||5|| La scuola
John's POV
Passò un altro anno e lei compì 6 anni. Era diventata una bellissima bambina: capelli rossi e mossi, occhi castani e con una leggera spruzzata di lentiggini sul volto. Un vero tesoro.
Aveva però sviluppato una pesante presbiopia e avevamo dovuto comprarle un paio di occhiali enormi, tondi tondi e dalla montatura di metallo. Nonostante fosse una cosa che la limitava un pochino, lei era assolutamente adorabile.
Appena compì, appunto, i suoi 6 anni la iscrivemmo in una scuola pubblica.
Freddie le aveva fatto un cerchietto per capelli con delle roselline finte blu e azzurre sopra, fatto con talmente tanta maestria da sembrare un prodotto da negozio.
La accompagnammo tutti e quattro davanti all'ingresso della scuola.
Aveva insistito per indossare il suo vestito preferito: un vestito azzurro pastello con la cinghia bianca sui fianchi, molto "Alice Nel Paese Delle Meraviglie". Era sulle spalle di Brian, il che lo faceva sembrare perfino più alto di quanto già non fosse.
Quella piccola testolina rossa risaltava tra la folla di genitori e bambini presenti all'ingresso della scuola. Tutti gli altri bambini piangevano, perché avevano paura ma lei no: io e Freddie l'avevamo rassicurata, dicendo che si sarebbe divertita. Lei voleva che venissimo in classe con lei, così almeno avrebbe potuto salutarci per bene, ma le dicemmo che non potevamo (ci avrebbero buttato fuori a calci).
Lei scese dalle spalle di Brian come una scimmia scende da un albero (aveva la passione dell'arrampicata e diceva che un giorno avrebbe scalato l'Everest tutta da sola). Roger le diede la cartella, che si era portato in spalla per tutto il tempo.
Lei se la mise sulle spalle, diede un abbraccio ad ognuno di noi, ci salutò e sparì tra la folla, entrando nella scuola.
Freddie era commosso, come lo eravamo tutti.
Roger si tratteneva a stento: nonostante la insultasse ogni volta che la chiamava, lui le voleva molto bene.
-Dici che se la caverà? Chiese, guardando Brian.
Lui lo guardò con gli occhi di fuori.
-É una scuola! Non un patibolo!
Io scossi la testa.
-Per certi versi la scuola È un patibolo.
-Smettila di dargli ragione.
Tornammo a casa.
Lei tornò da sola, all'ora di pranzo, un po' giù di corda.
-Che è successo? Stai bene? Le chiesi, preoccupato.
Lei mi guardò, con gli occhi stranamente lucidi.
-É sbagliato essere gay? Mi chiese.
Io rimasi sconcertato.
-Certo che no! Ma chi ti ha detto questa cavolata?
-La maestra dice che essere gay è un "peccato" o qualsiasi cosa abbia detto.
Che poi cos'è un gay?
La guardai, con un amaro sorriso.
-Un gay è un uomo a cui piacciono gli altri uomini e non c'è nulla di male nell'esserlo. La tua maestra ha torto marcio.*
-Quindi Freddie è gay?
Freddie rise, divertito e rispose con un sì estremamente orgoglioso.
Lei si rincuorò e rise insieme a Freddie. Poi cavò dallo zaino un foglio di carta piegato.
-Ho fatto un disegno!
-Ma dai! Fa vedere!, le risposi.
Mi porse il foglio e lo aprii.
Erano quattro omini stilizzati: uno coi capelli ricci, con una chitarra (?)uno biondo con due bastoncini in mano, uno castano con un basso(?) e uno coi baffi munito di microfono.
Sopra c'era scritto "I miei papà" con un colore per ogni lettera.
Sorrisi.
-É bellissimo! Sei molto brava!
Lei rise, compiaciuta.
Lo appesi al frigo con un magnete e tutti, ogni tanto, ci fermavamo ad ammirarlo.
Sarebbe stato l'inizio di un lungo, turbolento percorso a cui noi quattro, menti giovani e inesperte, non eravamo preparati.
*Spazio autrice
Questa parte è tratta da un fatto realmente accaduto.
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