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18. Make me your villain, until I'm back

Eros


«Fammi indovinare: pessima nottata.»

«La tua voce non migliora la situazione», mi volto verso Rian con l'evidente scompostezza di chi ha dormito in ufficio.
Recupero la tazza di caffeina che tiene tra le mani e ne annuso il contenuto; alzo subito un sopracciglio, forse non ha inteso che l'aggiunta non era una richiesta.

«Quale lettera di corretto non era chiara?» mi lamento abbandonandomi stancamente sulla poltrona in pelle.

«Ho pensato che avresti preferito essere lucido per questa.»

La busta che mi getta sulla scrivania ha tutta l'aria di qualcosa che non migliorerà la giornata, e fa ritardare i miei propositi di correggere il caffè con il pregiato whisky di riserva che tengo ben custodito.

Bevo un sorso e gli rivolgo un'occhiata.
«Che cos'è?»

«Non ne ho idea, ma viene dall'ufficio di Gisele Hart» chiarisce.

Basta quel nome ad affossare una giornata già nera fin dalle premesse.
Quella megera è esclusiva portatrice di cattive notizie.

«Immagino non sia rimasta contenta dell'accordo tra me e Olsen, come dal mio rifiuto di lavorare per lei, ma da qui a mandarmi lettere minatorie... Pensavo che avesse più stile, la dannata regina.»

Smetto di sorridere nell'esatto istante in cui estraggo i documenti.

«Fottuta carogna», è il mio solo pensiero.
Non me l'aspettavo.
Non mi aspettavo questa cazzo di mossa.
La verità sarebbe dovuta bruciare fino all'ultima pagina, fino all'ultimo frammento del suo passato.

«Come diavolo ha fatto a scoprirlo?» stringo le pagine mentre le consumo con gli occhi una a una. Alzo il telefono dopo un solo squillo: so perfettamente di chi si tratta.

«Mi chiedevo se avessi già ricevuto il prezioso regalo che ti ho fatto recapitare.»

L'ennesima voce che non avrei dovuto sentire di prima mattina, dopo la serata passata e la nottata appena trascorsa.

«Se intendi la minaccia, è arrivata forte e chiaro.»

«Vedilo più come un incentivo ad accettare la mia proposta», il suo tono perentorio è insoddisfacente quanto il caffè incontaminato che sto bevendo.

Non si tratta di noia o mal riposto risentimento, l'aquila reale sta ancora cercando di buttarmi addosso il lavoro di suo figlio.
Con un'insistenza che rende la faccenda più sospetta.

«Incentivo?», lascio uscire un ghigno pieno di amarezza. «Ti sei data piuttosto da fare. Mi domando perché ti stia tanto a cuore che sia io a occuparmi delle storie irrisolte di tuo figlio.»

La sua risata graffia le pareti del mio già scontento apparato uditivo.

«A quanto so, sta molto più a cuore a te.
Non è forse questo il motivo della tua recente frequentazione? Le mie congratulazioni, una coppia ben riuscita. È sempre un sollievo ritrovare tutto al proprio posto

So perfettamente a quale posto si stia riferendo: quello che ritiene appartenermi, quello che apparteneva a mia madre.

«Lasciala fuori», è un ordine e un avvertimento.

«Dipende da te» mi restituisce, con la tranquillità di chi sa di avermi in pugno.
«Ti aspetto nel mio ufficio tra mezz'ora per definire i dettagli.»

Riaggancio, i miei occhi si soffermano ancora sui fogli che ho tra le mani, sul viso sofferente della donna nella fotografia.
La mia donna, la mia Myra.
Li accartoccio con violenza e li lascio cadere dritti nel cestino.
Non è un'opzione, per quanto mi riguarda ce n'è solo una e so già che mi costerà più di quanto voglia immaginare.

Intercetto lo sguardo bellicoso di Rian mentre mi infilo la giacca.

«Vado da solo» gli comunico. «Non ho certo intenzione di farmi scortare al patibolo da un amico», sollevo le labbra in un ghigno per sdrammatizzare, ma ho la netta sensazione che non mi sia riuscito.

«Così non romperai le ossa a nessuno?», segue il mio intento con il suo sarcasmo.

Mi sistemo il colletto della camicia fingendomi pensieroso. «No, questo non posso garantirtelo», sorrido appena prima di andarmene.

