19. Layla
N.A. Ho voluto pubblicare anche oggi perché è il compleanno di Eren, quindi ecco qua!🤚🥺
Due settimane dopo, primi giorni di dicembre.
Dopo giorni e giorni di preghiere, finii per accettare una maratona di film con Sasha e Connie per una notte intera, a casa mia. Non ero dell'umore e inoltre dovevo studiare, ma i miei due amici mi convinsero ed ora ci trovavamo per strada. Stavo guidando verso un negozio dall'altra parte della città che vendeva per lo più porcherie e snack asiatici, Sasha era seduta accanto a me e Connie dietro. Pensavano che stare insieme mi avrebbe distratto e tirato su di morale, nonostante io non ne fossi così convinta.
L'auto apparteneva a Connie, tuttavia non era consigliabile per lui guidare in compagnia di Sasha e viceversa, poiché entrambi si sarebbero potenzialmente distratti per cantare. Infatti, quei lunghi e insopportabili quasi trenta minuti di viaggio, furono colmati dalle voci dei due che a squarciagola si divertivano a cantare, a partire dai Queen fino ad arrivare agli ABBA.
In un altro momento avrei canticchiato insieme a loro, seppur a bassa voce, ma ero troppo angosciata per pensare ad altro se non allo studio e ad Eren, con cui sempre più spesso mi trovavo a discutere. Erano solo piccoli bisticci che Eren stesso concludeva subito, ma sentivo che la tensione tra noi stava aumentando.
Quando arrivammo al market erano già le 16 e il sole tra meno di una mezz'ora avrebbe iniziato a tramontare in fretta, perciò dissi loro di sbrigarsi.
«Ordiniamo del sushi, che dite?» Fece Connie, piegando il busto per guardare su uno scaffale.
«Mi sta già venendo una fame...»
«Non mangiare nulla finché non abbiamo pagato Sasha.» La avvertii, tirandole un'occhiataccia.
«Ma per chi mi hai preso sent- oh scusi!»
Mi voltai per capire cosa aveva combinato Sasha e strabuzzai gli occhi appena vidi Jean. Era di fronte alla bruna, con un set di birre in mano; si erano appena scontrati girando tra gli scaffali.
Quando mi notò poco distante fu sorpreso quanto me di vedermi e vidi un leggero rossore colorare il suo viso.
«...ciao...» Trovai la forza di salutarlo e gli sorrisi un poco, ma tutto quello che ricevetti fu un cenno col capo e subito dopo si allontanò verso la cassa.
Da quel lunedì mi evitava come la peste all'università, e questo mi provocava molta tristezza. Era anche per questo motivo che ero titubante dal farmi nuovi amici. Non solo per il mio carattere chiuso, ma anche per la paura di perderli. Com'era successo con Isabel e Farlan e una volta con Eren.
«Chi era?» Sasha mi si avvicinò, sussurrandomi all'orecchio. Nel mentre anche Connie ci aveva raggiunte, avendo visto la scena.
«Quello di cui vi ho parlato. Lo stalker.»
«Jean? Quello che ti si è dichiarato alla festa?»
Sospirai annuendo a Connie, mentre di sottecchi guardavo Jean pagare senza nemmeno rivolgermi una veloce occhiata.
«Perché non ci vai a parlare?»
Stavo per dire a Sasha di no, ma mi fermai. Dopotutto erano passate due settimane dalla festa e, dal momento che non riuscivo più ad incrociarlo nemmeno nei corridoi dell'Università, questo era il momento giusto per parlargli. Dovevo farmi coraggio e seguire il consiglio di Armin.
Mi morsi con forza il labbro, guardandolo uscire dal market, per poi abbandonare alcune cose tra le braccia di Connie.
«Voi finite qua e aspettatemi alla macchina.» Restituii le chiavi a Connie e mi allontanai per uscire dal negozio. «E non prendete troppo!»
Uscita mi guardai intorno e feci appena in tempo a vedere Jean poco lontano, prima che entrasse in una libreria. Lo seguii ed entrata lo cercai, trovandolo poco lontano davanti ad uno scaffale con dei dischi musicali.
A passo felpato mi avvicinai, col cuore in gola.
«Jean.»
Sussultò, ma senza girarsi del tutto a guardarmi. Girò solo di poco il collo e vidi il suo profilo, silenzioso. Dovevo trovare qualcosa da dire.
«Ho-ho notato che... nella tua rubrica mi hai salvata "Layla". Posso sapere perché...?»
Non rispose. Tornò a guardare i CD e si allontanò.
Lo seguii. «Jean.»
«È solo una stupida canzone.» Sbottò.
