Capitolo 5 - Se ti chiedo scusa
Solitamente il risveglio lontano da camera mia risultava traumatico, invece quella volta mi sentii stranamente riposata, abbastanza da svegliarmi prima degli altri.
Mi concessi un po' di relax, senza preoccuparmi di preparare la colazione.
Mamma e papà sarebbero tornati dopo qualche settimana e volevo che fosse tutto perfetto. Avevo iniziato a stilare una lista di attività da fare insieme. Tutto racchiuso nella mia agenda che per quel giorno invece non prevedeva impegni. Forse, il motivo del mio buonumore.
Non avrei permesso a nessuno di rovinarmi la giornata, neppure a Dante. Avevo deciso che non gli avrei rivolto parola o al massimo non gli avrei dato troppe attenzioni. Continuava a prendermi in giro e quella era una sorta di conseguenza.
Una delle mie regole, che per qualche motivo veniva ancora rispettata, era di fare colazione tutti insieme.
Preparai la tavola lasciando una scatola di cereali, latte, succo, biscotti e qualche merendina rimasta.
Per Amelia invece, uno yogurt alla vaniglia con pezzettini di cioccolato.
"Allora, avete avuto incubi stanotte?" domandò Adrian.
"No" fu Agnese a parlare.
"Io sì," interferì Dante, "ho sognato Ada. È stato molto spaventoso."
Lo fulminai con lo sguardo. Tutti gli altri cominciarono a ridere. E da lì misi in atto il mio piano e non ebbi alcuna reazione.
Cambiai discorso. "Ariele, sei riuscito a studiare ieri?"
"Sì, sono a buon punto. Il prossimo esame è tra poco."
"A proposito di esami, Adri. Tu non hai quello di maturità?" Fino ad allora non ne aveva mai parlato. Probabilmente era così poco interessato che aveva deciso di presentarsi senza studiare e con i primi vestiti presi a caso dall'armadio.
Adrian si ammutolì. Non avevo intenzione di chiedere a Dante, perciò ritentai. "Adri, ti ho fatto una domanda."
"Sì ecco... potrei non aver passato l'anno" ammise.
Qualche secondo per realizzare e poi reagii. "Cosa? Come hai fatto ad essere bocciato? Lo sai che ora ti tocca ripetere l'anno?"
"Sì beh, lo so Ada, grazie mille. Posso decidere da solo. Non sei mia mamma e anche se lo fossi, non mi sarei comportato diversamente!" Vidi una scintilla di rabbia nei suoi occhi. Non replicai, ferita dalle sue frasi. Continuava a ripetermi che non ero sua mamma, ma io lo sapevo. Perché specificarlo ogni volta?
Adrian si alzò dalla tavola. Nessun altro fiatò, neppure Ariele che era il maggiore. Piano piano tutti gli altri finirono di mangiare e si dileguarono. Rimasi solo io a sistemare.
"Sono stato bocciato anch'io" confessò Dante tornando in cucina. "Ma avrei voluto avere una minima reazione da parte dei miei."
Non risposi e continuai ad asciugare con un panno le stoviglie appena lavate.
"Penso che ad Adrian passerà, non ce l'ha con te. Forse si pente della scelta fatta." Non replicai.
"Ce l'hai con me?" domandò.
"Hei," e mi prese il panno dalle mani, "perché non mi parli?"
"Non te lo meriti" fu tutto ciò che dissi senza nemmeno guardarlo in faccia.
"Sbaglio o non ti ho ancora fatto niente?"
"Infatti, è questo il punto: che non l'hai fatto. Non mi hai chiesto scusa" gli feci notare.
"E per cosa?"
"Nemmeno tu ti comporti molto bene con me. Non fai altro che scherzare e prendermi in giro. E poi ti sei dimenticato di Agnese?"
"Non hai nominato la tazza. Questo è un traguardo!"
"Vedi? Ogni occasione è buona per deridermi."
"Certo, non c'è gusto sennò" e fece spallucce. Io sospirai e smisi di prenderlo in considerazione. Perciò lui se ne andò pensieroso.
Dopo aver finito di sistemare la cucina, passai alle camere, ma terminai dopo pochi minuti. Realizzando di non avere niente da fare, sbuffai, era così frustante.
Non dovevo pulire casa, o cucinare, o stirare vestiti...
Pensai a Luca. Adrian non mi aveva restituito il telefono, così tornai nella sua stanza e iniziai la mia ricerca.
