Capitolo 29 |Piacevoli deja-vu e l'ordine dei trascendenti|
<Ma perché è sempre così traumatico?> mugugnai tra me e me, tenendomi il capo tra le mani.
Questa volta la nausea si era triplicata, tanto che fui ad un passo dal rigurgitare anche l'anima.
Una mano mi alzò delicatamente il mento.
<Tutto okay?> chiese Xavier.
Il suo tono aveva un'insolita punta di premura mentre i suoi occhi di vetro mi ispezionavano attentamente.
<Si, grazie> sussurrai.
Vederlo quasi... preoccupato per me mi straniva, e non poco.
Ero talmente ipnotizzata da lui che mi dimenticai completamente di qualsiasi malore.
Qualcuno da dietro di noi si schiarii la voce.
<Il mio lavoro qui è terminato> disse timidamente Dimitri.
Xavier si allontanò da me per raggiungere l'amico, regalandogli due pacche sulla spalla esile. Fortunatamente non furono troppo forti.
<Grazie Dimitri. A buon rendere> pronunciò. Ringraziai a mia volta.
<Non ho la più pallida idea di cosa stiate combinando> iniziò lui con espressione seria.
<Mi fido di voi e non dirò niente a nessuno di tutto questo. Vi chiedo solo di stare attenti> concluse.
Così, dopo averci rivolto un ultimo saluto, sparì dai nostri occhi, teletrasportandosi nuovamente.
Fino a quel momento non avevo nemmeno prestato attenzione a dove mi trovassi.
Eravamo in una sorta di deserto. Un deserto particolare, di certo non uno di quelli che trovi sui libri di geografia.
La sabbia -sottile come la più finissima delle polveri- era di un particolare colore aranciato, brillante e vivace.
Non faceva caldo, per niente. A dirla tutta non faceva neanche freddo.
Era come se un clima vero e proprio non esistesse.
All'orizzonte non vi era nulla se non una linea netta che separava la distesa sabbiosa dal cielo. E che cielo.
La classica superficie di colore azzurro a cui tutti eravamo abituati, era invece di un colore oltremodo insolito.
Uno splendido color lavanda con striature più chiare in alcuni punti e nemmeno una nuvola a macchiare quella distesa quasi onirica.
<Wow> sussurrai meravigliata.
<Ma... dove si trova la sede dell'ordine dei trascendenti? Siamo praticamente in mezzo al nulla> chiesi, rivolgendomi verso Xavier.
Non rispose. Sorrise lievemente difronte la mia confusione.
Poi si girò, chiuse gli occhi e portò entrambe le sue mani sulle tempie, posizionandovi due dita su ciascuna di esse.
Iniziò poi a pronunciare una strana formula:
<Vi invochiamo, fratelli trascendenti. Invochiamo il vostro potere. In nomine Mysteria>.
Non appena finì di parlare la terra iniziò a tremare. La prima cosa che mi venne in mente fu: "Solo il terremoto ci mancava".
Fortunatamente finì prima ancora di quanto mi aspettassi.
Mi guardai intorno, confusa. Non era successo assolutamente nulla.
<Sicuro di aver pronunciato le parole giuste?> chiesi, risultando vagamente sfrontata.
Xavier -con il suo solito cipiglio in volto- stava sicuramente per lanciarmi una delle sue risposte sgarbate quando, ad un tratto, la sabbia sotto i miei piedi iniziò a sprofondare in una sorta di voragine.
Cacciai un urlo che avrebbe potuto far tornare l'udito anche ad un sordo.
Venni prontamente afferrata dalla stretta salda di Xavier che, tenendomi stretta a se, allontanò entrambi da quel punto.
Tuttavia la sua mossa apparentemente ben studiata fallì nell'atterraggio.
Cademmo entrambi a terra, provocando un sonoro tonfo, all'apparenza anche doloroso.
