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35. Bambini

N.A.
Questo capitolo sarà parecchio lungo, il doppio rispetto al solito.

Primo anno
Era metà settembre, il cielo era terso e c'era una leggera brezza a rinfrescare la giornata. Il primo giorno di scuola però, nonostante il bel tempo, era un trauma per tutti, specialmente per [T/n]. Suo fratello maggiore era al primo anno di scuole medie, dunque per lei doveva iniziare un nuovo periodo alle scuole elementari, lontana dal fratello.
Hanji l'aveva accompagnata fin dentro l'edificio scolastico e si era preoccupata che lei stesse bene prima di lasciarla nelle mani delle maestre; aveva il timore a lasciarla da sola. A differenza di Levi lei era ancora molto piccola e da poco aveva superato la morte della madre biologica.
Hanji era la vicina di casa di Kuchel, erano amiche e sapeva la situazione in cui versava la famiglia Ackerman. Per questo, non appena seppe della sua prematura morte, si caricò sulle spalle il peso dei figli, adottandoli e donandogli una normale infanzia, ciò che Kuchel purtroppo non aveva potuto fare.

[T/n] tremava dalla paura, mentre la maestra la presentava alla classe. La scuola era iniziata già da una settimana, ma lei e Levi avevano iniziato in ritardo a causa di tutti i loro problemi.
Per Levi il suo primo giorno non fu un dramma: era rimasto silenzioso e isolato dal resto della classe, che si limitava ad ignorarlo, eccetto per qualche ragazzina che gli tirava delle fugaci occhiate.
Per [T/n] non solo il primo giorno, ma le prime settimane furono un disastro. Molti bambini a quell'età non sanno comportarsi bene, perciò approfittarono della fragilità di lei per maltrattarla, rubarle e rovinarle il materiale scolastico e giocare a calcio con il suo zainetto. Le bambine invece la evitavano, dicevano che era strana, silenziosa, e non trovavano nulla in comune per diventare amiche. Quattro della classe formarono addirittura un gruppetto, "Io odio [T/n]"; non durò nemmeno due mesi, ma ciò bastò per allontanare l'intera classe da [T/n].
Non voleva raccontare nulla a Levi per non dargli dei grattacapi, nemmeno ad Hanji per darle una delusione. Così faceva finta di niente e stringeva i denti come meglio poteva.

Un giorno come tanti altri di fine novembre, la classe era andata in gita insieme agli alunni del secondo anno, in uno zoo. Già sul viaggio in scuolabus [T/n] aveva quasi vomitato, perché sballottata da una parte all'altra dagli altri, mentre la situazione arrivati a destinazione peggiorò drasticamente.
Era la pausa merenda quando due della classe, i più cattivi, avevano rubato la merenda ad [T/n] e l'avevano successivamente tirata in una gabbia con degli scimpanzé.

«Vattela a riprendere se riesci.»

[T/n] aveva provato a fermarli e in tutto ciò le maestre sembrano non vedere assolutamente nulla, mentre i due bambini avevano iniziato a spintonarla.

«Hey!»

Una voce destò i due dalla bambina e, vedendo che era un alunno del secondo anno, si intimorirono un poco e si allontanarono di corsa. [T/n] era ancora accucciata a terra, con le mani sulla testa per coprirsi, ma quando sentì dei passi aprì gli occhi e alzò lo sguardo.

«Stai bene?»

Davanti a lei si trovava un bambino più grande, sia di età che di statura, che la guardava con i suoi enormi occhi verdi smeraldo. Qualche ciuffo della sua chioma bruna era in disordine perché aveva appena corso fin lì, vedendo quei due bambini che la maltrattavano.

La piccola annuì soltanto con la testa e lui le porse la mano per farla alzare, che [T/n] accettò titubante.

Quando si alzò tenne il capo chino, troppo intimorita per ringraziarlo, o anche solo guardarlo.

«Perché ti trattavano male?»

Lei sempre a testa bassa si strinse nelle spalle, mormorando con voce appena udibile. «Non so difendermi...»

«Diventa più forte.»

