata portata via in tenera età la voglia di richiedere affetto in più di ciò che era reputato necessario per non trasformarlo in un caso umano,
« Come se tutti noi Dotati non fossimo casi umani! » sbottò.
« Charles, tutto bene lì dentro? » disse una voce maschile che riconobbe come quella di Eros, il dio dell'amore, e non a caso il suo amante preferito.
« Si, sto bene, mon chéri!» gli rispose lui, cercando di sembrare calmo e non irritato come se lo avesse appena beccato a letto con un altro ─── che era già successa, com'è più che deducibile ───.
Il giovane detestava quando succedevano cose del genere, e la sua lingua correva più veloce della sua testa. E una cosa del genere capitava soltanto quando si ritrovava a pensare ai suoi superiori e alla missione da cui era stato cacciato perché come sempre doveva rovinare tutto con le sue cazzate.
Il solo pensiero gli dava sui nervi e gli faceva bruciare gli occhi. Nonostante avesse giurato a sé stesso di non piangere più come un bambino.
Come quando si era trovato di fronte a quelle enormi porte di legno, che s'erano aperte con uno stridio che sarebbe perfettamente riuscito a richiamare alla mente anche in quel momento, tanto era forte.
E ricordava anche di suo padre, di come freddamente l'aveva spinto verso quegli uomini enormi e dallo sguardo cattivo. Loro l'avevano preso tra le braccia, il povero bimbo che era, sollevandolo come se fosse leggerò più d'una piuma. E l'avevano ispezionato attentamente, con quelle infinite paia ─── ora era più sicuro che ne fossero soltanto una decina ─── di occhi scuri come il più profondo dei pozzi, prima di spostarli sull'uomo, che aveva tenuto lo sguardo basso, come a esser posto sotto esame da loro.
Poi avevano annuito tra loro, in un silenzio che parlava più di quanto avrebbe dovuto, e avevano liquidato suo padre con poche semplici parole, dette in modo così distaccato che iniziò a pensare che quelle fossero le uniche parole che sapessero pronunciare.
« Avete portato il bambino giusto, signore. Andate, e che la Madre illumini la vostra vita. »
Lui aveva sollevato il cappello a cilindro in gesto di saluto, e poi si era allontanato. Dire che il piccolo aveva pianto era veramente riduttivo. Si era disperato talmente tanto da arrivare a nausearsi al suono della sua stessa disperazione. Un metodo semplice ma efficace che in futuro l'avrebbe lasciato con l'emotività di uno sgabello. Era sicuro che non fosse intenzionale però.
Le mani su strinsero ancora di più contro la ceramica del lavandino. E gli occhi salirono verso lo specchio. Quell'oggetto dalla magnificenza assoluta, di un'utilità impareggiabile per entrambi i sessi, per lui era ancor più fondamentale. Era la sua arma a doppio taglio, che come un coltello premeva sul suo petto, sempre troppo poco, cosicché il dolore fosse minimo e il sangue non sgorgasse.
Era la sua porta sul mondo e il suo promemoria che sarebbe sempre stato destinato a far da spettatore in tutto ciò che vi succedeva: lui non avrebbe mai preso parte a qualcosa di vero o di concreto, e non gliene poteva importar di meno di quei pittori che disperati per un po' di amore da lui lo usassero come volto per qualche santo. Perché un quadro si, sarebbe stato amato, a volte desiderato, comprato, proprio come l'oggetto che era.
Nessuno avrebbe amato chi vi era dipinto tanto quanto amava chi in quei colori ci aveva messo l'anima. E lui era così, destinato ad essere ammirato in eterno, al prezzo di perdere il proprio nome, confuso tra migliaia delle muse. Dubitava che qualcuno potesse prendersi la briga, in un futuro lontano, di ricercarlo, il suo nome.
E forse era anche meglio così.
Ma poi l'invidia tornò a rodergli il fegato così crudelmente che si piegò in due dal dolore. Il dolore che lui sarebbe stato uno dei tanti, e non uno fra i tanti. Da quando gli avevano appioppato il nome di Narciso avrebbe dovuto immaginarlo, eppure aveva sperato con tutto quel suo cuoricino infantile che, prima o poi, avrebbe potuto raggiungere l'Olimpo, e prendere parte a quella gloria tanto decantata dai suoi superiori.
