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28 - la fine, per sempre

«perché... È giusto così» la lama le sfiorava dolcemente la pelle.
«perché... Io sono un errore... E devo pagarne le conseguenze...» la lama si fermò con la punta contro la pallida pelle liscia. La luna piena era ormai sorta. Era buio totale. Nemmeno una piccola luce artificiale illuminava il tetro cimitero, solo la luna schiariva il cielo sopra di esso.
«perché... È tutta colpa mia... E devo pagare» la punta del coltello iniziava a premere contro la gola della ragazza.
«dico bene, papà?» un uomo seduto su un muretto, immerso nell'ombra, sogghignò.
La lama del coltello trafisse il collo della ragazza, la quale cadde a terra senza vita, davanti alla tomba di suo fratello e del suo amato. Per Shiori era giunta la fine.

~~~

Kasai e Hikari raggiunsero la casa del ragazzo. Ormai il sole era tramontato su di loro. Il rosso affranto andò subito a lavarsi il viso in bagno, mentre la ragazza non sapeva da cosa cominciare.
«K-Kasai... Dovrei p-parlarti» disse lei girandosi nervosamente le chiavi dell'appartamento di Kasai tra le dita.
«dimmi...» disse il ragazzo uscendo dal bagno e entrando in camera sua.
"Forse... Dovrei... Aspettare?" La corvina stava per parlare quando venne chiamata da Kasai in camera da letto. Il ragazzo sembrava stupito e... Sconcertato o triste o... Chissà. Hikari lo raggiunse, trovandolo con un foglio di carta fra le mani.

Caro Kasai,

Se stai leggendo queste parole io probabilmente avrò già terminato per sempre la mia esistenza. Per questo... Mi dispiace. Non sono la ragazza forte che credi, l'unica cosa che mi salva è la mia capacità di nascondere le cose e dimenticare temporaneamente fatti spiacevoli. Scusami, forse ti ho mentito. Non ti ho detto cose importanti sul potere che ti ho dato, ma che tu forse hai già capito. Non ti ho dato le risposte che meritavi. Risposte che ti darò qui, ti scriverò in questa lettera, perché so che non potrò risponderti in futuro...

Vedi io sono nata in un paesino delle Lowlands scozzesi quasi un secolo fa. Da allora il mondo non è così tanto cambiato. Sono nata albina, come mia madre, e questa mia particolarità mi ha sempre resa attraente. Ero rispettata e apprezzata da tutti dato anche il mio comportamento tranquillo, pacato ed educato fonte di apprezzamento da parte degli altri. In fondo... Ero una persona felice e tranquilla con due genitori stupendi. Andavo bene a scuola, nessuno aveva mai il pretesto per sgridarmi. L'unica cosa che mi rinfaccio però e il non saper aiutare chi ha bisogno. Da quando esisto porto solo problemi e ne sono pienamente consapevole. Per questo ho messo contro di me mia sorella. Da vive l'ho trascurata, avevo la possibilità di portare gioia e buon umore nella sua vita solo andando incontro a lei e abbracciandola, interessarmi a lei... Se non l'ho fatto è per puro egoismo. Puro e mero egoismo, che mi porto dietro da tutta la vita. E questo egoismo ha distrutto tutto ciò che amavo. Anche te.

Avevo un fidanzato, una persona che ho sempre amato e stimato. Non sapevo se fosse amore vero o no ma all'epoca l'idea di vivere con lui la mia vita mi piaceva tantissimo, quando mi ha chiesto di sposarlo ho accettato immediatamente nonostante avessi solo 19 anni, ero la persona più contenta del mondo in quell'istante. Pensavo che, anche se non fosse stato amore, se quella gioia e felicità che sapeva donarmi fosse durata per sempre, allora non lo avrei lasciato per nulla al mondo. Mancava un giorno soltanto al mio matrimonio, io e mia madre eravamo contentissime e ho provato il mio abito da cerimonia, quello che non ho mai più tolto. Perché quella sera mia sorella arrivò e mi portò fuori casa dicendomi che mi doveva parlare. Io ero così euforica che l'ho seguita tranquillamente. Insomma il peggior errore della mia vita. Mia sorella, Shūryō, mi uccise. Subito dopo morì pure lei, era malata di cancro da molto tempo ma mai nessuno se n'era accorto. Me lo sono sempre rimproverato, io ero una delle persone più vicine a lei, la persona che doveva accorgersene e salvarla, aiutarla, ma non l'ho mai fatto. Perché io non avevo problemi e non volevo averne. Se è morta è colpa mia. Se sono morta è colpa mia. Ma me ne sono resa conto solo quando sono diventata Dea. Mia sorella è la Dea della morte. E se tu hai questo potere è colpa sua. Io volevo continuare a esistere, non volevo finire nel Nulla Eterno, quindi le ho chiesto di uccidere persone in modo da creare una rottura nell'equilibrio morte-vita. Vedi in tutto c'è un equilibrio; il numero delle persone che muoiono e quello delle persone che nascono deve essere simile, il loro rapporto equilibrato. Se c'è equilibrio il sistema può andare avanti da solo, senza il sostegno passivo delle divinità. Se l'equilibrio si rompe o frattura allora vengono scelte due divinità, del tempo e della morte, per ristabilirlo. Io volevo altro tempo per esistere, dunque chiesi a Shūryō di spezzare l'equilibrio che si stava ristabilendo per farmi restare più a lungo. Lo ha fatto per me per molto tempo, poi ha detto basta. Voleva smettere di commettere crimini e uccidere per me. E aveva anche ragione. Così, sempre per colpa del mio egoismo, ho dovuto studiare un modo per saldare il mio debito senza sporcarmi le mani. Scusami, Kasai. Scusami se ti ho usato. Scusami se ho distrutto la tua vita in poco tempo. Scusami, se ti ho fatto innamorare di qualcuno che non c'è mai stato. Ma ora la tua vita cambierà. Dimenticati di me, ti prego. Dimenticati di tutto e ricomincia da capo. Ricomincia guardando chi hai accanto, chi è lì per te, non per sé. Chi per te farebbe tutto, chi non è come me, chi merita di essere amata. Guarda accanto a te chi ancora è rimasta insieme a te fino ad ora, e innamorati di chi se lo merita. E addio Kasai. Dimenticati di me.