"Questo è il momento in cui dovrei dire ad Adrian che sua sorella è una ladra?" fece Dante entrando, mentre io stavo rovistando nel primo cassetto del comodino.
"È lui il ladro ad avermi preso il telefono!" dissi. "Com'è possibile che sei ovunque?"
Sorrise. "Io sono sempre dove devo essere. Tu invece... non penso che Adrian apprezzerebbe il fatto che stai guardando tra le sue cose."
"Voglio solo riprendere il mio telefono."
"Per fare cosa? Chiamare Luca che nemmeno ti risponde? Provare a mandargli dei messaggi? Stare ore in attesa di un segnale da parte sua?" Fece due fischi consecutivi. "Svegliati e lascialo perdere."
Sarebbe stata una tipica frase da Adrian.
Incrociai le braccia imbronciando il viso. "Perché invece non lasciate perdere me?"
"Non ci piacciono le cose facili" rispose come se fosse ovvio. Che avrebbe dovuto significarmi?
Lo guardai confusa. "Nemmeno non avere Luca con me è facile."
"Oh ma dai, non hai altri amici?"
"No." La risposta arrivò talmente veloce che Dante rimase un attimo in silenzio.
Adrian entrò in camera e ci squadrò da capo a piedi. "Che ci fate voi qui?"
Invece di rispondere a parole, lo feci con i gesti. Con una mano simulai un telefono, con l'indice dell'altra lo indicai ripetutamente.
Dante scosse la testa allibito e divertito.
"Oh vuoi il telefono. Non puoi."
"Adrian, perché?" protestai.
"Vivi la vita Ada, è estate! Lascia perdere Luca."
"È facile per te che hai amici in ogni angolo! Io inizio ad annoiarmi però."
"Allora esci con Dante, stava giusto andando al supermercato."
Intuii il motivo per cui si trovasse nella stanza di mio fratello, probabilmente per prepararsi a uscire.
Mi girai verso l'amico e lo guardai con aria interrogativa. "E tu che vai a fare al supermercato?"
"Quello che vanno a fare le altre persone?" Non mi piaceva il suo modo di canzonarmi.
"Sono finiti i gelati e Dante si è proposto di andare a comprarli dato che io non ho voglia" spiegò Adri.
Fare rifornimento di gelati era un'idea allettante.
Dante stava aspettando una mia risposta, sembrava proprio temere che andassi con lui. Ridussi gli occhi a due piccole fessure, abbozzai un sorriso maligno e dissi: "Okey, vado con lui."
"Wow, Ada sta mettendo piede fuori casa. Un applauso!" esclamò Adri quando arrivammo alla porta per uscire e tutti lo seguirono battendo le mani. Imbarazzante.
In macchina non fiatai, mi sforzai di tenere il broncio per quanto possibile. A quanto pareva non passai inosservata.
"Continuerai a tenermi il muso per sempre?" Finché ce n'era bisogno, ma non lo dissi. Guardai fuori dal finestrino.
"Allora," cominciò una volta entrati nel supermercato, "il reparto dei gelati è di là. Io vado a prendere qualche energy drink e ti raggiungo, va bene?"
Non risposi. Roteò gli occhi e si allontanò. Io mi diressi nei banchi frigo. Ispezionai i gelati uno per uno. Per partire presi una confezione di ghiaccioli classici, per poi cambiare idea e prendere quelli al gusto tropicale. Ad Andrea piacevano le coppette bigusto, panna e cioccolato, così aggiunsi anche quelle. Scelsi una vaschetta con quattro gusti differenti, infine una confezione di Maxibon.
Quando constatai che potessero bastare, andai nella direzione delle casse per poi ricordare che non ero venuta da sola. Iniziai a camminare tra i vari reparti in cerca di Dante.
Non lo trovai nella sezione delle bibite, così tornai dove mi aveva indicato di andare all'inizio. Neanche lì. Sbuffai al limite dell'esasperazione. Non avevo neppure il telefono per chiamarlo!
"Forse era tutta una tattica per abbandonarmi qui..." iniziai a pensare tra me e me.
Ad un certo punto sentii una voce. "La signorina Ada è attesa in cassa numero due. Ripeto, Ada in cassa numero due."
Dopo un attimo di esitazione e confusione, corsi alle casse e proprio lì trovai Dante.
"Oddio" fece lui, "ti ho cercato ovunque. Pensavo fossi scappata."
"E io che mi avessi lasciato qui."
"E perché lo pensavi?" Inarcò un sopracciglio.