Stava piangendo a quel punto, lo specchio gli stava chiaramente mlstrando un immagine che quasi si era scordato. Si abbandonò ai singhiozzi, ben consapevole di ciò che li avrebbe seguiti, dopo quel tremare incessante, e quella stretta che si rafforzata sempre più, fino a fargli sbiancare le nocche. Ci mise poco quel pallore a risalirgli il braccio, il petto, il collo, e raggiungere il viso, che perse colore ad una velocità impressionante.
Si piegò in due, rimettendo tutta la tristezza. Poi, una volta finito aprì il rubinetto, calmandosi con il rumore dell'acqua. Inspira, espira, inspira, espira, inspira... Sto bene, va tutto bene. Era una bugia enorme, non andava tutto bene, tutto, tutto stava andando a rotoli, per Dio! Possibile che fosse così penoso a mentire?
Alzò lo sguardo una seconda volta verso lo specchio, e un desiderio infantile gli si palesò davanti: forse, parlare con Zeus sarebbe stata una buona distrazione! Respirò profondamente per l'ennesima volta, prima di prendere il coraggio a quattro mani, e allungarsi verso lo specchio. Il vetro lo accolse come se avesse appena immerso lo sguardo in un lago.
Non ci volle molto per riportare alla mente lo specchio nella stanza di Verne, dato che lui stesso glielo aveva regalato ─── era un modo per tormentarlo meglio, anche dopo l'inizio della missione ─── in un atto di falsa generosità. In quel momento però, tale oggetto era quasi un'antica di salvezza per lui, che stava affogando nel mare senza fondale dell'angoscia. Bordi intagliati d'oro, che richiamava foglie d'alloro, e vi erano sopra folgori, tori e aquile, in un groviglio confuso di corpi e poteri, proprio come era un groviglio il passato e l'anima di Zeus.
Il vetro era rotto, all'angolo, ovvero un frammento che si era perso nel nulla, come detto da chi l'aveva consegnato a Lucien. Narciso non era così povero da consegnarglielo davanti alla porta, se non si fosse capito. Comunque, in realtà, il pezzo di vetro se l'era tenuto lui, e se lo portava ancora dietro, custodendolo gelosamente, nonostante non ci potesse entrare tutto il corpo lì. Lo usava come una specie di cannocchiale, per scrutare ogni tanto la stanza ─── solo ultimamente ─── vuota in cui Zeus aveva fatto appendere il quadro.
Quella volta, a differenza di tutte le altre, quando era stato più che grato che il dio del Tuono non fosse nei paraggi, pregava che fosse proprio lì, pronto ad ascoltarlo. Si lasciò trasportare in su da quella corrente invisibile, e quando sul viso non sentì più alcuna sostanza, aprì finalmente gli occhi.
La stanza era come se la ricordava, cambiava soltanto che le luci in quell'istante erano accese, mentre durante tutte le sue altre " scappatelle " lì, erano sempre state spente, causa l'assenza di persone nella stanza. Ma lì, propriò lì, in quel preciso secondo, c'era Zeus.
E stava... lanciando bottiglie del suo vin ruoge ─── vuote, s'intende ─── preferito contro la parete? Poche volte Narciso poteva ricordare di aver visto Verne così arrabbiato da passare dalle parole alle azioni. Si pentì un poco, di essere arrivato fino a lì, ma ormai già che c'era tanto valeva parlarci.
« Lucien! » urlò con tutto il fiato che riuscì a trovare nei propri polmoni. Quando quello si voltò, però, il cuore di Charles fece un balzo. Un lampo diverso, strano, quasi malvagio passò negli occhi del dio del Cielo. Ma fu solo un attimo ─── talmente breve che pensò persino di esserselo immaginato ─── e sparì. Era tornato l'uomo amorevole di sempre. Che gli sorrise, e si volta completamente verso lo specchio, avvicinandosi lentamente.
« Ma ciao, mio Narciso. È un piacere rivederti. Anche se mi sorprende e non poco, dopo le ultime parole scortesi che mi hai rivolto. »
« Lo so, e mi dispiace, ma ero arrabbiato, tanto. Non riuscivo a capire come avessero potuto preferire quel Non - Dotato a me. »
« Francesco è più che adatto al ruolo che svolge. »
« Ma davvero? Io non credo. Lo state mandando al macello, portandolo con voi. »
« Non è detto che lo porterò con me. »
« Si invece, devi, era questo l'accordo. »
« L'accordo?- Tu che diavolo ne sai de- »
« Tra un pianto e l'altro amavo allenare la mia abilità, Zeus. »
Ci furono circa due minuti di silenzio, prima che il Verne ricominciase a parlare: era rimasto troppo di stucco di fronte all'utilizzo di quel nome da parte sua. Proprio lui che si era categoricamente rifiutato di chiamarlo così dal primo momento in cui aveva provato ad imporgli ciò.
