30. Eros...
N.A. Titolo:
con "Eros" non intendo propriamente la divinità greca dell'amore, ma il nome con cui Freud definisce la pulsione di vita nella psicologia umana, che comprende la libido e la pulsione di autoconservazione. Vi consiglio di approfondire l'argomento sulla terza teoria delle pulsioni di Freud se siete interessati!
«Eren?»
Quella voce.
Voltandomi trovai a pochi metri da me [T/n], che mi guardava confusa e sorpresa di trovarmi lì.
Sentii il mio cuore saltare più di un battito e fermarsi per qualche istante e mi persi a guardarla. Forse era solo una mia impressione, ma sembrava ancora più bella rispetto al mese scorso, poco prima di Natale.
"No... È solo più serena." mi ricredetti subito.
[T/n] si stava avvicinando ed io mi sentivo bloccato, faticando addirittura a respirare a pieni polmoni.
«Cosa ci fai qui?»
Mi costrinsi a smuovermi e parlare. «Io... Zeke aveva dimenticato dei fogli a casa. E sono venuto a portarglieli.» Distolsi lo sguardo parlandole, non trovando la forza necessaria per guardarla.
«Oh, capisco...» Si portò le mani dietro la schiena e cominciò a dondolarsi un poco sulle punte dei piedi, mordendosi il labbro.
Molto probabilmente non si rendeva nemmeno conto di assumere quella posizione solo in determinati momenti, quando si sentiva a disagio o imbarazzata per qualcosa. Era talmente carina...
«Io vado allora.» Mormorai, ma prima di potermi girare la sua voce mi fermò.
«Aspetta- ...come stai?»
"Come sto? Mi sento svuotato. Non provo più nulla da quando ti ho di nuovo persa, oltre che il ribrezzo per me stesso e il mio lavoro. E in questo momento guardandoti sento i polmoni a corto d'aria e un opprimente peso al cuore, che non vuole saperne di sparire. Mi sento uno schifo ed ora che ti ho qui davanti a me sono così patetico che vorrei solo inginocchiarmi e pregarti di restare. Ecco come sto."
«Sto bene.» Risposi con voce piatta, forzandomi di guardarla.
«Te l'ho chiesto perché hai delle profonde occhiaie. Non ti fa bene dormire poche ore a notte, lo sai.»
"Smettila di preoccuparti per me. Smettila di provare compassione. Smettila di guardarmi con così tanto affetto nascosto da un'apparente indifferenza. Lo vedo bene tutto quell'affetto."
«Sì, appena torno a casa dormirò un po'.» Mentii, sapendo che non mi sarei mai addormentato. «Tu invece come stai?»
«Sono parecchio stanca, ma molto felice. Ho appena finito un esame orale.»
«È andata bene quindi?»
«Ventinove.» Mi sorrise un poco, fiera di sé stessa, facendomi sprofondare. «È stata una fortuna che non abbia beccato l'assistente perché a detta di tutti, loro sono molto più intransigenti e...»
Mentre parlava non potevo fare a meno di guardare le sue labbra, che velocemente si muovevano, si scontravano e facevano intravedere la lingua che sbatteva sul palato e sui denti.
Una parte di me desiderava ardentemente prenderle il polso e trascinarla in un posto isolato per baciarla. Non volevo fare altro se non trovare un effimero contatto con quelle labbra, leccarle, morderle, farci di tutto.
Era l'altra parte di me a trattenermi, perché sapeva di non poterlo fare. Era come se sulle mie spalle ci fossero un diavoletto e un angelo. Il primo mi istigava a portarla via per stringerla, toccarla e baciarla ovunque, ignorando che io e [T/n] non stessimo più insieme; il secondo invece mi intimava a stare calmo e composto, ricordandomi che era comunque fidanzata. E non con me.
«Eren? Sei sicuro di stare bene?»
Mi risvegliai da quello stato di trance e notai [T/n] che mi guardava stranita e, forse lo immaginai io, preoccupata.
Chissà se anche lei stava pensando tutte quelle cose guardandomi. O forse era chiedere troppo, ed era già abbastanza che mi stesse parlando.
«Sì tranquilla. Sono solo assonnato.» Chinai la testa e cominciai a strisciare un poco il piede per terra, nervoso.