Continuava a camminare ed esasperata sbuffai.
«Jean almeno guardami!»
Detto fatto. D'improvviso si girò a guardarmi e mi pentii di averglielo detto. Forse per la prima volta notai quel luccichio, di cui aveva parlato Armin. Fu difficile mantenere quel contatto visivo e capivo che anche per lui era molto doloroso.
Socchiusi le labbra per dire qualcosa, ma tutto quello che riuscii a fare fu scusarmi, prima di venir bruscamente interrotta.
«No. Non ti dispiacere. Mi faresti sentire soltanto più patetico di quanto io già sia.»
«Non sei patetico.»
Riprese a camminare e lo raggiunsi, fino ad arrivare alle scale per il piano di sopra.
«Mi sono dichiarato per sbaglio quando ero sbronzo, l'ho scoperto grazie ad Armin e ho dovuto sopportare il tuo sguardo, pieno di dispiacere al contrario dell'amore di cui speravo. Non sono patetico dici?»
Salite le scale lo superai e mi piazzai di fronte a lui per fermarlo, con sguardo serio. «No non lo sei.»
Senza rispondermi mi scansò e riprese a camminare, quindi io dovetti stargli dietro.
«Jean so che per te è doloroso, ma mi manchi. Ti voglio bene e-»
«Ma a me non basta!» Alzò la voce e si girò a guardarmi truce. Aveva gli occhi puntati sui miei, colmi di dolore, mentre le guance erano sempre più scarlatte.
A fatica mantenni il suo sguardo. «Non volevo che finisse in questo modo.» Riuscii a dire flebile.
La sua espressione si rilassò e distolse gli occhi dai miei.
«E come doveva finire?» Domandò con rammarico, allontanandosi. «Non ho mai sperato che lasciassi Eren per metterti con me. Sono sempre stato consapevole che tu ami lui.»
«Ma rimane il fatto che ti voglio bene.» Stanca di vederlo scappare da me, gli afferrai il polso libero e lo strinsi tra le mie piccole mani, mentre il mio tono di voce diventava via via sempre più abbattuto. «Anche se a te non basta non posso fare altrimenti e mi dispiace, mi dispiace tanto! Ma piuttosto che non vedermi più, non sarebbe meglio continuare ad essere amici così da potermi comunque stare vicino?»
Non mi guardava e teneva gli occhi puntati sul pavimento in legno. Fissavo il suo profilo, silenziosa, aspettando che parlasse.
«Ti prego di' qualcosa Jean...»
Mesto, sussurrò. «Ti ho ignorato per le ultime due settimane perché era troppo doloroso starti vicino. Anche solo guardarti da lontano mi spezzava il cuore. Come te lo devo dire che ti amo e non mi basta solo aiutarti con lo studio e prenderci per il culo a vicenda? Sapendo per certo... che non proverai mai quello che provo io.»
Allentai la presa sul suo polso, finché non fu lui a scansarlo per costringermi a lasciarlo. Fino a quel momento avevo sempre sperato, in cuor mio, che la sua fosse solo una piccola e breve cotta, nulla di più. Ma sapere che i suoi sentimenti erano molto più profondi, mi rattristava terribilmente.
«È meglio che tu vada ora.» Mormorò infine, portandosi la mano nella tasca della giacca.
Lo osservai e, quando capii che non mi avrebbe più parlato, mi avvicinai a lui per annullare quei pochi centimetri che ci distanziavano. Mi alzai sulle punte e gli presi il viso tra le mani per lasciargli un bacio sulla guancia.
Quando mi allontanai sembrò sorpreso, ma non ricambiò il mio sguardo e mi convinsi ad andare via, senza più voltarmi.
Scesi e uscii dalla libreria, diretta all'auto dove Sasha e Connie mi stavano già aspettando. Gli raccontai com'era andata e mentre guidavo, infastidita dalle luci dei semafori e delle auto quando si faceva buio, i due cercarono di tirarmi su di morale. Si misero a cantare di nuovo, questa volta canzoni come Everybody dei Backstreet Boys e Never Gonna Give You Up di Rick Astely, cercando in tutti i modi di includermi.
Finsi un sorriso, ma la verità era che avvertivo un forte impulso di piangere. Avevo perso un altro amico, per un motivo che non riuscivo a sopportare.
Arrivati a casa mia ordinammo il sushi e ci mettemmo in salotto per guardare una carrellata di film, mentre chiacchieravamo o sparlavamo di qualche ex compagno di liceo.
Quando mio fratello arrivò mi diede un veloce saluto e andò in camera sua, lasciandoci al piano di sotto.
