[32]. Chiamata persa
Era quasi finito gennaio ormai. Il mese più lungo dell'anno si stava finalmente concludendo e tra non molto avrebbe portato via con sé anche la sessione invernale; mi era rimasto un ultimo esame a febbraio, per cui stavo studiando molto. Infatti, mi ero ridotta a passare intere giornate sui libri senza poter vedere Jean, Sasha o Connie. La persona che incontravo di più ormai era Armin in aula studio e non facevo altro che pensare di raggiungere almeno il 29 anche in quest'ultimo esame. Tutto questo per potermi aggiudicare la lode alla fine dei miei studi e trovare un buon lavoro, ben retribuito. Dopo ciò avrei potuto pensare a metter su famiglia. Non facevo altro che pensare a questo, fin dalla morte di mia madre: le circostanze mi avevano costretta a crescere e maturare molto prima dei miei coetanei, così continuavo a prepararmi per il futuro e pianificare la mia vita nei minimi dettagli.
Quel giorno, l'ultimo giovedì del mese, avevo appena dato il mio penultimo esame ed ero al campus a parlare con Annie, che mi stava dando qualche consiglio per superare l'ultimo esame, quando in lontananza vidi il professor Zeke uscire da un edificio e andare verso l'uscita dell'Università.
«Annie ora devo andare, ci vediamo.» La salutai per raggiungere velocemente Zeke.
«Professor Zeke.»
Non appena lo chiamai lui si girò e quando mi vide sembrò stupirsi.
«Sei tu [T/n]. Qualche problema?»
Mi sistemai meglio la borsa sulla spalla, stringendola nervosa. «Volevo solo sapere... Come sta Eren?»
Erano passate poco più di due settimane da quando l'avevo visto l'ultima volta, ed ero molto preoccupata per lui. Avevo provato a chiamarlo un paio di giorni prima, inutilmente. E volevo solo assicurarmi che stesse bene.
Il professore sembrò pensarci qualche attimo, quando mi rispose. «Non so nemmeno io con certezza se sta bene o meno. Anzi, non credo proprio stia bene purtroppo.»
«Come fa a non saperlo con certezza? È suo fratello, vive con lui!» Senza volerlo alzai la voce e abbassai il capo per scusarmi, ma lui riprese come se niente fosse.
«Dopo il funerale della madre si è chiuso ancora di più in sé stesso e non riesco mai a parlargli. A dir la verità lo vedo di rado, perché è sempre fuori a fare chissà cosa, oppure passa le giornate chiuso in camera sua a dormire. Quando posso provo a parlargli e ad aiutarlo... ma lo conosci, anche più di me, perciò sai bene com'è fatto.»
«Testardo come sempre...» Mormorai, più a me stessa che a Zeke.
«Ma non ti preoccupare, sono certo che presto o tardi si riprenderà.» Mi rassicurò posandomi una mano sulla spalla, per poi salutarmi ed allontanarsi.
Rimasi lì per un po', sovrappensiero, chiedendomi se fosse il caso di andare a trovare Eren oppure no (ipotizzando sempre che fosse a casa).
Poco lontano sentii qualcuno salutarmi e vidi Reiner al fianco di Galliard, quest'ultimo che mi salutò appena al contrario di Reiner. Ricambiai distrattamente il saluto e quando se ne furono andati qualcuno alle mie spalle mi tirò un piccolo scappellotto sulla nuca. Sospirai, sapendo bene chi fosse.
«Un giorno ti tirerò una ginocchiata nello stomaco Jean.» Lo guardi annoiata, ma lui si limitò a sorridermi.
«Devi passare a casa tua a prendere le tue cose?» Mi chiese accarezzandomi un poco la guancia con il pollice.
Il suo coinquilino Marco era andato a passare qualche giorno dalla fidanzata, perciò Jean aveva approfittato del momento e mi aveva invitata a stare da lui fino a domenica, per quattro giorni. Avevo accettato e Levi mi avrebbe anche lasciato l'auto per andare da lui, dal momento che era in ferie perché a letto con l'influenza (cosa rara per lui, ma era in quello stato già da tre giorni).
«Tutto bene?» Mi chiese con voce incerta, squadrandomi il viso.
