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12. Lezioni private

Per quanto fossi assonnata e volessi rimanere a letto, controvoglia mi alzai alle otto e per le nove ero già all'Università. Per non perdere troppo tempo al bar, presi un caffè ai distributori e cominciai a berlo già sulle scale mobili. Mi recai verso l'aula studio e, ancor prima di spingere la porta a vetri, vidi qualcuno che conoscevo bene, seduto di spalle.
Decisi di avvicinarmi, notando che era talmente concentrato su qualcosa al computer di fronte a lui da non accorgersi della mia presenza. Infatti si girò a guardarmi solo quando mi sedetti al suo fianco.

«Qui anche questo sabato?» Mi domandò Jean a bassa voce per non disturbare gli altri studenti, tornando a fissare lo schermo.

«Qui anche questo sabato. Come te d'altronde.» Sentenziai e mi sporsi col busto verso di lui, guardando il computer. «Che fai di bello?»

«Un test.»

Dicendo ciò sprofondò sullo schienale della sedia, in un sospiro, e incrociò le braccia al petto.

Lessi la domanda che sembrava tormentarlo. «Da quanto sei fermo a questa?»

«Quasi dieci minuti. E conta che ho iniziato quindici minuti fa.» Jean sfogliò qualche pagina di un suo libro e si portò una mano alla fronte. «È una di quelle domande a trabocchetto di merda.»

«Prova la B.»

Jean mi squadrò stranito. «Sono cose del secondo anno queste. Che ne sai?»

«Tu metti la B. Fidati.»

Ancora titubante, tornò al computer e premette sulla risposta B.

Esatto!

Si girò a guardarmi attonito, aspettando delle spiegazioni da parte mia.

«È molto semplice...» iniziai seria, assottigliando gli occhi e indicando il computer «praticamente ho letto la domanda e ho puntato sulla risposta più bella.»

«Hai tirato a caso vero?»

«Come l'hai capito?» Mi finsi meravigliata.

Jean scosse il capo, ma sorrise. «Sei una cogliona. Te lo dico sempre.»

«E tu continui a darmi retta.» Mi alzai e gli diedi una scompigliata ai capelli, facendolo imprecare, e mi allontanai verso una postazione più distante, onde evitare distrazioni.

In questo primo mese di università capitò spesso che io e Jean ci incontrassimo al bar, alla mensa, o all'aula studio del terzo piano dove entrambi ci recavamo a studiare durante le ore buca e, come oggi, il sabato mattina. Ci scambiavamo per lo più battute pungenti l'un l'altra, ci insultavamo bonariamente e ci punzecchiavamo di continuo. Stavo maturando con lui un rapporto simile a quello che avevo con Connie, e il fatto che ci vedevamo praticamente tutti i giorni portò ad avvicinarci molto in fretta.

Studiando, si era fatto mezzogiorno e mezza ed io mi stavo logorando il cervello per capire dei concetti di un intero capitolo del libro; di tutto il corso, era la materia che meno mi piaceva e si era rivelata parecchio complicata.

«Pensavo te ne fossi già andata.»

Sollevai la testa, con le mani ancora fra i capelli, e vidi Jean che mi guardava austero.

«Non ci capisco nulla di questa materia. Già la odio.» Tornai al libro.

Jean buttò un occhio su cosa stavo studiando. «Sì, me la ricordo. È parecchio tosta.»

«Te la ricordi veramente?» Gli puntai gli occhi addosso, speranzosa. «E sapresti spiegarla?»

Parve pensarci su, tirando il libro a sé per sfogliare velocemente il capitolo. «Credo di sì. Dovrei ridare un'occhiata a-»

«Ti prego ti prego aiutami!»

Congiunsi le mani e lo guardai supplicante, mettendo da parte il mio orgoglio e il mio atteggiamento nei suoi confronti. Quella materia mi stava letteralmente facendo impazzire.

Jean di tutta risposta sogghignò. «Guarda guarda chi ha un bisogno disperato del mio aiuto...»

Lo fulminai e, senza dargli tempo di aggiungere altro, ritirai svelta tutte le mie cose in borsa, mi alzai e gli afferrai il braccio.

«Ma che fai?!»