Il piano iniziale era di rimanere svegli tutta la notte, ma poco dopo le quattro sia Connie che Sasha crollarono, il primo sul divano e la seconda sul tappeto, strapieni di sushi, dolci e salatini.
Io ero rimasta sulla poltrona, con le gambe strette al petto, mentre rileggevo il messaggio di buonanotte di Eren.
Quando uscii dalla sua chat vidi quella di Jean.
«È solo una stupida canzone.»
Mi alzai per tirare fuori dalla tasca della giacca le mie airpods e tornai alla poltrona. Me le misi alle orecchie e cercai la canzone su Google.
Era stata scritta da Eric Clapton, nel 1970, dedicata alla donna di cui era follemente innamorato al tempo, Pattie Boyd, che però non ricambiava il suo amore perché sposata con il componente dei Beatles George Harrison.
Feci partire la canzone su Spotify, mentre distrattamente continuavo a leggere informazioni su di essa e sul cantautore.
"Pattie Boyd divorziò da Harrison nel 1977 e sposò Clapton nel 1979."
Sbuffando mi levai gli auricolari a metà canzone e posai quelli e il cellulare sul tavolino, prima di alzarmi e andare verso la cucina.
Con mia poca sorpresa trovai Levi ancora sveglio, che seduto al tavolo beveva una tazza di tè.
«Non ti ho visto scendere.»
«Eravate talmente occupati a guardare il film e i tuoi amici ad urlare che non vi ho voluto interrompere.» Si avvicinò la tazza alle labbra, sempre con quel suo modo bizzarro di bere.
Sorrisi malinconica e mi sedetti di fronte a lui, incrociando le braccia sul tavolo e affondandoci il viso, tenendo però gli occhi su Levi. «Scusa se ti abbiamo disturbato. Ora si sono addormentati, quindi vai a dormire.»
Levi mi guardò attentamente. «Cos'hai?»
Distolsi gli occhi e girai la testa dall'altra parte. «Levi, tu hai rifiutato molte ragazze negli anni. Come ti sei sentito tutte le volte?»
Dopo una manciata di secondi, sentii Levi posare la tazza sul tavolo. Pensavo mi avrebbe risposto con cose tipo "Ma di che parli" "Perché mi fai 'ste domande" o simili. Tuttavia aveva notato che non ero dell'umore di scherzare, dunque mi rispose seriamente.
«Cercavo di non pensarci. Ma ricordo che una volta, al mio ultimo anno di liceo, una del quarto anno era scoppiata a piangere e prima di andarsene mi elencò tutte le cose che le piacevano di me, compreso il mio carattere di merda.» Di sottecchi lo guardai, notandolo accigliato. «Avevo fatto finta di nulla e me n'ero andato, ma mi era dispiaciuto molto per lei.»
Rimasi in silenzio e socchiusi gli occhi, sentendoli pizzicare.
«Perché me l'hai chiesto?»
Sorrisi amareggiata. «Nulla, così.»
Rimanemmo in silenzio per un altro po'.
«Dimmi che cos'hai.» Mi chiese ad un certo punto, con voce bassa e leggera.
Sapeva meglio di me che io, nonostante mi mostrassi dura, ero in realtà molto fragile, probabilmente più di lui stesso. Ecco perché era sempre così protettivo nei miei confronti: ero sua sorella minore, sangue del suo sangue, e non avrebbe mai lasciato che qualcuno mi facesse soffrire.
Strinsi con forza i pugni. «Levi.»
«Mh?»
«Mi puoi abbracciare?»
Non sentii nessuna risposta e non mi fece alcuna domanda. Dopo pochi attimi però lo sentii alzarsi e fermarsi al mio fianco. Non attesi oltre e, senza alzarmi, strinsi le braccia attorno alla sua vita e affondai la faccia sul suo petto, odorando il profumo di lavanda che emanava la sua maglietta.
Sapevo che per lui era difficile dimostrare il suo affetto, anche nei miei confronti, ma in silenzio mi avvolse un braccio sulle spalle e con la mano libera prese ad accarezzarmi i capelli, passando le dita fra le ciocche.
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime e non mi imbarazzai nel piangere silenziosamente sul suo petto, perché sapevo che Levi non mi avrebbe mai giudicata.
Niente al mondo riusciva a calmarmi come la presenza di mio fratello.
*Spazio Me*
Mentirei se dicessi che durante questo capitolo, soprattutto nella parte di Levi, io non abbia pianto.
p.s. So che è una Eren x Reader ahah, ma queste parti con Jean saranno importanti per i prossimi capitoli!
*Levi la porta via mentre continua a piangere*
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