Sentendo ciò, detto da lui in modo così semplice e naturale, [T/n] sussultò percettibilmente ed entrambi sentirono le maestre richiamarli per proseguire con la gita.

«Forza, dobbiamo andare.»

Il bruno senza aggiungere altro prese la [c/c] per mano, e così rimase per tutta la giornata. [T/n] inizialmente si sentiva a disagio, perché a parte suo fratello nessun altro maschio l'aveva tenuta per mano o anche solo avvicinata in modo gentile; successivamente si tranquillizzò ed anzi fu serena.

Durante il viaggio di ritorno a scuola, lei ed Eren erano in autobus diversi e ciò bastò a spingere i bambini a tormentare di nuovo [T/n]. Quando però arrivarono a scuola e tutti scesero, [T/n] vide il bruno venirle incontro.

«Hai i capelli tutti in disordine. Ti hanno di nuovo trattata male?»

Lei non ebbe la forza di rispondere, ed Eren dopo averle sistemato dei ciuffi si portò le mani in tasca.

«Tira un calcio in mezzo alle gambe se ricapita. D'accordo?»

La piccola alzò la testa e vide il bruno sorriderle, facendola arrossire per la timidezza.

«Eren!»

Una giovane e bellissima donna dai capelli castani stava scuotendo un braccio per farsi vedere tra tutti gli altri genitori, guardando nella loro direzione.

«Devo andare, ci vediamo domani.»

Ci vediamo domani, aveva detto. [T/n] non credeva di poter provare una così tanta gioia con quella sola frase.

«Ah,» il bruno si stava già allontanando, ma si fermò e si voltò di nuovo «come ti chiami?»

«[T/n]...»

«Io Eren.» Le sorrise un'ultima volta, prima di andare dalla madre.

[T/n] sentì il suo cuore battere veloce, quando sentì anche lei la voce di Hanji chiamarla e, non appena avvertite le maestre, la raggiunse di corsa.

«Allora? Ti sei divertita allo zoo? Che hai visto di bello?» Le chiese, offrendole la mano che la piccola afferrò saldamente, prima di rispondere alle sue domande.

«Ho fatto amicizia con un bambino di seconda.»

«Ma davvero? Allora si deve sentire molto fortunato ad aver conosciuto una bambina bella come te!» Le sorrise Hanji con occhi vispi salendo in auto.

Tornate a casa Levi era in salotto a giocare sul divano alla console, ed [T/n] si tolse subito le scarpe e lo zainetto in spalla per raggiungerlo.

«Fa giocare anche me adesso!»

«Aspetta, sto finendo una partita.» La allontanò un poco con la spalla, spostando il cavo del controller per non farla inciampare.

Secondo anno
Era suonata la campanella che segnava l'inizio della prima ricreazione, e tutti i bambini uscirono rumorosamente dalle loro classi per andare in cortile. [T/n] però, come succedeva spesso, si ritrovava a dover correre da quei due soliti bambini che la tormentavano, e svelta raggiunse il cortile.

«È laggiù!» Sentì urlare alle sue spalle uno dei due e aumentò il passo, facendo attenzione a non abbandonare la sua merenda, fino a raggiungere l'entrata della palestra.

Spinse la grande porta e questa si richiuse alle sue spalle con un gran tonfo che rimbombò per l'enorme edificio.

«[T/n]!»

La bambina vide Eren socchiudere lo sgabuzzino e subito corse da lui, che aprì di più la porta per farle spazio. Appena entrò Eren chiuse la porta e lei riprese fiato.

«Credevo mi avrebbero ragg-»

«Sh!» Eren frettolosamente le portò una mano sulla labbra per zittirla ed entrambi sentirono aprirsi il portone.

«Ma dov'è finita?!» Gridò uno dei due bambini che la stavano inseguendo, girovagando per la palestra.

«Forse è nello sgabuzzino, andiamo a vedere.»

Il cuore di [T/n] mancò un battito ed ebbe paura che li trovassero, tuttavia Eren le sorrise e le scompigliò i capelli.

«Tu resta qui.» Sussurrò e, prima che [T/n] potesse capire le sue intenzioni, aprì la porta e corse fuori.