«Sì, tutto bene.» Finsi un sorriso e gli avvolsi le braccia attorno al collo per abbracciarlo. «Sono solo stanca per tutti 'sti esami, ma sono riuscita a prendere tutti voti al di sopra del 29 per adesso.»
«Sei proprio una secchiona.»
Mi staccai da quell'abbraccio e lo guardai divertita. «Sbaglio o al tuo ultimo esame hai preso 28?» Chiesi ironica e non appena distolse lo sguardo fingendosi offeso, gli afferrai una guancia tra l'indice e il pollice, tirandola un poco per infastidirlo. «Ma guardati, ora senza quel filo di barba hai la pelle liscia come il culetto di un bebè.»
Jean prese a lamentarsi divertito e mi levò la mano, ma poi si fermò ad osservarmi attentamente per qualche istante. Sapevo che si era accorto che non stavo bene. Anzi, molto probabimente mi aveva visto parlare col professor Zeke ed ora era conscio del fatto che stavo di nuovo pensando ad Eren. Ma a quanto pare preferiva far finta che non fosse così, pretendendo che andasse tutto bene. E dopotutto, anche se non volevo ammetterlo, a me stava bene così. Evitando l'argomento, sembrava andare tutto bene.
Eren's pov.
I wanna hold you in my arms tonight
For your love I'll do whatever you want
For your love I'll do whatever you want
I'll do whatever you want, for your love
Il mio cellulare continuava a suonare, prima per le chiamate di Mikasa ed ora per quelle di Armin, ma io l'avevo mutato e continuavo ad ascoltare la musica senza rispondere, mentre fumavo pensieroso. Chissà quante sigarette o canne avevo fumato nelle ultime settimane. Chissà quante birre avevo bevuto e chissà quanti soldi avevo speso in pub e locali notturni. Ma non m'importava, non m'interessava più nulla ormai.
La morte improvvisa di mia madre mi aveva distrutto più di quel che pensassi ed ora non trovavo una sola ragione per rialzarmi. Avevo passato gli ultimi mesi ad evitarla, a non volerla vedere, ed ora che finalmente stavo per sistemare le cose un bastardo l'aveva uccisa. E lei muore senza che io avessi potuto far nulla per impedirlo.
«Dovresti richiamarla. Forse è importante.»
«Devi richiamarla, è molto preoccupata.»
Per tutto quel tempo non avevo dato retta a nessuno, se non al mio smisurato orgoglio. Ed ora mi stavo lentamente ed inesorabilmente abbandonando ad un vortice di solitudine e sembravo non farci caso.
Per qualche ragione mi ritrovai a pensare all'ultima volta che avevo visto [T/n]. Le avevo sbraitato addosso cose orribili, l'avevo allontana da me e l'avevo cacciata via senza alcuna pietà, mentre lei voleva solo aiutarmi. Ma io non volevo ammettere a nessuno, neppure a me stesso, di aver bisogno di aiuto.
«Ma non pretendere di potercela fare da solo. Tutti abbiamo bisogno di un aiuto per andare avanti, tu compreso.»
Non mi accorsi nemmeno che uscito di casa, quella sera, avevo raggiunto lo strip club. Forse ero finito di nuovo lì per abitudine, perché fino a non molto tempo addietro quel posto era l'unico che riusciva a distrarmi e a farmi smettere di pensare.
«Eren! Finalmente ti fai vivo da queste parti.»
Appena entrai Floch mi venne incontro e così fece anche Bertholdt un attimo dopo. Stavano ancora preparando tutto per la serata e c'era un gran disordine.
«Sei venuto a lavorare? Stai meglio?»
«Vado a bere qualcosa.» Dissi al bruno, allontanandomi verso il piano bar.
Non sapevo perché mi trovassi ancora lì, non sapevo nemmeno cosa volessi fare. Sapevo solo che volevo bere qualcosa di forte.
«Sappi che io ci sarò sempre per te. Basta che tu mi chiami ed io correrò da te senza indugiare...»
Senza rendermi davvero conto di quel che stavo facendo, presi il cellulare dalla tasca dei jeans e cercai il suo numero, soffermandomici per qualche istante. Non ero sicuro di volerla chiamare, ma in quel momento volevo sentirla e basta.