E anche da adulto, quando lo stuzzucava lo chiamava per nome. Il giovane aveva iniziato a pensare che gli piacesse il modo in cui lo pronunciava. Oppure, era soltanto un modo per ricordargli che lui era un mortale, e che come tutti sarebbe presto morto, e tutti quegli impegni l'avrebbero abbandonato. Ma quelle erano solo ipotesi e Charles aveva rinunciato da tempo a comprendere la psiche dell'uomo più anziano.
« E così li hai trovati davvero. Non finisci mai di stupirmi. »
« È un piacere sapere di essere ancora l'idolo della tua infanzia. »
« E anche la mua prima cotta imbarazzante. »
« Giusto... Ti ringrazio di avermelo ricordato. »
« Avere un adolescente innamorato alle calcagna dev'essere una vera palla, non è vero? »
« Oh, Charles, non sai quanto. »
« Per fortuna ancora no. »
Quell'ultima frase fece ridere di gusto il dio. Anche quello era un qualcosa che raramente accadeva, dato che era sempre costretto a mantenere una facciata austera, o almeno così gli aveva fatto comprendere. Era stato sempre un padre migliore di quello biologico, sia chiaro.
« Allora, parlami un po' di questi undici dei che ha scovato, Roi dell'Olympe! »
« Vuoi davvero che to parli di loro? »
« Ovviamente, ora che ho un po' di tempo per parlarti voglio sapere tutto! Stavolta non ti interroperò per fare battute idiote, lo prometto! »
Zeus alzò un sopracciglio, con fare scherzoso, poi iniziò a parlare.
« Beh, c'è Poseidone, il più stronzo di tutti loro. Sembra che rimanga qui solo per infastdirmi. Poi c'è Ade, di lui non lo capisco molto, è silenzioso, persino troppo. C'è era, anche lei mi rivolge poco la parola, ma è disposta a collaborare, quindi va più che bene. E poi... »
« No smettila per favore. Mi sono già annoiato, vedi? ─── sbadiglio palesemente falso ─── Mi sto addormentando, yawn! »
« Non hai veramente fatto quel verso. »
Eccolo, eccolo. Erano tornati a tanti anni prima, quando Zeus si disperava perché lui non lo ascoltava, oppure faceva delle scenate degne dell'Opéra. Il suo piccolo attore, lo chiamava lui. C'era sempre quel mio, accanto al suo nome, come se lo vedesse come una proprietà, o come un figlio.
Ma Narciso sapeva che la più veritiera era la seconda opzione.
𝐄𝐁𝐄 ── .✦
Essere rapita non era tra i suoi desideri, quel mese.
Ricordava di essere nel giardino di casa sua soltanto una decina di minuti prima. Aveva visto una carrozza in lontananza, che si faceva sempre più vicina, e allo stesso tempo rallentava mano mano che si avvicinava al cancello di casa sua. E giusto un attimo prima che si fermasse, i suoi ricordi si interrompevano brutalmente. Era un qualcosa di snervante, paragonabile ad una caduta un un profondo baratro vuoto. Ed ora si trovava lì, in preda a chissà quali maniaci.
Si scosse leggermente, riuscendo così a notare le braccia, legate dietro lo schienale di una sedia in velluto, e i suoi piedi, legati alle gambe di quello stesso oggetto. Non aveva una benda né sugli occhi né sulla bocca però, il che era già parecchio, considerando la sua situazione. Si guardò intorno, cercando di capire, dall'ambiente, dove diavolo potesse essere stata portata dai suoi rapitori.
Con sua sorpresa però, si ritrovò in ambiente del tutto simile a casa sua, tanto che per un attimo pensò di essere vittima di qualche scherzo infantile da parte delle domestiche. Poi però si ricordò che quelle a stento le parlavano, ormai, quindi non era assolutamente possibile che avessero organizzato una cosa del genere, e si sentì sollevata. Ci mancava soltanto che anche quelle stupide serve iniziassero a maltrattarla come le sue vecchie compagne al collegio.