«Senti [T/n]-»
«[T/n].»
Una voce che purtroppo conoscevo fin troppo bene destò entrambi e con rabbia vidi Jean venirci incontro. Mi aveva notato, ma si limitò a tirarmi un'occhiata con sufficienza, per poi ignorarmi e andare da [T/n]. Le lasciò un lungo bacio sulle labbra, tutto sotto i miei occhi che avrebbero tanto voluto ucciderlo.
"Picchialo fino a farlo sanguinare." Diceva il diavoletto.
"Se lo fai [T/n] non te lo perdonerà mai." Diceva l'angioletto.
Controvoglia seguii il consiglio di quest'ultimo e rimasi immobile, stringendo però i pugni dentro le tasche della giacca, fino a piantarmi le unghie nei palmi con così forza che tra non molto avrebbero iniziato a sanguinare.
«Com'è andato il tuo esame?»
«Molto bene, dopo te ne parlo.»
Cercavo di nascondere il dolore che provavo nel vedere [T/n] sorridere a Jean, così felice e serena.
«Allora io vado.» Dissi soltanto e mi voltai per allontanarmi.
«Er-»
Mi bloccai, sentendo che [T/n] stava per chiamare il mio nome, e pregai in silenzio che continuasse. Tuttavia si ammutolì e mi diedi mentalmente una spinta e mi costrinsi ad andarmene, consapevole del fatto che quella sarebbe potuta essere l'ultima volta che la vedevo. Ma forse era meglio così dopotutto, proprio come aveva detto lei. Era felice ora, e ciò bastava ad entrambi.
Prima di uscire dal campus una voce attirò la mia attenzione e vidi Armin venirmi incontro.
«Eren! Non ci sentiamo da un po', come stai?»
«Sto bene, tu?»
Il biondo non sembrò molto convinto della mia risposta e, dispiaciuto, mi invitò a sedermi su una panchina del campus insieme a lui per parlare. Acconsentii, ma per i primi minuti rimanemmo in silenzio.
«[T/n] sembra molto felice con Jean.» Dissi ad un certo punto, più a me stesso che ad Armin.
Lui inarcò le sopracciglia, per poi aggrottarle turbato. «Sì... Così pare.»
Tornò il silenzio, prima che Armin continuasse. «Mi dispiace molto che tra voi sia andata a finire così... Ma vedrai che tra non molto ricomincerete a parlarvi.»
Sorrisi con rammarico. «Ne dubito. Comunque sai che odio la gente che si dispiace per me o che mi compatisce. Quindi non ti preoccupare.»
«Mi preoccupo invece! Anche Mikasa è molto in pensiero, passi sempre più tempo in quel night club insieme a Floch e non ti prendi cura di te stesso.»
Rimasi ad ascoltarlo, quando sollevai la testa ad osservare il cielo nuvoloso, sovrappensiero.
«Ho passato fin troppo tempo a farlo.»
«Che?»
Sospirai, chiudendo gli occhi per un istante. «Ho sempre pensato solo a divertirmi, senza mai preoccuparmi per le mie responsabilità da ventenne, o per il futuro. Al contrario, ho sempre cercato di evitare tutto questo. Volevo rimanere adolescente e continuare a divertirmi. E mi sono trasferito da mio fratello senza alcuna prospettiva di autonomia. Perciò, in parte [T/n] aveva ragione.»
«...in parte? Di che stai parlando?» Domandò Armin, non capendo cosa volessi dire.
«Io ho capito troppo tardi i miei errori, ma spero che per [T/n] non sia così. Spero che anche lei si renda presto conto dei suoi.»
Armin cercava di capire il mio discorso, ma io mi alzai dalla panchina e mi portai le mani in tasca.
«Torno a casa adesso. Ci vediamo.»
Ci salutammo, nonostante Armin volesse passare altro tempo insieme per parlare, ed io tornai alla mia moto.
Arrivato a casa mi buttai sul divano a peso morto, ripensando al mio incontro con [T/n], per poi costringermi a distrarmi.
Presi il cellulare e vidi di avere una chiamata persa da mio padre. Decisi di richiamarlo e, mentre squillava, pensai che fosse il momento di andare a trovare mamma. Ero andato il primo dell'anno, quindi le avrebbe fatto piacere un'altra mia visita.