«Tu adesso vieni a casa mia. Pranziamo insieme e mi aiuti.»

Lo trascinai fuori dall'aula studio e raggiungemmo le scale mobili.

«E chi ti dice che lo farò?» Scansò il braccio dalla mia presa e mi guardò rude.

Lo fissai impassibile. «Ti pago la mensa per una settimana.»

Mi osservò per qualche attimo, prima di rispondere. «Andata.»

Andammo a casa mia con la sua auto e, nel mentre, mandai un messaggio a Sasha per disdire l'incontro con lei nel pomeriggio. Levi inoltre era andato a far visita ad Hanji, dunque dopo un veloce pranzo potemmo metterci al lavoro su quella dannata materia.
Mentre l'autore del libro (alias il mio stesso insegnante purtroppo) faceva passare tutto come complicato e impossibile, Jean riusciva a farmelo capire con delle semplici definizioni e degli altrettanto semplici esempi. Riuscì addirittura a mostrarmi gli aspetti interessanti della materia, che finì per piacermi un po' più di prima.

Dopo che Jean ebbe concluso di spiegarmi tutto, ci rilassammo e tirai fuori qualcosa da mangiare e da bere. Ci mettemmo a parlare e, forse per la prima volta da quando ci conoscevamo, non ci punzecchiammo in alcun modo e conversammo seriamente.

Ci parlavamo di noi, del nostro liceo e delle nostre vite all'infuori dell'università. Seppi che Jean viveva con un coinquilino, di nome Marco, e che entrambi lavoravano la sera come camerieri in un ristorante; per questo Jean, quando poteva, frequentava i corsi facoltativi pomeridiani. Mi disse inoltre che non vedeva spesso sua madre, perché lo metteva sempre in imbarazzo di fronte ai suoi amici, mentre io gli parlai solo di Hanji. Non volli certo dirgli che ero figlia di una prostituta, perciò tagliai corto quest'argomento.

«E sei fidanzato?»

«Lo ero. Mi sono lasciato due mesi fa.»

Bevvi un sorso di birra dal mio bicchiere e afferrai la sigaretta che stavamo fumando insieme. «Mi dispiace.»

«Era solo una stronza, è stato meglio così dopotutto. Mi pento solo di averci buttato quasi un anno insieme.» Poggiò la guancia sul palmo della sua mano, guardandomi fumare. «Tu invece stai ancora insieme a quell'Eren, esatto?»

«Proprio così.» Risposi passandogli la sigaretta. Era capitato un paio di volte che Jean avesse sentito me ed Armin parlare di Eren, e Jean non mancò mai di punzecchiarmi a riguardo.

«L'avevo capito dall'enorme succhiotto che hai sul collo.»

Sobbalzai e, leggermente imbarazzata, gli tirai un calcio alla gamba sotto il tavolo. «Ti sembra il caso di farmelo notare?!» Dissi rabbiosa, quando sentii la porta d'entrata aprirsi.

«Sono in cucina.» Urlai, sapendo che era Levi, per poi rivolgermi a Jean che si stava ancora massaggiando la gamba dolorante. «È mio fratello.»

Levi arrivò e, vedendomi in compagnia di Jean, fu in un primo momento sorpreso.

«Lui è Jean, uno del secondo anno che mi ha aiutato a studiare questo pomeriggio. Senza di lui sarei stata persa.» Sottolineai l'aiuto che Jean mi aveva dato, così da sviare gli occhi sottili e minacciosi di Levi già puntati su di lui.

«Mh, capisco. Hanji ti saluta comunque.» Liquidò l'argomento e andò verso il lavandino per riempirsi un bicchiere d'acqua. «Ah, prima che me ne dimentichi. Il tuo ragazzo ha dimenticato qui la sua merdosa sciarpa. Riportagliela prima che lo faccia io con gli interessi.»

Lo guardai, indispettita dal suo carattere nei confronti di Eren, e guardai l'ora. «È già al lavoro, quindi gliela riporterò domani.»

«Domani dobbiamo andare da Hanji. Ti vuole vedere.»

Sbuffai. Sapevo che me l'aveva detto per non farmi vedere Eren anche l'indomani, ma non volevo fare una scenata di fronte a Jean, dunque mi alzai, presi la sciarpa di Eren e dissi a Jean di andare a casa.

«È tanto lontano il posto? Se vuoi ti accompagno un momento.» Jean si portò le mani in tasca appena usciti di casa, andando verso la sua macchina.

Stavo per rifiutare, ma pensandoci non era una cattiva idea. Odiavo quel quartiere, perché a tarda ora si riempiva sempre di gente poco raccomandabile. Non volevo andarci da sola.

«A patto che tu non faccia parola con nessuno del lavoro di Eren, soprattutto con mio fratello.» Lo avvisai, seguendolo nella sua auto.

Evitai di rispondere alle sue domande, gli diedi l'indirizzo e dopo una ventina di minuti arrivammo.

Prima che potessi dire a Jean di aspettarmi in auto, scese anche lui e mi seguì verso l'entrata.

«Sono curioso di vedere la faccia del tuo ragazzo. Dev'essere disperato a stare con una come te.» Chinò il busto per raggiungere la mia altezza, ghignando, e di tutta risposta gli tirai un pugno su un braccio.

Entrammo e vidi tutti i presenti nel locale parecchio su di giri, che facevano avanti e indietro alla svelta. Eren mi aveva detto che ci sarebbe stata una specie di festa e che si era offerto di aiutare, dunque iniziai a cercarlo, con la sciarpa stretta al petto e Jean alle mie spalle.

«Cerchi qualcuno?»

Un ragazzo rossiccio si stava avvicinando a me e, lo riconobbi, era uno di quelli che ballava sul palco insieme ad Eren la notte del compleanno di Historia.

«Sto cercando Eren. Sono la sua ragazza e devo restituirgli la sua sciarpa.»

«Che cosa?! Quello stronzo si fidanza e non me lo dice neppure? Bell'amico!» Si lamentò il ragazzo, gesticolando un poco, e girandosi verso il retro del locale urlò a gran voce. «Eren! Vieni qua!»

Rimasi ad aspettare, leggermente in soggezione, quando mi girai verso Jean. «Se vuoi tu puoi tornare in macchina.»

«No rimango.» Rispose senza esitazione.

Lo vidi fissare torvo il rossiccio che, ben presto mi accorsi, stava puntando gli occhi sul mio fondoschiena già da un po'.

«Non credere che non abbia la forza di romperti un braccio.»

«Ho un debole per le ragazze volgari e violente come te, sai?» Non sembrò intimorirsi dalla mia minaccia.

Stavo per rispondere, ma Jean mi precedette repentino. «Se ti piace il BDSM non sarà un problema se ti sbatto la testa su quel palo in metallo, no?»

Stupita guardai Jean, mentre il rossiccio alzò le mani in segno di resa, pur mantenendo un sorrisetto.

«Cosa c'è Floch?»

Eren spuntò finalmente dal retro e, appena mi vide, sorrise sorpeso ma al contempo felice.

«Ma cosa ci fai qui?» Si avvicinò.

«Hai lasciato la sciarpa a casa mia ieri sera. Domani sono fuori città e sono venuta a riportartela adesso.» Gli spiegai pacata, ricambiando di poco il suo sorriso.

Mi baciò e, rivolto al suo collega, lo guardò bieco. «Tu torna alle tue cose. Non è una cliente.»

«È proprio un peccato. Alla prossima allora.» Quel Floch mi fece un veloce occhiolino e si allontanò, lasciandomi infastidita.

Eren tornò a me, ma presto notò Jean alle mie spalle. «E lui?»

«Ah, sì, lui è Jean.» Guardai il diretto interessato per un momento. «È un mio amico del secondo anno. Mi ha accompagnato fin qua dopo avermi aiutata a studiare.»

Mentre li presentavo mi rendevo conto che qualcosa non andava. Eren lo guardava truce, come se volesse incenerirlo; Jean a sua volta non smise per un momento di fissarlo ostile e minaccevole. Sembravano due cani da guardia che si scrutano l'un l'altro, come a capirne le intenzioni.

Per un istante, mi trovai intimorita da entrambi e avvertii il desiderio di doverli separare alla svelta.

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