Le avrebbe picchiate comunque, ma non è che ne avesse molta voglia, ecco.
Non aveva voglia di picchiare nessuno, quel giorno. Aveva soltanto bisogno di crogiolarsi nella più totale disperazione, e invece si trovava nei guai fino al collo. Curioso come la sua stessa vita ce l'avesse con lei da quando era comiciata. Davvero una bella merda, cazzo.
Riportò la sua attenzione all'ambiente circostante, constatando che si, per quanto diversa, quella non era casa sua. E a rimpiazzare un secondo dopo quel prnsiero, una domanda assai inquietante si fece largo nella sua mente: e se i due ambienti ─── quello in cui si trovava e quello di casa sua, appunto ─── ciò voleva dire che qualcuno aveva preso a spiarla? E da quanto poi? Perché? Lei non era affatto una persona straordinaria, se non si contava la sua resistenza a dir poco sorprendente ad incidenti mortali.
Che i rapitori sapessero anche quello? No, non era possibile! Tutto quanto era al di fuori della sua comprensione, e nonostante la ragazza si ritenesse sveglia, e lo era veramente, su questo non c'era dubbio alcuno. Eppure, la sua abilità era l'unico motivo valido che poteva riuscire a trovare per essere rapiti. Forse era finita in qualche pazzo laboratorio che usava gente Dotata come leui per i suoi pazzi esperimenti! Dannazione, poteva essere così...
« Ehi, ovunque voi siate! Fatemi uscire, bastardi! » urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
« Mi avete rapita, almeno abbiate la decenza di rispondermi! » proseguì, il tono così alto, così arrabbiato che poteva sentirlo raschiare contro la propria gola, come ad aggrapparsi, pronto a balzare fuori, esattamente come un leone in agguato.
« Non c'è bisogno di urlare tanto, Alisa. Non vorrai mica atturare l'attenzione di tutti gli abitanti questa casa, mh? » rispose effettivamente una voce, che la ragazza non riuscì a localizzare, dato che la stanza era quasi totalmente in ombra.
Ma le si gelò ugualmente il sangue nelle vene, insomma uno sconosciuto appostato nell'ombra, che l'aveva rapita, e sapeva pure il suo nome! Era spericolata su, ma non tanto da sottovalutare quel genere di pericoli.
« Perché mi avete portata qui? Cosa volete da me? » chiese lei, mantenendo un tono udibile in quella stanza enorme.
« Da te, ragazzina, vogliamo il contributo promesso da tuo padre. »
« Quindi è per questo che mi avete rspita, per soldi!? Cazzo, avrei- »
« No, no! Non mi interessano i soldi, stupida giovane, quelli mi vengono già dati in abbondanza dai miei superiori. Da te, desidero, anzi, desiderano coloro a cui presto servizio, che tu diventi una nostra collaboratorice. »
« Mi state... Offrendo un lavoro, seriamente? »
« Beh, direi più che ti stiamo reclutando. Ma se vuoi vederla così fai pure. Ci basta il tuo aiuto. »
« Il mio... aiuto, per cosa? »
« Beh, tenere sotto controllo i Reietti. »
« I Reietti? Chi diamine sono? »
« Sono un'organizzazione segreta, che da anni ormai coprende sempre più dotati tra le proprie fila. Un tempo erano nostri alleati, erano addirittura parte di noi, almeno fino a quando Achille ha deciso che noi non eravamo più dei bravi capi. »
« Achille? Non divrebbe essere non so... Super segreto il suo nome? Insomma, è il vistro nemico numero uno, ma se sapete già come- »
« Perché non è quello il suo vero nome, Alisa. »
« Oh, ovvio. Mi sembrava strano. Però devo capire una cosa... »
Si interruppe un attimo, assimilando completamente le informazioni ricevute ─── che erano troppe, esageratamente troppe ─── e quasi imbarazzata domandò ancora, il tono che manifestava chiaramente un imbarazzo non indifferente.