Libero il disgusto solo fuori dall'edificio, arricchendolo di rabbia durante il percorso in auto. Preferirei schiantarmi a tutta velocità con la mia Bugatti Chiron, che indossare il collare di Andrew Hart.
Se solo avessi la certezza che la sua vita non fosse a rischio.

Mi aprono la porta d'ingresso, mi scortano fino alla fine, sono indeciso se piazzarmi a ridere. Mi tengono d'occhio come se si aspettassero che dessi fuoco all'intero edificio da un momento all'altro.
Alternativa allettante, ora che mi ritrovo a un passo dal suo ufficio.

Mi ero ripromesso di non metterci più piede la volta precedente, ma a quanto pare ho fatto male i conti.
La vedova nera ha scavato sotto la superficie e ha trovato il mio unico punto debole.
E ora mi tiene per le palle.

Spingo la spalla contro il man in black sogghignante all'entrata, lo stesso inutile chihuahua che si credeva un dobermann la prima volta.

«Eccoti di nuovo qui» esordisce gongolante, compiaciuta dei suoi mezzi.

Non accenno a sedermi, voglio finirla il prima possibile.

«Facciamola breve, dimmi quello che vuoi per lasciarla fuori dai tuoi giochetti.»

Lancia nella mia direzione un foglio e si abbandona allo schienale della poltrona.

«Metti una firma.»

«Pensavo fossi stato chiaro: non ho intenzione di lavorare per te.»

Sorride, lanciandomi un'occhiata di sfida che rimando al mittente.

«Sei libero di non farlo, ma in questo caso mi vedrò costretta a diffondere le informazioni che la riguardano: il suo passato nella prostituzione diventerà di dominio pubblico.»

Inserisco le mani nelle tasche, fingendo una calma che in questo momento poco mi appartiene.

«Stavo giusto pensando di rilasciare qualche intervista. Sono certo che il pubblico gradirà molto qualche dietro le quinte della prestigiosa famiglia Hart.»

Il suo sguardo glaciale non tarda a raggiungermi.
Le sue labbra raggrinzite si distendono nell'ennesimo sorriso e il mio si dissolve.

Cazzo. Non ha esaurito le sue carte.

«Avrei preferito riservarlo per qualche altra occasione, ma visto che non mi lasci altra scelta...», apre un cassetto alla sua destra ed estrae una cartella che mi sistema davanti agli occhi.

C'è solo un'altra storia più devastante della prima.
Deglutisco lentamente, imponendomi di non far trasparire la minima emozione.
Il peggiore scenario possibile, quello più impensabile e dannatamente inespugnabile, non è più blindato.
E quel che è peggio è che questa donna ha il potere di distruggerci tutti.

Chiudo la cartella e decido di sedermi.

«Te ne do atto, dopo tutto quello che hai fatto, hai certamente più diritti su di lei di quelli che avrebbe avuto mio figlio. Se solo fossi stato abbastanza sveglio da approfittarne—»

«Oh, non sarebbe stato così divertente.
Tutti quegli anni a contorcerti per far cambiare idea al tuo amato Andrew.»

La minima rivincita che posso prendermi in questo momento è solo questa: sputarle addosso le sue sofferenze e compiacermene.

«Suppongo non sia un caso che ti sia preso una sbandata per una donna simile. Ha molto in comune con la tua defunta madre», segue la mia linea gloriandosi del suo inevitabile vantaggio. «Anche se quello», punta gli occhi sulla cartella dalla mia parte, «è decisamente un retroscena sorprendente. Non mi sarei mai aspettata di trovare una rete così intricata.
Un vero colpo di fortuna.»

La fortuna è fottutamente cieca.

Riprendo in mano il contratto e passo in rassegna ogni minima clausola.
Non mi aspetto di trovarvi equità e onesta, ma voglio almeno sapere lo schifo che mi attende.
Un anno con un collare al collo che mi vincola alla Real Hart, per quanto pesi come un macigno, potrebbe essere sopportabile.
Se non fosse per la condizione di chiusura.

«Ti lascio Olsen, ma non chiuderò le cose con lei» dichiaro senza riserve.

«Fa parte dell'accordo, prendere o lasciare» precisa senza scomporsi.

Sospiro nel tentativo di contenere la rabbia che vorrei fare esplodere.

«Non deve far parte dell'accordo. Lo hai aggiunto per crudeltà, non ti è di nessun guadagno», intreccio le dita tra loro premendo i polpastrelli sui dorsi delle mani.
Se le liberassi, rimpiangerebbe il vaso rotto alla mia prima visita.

