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17. Fratellastro

La mattina dopo mi svegliai a fatica. Sbadigliai e, stiracchiandomi, mi tirai sù facendo leva sui gomiti, ancora spossata dalla notte passata.
Ripensai così a ciò che era successo e, ancora rossa in viso, mi girai verso l'altro lato del letto, dove Eren stava ancora dormendo. Era girato dalla parte opposta alla mia, a pancia in giù e con un braccio che penzolava fuori dal letto, mentre l'altro era poggiato sul cuscino accanto alla sua testa.
Sorrisi inconsapevolmente e decisi di alzarmi e rivestirmi. Guardando l'orologio sul comodino vidi che erano le nove passate ed era meglio che tornassi a casa prima che Levi si preoccupasse.

Sentii Eren mugugnare mentre mi rimettevo il top e si girò a guardarmi.

«Buongiorno.» Borbottò in un mormorio appena udibile.

«Hey.» Divertita mi avvicinai e, poggiando un ginocchio sul letto, mi allungai per lasciargli un bacio sulla guancia. «Io devo andare ora, mi riaccompagni tu?»

«Certo.» Sbadigliò rumorosamente, passandosi poi una mano tra i capelli per portarseli indietro.

Lo guardai con un ultimo sorriso e dopo essermi rivestita uscii dalla camera per andare al bagno e darmi una veloce sciacquata alla faccia, prima di andare verso il salotto. Indossai il blazer e cercai il cellulare nella tasca della borsa dove lo mettevo sempre, ma non lo trovai. Stranita, lo cercai meglio e lo trovai in un'altra tasca.

"Strano... Lo metto sempre lì." Pensai, sicura che anche la sera prima l'avessi messo in quella tasca.

Feci per guardare se avevo messaggi o chiamate perse, notandone due da Levi.

«Buongiorno.»

Sobbalzai e quasi urlai dallo spavento. Mi girai e alzando la testa vidi, nell'angolo cucina dietro al lavandino, un uomo di circa trent'anni, intento a bere un caffè poggiando i gomiti sul bancone. Mi guardava allegro ed io, riprendendomi un poco, lo fissai con un sopracciglio alzato.

«Professor Zeke?»

Lo conoscevo solo di nome e di volto. Tutti a scuola lo chiamavano per nome, perché era molto gioviale e aperto con tutti i suoi alunni, come Reiner ed Annie. Io purtroppo non ero una di loro, dunque lo vedevo solo ogni tanto nei corridori.

«Oh, vedo che frequenti la mia università!»

«Ma che... che ci fa qui?» Chiesi più perplessa che mai, e quando mi accorsi che avevo un top scollato cercai di coprirmi con il blazer, leggermente imbarazzata.

«Io ci vivo qui, tu piuttosto.» Bevve un sorso, continuando a guardarmi come se ciò fosse la cosa più ovvia del mondo. «Devi essere la ragazza di Eren, immagino.»

Ancora più spaesata, finalmente Eren uscì dalla sua camera, vestito e coi capelli legati, e vedendo il professor Zeke sembrò sorpreso quasi quanto me.

«Non dovevi tornare nel tardo pomeriggio?»

«Ho scoperto che la donna con cui ho passato la notte è sposata, quindi me la sono filata a gambe levate prima che arrivasse il marito.» Sospirò lui, amareggiato.

«Eren.» Guardai il bruno, seria in viso, aspettando delle spiegazioni. «Pensavo vivessi da solo. Perché un professore della mia università vive con te?!»

Con evidente disagio, Eren chinò il capo e strisciò un piede sul pavimento, portandosi le mani in tasca.

«È mio fratellastro. Zeke Jaeger.»

Credetti di aver smesso di respirare per una manciata di secondi, scioccata. Feci saettare gli occhi dal prof ad Eren, da Eren al prof, in un turbine di emozioni.

Aprii bocca per dire qualcosa, ma subito le parole mi morirono in gola e non seppi cosa dire.

«[T/n] lascia che ti spieghi un momento, io-»

Senza lasciarlo continuare indossai la giacca e presi la borsa, andando poi verso la porta d'entrata. «Mi spiegherai questa sera. Ora voglio tornare a casa. Da sola.»

Misi in fretta e furia le scarpe e uscii senza nemmeno girarmi a guardare Eren, sbattendomi con furia la porta alle spalle.

Per tutto il tragitto in autobus fino a casa non riuscii a pensare a nulla. Fu solo quando tornai a casa e imperturbabile salutai Levi, dicendogli che stavo bene, che lentamente elaborai la situazione e iniziai a pormi una miriade di domande.
Perché Eren non mi aveva detto di avere un fratello? Che motivo avrebbe avuto di nasconderlo? Per quanto ci provassi non lo capivo proprio.

Presi a camminare per la camera sovrappensiero, quando il mio cellulare, ancora in borsa, iniziò a squillare. Fissai il numero di Eren e in un sospiro, innervosita risposi. «Pronto.»

«...Non pensavo rispondessi davvero.» Disse con leggero stupore.