« Quindi... Anche tu fai parte di un'organizzazione segreta? »
« Si, anch'io sono dentro questa storia, e diamine, aggiungerei anche fino al collo! »
« Avete tutti i nomi di personaggi di miti e divinità greche, tu e i tuoi colleghi? »
« Beh, si. Anche se alcuni usano anche nomi di poeti. E personaggi di rilievo nella storia romana. Ma sono molto rari, e per lo più tea i pezzi grossi. »
« Davvero? Comunque chi diavolo vorrebbe chiamarsi Cicerone!? È un nome orrendo! »
« Non è orrendo e poi non siamo
noi a decidere i nomi che ci spettano. È la Madre a sceglierli per noi. »
« Immagino che la Madre di cui parli non sia la Madonna, o sbaglio? »
« No, non è la Madonna. Non ci credo nemmeno io, a quella roba, quindi mi sarei categoricamente rifiutato. »
« Beh, non fa una piega. »
« Lo si, per questo ti ho risposto così. »
« Immaginavo... Quindi qui siete tutti Dotati? » « Quasi tutti. Si dice che quelli a capo di tutto siano dei Non - Dotati, ma non posso saperlo. Non mi è dato sapere quasi nulla su di loro. »
« Ah, che merda. »
« Già, una gran bella seccatura, veramente. »
Poi, le venne in mente un'altra cosa. Lo sconosciuto aveva detto che lei avrebbe dovuto rendere loro il contributo promesso da suo padre, che lei non aveva mai conosciuto, ma di cui la madre neanche le aveva mai detto nulla, se non parlato del forte disprezzo che egli aveva provato nei suoi confronti, prima di morire. Alisa c'era rimasta così male che non aveva più chiesto nulla di lui.
Ma ora, che si trovava con le risposte ad un palmo di naso, iniziò a rendersi conto della curiosità che l'aveva sempre divorata, e che grazie a quella possibilità, stava galoppando con forza nel suo petto, e che uscì fuori in una semplice, innocente, pericolosissima domanda.
« Quindi voi conoscevate mio padre? » il tono di speranza era chiaro nella sua voce, carica di impazienza.
« Si, lo conoscevamo. Iperione era uno dei prediletti della Madre, prima di andarsene insieme ad Achille. Ma si pentì dopo poco, e ci pregò di dargli un'altra possibilità. Noi accettammo, ma in cambio avrebbe dovuto aiutarci. »
« E questo è quello che dovrei fare anche io, vero? »
« Ovvio, dato che lui è scomparso, di nuovo. »
« No, non è scomparso, è morto. »
Calò un silenzio imbarazzante per la seconda volta, e Alisa si domandò se non avesse sbagliato a dargli quella notizia, in quel modo così brusco. Beh, le emozioni non erano il suo forte, e non le dispiaceva poi tanto. Colpa sua, se li aveva spiati a lungo, ma non abbastanza da sapere della morte di suo padre. O forse non li aveva spiati affatto, i suoi genitori. Comunque non le dispiaceva.
Invece, tornò a porre domande, stavolta più generiche, ma che chiaramente le avrebbero dato informazioni in più su quello che lei riteneva un uomo normale, un padre come gli altri, ma che un realtà era parte di un'organizzazione segrete i cui scopi ancora ignoti per lei. Iniziò anche a sospettare che sua madre ne sapesse qualcosa, dopotutto la odiava, e poi, non ci guadagnava niente a rivelarlo una cosa così importante.
La piccola Alisa avrebbe di certo cercato di ricontattare quelle persone, non curante del rischio che avrebbe potuto correre, e in realtà anche la lei ragazza non avrebbe esitato di fronte alla possibilità di capire il perché lei fosse diversa dagli altri. Ovviamente, se ciò non avesse compreso il rischiare la morte ed essere rapita per sistemare i casini di suo padre.
« Iperione... era il fratello di Crono. Uno dei Titani, i diretti figli di Gea. »
« Esattamente. Qualcuno deve averti insegnato la Mitologia. Questo mi facilita di molto il lavoro. »
« In che senso?... Comunque, mio padre deve essere uno dei pezzi grossi di questo vostro gruppo di pazzi vero? »
« In realtà no. »
« Cosa!? Come no? Porta il nome di un titano e non vale niente? »
« Beh, vale, ma non così tanto. Iperione era il titano dell'Osservanza e della Luce. E la peculiarità di quel tuo tanto amato padre era quella di scorgere le gioie riservate dal Destino. Peccato che questo potere non su attivasse, la maggior parte delle volte. E per questo finì per esser considerato anche lui un Non - Dotato. »
Quindi mi stai praticamente dicendo che mio padre è stato allontanato dal posto che gli spettava perché... La sua abilità, per quanto potente non su manifestava in modo frequentemente?