I due bambini urlarono per lo spavento e, vedendosi Eren correre addosso, scapparono via spaventati.

[T/n] rimase immobile a guardare la scena da uno spiraglio della porta socchiusa, finché poco dopo Eren tornò a fiato corto.

«Ora possiamo mangiare tranquilli.» La rassicurò, sedendosi insieme a lei a gambe incrociate e tirando fuori il panino dal suo zaino.

Non era la prima volta che scene come queste capitavano ed anzi, succedevano molto più spesso di quanto si potesse immaginare. I bambini quando vogliono sanno essere molto cocciuti ed avere una ferrea determinazione, soprattutto in questi momenti.
Un momento simile capitò sempre al secondo anno di [T/n], ma questa volta quello a venir pestato era Eren.
Tre suoi compagni di classe avevano iniziato a prenderlo in giro perché stava sempre insieme ad [T/n] e, com'era facilmente prevedibile, Eren durante una ricreazione in cortile era partito a testa bassa e aveva colpito uno dei tre. Anche [T/n] smise di mangiare la sua merenda sotto l'albero e andò a soccorrerlo, prima che arrivassero le maestre. Seguì il consiglio di Eren e repentina tirò una forte ginocchiata in mezzo alle gambe di uno che stava per tirargli un pugno; ma proprio quando gli stava per prendere la mano e correre via, due maestre accorsero per fermarli. I tre bambini si erano dati alla fuga ed Eren li inseguì subito.

«Eren aspetta!» [T/n] tentò di fermarlo, ma una delle due maestre la fermò appena in tempo, mentre l'altra corse verso gli altri.

Eren trovava sempre il modo di ficcarsi nei guai, con e senza [T/n], ma non sembrava importargli molto. Per lui contava solamente tenere alto il suo orgoglio e, in secondo luogo, difendendere [T/n], la quale stava diventando sempre più importante per lui.

Terzo anno
[T/n] si trovava in cucina a preparare con Hanji l'impasto della pizza, quando sentì il campanello suonare e, senza nemmeno preoccuparsi di pulire le proprie mani dalla farina (con successive urla di Hanji) corse fino alla porta per aprire. Sorrise a trentadue denti quando vide Eren, che la salutò mentre sistemava la sua bicicletta lì vicino con la catena.

«Vieni, sto facendo la pizza!» Febbrile lo fece entrare e gli fece sfilare lo zaino dalle spalle.

Eren avrebbe dormito da lei per il fine settimana e proprio per questo motivo lei ed Hanji stavano cucinando la pizza.
Proprio in quel momento Levi scese dal piano di sopra e tirò un'occhiataccia ad Eren, il quale ricambiò bieco. Non erano mai andati molto d'accordo i due, e non per la differenza d'età. Levi non aveva mai mostrato particolare simpatia per Eren, e quest'ultimo ricambiava il sentimento.

«Forza Eren, lavati le mani e vieni ad aiutarmi!» Gli urlava [T/n], saltellando da una parte all'altra con ancora le mani sporche d'impasto.

«Stai sporcando tutto il pavimento, stupida.» Levi le si avvicinò per riportarla in cucina ed Eren entrò in bagno per lavarsi le mani.

I due bambini giocarono ai videogiochi e, dopo la cena, si chiusero nella stanza di lei per guardare un film, avvolti in un grande piumone e mangiando schifezze. Quando venne l'ora di andare a dormire Eren si sistemò su di un materasso per terra, mentre [T/n] rimase nel suo letto.

«Eren.» [T/n] lo chiamò in un mormorio.

«Che c'è?»

«Vieni vicino a me.»

Eren ci pensò per qualche secondo, prima di alzarsi e farsi spazio sotto le coperte vicino alla sua amica. In seguito iniziarono a parlottare sotto voce per non farsi sentire.

«Eren cosa farai dopo le superiori?»

«Ma perché pensi già alle superiori?»

«Hanji e mio fratello ne stanno parlando, siccome Levi deve scegliere il liceo per il prossimo anno, quindi ho iniziato a pensarci.»

«È ancora troppo presto, non lo so. Tu invece?»