«Sarò più chiara: non mi interessa nulla della tua relazione con quella... donna. Finito il tuo lavoro potrai fare con lei tutto ciò che vuoi, ma non prima della scadenza del nostro contratto.»

Si sporge sulla scrivania e fa rotolare la penna sul foglio.

«Puoi lasciare che frantumi in mille pezzi la sua reputazione e la sua vita, oppure puoi accettare la mia offerta. A te la scelta.»

Come se davvero ce l'avessi una fottuta scelta.

«Non penserai che lo firmi senza garanzie», mi alzo e mi abbottono la giacca sotto il suo attento sguardo. «Ti farò avere le mie condizioni.»

«Non sono previste negoziazioni» asserisce asciutta.

«Nessuna negoziazione, solo ciò che è dovuto: la tua rinuncia a usare qualsiasi informazione.»

Inclina la testa, scettica e mi convince a ostentare una maggiore fermezza.

«O questo, o ti garantisco che farò di tutto per farti sprofondare con noi, insieme a tutto il tuo impero. A te la scelta.»

«Lo avrai alla fine del contratto, se rispetterai le clausole dell'accordo.»

Sollevo la bocca in un ghigno mentre sistemo il foglio ripiegato nella tasca interna della giacca.
«Ti manderò un pre-accordo.»

«Mi aspetto che per lunedì tu sia nell'ufficio di Andrew», non avrebbe potuto renderlo più esplicito.

«Avrai la tua firma quando io avrò la mia.
E questo è quanto.»

Mi dirigo verso la porta a grandi falcate, il tempo passato in questa stanza mi ha fatto ribollire il sangue e mi ha privato di fin troppa aria pulita.
Lascio la porta spalancata dietro di me senza troppi convenevoli: il contratto non prevede alcuna relazione civile tra le parti.

«Donna interessante la tua ex fidanzata», il solito man in black alle mie spalle mi segue incurante dell'evidente pericolo.

«Ti conviene lasciar perdere Josh, Jack... o come diavolo ti chiami.»

Continuo per la mia strada, concentrandomi su ciò che dovrò fare dal momento in cui sarò fuori da qui.

«Visti i suoi precedenti deve saperci proprio fare. Giusto per curiosità, qual è la sua parcella a notte?»

Mi fermo di scatto e faccio uscire l'aria trattenuta. Non lo vede nemmeno arrivare, il pugno secco che lo butta diretto a terra.

«Sai, per come sono messo questa mattina, se continuassi è probabile che non ne usciresti vivo. Mi fermo qui perché ho pietà di te.
Vedi di ricordarti questo istante, perché non ricapiterà.»

Un colpo non è sufficiente a farmi sentire meglio, ne a scaricare la tensione che ho accumulato nelle poche ore di questa dannata mattinata, ma ho intercettato lo sguardo della vedova nera seduta sul suo trono.

Ora sa anche lei cosa l'aspetta.



𝗫 𝗫 𝗫



Osservo la vista dalla vetrata del mio ufficio al ventiseiesimo piano; vedo poco o nulla per via dei mille ragionamenti che mi invadono la mente. Primo fra tutti, lei.

L'entrata di Rian mi distrae, seppur per pochi secondi.

«L'accordo è pronto. Aspetto prima di inviarlo...?»

«Se hai inserito tutto ciò che ti ho detto, va bene. Aspettare non cambierebbe le cose» gli rispondo netto per evitare di dover elaborare.

«Hai preso una decisione?»

Sospiro profondamente: in qualunque caso non sarà quella che vorrei prendere.

«Mesi passati a insistere, a spingerla a fidarsi di me, a cercare di fargli dimenticare un fantasma... E ora che finalmente ci sto riuscendo», serro la mascella per rinchiudere la rabbia, la delusione e la paura.

«Non sei costretto a chiudere. Spiegagli la situazione e chiedile di aspettare.»

La soluzione di Rian è così rosea e ottimista da sembrare la migliore delle imitazioni.

«Se venisse a sapere che lo sto facendo per lei, non lo accetterebbe mai», mi fa sorridere il solo pensiero della sua fronte corrucciata e del suo tono autoritario con il quale mi ordina di farmi da parte. «Non sono ancora riuscito a dirle tutta la verità... Spiegarle cosa sta succedendo aprirebbe solo un'altra ferita.»

«Non spiegarle nulla e continua a vederla di nascosto» insiste.

Mi volto a guardarlo e accenno un sorriso per tranquillizzare la sua preoccupazione.
Teme la reazione che potrei avere se la perdessi ancora, glielo leggo in faccia.