"Forse perché mi odi?" Appoggiai le confezioni sul nastro trasportatore. Avevo le braccia congelate.
"Io non ti odio" disse confuso con un filo di voce.
Quando arrivammo in macchina, soddisfatta degli acquisti e affamata, aprii una delle confezioni di Pirulo Tropical per mangiare un ghiacciolo. Lo offrii anche a Dante, ma rifiutò.
"Non potevi aspettare di arrivare a casa?"
"Se aspetto poi non mi va più." Iniziai ad assaporarlo. "No, okay, forse non è vero."
Rise contagiando anche me. La mia missione 'broncio' stava fallendo miseramente. Cancellai il sorriso dalla faccia e tornai seria. Come per istinto se ne accorse.
"Ancora" brontolò. Sterzò con il volante per accostare su un lato della strada.
Mi impanicai "Che fai? Ho solo sedici anni! Ho una famiglia! Una vita davanti! Devo ancora leggere l'ultima pagina del diario di nonna! Voglio rivedere i miei genitori! Provare i nuovi gelati della Ferrero Rocher! Non ho ancora dato il mio primo bacio!"
Spalancò gli occhi, probabilmente sorpreso dalla mia reazione inaspettata, e scoppiò in una fragorosa risata. Lo guardai male.
"Vinceresti sicuramente il premio per la persona più drammatica al mondo!" dichiarò tra le risate. "Questa la devo assolutamente raccontare ad Adrian."
"Lascia stare mio fratello. Piuttosto, perché ti sei fermato?"
"Continui a tenermi il muso e voglio che la smetti."
Il tono e le parole usate non facevano altro che aumentare la mia irritazione. Chiaramente non sapeva come rivolgersi alle persone senza farle alterare.
"E se non la smetto cosa fai?" lo provocai.
"Non ti riporto a casa."
Bene, gli piaceva sfidarmi, ma anche io non ero da meno. Aprii lo sportello della macchina con l'intenzione di tornare a casa da sola. Sapevo che ci volevano pochi minuti, non mi sarebbero costati la vita, se non fosse stato per il sole cocente.
"Che fai? Torna qua" disse Dante uscendo anche lui dall'auto e raggiungendomi. "Sei pazza?"
"Forse."
"Va bene, hai vinto tu. Non ti darò più fastidio, torna in macchina o Adrian mi uccide." Ne dubitavo, del fatto che non mi avrebbe più stuzzicato, ma qualcosa mi fece rientrare in macchina. Forse la poca voglia di fare una camminata, o forse il caldo afoso.
Appena riprese la marcia, cominciò a parlare. "Veramente non hai dato il tuo primo bacio?"
"Beh, e allora?"
"Niente, era curiosità."
"Non sono affari tuoi."
"Sei tu ad averlo confessato!" Silenzio.
"Noi due dovremmo stare distanti o finisce che uno uccide l'altro."
"Sì hai ragione." Lo pensavo da quando aveva messo piede in casa, perché dopo un secondo aveva già infranto due delle mie regole, poi un'altra ancora. Continuava a rompere l'equilibrio e non poteva che essere qualcosa di negativo.
"Ada" riprese la mia attenzione quando parcheggiò di fronte a casa. Tentennò come se le parole gli si fossero bloccate in gola. "Se ti chiedo scusa... cosa cambia?"
La sua domanda mi destabilizzò. Sembrava un bambino inesperto che chiedeva informazioni alla madre per ogni piccola curiosità.
Per un attimo disattivai la modalità 'attacco' e gli risposi con tutta sincerità. "Tutto. Inanzitutto invece di continuare a sbagliare, rimedieresti in parte all'errore. Io capirei le tue buone intenzioni e smetterei di pensare che non ti importa niente delle emozioni altrui. Se non lo fai invece, rimarrei convinta che sei una persona egoista e senza sentimenti."
"Alla fine è un pensiero che hai tu, cosa cambia a me?"
"Se non ti interessa di ciò che penso, non ti avrebbe nemmeno infastidito il mio broncio. Poi la scelta è tua."
Mi aspettavo di tutto, ma non "Ma io non riesco."
"Cioè, non ce la fai a dire scusa?" Ridacchiai quando scosse la testa. "Inventati qualcosa! Allenati, canticchia la parola come una canzone, scrivila su un foglio..." abbozzai qualche idea continuando a sorridere.
Presi le confezioni di gelato e le bevande energetiche e uscii dall'auto per andare a metterle in frigo, con un sorriso genuino ancora stampato in faccia.