«Solo perché voglio delle cazzo di spiegazioni. Ma prima devo ancora calmarmi, altrimenti potrei prenderti a calci.» Sbuffai e mi portai una mano alla fronte, chiudendo per un momento gli occhi. «Stasera alle nove fatti trovare al parco. Lì mi spiegherai tutto.»

Agganciai senza nemmeno dargli tempo di rispondere. Probabilmente doveva lavorare quella sera, ma in tutta sincerità non me ne fotteva nulla. Anzi, ero talmente incazzata che una parte di me sperava addirittura venisse licenziato.

Nel primo pomeriggio, mentre cercavo di nascondere a Levi il mio stato d'animo, mi arrivarono un paio di messaggi. Uno era da parte di Armin, che mi ringraziava per averlo riportato a casa, mentre l'altro era di Annie.

Annie
›Allora con Jean?

Il mio cuore sussultò e finamente smisi di pensare ad Eren per qualche attimo, concentrandomi invece su Jean e la sua dichiarazione.

Non avevo più dubbi che io gli piacessi e, nonostante in cuor mio sperassi che fosse solo una cotta di breve durata, mi dispiaceva molto per lui. Ero certa di non provare nulla per Jean, quindi non avrei mai potuto ricambiare i suoi sentimenti.
Pensai quindi a cosa fosse meglio fare e arrivai alla conclusione che dovessi fingere di non saperne nulla. Il suo coinquilino gli avrebbe detto, o l'aveva già fatto, che ad accompagnarlo a casa era stato lui, perciò non dovevo preoccuparmi; finché avessi potuto, avrei finto che quel suo affetto non esistesse e avremmo continuato a parlare ed insultarci di tanto in tanto a scuola.

Per l'intera giornata non riuscii a concentrarmi a dovere per studiare. La mia mente, come un pendolo, oscillava continuamente da Eren a Jean e viceversa, senza darmi pace.

Quella stessa sera, quando mio fratello era già uscito per recarsi al lavoro, uscii anche io e mi strinsi nella mia sciarpa. Era già quasi metà novembre e iniziavo ad avere freddo a sera inoltrata.

Quando arrivai al parco, lo stesso dove Eren mi aveva baciata il mese scorso, lo trovai di nuovo ad aspettarmi. Stava seduto su una panchina, battendo la punta del piede a terra apparentemente agitato, e quando mi vide anche lui, si alzò d'improvviso e mi venne incontro.

Si fermò di fronte a me e alzai le sopracciglia, sarcastica. «Allora? Forza, sto aspettando.»

«Prima di tutto mi dispiace di non avertelo detto prima.»

«Eren» mi fermai un momento, cercando di trattenere la rabbia «come cazzo hai potuto non dirmi che hai un fratello?!»

«Fratellastro.»

«In questo momento non conta!» Alzai di poco le braccia, insieme alla voce. «È un tuo parente stretto di cui non sapevo l'esistenza, perché me l'hai tenuto nascosto?! Oltretutto ci vivi insieme!»

Rimase in silenzio ed io strinsi i denti.

«Eren. Quando eravamo piccoli io ti ho raccontato di mia madre. Capisci? Della mia vera madre. E tu non mi hai raccontato di avere un fratello.»

«Sì mi ricordo ma-»

«"Ma" cosa?!»

«Dio lasciami parlare!» Mi zittì ed io feci un profondo sospiro a labbre serrate.

Eren mi invitò a seguirlo e si sedette sull'altalena, dondolandosi un poco.

«Nemmeno io per tutta la mia infanzia sapevo di avere un fratello. L'ho scoperto quest'anno, esattamente il 30 marzo.»

Lo ascoltavo, in piedi davanti a lui.

«Era il mio compleanno e mia madre mi aveva detto di prendere le sedie giù in cantina. Mentre lo facevo ho notato un cassetto della scrivania di mio padre socchiuso e per curiosità ci ho frugato dentro. E ho scoperto delle vecchie lettere e delle carte di divorzio della ex moglie di mio padre.»

Strabuzzai gli occhi. «Non sapevo che tuo padre-»

«Neppure io.» Mi bloccò, prima di riprendere con un sospiro affranto. «Ho chiesto allora spiegazioni a mia madre e... a quanto pare mio padre era sposato con un'altra donna prima di mia lei, una certa Dina Fritz. E aveva avuto un figlio con lei, Zeke. Armin il primo giorno d'università me ne aveva parlato, ma dal momento che non era un tuo professore e non ci saresti entrata in contatto, non te l'ho detto. Volevo ancora aspettare e non trovavo mai il momento giusto per parlartene. Oppure... oppure non avevo solo la forza di farlo...»

In silenzio, mi sedetti sull'altalena al suo fianco e strinsi una mano attorno alla catena, rivolta verso di lui. «La mia domanda rimane la stessa, Eren. Perché non me l'hai mai voluto dire?»

Il mio tono di voce si era affievolito e lui teneva la testa bassa, cercando di nascondere il suo volto.