Jikan

Kasai mise giù il foglio senza nemmeno la forza di piangere. Guardò alla sua destra e trovò Hikari addormentata accanto a sé. I capelli erano sparsi disordinatamente sul materasso, il suo viso finalmente rilassato. Kasai si chinò leggermente su di lei, sussurrando «scusami» vicino al suo orecchio. La ragazza aprì faticosamente gli occhi mugugnando qualcosa di incomprensibile, alzandosi lentamente.
«co-cosa... Succede?» chiese ancora assonnata la corvina, sistemandosi un po' i capelli. Kasai la guardò con attenzione, i dettagli sul suo viso erano illuminati dalla dolce luce lunare che filtrava dalla finestra aperta poco prima dalla stessa Hikari e gli occhi di lei luccicarono quando incontrarono gli occhi del ragazzo. Una dolce brezza fresca entrata dalla finestra li fece leggermente sobbalzare e la ragazza si strofinò le mani sulle braccia provando a scaldarsi. Kasai le si avvicinò lentamente cingendole le spalle con un abbraccio. La corvina si irrigidì con un po' di stupore in un primo momento, ma poi si sciolse lasciandosi andare tra le braccia del ragazzo. Hikari chiuse gli occhi e mise il suo viso nell'incavo tra la spalla e il collo di lui, sospirando. Lui chiuse gli occhi e la accarezzò dolcemente. Poi, come fosse un gesto automatico per entrambi, sciolsero l'abbraccio e si guardarono negli occhi. Erano tanto vicini da poter sentire i loro respiri aggrovigliarsi tra loro, continuarono a guardarsi finché Kasai non le prese il viso tra le mani e si sciolsero in un tenero bacio frutto di tante emozioni messe insieme. Paura, angoscia, stress, ansia, tristezza, disperazione ma anche speranza e consapevolezza che non sarebbero mai più stati soli. Iniziarono a piangere silenziosamente entrambi e si abbracciarono di nuovo, sostenendosi a vicenda. Amore sì, anche l'amore era tra quei sentimenti.

Sul davanzale della loro finestra un piccolo passero color lavanda e un minuscolo gattino bianco e nero stavano guardando la scena. Dall'altra parte dei controllori c'erano Kimochi e Unmei, la prima la Dea delle emozioni, il secondo il Dio del destino sottoforma di gatto mezzo bianco e mezzo nero. A Kimochi vennero gli occhi lucidi, troppa tenerezza e dolcezza in una sola volta.
«awww guarda come sono dolci quei due!» fece Kimochi ondeggiando i fianchi e facendo ondeggiare a sua volta i lunghi capelli verde smeraldo  tenuti legati in una coda alta. Gli occhi della Dea erano dello stesso colore dei capelli, ma uno più chiaro e l'altro molto più scuro. Lei era alta, con un vestito dalle maniche larghe strette sui polsi da un elastico, una scollatura abbastanza pronunciata e il vestito simile a un kimono bianco con un corpetto a stecche nero molto stretto in vita e una gonna corta sotto al kimono.
«smettila di gongolarti Kimochi, dobbiamo pensare alle prossime due divinità dopo che le ultime due si sono ammazzate a vicenda» la ragazza trasalì e urlò le peggio cose al gatto che la ascoltava seccato.
«sempre la solita eh, Kimochi?»
«già, e ora lasciami guardare questi due teneri ragazzi alla scoperta dell'amore awww» continuò a dire la ragazza ondeggiando i fianchi e facendo urletti e saltelli sul posto.
«ma seriamente devo sopportarti per sempre?» domandò il micio sbattendosi una zampa sul muso.
«già mio caro Unmei. Resteremo qui per seeeempre haha» disse lei con la sua voce acuta e insopportabile per il povero Dio.
«aaah mi farà uscire pazzo questa qui...» fece Unmei con voce seccata.
«scusa hai detto qualcosa?» ribatté lei già con una sfumatura di rabbia nella sua voce. Il gatto fece di "no" col muso, ormai rassegnato a vivere per l'eternità con quella sclerata lunatica.
«coooooomunque -iniziò a dire Kimochi- per le nuove divinità avrei una bella idea» disse lei facendo l'occhiolino.
«e sarebbe?» chiese curioso il micio leccandosi la zampa.
«ho saputo della morte di Koichi e Shiori Arima...»
«non ti è bastato questo esperimento di due divinità con legame fraterno per trarre la conclusione che non si può fare?»
«sai che sono ostinata»
«so che sei ostinata...»
«quindi?» domandò lei aspettando con fermento la risposta del gatto chinandosi su quest'ultimo.
«allora...»
«ci proviamo?» il gatto sorrise e abbassò lo sguardo.
«hai vinto. Proviamoci!»

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