"Voglio solo sentire la sua voce..."
Premetti per far partire la chiamata e fissai lo schermo, mentre continuava a squillare, squillare, squillare... finché non partì la segreteria telefonica.
Riattaccai ma anziché esser arrabbiato non provai altro che rimorso. [T/n] mi aveva offerto il suo aiuto a braccia aperte ed io l'avevo rifiutato. Provavo solo un enorme ribrezzo nei miei confronti e non biasimavo [T/n] per essersi stancata di aspettarmi. Dopotutto mi aveva aspettato per nove lunghi anni...
Finii l'alcolico nel mio bicchiere e mi alzai barcollando un poco, notando di sottecchi che Floch mi stava raggiungendo.
«Per quanto ancora hai intenzione di continuare così? Sembri uno straccio.» Mi disse a braccia conserte, serio in viso.
Non gli risposi e andai verso l'uscita.
«Ed ora dove vuoi andare?»
«Non lo so.»
Stavo per uscire, ma la mano di Floch mi afferrò il braccio e mi costrinse a guardarlo.
«Il mio cellulare è scarico e devo cercare una cosa. Mi presti un attimo il tuo?»
Lo fissai bieco, prima di passargli il cellulare. Floch mi rivolse un mezzo sorriso per ringraziarmi e ci smanettò solo per una manciata di secondi, per poi porgermelo. Mi salutò, ma io in silenzio uscii dal locale e andai verso la mia moto. Mi ci appoggiai, misi le airpods e feci ripartire la canzone che stavo ascoltando, assorto nei miei pensieri mentre osservavo il mondo notturno prender vita attorno a me.
I wanna be a good man and see you smile
And I wanna swim between your thighs
I wanna fuck you till you scream and cry
I wanna hold you in my arms tonight
[T/n]'s pov.
Sentii il mio cellulare suonare in borsa e mi girai per guardarla.
«Mi-mi suona il cellulare...» Ansimai, ma Jean mi afferrò tra due dita la mascella e mi costrinse a guardarlo.
«Non pensarci... Concentrati su di me.» Si morse il labbro per soffocare un gemito e posò il pollice della sua mano sopra il mio labbro inferiore, spostandolo poi sui denti per aprirmi di più la bocca e baciarmi voracemente.
Appoggiai una mano dietro di me sulla scrivania per rimanere immobile e non cadere all'indietro, e avvolsi un braccio dietro la nuca di Jean per stringergli i capelli.
«Cazzo... Jean!» Gemetti, sentendo il mio orgasmo avvicinarsi.
Jean tenne una mano sul mio volto per accarezzarmi il viso e spostò l'altra sulla mia intimità per stuzzicarmi il clitoride con il pollice, mentre continuava ad aumentare la velocità delle spinte.
«Mer... merda...!» Con un profondo gemito Jean assestò due ultime spinte e rilasciò il suo orgasmo nel preservativo, affondando tutto il suo membro dentro di me.
Sentendolo anch'io raggiunsi il culmine un istante dopo e strinsi le gambe attorno ai suoi fianchi, inarcando la schiena presa da spasmi lungo tutto il mio corpo.
Jean poggiò la fronte sulla mia spalla, sfinito, e rimanemmo in quella posizione per un paio di minuti, finché Jean non uscì da me e si sfilò il preservativo.
«Quarto round?» Chiese, ancora senza fiato, ma io scesi dalla scrivania e mi tenni a lui per non barcollare.
«Sono quasi le nove e non abbiamo ancora cenato. Vado a lavarmi adesso.» Risposi allontanandomi.
«Ora che ci penso, ci manca la doccia...» Jean si tirò su i boxer e i pantaloni e afferrò la sua maglietta dalla sedia.
«Abbiamo tempo fino a domenica, adesso ordina la pizza.» Gli urlai stanca entrando in bagno, per poi fare un grosso sospiro ed entrare in doccia.
Mi diedi una veloce lavata e infine mi avvolsi un asciugamani attorno al corpo.
«Tra venti minuti arrivano le pizze.» Sentii urlare Jean dalla cucina, mentre io tornavo in camera sua.