Adrian si era stupito del nostro ritardo e mi limitai a spiegargli l'accaduto al supermercato. Si sentì costretto a ridarmi il telefono.
Avevo smesso di pensare a Luca. La situazione non era cambiata: nessuna chiamata e nessuna risposta.
Così iniziai una serie di attività per distrarmi e passare il tempo. Cominciai dalla lettura di un libro sdraiata sul divano. Dopo varie posizioni scomode, decisi di uscire in giardino e tentare qualche canestro con la palla da basket. Il gioco si fece ripetitivo, perciò rientrai in casa e mi aggiunsi ai gemelli intenti a unire i pezzi di un puzzle. Dopo averlo realizzato per sei volte di fila con gli unici dieci pezzi di cui si componeva, passai in camera di Amelia.
Sbuffò appena aprii la porta. Intuii che non era il momento adatto e la lasciai sola.
Avrei dovuto iniziare qualche nuovo hobby. Magari giardinaggio, lavoro a maglia o imparare una nuova lingua. Già immaginavo tutte le prese in giro di Adrian.
La sera mi misi ai fornelli per preparare la cena in totale tranquillità. Nessuno mi disturbò e non tardai a capirne il motivo. Mio fratello spiegò che Dante non sarebbe rimasto a mangiare. Inizialmente fui tentata di sapere cosa avesse da fare o se sarebbe tornato, poi la curiosità mi abbandonò. Avevo altre preoccupazioni a cui pensare.
Agnese mi aiutò ad apparecchiare la tavola, Amelia era troppo preoccupata a lamentarsi del suo taglio di capelli.
"Cos'è che non ti piace?" le chiesi.
Prese una ciocca di capelli e me la mostrò. "Guarda! Guarda! I miei capelli hanno la stessa lunghezza. Nemmeno le mie bambole ce l'hanno così brutti."
Tutti intorno risero, io cercai di rimanere seria perché stava guardando me e non volevo che se la prendesse.
"A proposito... ho ritrovato una ciocca di capelli finti in camera mia qualche giorno fa!" disse Adrian. Amelia lo ignorò, ma sapevamo tutti che ogni tanto tagliava i capelli alle sue Barbie.
"Posso prenotarti un appuntamento dalla parrucchiera" proposi a quel punto.
"No. Io non resisto!" continuò a lagnarsi.
"Allora te li taglio io" pensai e rimase in silenzio, segno che il suo fosse un consenso.
Me ne occupai poco dopo aver finito di cenare, ma non prima di aver messo tutto in ordine.
Amelia mi aspettò in bagno con un paio di forbici in mano.
Non avevo bisogno di grandi doti per accorciare leggermente i ciuffi, giusto quel centimetro per farla contenta.
Si guardò allo specchio e parve soddisfatta.
"Ora vado a fare la stessa acconciatura a Sofia!" Una delle sue bambole maltrattate.
"Attenta a non lasciare capelli in giro!" urlai per farmi sentire, siccome aveva già raggiunto la camera.
Avevo voglia di fare qualcosa, mi sentivo carica, ma non riuscivo a pensare a nessuna attività che potesse adeguarsi al mio spirito.
Ciò che rimaneva da fare era una passeggiata. Quello era il momento della giornata in cui preferivo uscire a camminare.
Presi le cuffiette e mi affrettai prima che si facesse troppo buio.
"Stai uscendo?" chiese Adrian.
"Sì. Tu non fai niente? Non hai chiamato nessuno?"
"In realtà sto aspettando Diego ed Enea. Non preoccuparti, non faremo casino." Mi conosceva troppo bene e riusciva a prevedere le mie preoccupazioni.
Lo salutai. Quando aprii la porta per uscire, trovai Diego, Enea e Dante con la mano vicino al citofono intento a suonare. "Mi hai preceduto" fece quest'ultimo.
"Ciao ragazzi" dissi ancora alla porta, poi uscii e ripetei la stessa frase.
"Aspetta, dove vai?" domandò sempre lui.
"A fare una passeggiata."
"Da sola?"
"Sì."
"A quest'ora?" continuò.
"Sì." Dante mi studiò per capire se facessi sul serio.
"Adrian!" lo chiamò alzando la voce e mio fratello ci raggiunse fuori. "Lasci che Ada vada fuori da sola di notte? Non so se siete più matti dei maniaci che ci sono in giro!"