«Sono a tanto così da fottermi dei rischi.
Non istigarmi.»

Il telefono che ho abbandonato sulla scrivania inizia a vibrare; mi concentro sul nome che compare sullo schermo e la realtà mi colpisce come un treno in corsa: potrei giocare alla roulette russa con la mia vita, ma non potrei mai farlo con la sua.

«La verità è che probabilmente lei sarebbe forte abbastanza, ma io finirei per deluderla. Non riuscirei a starle lontano sapendo che mi sta aspettando. E nel frattempo quella megera le rovinerebbe l'esistenza per divertimento.»

Non ci sono altre strade da percorrere, non importa quanto mi impegni a cercarle.

«Chiudi tutto» concludo.

Rian mi lancia un'ultima solidale occhiata e mi lascia alla conversazione che mi attende.
Mi sistemo il telefono all'orecchio mentre ritorno a osservare la città in movimento fuori dalla vetrata dell'ufficio.

«Mi dispiace» esordisce diretta.

Le parole mi risuonano in testa come se fossi io a pronunciarle.

«Hai ragione. La mia mente ritorna indietro nel tempo, ai momenti trascorsi con Andrew... Fino ad ora non ho mai tentato di fermarla», fa una pausa e il silenzio si impossessa di ogni istante.

Ho preso la mia decisione, conosco la conclusione di questa storia, e cogliere l'incertezza nella sua voce mi procura quasi sollievo. "Tanto non sarebbe comunque andata" è la consolazione di cui avevo bisogno.

«Ma non posso continuare a vivere nel passato. Non voglio più farlo.»

Decide di proseguire, trafiggendomi il cuore con la lama più affilata: la possibilità.
Stringo il pugno mentre a stento trattengo l'urgenza di odiarla.
Se solo non lo avesse detto.

«Non ho mai voluto che lo cancellassi dai tuoi ricordi. Per quanto mi dispiaccia ammetterlo, sei quello che sei anche grazie a lui.»

Amo ciò che è diventata.
Me lo tengo per me, lo sussurro senza le parole per evitare il peso di ciò che implica.

«Volevo solo che mi vedessi per ciò che sono», lascio uscire la verità senza più freni.
A questo punto, averne non servirebbe.

«Volevo? Non dirmi che vuoi tirarti indietro proprio adesso», la sua calda risata mi rasserena e mi uccide allo stesso tempo.
«Stiamo insieme. Finiamo quello che abbiamo iniziato ieri.»

È stato un bene che non mi sia spinto oltre, che non abbia lasciato uscire ogni verità.
Immagino che debba ringraziare Andrew e... Belle.
I loro nomi stonano così tanto insieme.

«Quando?» rispondo soprappensiero.

«Ora.»

«Sono le sei del pomeriggio. La Myra che conosco non stacca mai prima delle otto», mi concedo un sorriso.

«L'Eros che conosco fa anche di peggio, ma riconosce delle eccezioni», il suo tono divertito mi contorce ogni organo interno.
Mi solleva in paradiso prima che la mia mente mi butti a terra.

«Attenta, potrei montarmi la testa e pensare che sono una delle tue eccezioni.»

«Non sei una delle tante, Eros.»

Mi spiazza e non ha ancora concluso.

«Sei la mia sola eccezione.»

Chiudo gli occhi e faccio un unico profondo e silenzioso respiro.

«Dove sei ora?» chiedo brusco.

«A casa.»
La sua voce è ferma, ma non mi sfugge il suo sorriso.

«Sei da me» asserisco compiaciuto.
«Dammi mezz'ora al massimo.»

«Conterò i minuti», ridacchia.

Riaggancio e recupero le ultime cose prima di raggiungere l'ascensore.
Rian mi affianca senza dire nulla.

«Se preferisci tirartene fuori, lo capisco» lo rassicuro.

«Lo sai che non mi tiro mai indietro.»

Siamo ormai fuori dall'edificio quando mi torna in mente un dettaglio.

«Ti vedi ancora con la collega di Myra?»

«Non è nulla di serio» replica sbrigativo.
«Posso chiudere senza problemi.»

Non posso permettermi il lusso di chiedergli se stia mentendo. La decisione che ho preso deve rimanere netta, e se come dice vuole seguirmi, non posso concedergli corsie preferenziali.