«Devo impegnarmi tanto per avere dei voti alti, così potrò entrare all'università della nostra città. Dopo troverò un buon lavoro, cercherò una casa tutta mia e metterò su famiglia.»

«Ti sei già organizzata tutta la vita?» Chiese Eren con perplessità, guardando il soffitto come [T/n].

«Sì, perché?»

«Dovresti pensare a divertirti adesso, invece che solo ad un futuro molto lontano. Quelle cose arriveranno con calma, ma per adesso tu sei ancora una bambina di terza elementare, quindi non pensarci troppo. Pensa a vivere il momento, prima di crescere.»

[T/n] rimase a lungo in silenzio e, con voce flebile, riprese. «Mia mamma se n'è andata perché faceva un brutto lavoro ha detto Hanji, perché non aveva potuto finire le superiori e non era mai riuscita a trovare un lavoro per tanto tempo. Quindi era povera. Nostro zio non l'ha mai aiutata ed ora è in prigione.»

«Me ne hai già parlato [T/n], lo so.»

La [c/c] si girò verso di lui. «Non voglio rimanere sola e senza una vita felice. Non voglio fare la sua stessa fine Eren... Ho paura di morire.»

Anche Eren si girò verso di lei e, grazie alla luna, vide cadere dai suoi occhi un paio di lacrime, silenziose e solitarie. Eren dopo un istante tirò la sua manica del pigiama e strinse l'orlo nel palmo, così da asciugarle gli occhi.

«Tu non morirai [T/n]. Non farai la fine di tua madre. E poi ci sono qua io, quindi non ti accadrà nulla.»

«Vuoi dirmi che rimarrai al mio fianco per tutti questi anni?»

«Ma certo. Infatti sarò io a sposarti.»

[T/n] arrossì violentemente e fissò Eren imbarazzata. «Ma che stai dicendo?!» Alzò di poco la voce.

«Prima hai detto che vuoi metter su famiglia, no? Ti sposerò io, così mi assicurerò che non ti succeda niente di brutto. Starò sempre al tuo fianco, qualunque cosa accada.»

[T/n] nascose la faccia sotto al cuscino e lo strinse tra le sue piccole mani. «Sei uno stupido a dire queste cose!»

«Domani ti farò la proposta con un anello lecca-lecca, così non potrai rifiutare.» Ridacchiò Eren, divertito nel vedere l'amica agitarsi sotto le coperte.

All'epoca Eren non si era ancora reso conto di essersi preso una cotta per [T/n], dunque aveva detto tutte quelle cose con leggerezza, senza darci troppo peso lui in primis. Solo l'anno seguente, al suo quinto anno, se ne sarebbe reso conto.

Quarto anno
[T/n] ed Eren avevano giocato tutto il pomeriggio insieme al parco e, tra non molto, sarebbero dovuti tornare ognuno a casa propria. Fu infatti l'arrivo di Levi che mise fine al divertimento ed [T/n] scese dall'altalena.

«Aspetta ancora un po' Levi!»

«No, dobbiamo tornare a casa adesso.» Le rispose seccato, quando Eren gli si avvicinò e lo guardò rabbioso.

«Vuole stare ancora con me, ti ha detto di aspettare!»

Era la prima volta che Eren si arrabbiava per così poco e [T/n] in un primo istante rimase stupita dalla sua reazione esagerata.

«Ho detto che deve tornare a casa. Adesso.» Levi lo fulminò con lo sguardo, dall'alto in basso, e prese la mano di [T/n]. «Andiamo, forza.»

Levi stava per voltarsi e portare a casa [T/n], ma Eren gli afferrò con forza un braccio e lo trattenne.

«Non rompere e lasciala con me ancora un po'!»

Levi abbandonò la mano della sorella e cercò di staccarselo di dosso, mentre Eren con rabbia cercava di picchiarlo e spingerlo via. All'epoca Levi era al suo primo anno di liceo e, sorprendentemente, era ancora il più alto, quindi non ebbe troppi problemi ad allontanare il più piccolo; tuttavia la tenacia di Eren sembrò avere la meglio per un momento.

