Capitolo 24 |La realtà a volte inganna|
Mi sdraiai dolorante sulla dura panca di legno della sala.
Quel giorno il professore Alas volle cominciare l'allenamento un'ora prima.
Inutile dire che il mio animo perennemente pigro non fu assolutamente d'accordo.
<Coraggio Soleil. Siamo ancora all'inizio> mi incoraggiò lui.
Alzai di scatto la testa, incredula.
<L'inizio? È da due ore che mi fa mutare. Probabilmente avrà visto più animali oggi che allo zoo> borbottai esausta.
Difronte alla mia piccola sfuriata il suo sguardo si addolcì ma non disse una parola.
<In piedi> ordinò deciso.
Sbuffai silenziosamente e con gran fatica seguii i suoi ordini, posizionandomi al centro della sala.
<Credo che ora tu sia pronta per passare ad un livello successivo>.
Lo guardai confusa <Sta parlando del mio secondo potere?>.
<No. Non ancora> rispose deciso.
Non mi stupii più di tanto. Nonostante avesse detto alla preside che mi avrebbe aiutata a risvegliare il mio potere latente ancora sosteneva che non fossi pronta.
Lo vidi allontanarsi e sparire dietro una delle colonne.
Quando ritornò, con il suo solito andamento lento, notai che in mano stringeva qualcosa.
<Ecco> posizionò l'oggetto difronte a me.
Era una foto.
Raffigurava l'immagine di un ragazzo che avrà avuto pressappoco la mia età.
Il suo volto sorridente era quasi rassicurante e i suoi capelli, biondi e sbarazzini donavano brillantezza a quel volto così vivace.
<Trasformati> sentii dire dal professore.
<Cosa?> lo fissai scettica.
Non avevo mai provato a mutare in una forma umana, credevo fosse impossibile.
<Fallo. È lo stessa cosa di quando ti trasformi in un puma o una tigre. Ora che hai la foto davanti focalizza il suo volto nella tua mente. Questa volta però immagina che il tuo corpo sia fatto d'argilla. Il dolore sarà praticamente nullo> spiegò.
Ancora non del tutto convinta provai a seguire i suoi consigli.
Guardai la foto un'ultima volta, studiandone ogni dettaglio. Poi finalmente chiusi gli occhi.
Durante gli allenamenti avevo appreso varie tecniche per trasformi molto più velocemente.
Una volta che ebbi focalizzato l'immagine nella mia mente seguii il consiglio del professore, immaginando che il mio corpo fosse plasmabile, come fatto d'argilla.
Il mio corpo iniziò a formicolare. Strinsi i denti, aspettando con ansia la parte solitamente più dolorosa.
Improvvisamente il formicolio cessò e tutto sembrò tornare alla normalità.
Quando aprii gli occhi vidi il professore fissarmi con occhi strabiliati.
<Non ha funzionato> dissi ovvia.
Il professore scosse la testa, continuando a guardarmi quasi commosso.
<Chiudi gli occhi> mi disse.
Nuovamente seguii le sue indicazioni. Lo sentii spostare qualcosa di fronte a me.
<Aprili> ordinò, e lentamente schiusi le palpebre.
Quello che vidi mi fece rimanere a bocca aperta.
Posto difronte a me vi era uno specchio dal cornicione dorato.
Al suo interno, dove avrebbe dovuto esserci il mio riflesso, c'era invece quello di un ragazzo.
Osservai il fisico asciutto e mascolino, tastai con le mie mani affusolate i capelli, biondi come il più dolce dei mieli.
E in fine gli occhi, profondi come un mare in tempesta. Erano così familiari.
Mi ero mutata nel ragazzo della foto.
<Ci sono riuscita> dissi sottovoce, entusiasta come non mai.
<Sai chi era questo ragazzo?> chiese il professore.
Scossi distrattamente il capo, continuando a fissare il mio riflesso, incredula.
<Elijah Romanov. Tuo padre>.
In quel momento quasi mi dimenticai come si respirasse.
Mi avvicinai allo specchio e portai una mano sul mio volto, accarezzando la guancia morbida.
Colui che vedevo nello specchio era mio padre.
L'uomo che aveva contribuito alla mia nascita e di cui non conoscevo nemmeno il volto.
<Papà...> sussurrai, provando a reprimere il magone che sentii in gola.
Il professore si avvicinò allo specchio così che il suo riflesso fosse a fianco al mio. Anzi, a quello di mio padre.
Mi ero sempre chiesta come fosse il suo aspetto o se gli somigliassi almeno un po'. Finalmente potevo osservarlo con i miei occhi, malgrado io sapessi che quello non fosse davvero lui.
<Era un ragazzo davvero irrequieto. Ho ancora impressa nella mia mente l'immagine della sua testa che spuntava dalla porta della mia classe con quel sorriso raggiante e lo sguardo di chi sapeva di averla fatta grossa. Non c'è stata una singola volta in cui è stato puntuale alle mie lezioni. Diciamo che questo è un dono di famiglia...> disse sorridendo, gli occhi nostalgici.
Sorrisi a mia volta. Finalmente avevo capito da chi avevo ereditato questo piccolo difetto. Il mio cuore quasi esplose di gioia sapendo che avevamo qualcosa in comune.
<Era un eterno Peter Pan. Mise la testa a posto solo quando conobbe tua madre. Era l'uomo più determinato che io abbia mai conosciuto. Avrebbe scavalcato anche il più alto dei Monti per raggiungere i suoi obbietti> continuò <Era destinato a grandi cose>.
Era destinato a grandi cose.
Quella frase mi fece rabbrividire. La vita di un ragazzo tanto giovane, di mio padre, strappata via così ingiustamente.
