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38. Loving You

Levi si assicurò che stessi bene prima di lasciare me ed Armin da soli. Il biondo si sedette dalla parte opposta del letto rispetto e Jean e, prima di dire qualsiasi cosa, posò per terra lo zaino che aveva in spalla e lo aprì, tirandone fuori una pila di fogli.

«Ti ho copiato gli appunti di tutte le lezioni, se hai qualche dubbio non farti problemi a chiedermi!» Mi sorrise genuino.

Rimasi per un momento interdetta e sforzai anch'io un sorriso per non offenderlo. «Grazie mille Armin, guarderò tutto quando sarò tornata a casa.»

«Menomale che quell'ultimo esame che ti mancava non era propedeutico, così potrai farlo con tranquillità più avanti.»

Annuii e stetti in silenzio, lasciandolo parlare delle ultime cose successe a scuola. A dir la verità non avevo intenzione di preoccuparmi dell'Università per almeno qualche altro giorno, così da non stressarmi inutilmente, ma non avevo il coraggio di dirglielo, talmente sembrava contento di vedermi.

«Reiner ed Annie domani vogliono venire a trovarti. Non è un problema, vero?»

Negai subito, rassicurandolo, ma la mia testa era già da tutt'altra parte e mentre Armin parlava, di tanto in tanto annuivo distrattamente, lasciando che la mia mente vagasse tra i pensieri che più mi assillavano.

"Ma perché Eren non si è più fatto sentire? Ieri ho acceso il cellulare dopo che per giorni era stato spento... e non ho ricevuto nemmeno un messaggio. Nessuna chiamata persa. Niente. Come ha potuto? Forse sta male e non può venire... Che gli sia successo qualcosa?"

«[T/n].»

«Mh?» Come se avessi riaperto gli occhi mi risvegliai dal turbinio dei miei pensieri e guardai Armin.

«Stai bene?» Si era accorto che non lo stavo ascoltando ma tutt'altro che offeso, invece mi guardava preoccupato.

«Sì... sì. Scusa, stavo solo...» Strizzai gli occhi nel tentativo di mandare via quei pensieri, invano, così sospirai e abbassai lo sguardo sulle coperte.

«Armin tu... Hai notizie di Eren?» Chiesi con titubanza, non osando guardare il biondo per la paura che, dai suoi occhi, potessi capire che era successo qualcosa ad Eren.

Lui rimase però in silenzio e mi guardò serio, prima di rispondermi con un leggero sospiro.

«In realtà Eren mi aveva detto di non dirti niente, ma... È venuto a trovarti la settimana scorsa.»

Il mio cuore saltò un battito e sollevai gli occhi su quelli di Armin, che prima che potessi dire qualcosa riprese a parlare.

«Quando eri ancora incosciente. Non appena l'ho avvertito del tuo incidente è corso fin qua come un pazzo. Ero ancora qui quando è arrivato, mentre Jean se n'era appena andato.»

«Perché nessuno me l'ha detto?! E perché non è più venuto da quando mi sono risvegliata?!» Quasi gli saltai addosso, profondamente scossa e col fiato sospeso nell'attesa di una sua risposta.

«Te l'ho detto, è stato Eren stesso a dirmi di non fartene parola!» Il biondo mise le mani avanti, spaventato dalla mia reazione, e abbassò lo sguardo prima di continuare. «E non è più venuto... Be', lui stesso ha deciso di non farsi più vedere perché pensava fosse meglio per te. Ma a spingerlo a pensarla così è stato tuo... tuo fratello...»

Come se decine di corvi stessero beccando il mio cuore, percepii un profondo dolore e in silenzio ascoltai Armin che mi spiegava tutta la storia.

«Quando io e Jean siamo venuti all'ospedale, dietro tuo fratello, lui ha chiesto a Jean perché era lì se aveva i suoi impegni, e quindi ci aveva detto di andarcene. Jean però non aveva alcun impegno e, parlandone, Levi ha scoperto che gli avevi mentito dicendogli che Jean aveva avuto un contrattempo, e che per questo eri tornata a casa prima... Non ci ho capito molto a dir la verità, ma fatto sta che non appena Levi ha scoperto che eri tornata prima a causa di Eren, ha iniziato a dargli tutte le colpe del tuo incidente e così via.»