«Brutto idiota...!» Levi perse la calma e, con uno strattone, se lo allontanò di dosso e gli sferrò un pugno in pieno volto.

Eren cadde rovinosamente a terra e [T/n], spaventata, corse ad aiutarlo.

«Eren! Stai bene?» Lo aiutò a tirarsi sù e in seguito si girò verso il fratello, arrabbiata. «Sei uno stupido!»

«È lui che ha iniziato.» Ringhiò Levi, aspettando che Eren si alzasse.

L'accaduto purtroppo non poté essere insabbiato, a causa del grosso livido sulla guancia di Eren, così il giorno seguente Hanji portò Levi davanti casa di Jaeger e lo costrinse a scusarsi. [T/n] era rimasta in auto, a guardare la scena da lontano con il finestrino abbassato.

«Eren, scusati anche tu con Levi.»

«Ma perché?!»

«Ti ricordo che hai iniziato tu, cercando di picchiarlo per mandarlo via e non permettergli di portare a casa [T/n]. Quindi scusati.» Carla guardava severa il figlio, costringendo anche lui a scusarsi.

Eren in risposta digrignò i denti e a capo chino, strisciando un poco il piede per terra, sibilò uno «scusa.» strozzato.

Il giorno dopo a scuola, [T/n] ed Eren stavano facendo la merenda sotto il solito abete del cortile e la più piccola tirò fuori l'argomento per prima.

«Perché hai reagito così sabato? So che tu e mio fratello non vi state simpatici, ma hai davvero esagerato questa volta.» Si lamentava, ma Eren rimase stranamente silenzioso. Anzi, era già da qualche tempo molto più silenzioso del solito, come se qualcosa lo turbasse.

«Eren ma che hai?» [T/n] gli posò una mano sulla spalla, smuovendolo un poco, ed Eren aggrottò le sopracciglia.

«Eren?»

Il bruno continuava a guardare il prato ai suoi piedi, quando finalmente rispose.

«Devo trasferirmi.»

Fu difficile per [T/n] capire cosa stesse provando esattamente. Era scossa, triste, perplessa. In un primo attimo non seppe cosa dire, così fu Eren a continuare.

«Mia mamma ha detto che papà ha ricevuto un'offerta di lavoro in un'altra città, quindi tra un mese ci trasferiremo. Subito dopo che avrò finito questo ultimo anno di elementari. Mi stanno già per iscrivere alle scuole medie di quella nuova città.»

Eren non aveva la forza di guardarla in faccia e strappò qualche ciuffo d'erba sotto i suoi piedi.

«Ma... Ma perché non me l'hai detto prima?»

Eren si strinse nelle spalle. «Non volevo farti soffrire...» Dicendolo, divenne tutto paonazzo, ma [T/n] era troppo scombussolata per accorgersene.

«Ma... Ma non sarà per molto, vero?»

«Papà ha detto che ci rimarremmo a lungo. [T/n].» Esordì subito dopo, strappando con più violenza un ciuffo d'erba, ma che poi abbandonò per terra. «Rimarremo comunque amici. Solo... a distanza.»

«Senza poterci vedere vuoi dire?» Eren annuì e la piccola, appoggiata di schiena al tronco del grande abete, si raggomitolò su se stessa portandosi le ginocchia strette al petto. Eren sapeva che si metteva in quella posizione quando era triste. Come sapeva che si dondolava sulle punte dei piedi quando era a disagio o imbarazzata, oppure che si mordicchiava un poco le unghie quando era nervosa. E sapeva che cercava sempre di nascondere quando stava male, perché non voleva essere un peso per nessuno e voleva dimostrarsi forte. Sapeva tutto questo, perché sempre più spesso lui si trovava ad osservarla, in ogni sua più piccola sfaccettatura. Le voleva un profondo bene.

«Se ci dovessimo mai dividere, forse per sempre, non riuscirei a parlarti senza poterti vedere od abbracciare...» [T/n] sussurrò, più a sé stessa che all'amico, cercando di trattenere le lacrime.