«Sono io, scusa ho notato ora che mi hai... Papà? Perché stai piangendo?»
[T/n]'s pov. Lunedì
Ero sdraiata su una panchina del campus a prendere una pausa prima del mio secondo esame. Faceva freddo, ma ero ben coperta dalla giacca e indossavo un paio di guanti, mentre leggevo un libro.
Sentii dei passi avvicinarsi e distogliendo gli occhi un sorriso mi comparve sulla labbra, vedendo Jean venirmi incontro.
«Non ripassi?»
Mi tirai sù a sedere per fargli spazio. «Ho studiato tantissimo e ho paura che se rileggo qualcosa, potrei dimenticarmi tutto.»
«Quindi cosa leggi di bello adesso?» Mi lasciò un bacio, prima di levarsi lo zaino di spalla e sedersi, stendendo le braccia sullo schienale.
«La favola di Amore e Psiche di Apuleio.»
Jean fece un verso schifato ed io gli tirai un pugnetto sulla gamba, sorridendo divertita, per poi tornare a leggere.
"Mio miele, mio marito, della tua Psiche dolce anima."
«Sei la mia piccola Psiche, lo sai?» Mi tornò alla mente quel momento con Eren, a casa mia, e sentii il mio cuore sprofondare.
L'avevo rivisto venerdì scorso all'Università e avevo dovuto pretendere che non m'importasse molto. Volevo apparire felice, ma quando l'avevo rivisto il dolore era tornato come un fulmine a ciel sereno. Forse era stata una fortuna l'arrivo di Jean proprio in quel momento, perché altrimenti sarei crollata. Ma per quanto ci provassi, non riuscivo più ad ignorare il fatto che mi mancava terribilmente. Proprio come se fossi tornata ad avere dieci anni, quando si era trasferito.
«Tutto apposto?»
«Sì, tutto bene.» Finsi un sorriso e lui levò il braccio da dietro la mia schiena per accarezzarmi una gamba. Si era reso conto che qualcosa non andava, e molto probabilmente sapeva bene cos'era, ma volle rimanere in silenzio. Forse in questo modo si convinceva che andasse tutto bene e che io non stessi pensando ad Eren.
Sospirò e levò la mano dalla mia gamba per darmi una piccola carezza sul viso, portando le dita sul mio collo e il pollice sulla guancia. «Mi sa che torno a casa adesso. Stasera devo lavorare e domani ho un esame anch'io, quindi questo pomeriggio ne approfitto per ripassare.»
Annuii soltanto e gli lasciai un bacio, che lui approfondì mantenendo la mano sul mio volto.
«Ci vediamo domani.» Gli dissi appena ci allontanammo.
Jean si alzò dalla panchina e si rimise lo zaino su una spalla. «Ricordati la verbalizzazione!» Mi avvisò allontanandosi.
«Certo...» Mormorai, con in testa di nuovo il pensiero di Eren. Era ovvio che non stesse per nulla bene, ma venerdì volli ignorarlo. Volli evitare di pensarci o di fargli altre domande e mi convinsi che avevo fatto bene.
Dopo un'altra mezz'ora mi recai all'aula dove si sarebbe tenuto l'esame. Quando entrai vidi Armin alzare una mano per invitarmi a sedere poco lontano da lui.
«Sei pronto?» Gli chiesi, ma Armin mi guardava con occhi tristi.
Volevo domandargli se si sentisse male, ma il professore arrivò e dopo poco iniziò a consegnare i fogli con l'esame, così mi decisi a chiederglielo più tardi.
Finito l'esame proposi ad Armin di prenderci un caffè al bar e, mentre andavamo, gli chiesi il perché della sua faccia così di mal umore.
«È per Eren.»
«Perché, è successo qualcosa?» Mi fermai, improvvisamente preoccupata.
Armin mi guardò perplesso.
«Quindi avete proprio smesso di parlarvi?»
Lo guardai in silenzio, incitandolo a continuare.
Lui chinò la testa e sospirò. «Venerdì la madre di Eren ha avuto un incidente. Uno in auto l'ha investita. Purtroppo... Non ce l'ha fatta.»
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