Quasi non respiravo per ascoltare Armin che pacato, ma con un certo cipiglio nello sguardo, continuava.

«Jean come ti ho già detto è tornato a casa ed Eren è corso fin qua dopo che l'avevo chiamato. Come una furia è entrato in camera tua e... per fortuna c'eravamo io e Petra, altrimenti Levi per la rabbia sarebbe saltato addosso ad Eren per picchiarlo. A quel punto ha iniziato a minacciarlo furioso, a dirgli che era tutta colpa sua e che se l'avesse rivisto l'avrebbe ucciso sul serio e via dicendo. In quel momento ho avuto davvero paura per Eren, ma qualche infermiere a causa di tutto quel trambusto è venuto a controllare ed ha chiamato la sicurezza. Io ed Eren alla fine ce ne siamo andati. È stato dopo il tuo risveglio che lui mi ha detto di non farti sapere nulla di questa faccenda, ed anzi di non farne parola a nessuno. Che in fin dei conti tuo fratello aveva ragione e... Questo è quanto.»

Quando ebbe finito, non seppi cosa dire.

«I-io... Eren... Eren dov'è ora? Come sta?»

«È a casa sua con Zeke. Lo vado a trovare tutti i giorni per assicurarmi che stia bene. Proprio stamattina gli ho detto che sarei venuto a trovarti e che gli avrei riferito come stavi.»

Provai a convincerlo a parlargli per conto mio, ma Armin disse che molto probabilmente si sarebbe solo infuriato, perché non avrebbe nemmeno dovuto farmene parola. Gli dissi poi che volevo rimanere da sola e, senza aggiungere altro, se ne andò.

Dopo qualche minuto di solitudine Levi tornò in camera e, fissandolo con occhi paonazzi, scoppiai di rabbia.
Prima d'allora io e mio fratello avevamo già litigato, ma quelle liti si limitavano a piccoli battibecchi facilmente risolvibili. Questa volta però era diverso e gridai a mio fratello tutte le cattiverie che non avevo mai pensato di potergli dire.

«Cosa pensavi che facessi? Ti ha fatto soffrire, più e più volte, per non parlare che lavora come stripper.» Disse quelle ultime parole in una smorfia di disgusto. «Per colpa sua sei quasi morta, non lo capisci?!»

«È la mia vita cazzo! Scelgo io come viverla e tu non hai alcun diritto di scegliere per me!» Sbraitai, con gli occhi gonfi di lacrime che cercavo con tutte le mie forze di ricacciare indietro. «E smettila di incolparlo ingiustamente, finiscila! Dopo la morte di sua madre è diventato molto più fragile e se tu gli metti in testa queste cose lui- lui potrebbe-»

Levi stava per ribattere senza lasciarmi finire, ma non riuscii più a trattenere le mie lacrime e all'improvviso scoppiai a piangere, lasciandolo ammutolito.

«Vattene via.» Sibiliai digrignando i denti, non appena lo sentii avvicinarsi. «Non voglio più vederti, vattene e basta.»

Una manciata di secondi dopo se ne andò ed io rimasi sola con le mie lacrime.

Il giorno seguente, come promesso, Armin tornò insieme a Reiner ed Annie, che mi proposero di uscire una volta dimessa dall'ospedale. Nei giorni successivi provai più volte a chiamare Eren, senza risultati, ma prontamente venivo tranquillizzata da Armin. Dopo un'altra visita di Jean, vennero a trovarmi ancora una volta Sasha e Connie, che mi parlarono di come la bruna avesse un appuntamento con quel Niccolò del quinto anno. Infine, l'11 febbraio, venni finalmente dimessa.

Ero a casa già da qualche giorno insieme ad Hanji, ma a Levi non rivolgevo neanche una sola parola se non strettamente necessario, e quando lo facevo le mie risposte erano sempre gelide e distaccate.
Fu la settimana ancora dopo, quando mi stavo organizzando con Armin e gli altri per uscire, che Petra mi venne a trovare.