«D'accordo. Inizia a scegliere qualcosa da guardare su Netflix, mi vesto e arrivo.» Andai verso il mio borsone e ne tirai fuori la biancheria.
Sentii i suoi passi avvicinarsi e si sporse dallo stipite per guardarmi con un piccolo ghigno. «Per me potresti anche venire di là nuda.»
Alzai gli occhi al cielo e iniziai a rivestirmi. «Tornatene di là.»
Fece come gli avevo detto ed io sentii il mio cellulare suonare per una notifica, ricordandomi all'improvviso della chiamata persa. Aprii la borsa, tirai fuori il telefono e appena vidi le notifiche mi mancò un battito.
Chiamata persa
Eren
Tremante sbloccai il cellulare e subito premetti sul suo contatto per richiamarlo, senza esitare. Uno squillo, due squilli, tre, quattro... Ritentai, ma continuava a squillare senza risposta.
"E se fosse successo qualcosa?" cominciai a preoccuparmi e, prima ancora di rendermene conto, avevo già iniziato a tirare fuori il cambio per rivestirmi.
«[T/n] pensavo di vedere- ...perché ti metti i jeans? Non ti sei portata qualcosa di più comodo?» Jean mi raggiunse ma non appena vide che mi stavo vestendo di tutta fretta mi guardò confuso.
«Devo andare, scusami tanto Jean.» Mi limitai a dire e presi la borsa e lo zaino. Svelta andai verso il bagno e con furia ritirai il resto delle mie cose alla rinfusa.
«Ma che stai dicendo? Sei appena arrivata e dovevamo stare insieme fino a domenica... È successo qualcosa?»
Posai tutto sul pavimento all'entrata solo per poter prendere la giacca e mi voltai verso Jean.
«Tuo fratello è peggiorato? Puoi dirmelo, se è così allora torna a casa da lui.» Mi guardava negli occhi, ma capì dal mio sguardo che non era per quello.
Non volevo mentirgli, anche se gli avrebbe fatto male sapere la verità. Ma dovevo dirglielo.
Sospirai profondamente e indossai la giacca. «Prima a chiamarmi è stato Eren. Ho provato a richiamarlo due volte, ma non mi ha risposto. Ed io sono molto preoccupata.»
Parlando, il volto di Jean si incupì, ma io ripresi ad avvolgermi la sciarpa attorno al collo e mi chinai per infilare le scarpe.
«Dovevamo passare qualche giorno insieme [T/n].» Disse severo, avvicinandosi. «Sono sicuro che non sia successo nulla. E poi, se è proprio nei casini, avrebbe chiamato suo fratello o Armin, mica te, la sua ex. Soprattutto dopo averti sbattuto fuori di casa l'ultima volta.»
Mi tirai sù e mi fermai a riflettere. Non aveva tutti i torti, ma nonostante ciò continuavo ad avere un brutto presentimento e decisi di non dargli ascolto e rimettermi la borsa in spalla.
«Preferisco accertarmi io stessa che stia bene, scusami.»
Presi lo zaino e aprii la porta, ma non appena misi un piede fuori casa sentii la mano di Jean afferrarmi il polso. Mi voltai e alzando la testa lo vidi fissarmi in pena, pregandomi in silenzio di restare.
«Jean. La madre di Eren è venuta a mancare questo mese, ed Eren ha sofferto molto. Lo conosco da più di tredic'anni e devo assicurarmi che stia bene.»
La mia risolutezza fece sciogliere la presa di Jean, fino a lasciarmi, ed io potei uscire.
«[T/n].» Jean mi chiamò un'ultima volta e mi fermai di nuovo per guardarlo. «Guardami negli occhi e dimmi che non provi più niente per Eren.»
Socchiusi le labbra per dirlo, ma guardandolo negli occhi le parole mi morirono in gola. Ci fissammo a lungo, seri e in un interminabile silenzio.
Non c'era bisogno di parole. Non era necessario aggiungere altro. Avevamo già capito tutto soltanto guardandoci.
Fui la prima ad interrompere quel doloroso contatto visivo. Volevo dirgli «perdonami, mi dispiace tanto...», ma tutto quello che riuscii a fare fu chiudermi la porta alle spalle e scendere di corsa per le scale, piangendo in silenzio.
Tra me e Jean era finita.
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