Eren non poteva vederla così, era più forte di lui. Darle una tale sofferenza sarebbe stato troppo, ma non poteva fare altrimenti. Suo padre era stato instransigente: si sarebbero dovuti trasferire a giugno, dopo la fine della scuola, senza nessun "se" o "ma". Doveva abbandonare [T/n] e, con lei, la sua unica vera amica. Più che amica.

Eren
Continuo a girare in tondo ma perché continuo a tornare indietro?
Vado sempre più in fondo, a questo punto sono solo un emerito idiota
Qualsiasi cosa io faccia, non riesco a sopportarlo
Sono senz'altro il mio cuore e i miei sentimenti, ma perché non mi prestano ascolto?
Sto soltanto parlando a me stesso ancora una volta

Arrivato nella nuova città, durante i miei primi anni di scuole medie, rimasi chiuso in me stesso e non trovai vere amicizie, ma solo superficiali conoscenze. Fu nel mio secondo anno di liceo scientifico che conobbi meglio Armin. Era il mio vicino di casa, ma aveva un anno in meno rispetto a me, quindi non avevamo mai provato veramente ad instaurare un rapporto. Al suo primo anno di liceo mi aveva chiesto indicazioni e, essendo io l'unico volto che conosceva, passò più tempo con me e lentamente legammo molto. Quello stesso anno mi presentò Mikasa, figlia di vecchi amici di famiglia e, di conseguenza, sua migliore amica. Frequentava il liceo classico della città e velocemente legai anche con lei. Esattamente come me era parecchio chiusa a primo impatto, ma si aprì sempre di più anche con me e, dopo circa un anno, rivelò i suoi sentimenti nei miei confronti. Anch'io sentivo di provare qualcosa che andava oltre l'amicizia, ma senza saperne il motivo non riuscii mai a sviluppare una relazione forte con lei. Stemmo insieme a lungo, per quattro anni, perché pensavo che fosse così una relazione e mi ci ero abituato. Mi ero ormai dimenticato di quanto fossi felice con [T/n] e dunque credetti che la mia felicità fosse quella.
Durante la notte degli esami, alla fine del mio quinto anno, venni a conoscenza della vita notturna, quando calava il sole e nessuno guardava. Il mestiere dello stripper suscitò in me interesse e inconsapevolmente me ne avvicinai. Stare su di un palco, sotto gli occhi incantati di decine di donne, con tutto quel potere tra le mani... Era ammaliante. Avrei potuto fare qualsiasi cosa e avrei potuto chiederne altrettante, soltanto con uno sguardo. A lungo credetti che quella fosse la mia vera felicità e che non avessi altro. Avevo finalmente trovato un modo per colmare, anche se poco, quell'enorme vuoto che sentivo nel petto, e che nemmeno Mikasa era riuscita a colmare con la sua presenza.
Tutto attorno a me era talmente noioso, talmente vuoto di significato. Ma dopotutto, anche quello stesso lavoro lo era, ed io semplicemente ignoravo questo presentimento e pretendevo il contrario, continuavo a intrattenere tutte quelle donne che mi desideravano e mi volevano ardentemente.
Solo quando rividi [T/n] tra quelle donne sotto al palco, mi resi conto di non esser mai stato davvero felice, se non con lei.

Dimmi semplicemente che mi vuoi mollare
Dimmi soltanto che non era amore
Io non ho il coraggio di dirlo
Concedimi il mio ultimo regalo
Così non tornerò più da te

[T/n]
A causa tua sto andando in rovina
Voglio fermarmi, non ti voglio più
Non posso farcela, è una seccatura
Ti prego, non farcirmi di altre scuse
Non puoi farmi questo
Tutto ciò che mi hai sempre detto era come una maschera
Nasconde la verità e mi distrugge
Mi lacera, sto impazzendo, odio questa situazione
Portati via tutto, ti odio