"Non è la prima volta che lo fa" spiegò Adri. Di solito nessuno mi impediva di fare le cose in casa, forse perché avevano l'impressione che già mi imponevo abbastanza limiti.
L'amico rimase a bocca aperta. "Io vengo con te, non voglio averti sulla coscienza."
Notai Diego ed Enea sogghignare. La somiglianza con Luca mi fece di nuovo uno strano effetto e iniziai a sentire un po' di nostalgia.
Non volevo Dante con me, ma sarebbe sicuramente iniziata una discussione e non avrei rinunciato alla mia camminata serale. "Va bene, ma devi rimanere in silenzio altrimenti vado da sola."
"Muto come un pesce." Stranamente mantenne la parola. E con la mia cuffietta nell'orecchio destro, camminavamo per le strade uno di fianco all'altro.
Lo controllai per intuire i suoi pensieri, ma appena mi girai, lo fece anche lui e finimmo per incrociare i nostri sguardi. Scostai il mio subito, imbarazzata, e da lì smisi di voltarmi.
Nonostante gli avessi chiaramente chiesto di non rivolgermi la parola, fui io a parlare. "Dov'eri?"
"A casa."
"Oh," la risposta mi sorprese, "e come va?"
"Non mi interessa in realtà. Sono andato a prendere la mia moto e qualche vestito così non rubo quelli di Adrian."
"A me non li fa nemmeno toccare i suoi vestiti!" Spalancai la bocca indignata.
"E perché vuoi i suoi vestiti?" domandò curioso.
"Quelli maschili sono più belli e comodi. Tutte le ragazze amano le felpe oversize... adesso che è estate mi accontenterei di una maglietta."
"Hei Ada" cambiò discorso. Lo guardai per fargli capire che aveva la mia completa attenzione. "Tornando a casa, ho riflettuto. Mentre prendevo le cose dall'armadio, sentivo mia mamma parlare al telefono e si stava lamentando di mio padre."
"È normale no? Quando due genitori divorziano è perché non vanno più d'accordo."
"Sì sì, ma ecco, mio padre ha fatto un grande errore in passato e da lì hanno iniziato a litigare. Non l'ho mai sentito dire scusa e forse avrebbe fatto anche una minima differenza ammettere i propri errori. Perciò, scusa."
Il suo discorso mi sorprese. Sembrava così infantile, un bambino alla scoperta del mondo.
Forse i suoi genitori non erano stati abbastanza presenti da dargli i giusti insegnamenti. Per un attimo sentii una certa connessione, come se potessi capirlo e leggere tutti i suoi pensieri. Ma durò poco e sorrisi lievemente.
Non dissi altro, lasciai che quel momento non fosse distrutto. Continuammo a camminare nell'aria immota, circondati dal silenzio della notte.
Dopo poco iniziai a percepire la stanchezza e rallentai il passo. Dante se ne accorse e chiese se mi facesse male qualcosa.
"No, ma credo che è meglio se torniamo" ammissi affannata.
"Hai ragione." Guardò il cielo che nel frattempo si era riempito di stelle. "È stato bello camminare oggi. Era da tempo che non lo facevo e mi ero dimenticato di quanto fosse rilassante."
Il mio modo preferito per svuotare la mente o caricarla di pensieri, tutto in solitudine. Anche se dovevo ammettere che la compagnia non mi era dispiaciuta. Mi sentivo ancora più tranquilla con una persona vicino. Solitamente avevo un passo veloce perché i luoghi isolati mi inquietavano e impaurivano, per quanto volessi negarlo.
"Continuo a chiedermi come possano i tuoi fratelli lasciarti uscire da sola in piena notte!" mormorò.
"Credi che non possa cavarmela?"
"Sai che non intendo questo."
Giungemmo alla porta di casa. Per tornare avevamo accellerato nonostante le scarse energie.
Quando entrammo, trovammo gli altri sul divano a giocare a carte. Guardai Dante come per fargli capire che non mi sarei trattenuta oltre e lui parve essere dello stesso avviso.
Dopo qualche occhiata sospetta da parte di Adrian, ci dirigemmo nelle camere per dormire.
"Buona notte" sussurrai prima di entrare nella mia stanza facendogli un cenno con la mano. Rimasi leggermente delusa dal fatto che non disse niente.
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Autrice
Dante ma che combiniii? Gliela date voi la buona notte ad Ada?
Ada e Dante sempre più vicini, cos'altro può farli avvicinare?
Nell'attesa di scoprirlo, lasciate segno del vostro passaggio 🌟💬
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