« Siete davvero un branco di bastardi, eh? »
« Come prego? »
« Insomma, avete ridotto una delle vostre armi più potenti ad un mero... cameriere, immagino. Perché questo sembra l'unico mestiere possibile per chi non è abbastanza potente da rientrare nella vostra cerchia. »
« Non sbagli, ma devi comprendere... Temerlo tra noi ci avrebbe portato soltanto a perdere tempo... I posti nel Consiglio sono limitati. »
« Hmhm... Mi suona molto ingiusto, sai? Specialmente la parte in cui fate credere che qualcuno possa importare, e poi... lo abbandonate come un giocattolo usato. »
Sputò quelle ultime parole con un veleno tale, che potè quasi immaginare l'uomo in ombra trasalire. Non si aspettava di vederla comportarsi in modo così irrispettoso, era chiaro. Ridacchiò. Stava cominciando a pensare che suo padre fosse sfortunato quanto lei: un'abilità tanto utile, quanto invisibile, e ciò li portava ad essere solo di sfondo per chi invece aveva abilità tangibili agli altri, che gli permettevano di mettersi in mostra, quasi a testimonianza di una superbia tipica della classe aristocratica.
Di cui lei, tra l'altro faceva anche parte.
« I miei superiori non abbandonano i Dotati che vengono presi sotto la loro protezione. E la gerarchia, beh... credo sia giusta. »
« Quindi suppongo che anche tu, uomo misterioso, sia piuttosto in basso, dato che mi hai dato informazioni abbastanza vaghe. Oppure, stai solo facendo l'idiota misterioso. »
« Fai delle deduzioni brillanti, Alisa. Sì, io rientro nei gradi più bassi, della Gerarchia; sono solo un umile Tutore io. »
« Tutore? »
« Mi occupo di educare i nuovi arrivati alle regole dell'organizzazione. »
« Quindi tu mi farai da balia, vero? »
« No. Ti tratterò come un'adulta, se tu mi saprai dimostrare di essere tale. Altrimenti si, diventerò come una balia per te. »
« Beh, per il momento quindi sei una semplice Guida. »
« Esatto. »
La ragazza potè notare il compiacimento nella voce del Tutore. Sembrava orgoglioso, e diavolo, era probabilmente tutta la sua vita che qualcuno non era orgoglioso di lei. Forse stava fingendo, ma non è che le fregasse tantissimo, insomma la sensazione che quel tono le aveva provocato era stata impagabile, ed era sicura che le sue gote avessero preso colore, un colorito rosso proprio come una mela matura. Imbarazzante.
« Mi scusi? » chiese all'altro, rendendosi conto soltanto in quell'attimo che ancora non aveva visto l'uomo in viso, e non sapeva neanche il suo nome ─── due cose importantissime, soprattutto perché, per la miseria, avrebbe dovuto convivere con l'uomo per un tempo notevole! ─── quando invece quella era la prima cosa che avrebbe dovuto sapere dell'uomo.
« Potreste... Avvicinarvi, signore? » chiese lei, genuinamente curiosa.
« Chiedi e ti sarà dato... Solo, non saltare in aria, per favore. »
« Per chi mi hai preso.? Non ti sputerò in faccia, giuro. »
L'uomo rise, prima di farsi avanti. Alisa trasalì, mentre il viso, e il busto erano umani... Il resto del corpo, dai fianchi in giù era quello di un equino, proprio come...
« ... Chirone. »
AUTHOR'S NOTE.
Eccoci qui con il terzo capitolo, denso di lore! Chi sarà questa associazione segreta di cui sia Narciso che il padre di Ebe, che...a quanto pare, Zeus, fanno parte? E quale sarà il conto che Ebe dovrà sistemare per conto del padre mai conosciuto?
Queste sono le domande con cui voglio lasciarvi fino all'arrivo dei capitoli sul passato del nostro protagonista, che non arriveranno a breve, per vostra sfortuna. Devo dire però che sono abbastanza soddisfatto del risultato, e so di non aver detto troppo! ✨️
Detto questo, non mi rimane altro da aggiungere se non chiudere il capitolo qui! Spero vi sia piaciuto, e ci vediamo al prossimo ❤️ 👋
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