Annuisco e salgo in auto: ho poco meno di 25 minuti. Premo sull'acceleratore per quanto posso e imbocco le strade meno battute per evitare il traffico.
Ho troppo poco tempo. Dannazione.
Più mi avvicino alla destinazione, più la frenesia mi assale e l'impazienza mi stringe la gola.

Ignoro la richiesta di una donna di fermare l'ascensore. Non ho tempo per questo.
Ho sempre pensato che fosse il più veloce della città, ma quando raggiungo l'ultimo piano mi sembra di aver sprecato un'eternità.
Detesto non avere il controllo.
Mi manda letteralmente fuori di testa.

Entro in casa e mi giunge l'aria fresca dalle finestre aperte; non c'è luce, se non lo spiraglio che proviene dal bagno.
Apro la porta e mi appoggio allo stipite per contemplarla: il mio accappatoio è troppo grande per permettermi di ammirare le sue forme, ma il pensiero del mio odore su di lei mi procura già sufficiente piacere.
Si toglie l'asciugamano dalla testa e i capelli gli ricadono umidi sulla schiena e sulle spalle.
È abbastanza per incoraggiarmi a raggiungerla.
La spingo indietro, intrappolandola tra le braccia.

«Sono passati solo 15 minuti» precisa con incredulità.

«Ti dispiace?», affondo il naso tra i suoi capelli assorbendone il profumo. Passo alla pelle del collo e vi lascio un bacio.

«Certo che no. Speravo solo di avere il tempo di farmi una doccia. Mi sono presa la pioggia...»

«Non ne avrai il tempo» la interrompo, rallegrato da quest'ultima scoperta.
Faccio scendere il tessuto scoprendo la sua spalla e con estremo piacere scopro che è del tutto nuda.

«Voglio che il tuo odore mi rimanga sulla pelle il più a lungo possibile» le sussurro sulla pelle.

Si appoggia indietro, mentre le mie mani ricercano la cintura dell'accappatoio.
Cambio idea e la faccio sedere sul marmo del lavandino, ma la cintura è ormai allentata scoprendo i suoi seni; mi bagno le labbra risalendo con gli occhi fino alle sue.
Mi prende il viso tra le mani, convincendomi a incrociare i suoi occhi.
Devo fingere male, mi guarda come se avesse intuito che qualcosa è fuori posto.

La mia mente. Il mio corpo. Il mio cuore.
È tutto scomposto, come se fossi un dannato quadro di Picasso.

«Eros...»

Non dovrebbe pronunciare il mio nome con questo tono preoccupato.
Spingo le labbra sulle sue prima che possa chiedermi qualcosa, prima che possa scoprire che sto usando la lussuria per coprire il dolore.
Lo faccio ripetutamente, intrecciando le nostre lingue, miscelando le nostre salive per sentirla mia il più possibile.
Ignoro il disorientamento sul suo volto e mi concentro sul piacere del suo corpo: sciolgo la cintura e butto indietro l'accappatoio per scoprire ogni suo lembo di pelle.

Sta per dire qualcosa ma la mia bocca su un seno e una mia mano sull'altro hanno la meglio sulla sua concentrazione.
Non le do tregua nemmeno per un secondo, mi glorio del suo respiro accelerato e dei suoi ansimi di piacere.
Anche se è per metà disorientata dai miei modi bruschi, io non mi fermo e lei mi lascia fare.
Si tiene sollevata sulle braccia quando le apro le gambe e comincio a tormentare il centro del suo piacere.
Con le labbra. Con la lingua.
Sempre più in profondità.
Il suo sapore mi invade la bocca, mentre spinge il bacino seguendo il suo ritmo.
Mi godo la sua voce sporca di desiderio, il suo respiro accelerato e le vibrazioni che si fanno sempre più pressanti.
Abbandona la testa all'indietro e si concentra sull'orgasmo che gli invade il corpo, sotto al mio sguardo.

La mia eccitazione è ormai fuori controllo quando mi guarda con quel suo sguardo insaziabile.
Mi slaccia la cintura e fa scendere la lampo, la sua mano si muove libera su tutta la sua lunghezza facendomi ringhiare.

«Eros...»

Questo è il tono che voglio sentire.
Sporco di bisogno e frenesia.

«Prenditi ciò che è tuo.»

Serro la mascella: mi ha trafitto una seconda volta dritta al centro.

La sollevo e affondo dentro di lei con forza, senza preoccuparmi di essere violento.
Più e più volte.
I suoi seni si schiacciano sul mio petto mentre si stringe a me per non cadere.
Per la prima volta la sento davvero mia.
Proprio adesso che la devo lasciare. Cazzo.

