𝐈.
Quando riaprì gli occhi, la prima cosa che Delia percepì fu un dolore lancinante ai polsi. Si trovava in un stanza fredda, completamente di pietra e mai vista prima. E, proprio dove le faceva male, aveva strette due manette di ferro che, con una lunga catena corrosa dal tempo, erano fissate direttamente alla parete dietro di lei. Respirò a fatica, cercando di abituare gli occhi alla luce fortissima che fuoriusciva dall'unica finestra della stanza, in alto.
Non sapeva quanto tempo fosse rimasta svenuta, ma doveva aver subito davvero una bella caduta, perché sentiva dolore in ogni parte del corpo. Quando finalmente riuscì a mettersi seduta, notò che al fianco non portava più il pugnale del padre, e che il suo arco con le frecce era sparito. La veste che indossava era la stessa che aveva il giorno dell'attacco, solo più sporca e sgualcita.
-Delia! Delia, voltati!- sussurrò una voce, fin troppo familiare. Lei si voltò, e si ritrovò davanti il corpo giacente di sua sorella, che la stava guardando con le lacrime agli occhi.
-Cleo!- esclamò, ma subito lei le fece segno di abbassare la voce.
-Non urlare, Delia! Non voglio che tornino...- disse, riprendendo a piangere in silenzio -Io voglio andarmene, voglio ritornare a casa nostra!-
-Cleo, credo che questo sia impossibile al momento- rispose lei, indicando con un gesto della testa le manette che le bloccavano -E, esattamente, chi non vuoi che torni?-
Cleo si fece ad un tratto completamente silenziosa, lanciando uno sguardo verso la porta della stanza.
-Bene bene bene- tuonò improvvisamente una voce, che sembrava essere sgusciata tra le crepe delle pareti di marmo. Delia rabbrividì, ma l'espressione sul suo volto non vacillò neanche di un centimetro. Cleo, dall'altra parte, si morse il labbro per impedirsi di piangere -vedo che finalmente anche l'altra si è svegliata...-
Delia si rifiutò di alzare lo sguardo, fingendo di essere incredibilmente interessata al bordo della sua manica. Ad un tratto sentì una mano, fredda come il ghiaccio, piantarsi sotto al suo mento. A quel punto, fu costretta a guardare in faccia l'uomo che aveva davanti.
Aveva una zazzera di capelli rossastri, sui quali stava posata sbilencamente una corona d'alloro d'oro, e due occhi azzurri come il ghiaccio. Era pallido, dall'aria malaticcia, e quando sorrise Delia notò che tra i suoi denti ne spiccava uno dorato. Indossava un'ampia veste, nera e dorata, e una miriade di anelli intorno alle dita. Delia lo trovò ripugnante.
-Qual è il tuo nome, schiava?- le chiese e, sentendo quella parola, Delia sentì il sangue ribollirle nelle vene. Non rispose, ma continuò a fissare l'uomo dritto negli occhi. Lui si infastidì, e strinse la presa sulla sua mascella.
-Ti ho chiesto: qual è il tuo nome, schiava?- e ad ogni parola strinse ancora di più la presa. Delia, con gli occhi accecati dalla rabbia, fece la prima cosa che l'istinto le suggerì: conficcò i denti nella mano dell'uomo, che si allontanò da lei lanciando un urlo di dolore.
-Maledetta meretrice! Tu e tutta la tua stirpe! Non ti meriti di essere la mia schiava! Non meriti neanche di vivere, in verità! Ti ucciderò io stesso, adesso!- e, urlando quelle terribili parole, sfoderò dalla veste una lunga spada lucente. Delia guardò in faccia il suo assassino anche in quel momento, e continuò a farlo anche quando la porta della stanza si aprì di nuovo, questa volta con un grande colpo.
-Fratello, metti giù la spada- sibilò una voce. L'arma cadde con un tonfo sul pavimento, e Delia percepì un sospiro di sollievo provenire dalla sorella.
-La devi uccidere, fratello! Mi ha mancato di rispetto, e mi ha morso! È un comportamento inaccettabile!- continuava a blaterare il primo uomo, mentre l'altro camminava lentamente in direzione della spada. Delia lo studiò con attenzione, sempre tenendo la bocca perfettamente chiusa.
Era più alto del fratello, ma aveva gli stessi capelli rossi e la stessa corona a cingergli il capo. Lui, però, la indossava con più grazia, così come la veste nera che gli arrivava fino alle ginocchia. Anche lui indossava tantissimi gioielli, tutti dorati e adornati da pietre preziose. Quando li vide, entrambi nella stessa stanza, Delia capì chi si trovava davanti. E per un momento desiderò essere stata uccisa da quel soldato romano.