«Quando mia madre ha scoperto di essere incinta, mio padre... era ancora sposato con la sua ex moglie.»

Socchiusi le labbra, scombussolata, e lo fissai come per assicurarmi che non stesse scherzando.

«Mio padre ovviamente ha divorziato poco tempo dopo, perché si era innamorato di mia madre, ma rimane il fatto che io... io sono semplicemente il frutto di un tradimento. Non ero desiderato e non sarei dovuto nascere fin dal principio.» Concluse sibilando a denti stretti e con la fronte corrugata in una smorfia di rabbia. Successivamente tirò su il busto e sbuffò, stringendo con forza le catene ai suoi lati.

«Quindi com'è andata a finire con i tuoi genitori?»

«Ho litigato con mio padre e ho voluto cercare mio fratellastro. Quando l'ho trovato e ho saputo che insegnava come professore universitario e viveva qua, ho subito pensato a te... E che se avessi vissuto con lui, avrei potuto rivederti. Stare finalmente con te.» Si girò nel dire queste parole, guardandomi in faccia.

«Quindi vi siete incontrati e sei poi venuto ad abitare con lui.» Conclusi e lui annuì in silenzio, tornando a guardare per terra.

«Ci siamo incontrati e mi ha detto che nutre un odio profondo per nostro padre, sia per aver tradito sua madre sia per il fatto che non gli ha mai mostrato affetto. Ma non mi ha mai dato la colpa di nulla, anzi comprende come mi sento.»

«Sì però...» mi fermai un istante per trovare le parole giuste. «Non mi avevi detto che eri tornato a vivere qua perché i tuoi non volevano che facessi lo stripper? Era una bugia?»

«No, non proprio. I miei hanno scoperto il mio lavoro la scorsa estate, quindi l'ho utilizzato come scusa per andarmene di casa, come d'altronde aveva fatto nove anni fa mio padre per stare più lontano dalla sua ex moglie, dicendomi che ci stavamo trasferendo per lavoro. La verità è che già da qualche tempo avevo deciso di vivere con mio fratellastro e... cercarti.»

Smise di parlare e immaginai avesse finito di spiegarmi tutto quanto, dunque ne approfittai per prender parola.

«Quindi, in sostanza, non mi hai mai detto nulla per quasi due mesi perché te ne vergognavi? Solo per questo?»

«Ho sempre rimandato questo momento perché avevo paura potessi guardarmi in modo diverso, in perenne compassione per me. Non voglio essere compatito, da nessuno.»

Si alzò dall'altalena e fece qualche passo, portando le mani in tasca e prendendo a calci un sasso. Quando mi alzai e lo raggiunsi, notai un lieve rossore sulle sue guance nascoste dalla sciarpa. Era sempre stato molto orgoglioso, troppo per mostrare le sue debolezze a qualcuno. Con me si era aperto più che con gli altri, ma quella corazza continuava a rimanere. Capii solo in quel momento che, nonostante tutto, noi due eravamo uguali.

La mia rabbia ormai si era dissipata del tutto e mi posizionai di fronte a lui. Lo costrinsi ad alzare la testa prendendo il suo viso tra le mani, stringendolo.

«Sono la tua ragazza Eren. Anche se ti vergogni di qualcosa, o hai paura che qualcosa tra noi possa cambiare, devi comunque parlarmene se è importante. Ho il diritto di saperle certe cose, perché una parte della tua vita ora è anche la mia e viceversa.»

I suoi occhi, di un verde reso ancora più luminoso dalla luce dei lampioni al parco, scrutavano i miei [c/o], cercando l'ombra di una possibile falsità o compassione nelle mie parole. Ma tutto ciò che poteva vedere era solo rammarico e profondo amore, dunque mi cinse la vita e mi strinse con forza a sè.

«Sono un coglione.» Lo sentii mormorare nella mia sciarpa.

Sospirai e gli avvolsi anche io le braccia attorno alla schiena. «Sì, lo sei.»

«Mi dispiace. Mi ami comunque, vero?»

«Purtroppo sì.» Scherzai, chiudendo gli occhi per lasciarmi cullare dal calore del suo corpo.

Si staccò solo per lasciarmi un bacio sulle labbra, e tornò ad abbracciarmi mentre io gli accarezzavo i capelli. Per quanto poteva farmi incazzare, non potevo fare altro che provare un profondo affetto per lui. Lo amavo con ogni cellula del mio corpo e questo, almeno per il momento, non sarebbe cambiato.

Ma nonostante i miei sentimenti fossero così forti, non mi riteveno dipendente da lui o dalla sua presenza. Al contrario, avevo paura che Eren potesse esserlo.

*Spazio Me*
ho preso 9- ad un'interrogazione di filosofia sono un sacco felicee (puntavo al 9 pieno ma va beh~)
e nulla volevo condividere questa gioia con voi scusate🥺🤚🏻
Comunque, vi piace Zeke come personaggio in aot? A me sì, molto sinceramente!

*Levi la porta via*

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