La stringo più forte, mentre questo pensiero mi lacera dall'interno togliendomi quel poco che rimane del mio respiro.
Ci lasciamo andare insieme all'orgasmo più intenso che abbia mai provato, stretti in una morsa da cui non vorrei mai più liberarla.

Adoro quando ritorna lei.
Selvaggia, indomabile, istintiva.
La mia Belle.

La appoggio nuovamente sul marmo, al di sopra del cotone dell'accappatoio; la mia fronte tocca la sua mentre entrambi riprendiamo fiato. Mi sento i suoi occhi addosso, ma non oso guardarla per il timore di doverle mentire ancora.

«Ora dimmi che succede» esordisce con la voce spezzata, come nella peggiore delle ipotesi.

Mi impongo di sorridere.
«Perché credi sia successo qualcosa?
Non è la prima volta che lo facciamo in un posto strano.»

«È più strano il fatto che eviti di guardarmi negli occhi.»

Mi solleva il volto premendomi le mani sulle guance. Ci scrutiamo per qualche secondo senza dire nulla, finché non sollevo le labbra in un ghigno.

«È più che naturale che sia occupato altrove», abbasso lo sguardo sul suo corpo completamente nudo. La sua pelle si riscalda al passaggio delle mie mani sulle sue cosce.

«Stai solo cercando di distrarmi», il suo tono accusatorio non maschera la sua impazienza.

È così.
Ti prego, almeno per questa volta fai come ti dico.

Appoggia le mani sopra alle mie bloccandomi le mosse. «Se sei così per quelle cose che avevi promesso di dirmi, non importa. Posso aspettare.»

Incastro gli occhi nei suoi, sorpreso da ciò che sta dicendo. Non ha idea di cosa significhi per me sentirglielo dire nonostante tutto.
Le accarezzo una guancia istintivamente, sorridendo come un bambino che ha appena ricevuto una caramella dalla mamma.
La spingo verso di me e la stringo tra le braccia, senza interessarmi di ciò che possa pensare.
Non mi chiede nulla, si limita a stringermi a sua volta, assecondando il mio umore.

Adoro ciò che è diventata in mia assenza.
Più dolce e comprensiva di come la ricordavo. Così calda e rassicurante.
La mia Myra.

Perdo il conto delle volte che facciamo l'amore prima di addormentarci nel letto.
La ritrovo tra le mie braccia quando mi sveglio, con i capelli mossi e un velo di lenzuolo che le fascia il corpo.
Abbandono un braccio sugli occhi nel tentativo di trattenere la voglia di restare, proprio quando lei si volge sul lato opposto, concedendomi una via d'uscita.

Se credessi in Dio, penserei che mi stesse inviando dei segnali: vattene e non tornare indietro.
È una benedizione che creda solo in me stesso.

Chiudo l'ultimo bottone della camicia e mi concentro sul suo viso addormentato.
Imprimo nella mente ogni linea e curva che la rende la donna più bella che esista.

«Tornerò da te», appoggio flebilmente le labbra sulla sua fronte, «e allora ti dirò tutto ciò che sei per me.»

Mi infilo la giacca lungo il corridoio e il suo foulard mi cade ai piedi.
Lo sistemo nella tasca senza pensarci troppo; le ho lasciato questa casa, è il minimo che possa prendere in cambio.
Mi chiudo la porta alle spalle e rimango alcuni secondi appoggiato alla porta con i piedi cementati al pavimento.
Recupero il telefono e apro l'email dalla Real Hart: l'aquila reale mi ricorda che ho le ore contate. Entro in ascensore e faccio l'ultima cosa che avrei mai pensato di poter essere in grado di fare.

Firmo la mia condanna.
Con le mie stesse mani.





— 𝖢𝖤𝖨𝖫𝖤𝖭𝖠 𝖡𝖮𝖷 —

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Uno dei primi momenti rivelatori.
Alcune di voi lo avevano già intuito, ma vi anticipo che le sorprese sono appena cominciate.
Eros se ne va, e adesso?
Adesso vi attente un salto temporale nel passato e nel futuro.
Come sempre, niente spoiler: cosa, dove, come e quando lo scoprirete nei prossimi capitoli.
Sempre che decidiate
di continuare *fingers crossed*

Dubbi, impressioni/considerazioni, domande?
Vi aspetto nei commenti!
Mi raccomando, cliccate sulla stella
per votare <3

Ceil.

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