Piansi per giorni quando Eren se ne andò. Alle scuole medie avevo ritrovato alcuni compagni delle elementari, che dopo l'assenza di Eren ripresero a tormentarmi e continuarono per quei tre lunghi anni. L'unico che rimase a difendermi, rischiando sempre di finire nei casini, fu Levi, che alla fine mi convinse a parlarne con Hanji. Tutti quei ragazzini vennero adeguatamente puniti, ma ciò non migliorò il mio umore. Avevo perso un altro amico, un'altra persona importante, e quel vuoto non riuscivo a colmarlo in alcun modo.
Feci quindi una promessa a me stessa, iniziato il liceo: non avrei più legato con nessuno. Mi sarei comportata in maniera fredda e distante, proprio come mio fratello, in modo da evitare ulteriore dolore e altre delusioni.
A quattordic'anni lentamente mi ripresi. Mi presi più cura di me stessa e studiai di più per non fare la fine di mia madre e non farmi avvicinare da nessuno. Non mi rendevo conto però che lo studio stava diventando sempre più una mera distrazione, solo una scusa per non pensare al dolore e in modo tale rifugiarmi in me stessa, impegnando il più possibile il mio tempo. Inoltre volevo raggiungere la perfezione e, così, trovare un effimero metodo per colmare il vuoto che sentivo, e trovare in qualche modo una soddisfazione.
Inconsapevolmente, e involontariamente, il mio divenire sempre più bella con gli anni avvicinò i miei compagni di classe e non, spingendoli a invitarmi ad uscire e trovare ogni scusa possibile per passare il tempo con me o venire a casa mia. Li ignoravo tutti per quanto mi era possibile e li allontanavo con i miei modi di fare gelidi, ma alcuni non si davano per vinti.
Fino a quando nessun ragazzo si azzardò più di venire a casa mia dopo che, una volta, ad aprire la porta fu Levi. Il ragazzo in questione aveva chiesto di me e, quando Levi aveva risposto burbero che stavo studiando, l'altro aveva iniziato a prenderlo in giro per la sua altezza, pensando inizialmente che fosse il mio fratellino. Levi ovviamente non la prese per nulla bene e afferrò per il colletto quel ragazzo, fulminandolo truce e minaccioso, e gli fece un bel discorsetto, a cui io assistetti con velato divertimento dalla cima delle scale.
«Purtroppo per te sono il suo fratello maggiore universitario. Mentre tu sei solo un pidocchioso sedicenne che non vede l'ora di ficcarsi nel letto di mia sorella. Quindi, prima che io ti ammazzi di botte» e qui strinse di più la presa sul colletto per irrigidire le braccia e far intravedere i bicipiti sotto la maglietta «vedi di non farti più vedere, né qui né da [T/n]. Non guardarla, non parlarle, non toccarla, stalle lontano e basta. E riferisci il messaggio ai tuoi amichetti.»
Da quando si seppe di questo avvenimento, prima nella mia classe e poi nel resto della scuola, nessuno osò più venirmi a trovare. Tuttavia non me la presi con Levi, anzi all'epoca credetti mi avesse fatto un enorme favore.
Al mio quarto anno, nella mia scuola vennero fatti alcuni spostamenti all'interno delle classi (bisognava ristrutturare delle aule), e così venni spostata in una nuova classe, dove conobbi Sasha e Connie. Notandomi sempre isolata da tutti provarono in un primo momento ad avvicinarmi timidamente, per poi passare alle maniere forti. Mi seguivano ovunque, passavano sempre il loro tempo libero con me e mi invitavano sempre ad uscire. Non ne capivo proprio il motivo, ma da quanto mi dissero loro in seguito volevano semplicemente "fare amicizia". E quello era il loro modo per costringermi ad esser loro amica, a quanto pare.
Furono i primi con i quali, seppur forzatamente, riuscii ad aprirmi e ad instaurare un rapporto stretto. D'altronde, la loro forte insistenza non mi dava altre scelte.
Tuttavia, quel vuoto che sentivo dentro non scomparve mai, anche se volevo evitarlo, anche se volevo fingere che così non fosse, quel tremendo vuoto e quella perpetua solitudine nel profondo rimasero. Dunque preferivo concentrarmi sul futuro, convincermi che se mi fossi impegnata un giorno sarei stata finalmente felice, evitando il presente.
Solo quando rividi Eren e incrociai i suoi occhi, quel vuoto iniziò a disipparsi.

Ma tu sei il mio tutto
Ti prego vattene
Mi dispiace
Ti amo
Ti odio

Perdonami.

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