Quante cose avrebbe potuto raccontarmi, quanti baci avrebbe potuto darmi, quante volte sarebbe potuto venire alla mie recite scolastiche, quante volte avrei potuto recitare la poesia per la festa del papà.
Quante cose abbiamo perso.
Chiusi gli occhi, ormai annebbiati dalle lacrime, e tornai alla mia forma originaria.
Quando li aprii nello specchio vi era solo il mio triste riflesso.
Solo in quel momento mi resi conto di quanto i nostri occhi fossero così simili.
<Per oggi basta così. Ti sei impegnata molto ultimamente> disse il professore.
Quando si accorse del mio inusuale silenzio si girò a guardarmi.
<Tutto bene Soleil?> chiese apprensivo.
Con lo sguardo ancora fisso sul mio riflesso dissi sottovoce <Sembrava così reale. Per un momento pensai lo fosse davvero>.
Sentii una mano poggiarsi delicatamente sulla mia spalla.
<La realtà a volte ci inganna. Ma ricorda: non è reale ciò che tocchi con mano. È reale ciò che ti provoca emozioni. I sentimenti sono la cosa più astratta ma al contempo più autentica che ci sia>.
Continuò a parlare, guardandomi dallo specchio.
<Tu hai sempre amato tuo padre. Nonostante fino ad oggi non ne conoscessi neanche il suo volto. Nonostante le menzogne di tua nonna. Questo è un legame che va oltre la realtà. Finché manterrai intatto questo sentimento, tuo padre continuerà a vivere dentro di te>.
Sorrisi. Quelle parole erano probabilmente le più belle che qualcuno mi avesse rivolto da quando ero arrivata lì.
<Grazie> sussurrai.
Continuò ad osservarmi, regalandomi qualche pacca leggera sulla spalla.
All'improvviso qualcosa si schiantò contro la porta, provocando un potente tonfo.
Ci girammo di scatto verso di essa, constatando che fosse ancora chiusa.
<Merda> sentimmo.
Felix.
Si era offerto di venirmi a prendere dopo gli allenamenti ma figuriamoci se riusciva a non combinare danni.
<Puoi andare Soleil, possibilmente prima che il signorino Speller mi distrugga la porta> rise il professore.
Sorrisi in evidente imbarazzo <Arrivederci professore>.
Mi diressi poi verso la porta, riuscendo perfettamente a sentire tutte le scabrose imprecazioni di Felix.
~~~
<Ti odio> dissi a denti stretti, cercando di non far cadere la catasta di libri che Felix aveva piazzato in mezzo alle mie braccia.
<Dovresti essere contenta del fatto che io mi sia applicato così tanto allo studio...AH!> inciampò nei suoi stessi piedi, riuscendo però a mantenere i libri in equilibrio.
<Ma dov'è Dusha quando serve? Li avrebbe fatti fluttuare come fossero piume> borbottò.
<Prima che ti scagli questi libri contro, mi dici dove li dobbiamo portare?> chiesi affaticata.
<Nella sala comune mista> spiegò.
Sbiancai come un lenzuolo.
<Mi stai dicendo che dobbiamo salire le scale con questa catasta di mattoni?> alzai la voce.
<Quante storie per due rampe di scale. Piuttosto, perché non muti in un canguro? Potremmo mettere i libri nel marsupio e con due salti saresti già arrivata> il suo tono risultò troppo serio alle mie orecchie.
Sfilai un libro dalla pila e lo lanciai alla cieca, sperando di colpirlo dritto in fronte.
<Ahia!> lo sentii urlare.
<La mia era solo un'idea> borbottò.
<Già il fatto che fosse tua è un buon motivo per non metterla in atto> dissi.
Dopo varie imprecazioni arrivammo finalmente alla sala comune.
Rischiai di colpire più volte diverse persone e lo stesso Felix.
<Perché c'è tutta questa gente?> chiesi.
Posai i libri sopra uno dei tavoli vicini alla libreria, riuscendo finalmente ad avere il mio campo visivo libero.
La sala era indubbiamente la zona più frequentata della scuola, ma quel giorno c'era davvero parecchia gente.
<Non ne ho la più pallida idea. So solo che qualche figlio di buona donna mi ha pestato un piede> si lamentò.
Dalla folla di ragazzi vidi spuntare una folta chioma rossa.
<Dusha!> la chiamai.
Si diresse verso di noi, in evidente difficoltà, riuscendo però ad uscire da quella calca di persone.
<Credevo di non farcela> disse ridendo.
<Cosa succede?> chiesi.
<È arrivato un ragazzo nuovo. Si è trasferito oggi nella scuola> spiegò lei.
<Un ragazzo nuovo? Ma siamo quasi alla fine dell'anno> ribattei confusa.
<Ne so quanto te> disse facendo spallucce.
<Speriamo sia almeno figo> sentimmo dire vicino a noi.
Ci girammo verso Felix, guardandolo con un sopracciglio inarcato.
<Okay. Torno ad aggiustare i libri> alzò le mani, scherzoso.
<Aspetta> presi il libro che stringeva tra le mani.
Geometria Analitica nello Spazio.
<Mi serve. Sono indietro con il programma> spiegai.
<Tienilo pure. Mi viene il mal di testa solo a guardarlo> disse Felix,
continuando ad aggiustare i libri.
Sentii una mano toccarmi il braccio.
<Ti sei allenata anche oggi?> chiese Dusha, apprensiva.
Annuii.
Gli allenamenti oltre che durare di più erano anche più frequenti. Onestamente non ne capivo il perché, era stata una decisione della preside.
<Vai a riposare. Lo aiuto io> disse, riferendosi a Felix.
Non me lo feci ripetere due volte. Ero esausta.
<Grazie> le sorrisi.
Li salutai velocemente e finalmente uscii dalla sala, impaziente come non mai di buttarmi a capofitto nel letto.
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