Potei solo dedurlo, visto che a cadere di spalle fu Xavier. La mia caduta era stata attutita dal suo petto solito.
Il mio volto era ad un palmo dal suo. Lo vidi fissarmi con i suoi occhi di vetro, poi sorrise malizioso.
<Rimanda la radiografia a più tardi e togliti da sopra di me> disse spocchioso.
Sorrisi. Capii tempestivamente a cosa si stesse riferendo.
<Ma quale radiografia? Razza di imbecille...> recitai, continuando a sorridere.
Era davvero passato così tanto tempo dal nostro primo incontro?
<Piccola ingrata> ribattè, stringendo i miei fianchi.
Adoravo questo suo lato spensierato. Molto spesso sembrava quasi dimenticarsi di essere solo un ragazzo.
Alzai lo sguardo, rimanendo strabiliata da ciò che si è era materializzato davanti a noi.
Una lunga trafila di maestosi archi che sembravano continuare all'infinito.
<Per quanto mi piaccia questa posizione, dovremmo alzarci da terra> disse Xavier, alludendo ad altro.
Lo guardai torva, spostandomi agilmente da sopra di lui.
<Sei uno stupido> borbottai, arrossendo.
Pulii la mia tuta dagli ultimi residui di sabbia mentre i miei occhi studiavano minuziosamente la struttura di fronte a noi.
<Dove porta questa sorta di tunnel?> chiesi.
<Lo scoprirai> rispose Xavier, iniziando ad avviarsi senza preoccuparsi se lo so stessi seguendo o meno.
<Aspettami!> brontolai, allungando il passo per raggiungerlo.
Attraversammo il lungo corridoio di archi dai quali si intravedevano a intermittenza vari porzioni del cielo violetto.
L'unica fonte di rumore era il suono dei nostri passi. Soltanto dopo aver percorso un gran numero di metri arrivammo in quella che aveva tutta l'aria di essere un'enorme piazza racchiusa da una cupola bianca.
L'eco dei nostri passi che battevano sul pavimento marmoreo si propagò in tutto lo spazio, rimbombando intorno a noi.
Non c'era nulla nei dintorni se non asettiche pareti bianche.
<Chi siete, fratelli?>.
Una voce mascolina e anziana riecheggiò nelle mie orecchie, come un urlo proveniente dalla vetta di una montagna.
<Siamo Xavier Ksander e Soleil...> si bloccò, girandosi a guardarmi.
Vedevo l'esitazione nei suoi occhi. Non sapeva quale cognome utilizzare.
Come potevo dargli torto? Non lo sapevo nemmeno io.
Gli sorrisi lievemente, esortandolo a continuare.
<Siamo due studenti dell'Arcane Academy. Siamo venuti fin qui perché ci serve il vostro aiuto> spiegò.
Attendemmo una risposta che tuttavia tardò ad arrivare.
All'improvviso davanti a noi comparvero intensi fasci di luce bianca che quasi mi accecarono.
Capii di non essere stata l'unica colta alla sprovvista grazie alle innumerevoli imprecazioni provenienti dalla persona al mio fianco.
La luce finalmente si affievolì, sparendo del tutto.
Davanti a noi disposti in semicerchio vi erano sei figure: tre donne e tre uomini anziani.
Avevano tutti capelli argentei raccolti in una lunga treccia. Indossavano tuniche bianche lunghe fino ai piedi. Al centro di esse vi era ricamata con fili d'oro una splendida rosa.
Sgranai gli occhi quando riconobbi quella tunica.
È la stessa del sogno.
Com'era possibile? Non l'avevo mai vista prima d'ora indosso a qualcun altro.
<Venite avanti> parlò la stessa voce di prima.
Avanzammo di qualche passo verso di loro.
<Non aspettavamo alcuna visita quest'oggi> parlò l'uomo. Sembrava essere il più anziano.
<Lo sappiamo> disse Xavier, avanzando di qualche passo.
<Si tratta di una cosa urgente e per evitare che si venga a sapere che siamo qui abbiamo scelto di non annunciare il nostro arrivo. A tal proposito preferiremmo che la nostra "visita" rimanga inter nos> continuò, con tono sicuro e autoritario.
<Ramona non sa che siete qui?> chiese una delle sorelle.
<No> rispose lui, secco.
<Qual è il motivo di tanta urgenza allora?>.
Xavier si girò verso di me, esortandomi con il capo ad avanzare. Seguii le sue indicazioni, titubante.
<Digli tutto Soleil. Anche del diario> sussurrò.
Annuii, girandomi verso la schiera dei sei fratelli.
<Riesco... a sentire una voce che le altre persone non sentono. Inizialmente credevo provenisse dall'esterno. Poi ho capito che non era così. La voce proveniva dal mio interno. Come se fosse insita nella mia mente. Mi parla, farfuglia cose strane che non capisco. La prima volta che la sentii ero in biblioteca; mi condusse fino a questo>.
Frugai nella tasca della tuta, estraendo il diario.
<Prima era interamente scritto al suo interno. Poi -non so come- è scomparso tutto. Sono rimaste semplici pagine vuote> dissi, mostrandolo verso di loro.
<Ha un genere questa voce?> mi chiese uno dei fratelli.
<Si. Penso si tratti della voce di una donna> risposi.
Vidi i loro volti perplessi scrutarsi tra di loro.
<Vieni. Posizionati al centro>.
Camminai lentamente verso di loro, ponendomi esattamente al centro di quel cerchio umano.
L'uomo anziano e barbuto -non sapevo ancora quale fosse il suo nome- si avvicinò a me, prendendo la mia mano tra le sue. Erano raggrinzite, come le mani di qualsiasi anziano. Non appena la mia entrò in contatto con la sua, esalò di poco.
<Sei un ibrido> affermò stupito.
<Si. Metà mutaforma e metà manipolatrice degli elementi> risposi decisa.
<Tu sei la discendente dei Blanc e dei Romanov. L'unica erede delle due dimensioni> ribattè, più stupito di prima.
Non risposi. Ero sconcertata da tutto quell'interesse ma dopotutto non li biasimai. Non era una situazione da tutti i giorni.
<Fratelli, avvicinatevi> ordinò, continuando a fissarmi con i suoi piccoli occhi ebano.
Li vidi posizionarsi tutti intorno a me, con le loro tuniche bianche che volteggiavano morbide. Erano esattamente come nel sogno. Ancora non riuscivo a capire come fosse possibile.
<Siediti sui polpacci, in ginocchio> mi disse.
Mi girai titubante verso Xavier che osservava attento la scena.
"Fallo" mimò con le labbra. Sapere che fosse lì mi rassicurò parecchio.
Eseguii meccanicamente ciò che mi era stato detto.
Posizionarono le loro mani sul mio capo -una sopra l'altra- e chiusero gli occhi.
Iniziarono a mormorare delle frasi all'unisono. Erano in un'altra lingua ma non riuscii a capire quale.
Forse latino? Non ne ero sicura.
Gradualmente alzarono il tono della voce, ripetendo quelle frasi con insistenza.
Sembravano essere quasi in difficoltà.
Improvvisamente senti le mie orecchie fischiare come una locomotiva a vapore impazzita.
Portai le mani a coppa su di esse mantre i fratelli continuavano a recitare quelle frasi.
<Basta!> urlai, stringendo i palmi delle mie mani sulle orecchie.
Non si fermarono. Il fischio aumentò, tanto che ebbi paura che i miei timpani scoppiassero.
Fu allora che lo sentii: un urlo agghiacciante provenire dalla mia testa.
Un urlo così forte che avrebbe squarciato in due la gola di qualsiasi essere vivente. Fu lì che scoppiai.
<BASTA!>.
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