«Mio fratello non c'è, è al lavoro.» La avvertii subito, ma lei volle comunque rimanere per chiacchierare e sapere se stavo bene. Ci sedemmo così al tavolo da pranzo e prendemmo una tazza di tè.

«Hanji mi ha detto che mentre ero incosciente ti sei offerta di dare una mano. Ti volevo ringraziare.»

«Ma no, non devi figurati! E poi è grazie a te se Levi si è aperto con me... quindi sono io quella a doverti ringraziare.»

Probabilmente Petra aveva notato il mio cipiglio e mi chiese se stavo davvero bene, così le raccontai della lite con Levi, più per sfogo che per altro.

Davanti alla mia rabbia la vidi sorridere dolcemente, senza alcuna traccia di malignità, come se avesse già la soluzione a tutto. «Devi cercare di metterti nei suoi panni [T/n]. Ha sbagliato ad agire in quel modo, senza dubbio, ma da quel che ho potuto vedere in queste ultime settimane, tu sei la persona più importante della sua vita. E a farlo agire così è stata di certo la paura di perderti.»

Maneggiai col cucchiaino, mordendomi con forza il labbro.

«Sono sicura che a quest'ora ormai avrà già capito il suo errore e starà cercando di scusarsi in qualche modo. Parlagli, e cerca di andargli incontro e perdonarlo.»

Alzai gli occhi e lo sguardo dolce e comprensivo di Petra riuscì a calmarmi. Aveva ragione, ma doveva essere lui a fare il primo passo.

Passarono così altri due giorni. Una volta che ci presi l'abitudine, camminare con le stampelle divenne molto più facile e a causa della noia decisi di rovistare in qualche vecchio scatolone, dove trovai alcune cose appartenenti alla mamma. Quasi tutto quello che trovai erano cassette e vinili di musica, tra jazz e soul, Frank Sinatra e Dean Martin, e soprattutto Elvis Presley. Tirai fuori una cassetta proprio di quest'ultimo e, dopo qualche tentativo, riuscii a farla partire nel mangiacassette.

Mentre in salotto la musica suonava, con quel fruscio di sottofondo, la porta d'entrata si aprì e guardai Levi togliersi capotto e scarpe. Fu solo quando notò tutte quelle cose sparse sul tappeto che si avvicinò e guardò cosa stavo combinando.

«Mi annoiavo e ho trovato le vecchie cose di mamma.» Dissi austera, distogliendo lo sguardo da lui. «Dopo rimetterò tutto in ordine.»

«Farò io, non ti preoccupare. Non devi sforzare troppo la gamba.» Dicendo ciò si sedette al lato opposto del divano e si mise anche lui a curiosare tra tutta quella musica e quei libri.

Seguì un lungo silenzio tra noi, riempito solo dalla voce di Elvis, e iniziai a perdere le speranze di riappacificarmi con lui. Finché non lo sentii mormorare qualcosa di incomprensibile a causa della musica.

«Che?»

«Mi dispiace.» Ripetè più convinto, non osando però guardarmi.

Io mi limitai ad abbassare il capo e ripresi a sfogliare una vecchia edizione di Anna Karenina sul mio grembo. «Ho vent'anni, Levi. Non puoi continuare a fare il fratello maggiore iperprotettivo, come quando avevo quindic'anni.» Non disse nulla e perciò continuai, con voce pacata ma severa. «Sono cresciuta. E ho bisogno di fare le mie scelte, giuste o sbagliate che siano. Devi lasciarmi vivere come un'adulta Levi,» mi girai a guardare il suo profilo «anche se commetterò errori, oppure soffrirò. Ma devi permettermi di imparare dai miei sbagli, senza metterti in mezzo. Imparerò soffrendo, solo così potrò crescere.»

Levi rimase a fissare le sue gambe silenzioso, così decisi di avvicinarmi a lui e poggiai la testa sulla sua spalla.

«Promettimi che d'ora in poi mi lascerai decidere per me stessa.»

Dopo qualche istante lo sentii rispondere in un mormorio «Te lo prometto», così gli strinsi un braccio e mi sistemai più comoda, cullata dalla musica. Lentamente mi appisolai, ma non prima di sentire le labbra di Levi posarsi sulla mia testa.

Makes no difference where I go or what I do
You know that I'll always be loving you

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