-Non ce ne sarà alcun bisogno, Caracalla- rispose calmo l'altro imperatore, percorrendo a lunghe falcate tutto il perimetro della stanza -lei è qui per essere una schiava. E una schiava sarà-
Impugnò la spada, avvicinandosi pericolosamente a Delia. Per la prima volta lei lo guardò fisso, incrociando i suoi occhi color miele. Le provocò un tale disgusto che, se avesse avuto il suo pugnale, glielo avrebbe volentieri ficcato in gola. Ma ora era lui ad avere un'arma, che le posizionò proprio sotto al mento, dove poco prima c'era la mano del fratello.
-Qual è il tuo nome?- chiese, guardandola dritta negli occhi -E vedi di ponderare bene la tua risposta. Non sono conosciuto per la mia clemenza-
Delia deglutì, sentendo la lama della spada sempre più vicina alla sua gola.
-Delia- rispose -Il mio nome è Delia-
Sul volto dell'imperatore comparve un ghigno che le fece rivoltare lo stomaco. Rivolse uno sguardo d'intesa al fratello, che si massaggiava impercettibilmente la mano.
-Delia, imperatore Geta- la incalzò lui, senza lasciare l'impugnatura della spada.
-Voi non siete il mio imperatore- sibilò lei e, con una smorfia sprezzante, indirizzò uno sputo ai piedi di Geta. Lui rimase immobile, senza alcuna reazione.
-Visto, fratello! E' una piccola insolente! Bisogna ucciderla...- iniziò ad urlare Caracalla, facendo per sfilare la spada a Geta. Ma lui l'allontanò.
-No...- mormorò, mettendosi in ginocchio fino ad arrivare all'altezza degli occhi di Delia -mi piace il suo caratterino. Non se ne trovano spesso, di schiave ribelli-
-Geta, io non ho intenzione di tenere nelle mie stanze una tale megera! Non posso sopportare l'idea di non poterla uccidere!-
Per qualche secondo, la stanza piombò in un totale silenzio. Delia sentiva solo, in lontananza, il respiro affannato di Cleo. Si voltò verso di lei, annuendo per confortarla, ma Geta interpretò questo suo gesto in maniera diversa, come un consiglio.
-Oh, non sarà necessario condurla nelle tue stanze, fratello. Porta l'altra con te. La ribelle verrà con me-
-Ma non erano questi i patti, Geta! Macrino aveva esplicitamente detto di affidare lei a me, e l'altra a te!-
-A Macrino un piccolo scambio non importerà neanche- tagliò corto Geta, alzandosi di nuovo in piedi. Quell'improvviso movimento d'aria lasciò Delia senza fiato.
-Una schiava vale l'altra, e ti ricordo che siamo sempre noi i suoi imperatori- aggiunse Geta, sistemandosi un anello intorno al dito medio -anche lui deve obbedirci-
Caracalla rimase in silenzio, per poi lanciare uno sguardo verso Cleo. Lei aggrottò le sopracciglia, con gli occhi ancora lucidi di lacrime. Le si avvicinò velocemente, come se fosse un curioso animale.
-Spero che almeno tu mi risponda, perché non ho intenzione di risparmiare un'altra schiava. Qual è il tuo nome?-
-Cleo- rispose subito lei, provocando nel volto di Caracalla un ampio sorriso.
-Oh, questa sì che è la schiava perfetta per me! Obbediente!- disse, felice, per poi estrarre una piccola chiave da una delle tasche della veste. Si avvicinò al corpo di Cleo e la liberò dalle catene, per poi stringerla subito per le braccia e condurla fuori dalla porta. Le due non ebbero neanche il tempo di rivolgersi un ultimo sguardo, che era già stata condotta chissà dove.
-Qui c'è la tua, di chiave- disse Geta a Delia, sventolandogliela davanti -o preferisci rimanere legata?-
Lei non rispose, e lui rise sprezzante.
-Non ti piace molto parlare, eh?- continuò, mentre procedeva a liberarla dalle catene. Quella vicinanza improvvisa provocò in Delia una rabbia ancora più grande di quella di prima, ma rimase comunque immobile.
Una volta libera, Geta non la strinse come aveva fatto Caracalla. Anzi, si allontanò da lei. Arrivò in un attimo alla porta, e rimase a guardarla con un ghigno.
-Chiedi ad un'altra schiava che trovi per i corridoi dove sono le mie stanze, e fattici portare. Io non ho tempo per accompagnarti né per mostrarti più neanche un minimo della mia misericordia. Alle sette in punto tornerò e, se non trovo un bagno alle rose perfettamente preparato nella mia vasca, non sarò più così clemente con te-
E, senza pronunciare più neanche una sillaba, lasciò Delia sola nella stanza.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro