XXI - 𝔄𝔫𝔱𝔦𝔠𝔞𝔪𝔢𝔯𝔞 𝔭𝔢𝔯 𝔤𝔩𝔦 𝔦𝔫𝔣𝔢𝔯𝔦
TW: questo capitolo potrebbe contenere più violenza del solito. Se siete coraggiosi, invece, vi auguro buona lettura!
L'anticamera per gli inferi; quello era il luogo in cui i due uomini si erano ritrovati dopo aver riaperto gli occhi. A un primo sguardo sembrava la stanza delle torture di un cacciatore di streghe, una delle peggiori che avessero mai visto in vita loro. Un paio di lanterne erano state abbandonate su un ripiano di legno a illuminare la piccola stanza o, forse, a renderla più tetra di quanto già non lo fosse. Sugli scaffali di una malmessa scansia erano poggiati alcuni tomi impolverati e delle grandi ampolle che, al loro interno, contenevano organi umani, bulbi oculari e tessuti di pelle, tutti immersi in una soluzione verdastra luminescente. Dal soffitto, composto da una fitta rete di travi consunte che si intrecciavano fra di loro, penzolavano seghe dentellate e coltelli di ogni dimensione e forma; alcuni macchiati di sangue fresco e ciò fu sufficiente a far accapponare la pelle a uno dei due ostaggi. Appariva oramai chiaro che fossero i prigionieri di una qualche mente malata senza, tuttavia, conoscere il motivo per il quale erano stati portati in un luogo simile.
Di lui, del cacciatore che li aveva strappati senza porsi problemi dal laboratorio nel quale stavano portando avanti le loro ricerche, non vi era alcuna traccia. Erano soli, in compagnia di una moltitudine di suoni sinistri che riempivano la stanza: il vento che ululava selvaggio oltre le quattro pareti di legno marcescente, le lame che tintinnavano ogni qualvolta la gelida brezza penetrata dagli spifferi ne carezzava i fulgidi fianchi e, il più raccapricciante fra tutti, i singulti strozzati di un uomo che i loro occhi, nella penombra in cui era avvolta la spettrale stanza, non riuscivano a localizzare.
«Alain, sei tu?» domandò a fil di voce uno dei due uomini, dopo aver spostato lo sguardo verso un paravento di legno. Gli indistinti lamenti parevano provenir da lì. Zelante, il sottile mobile nascondeva dietro le sue scure ante una parte della stanza e, con ogni probabilità, il compagno che mancava all'appello.
Come risposta, gemiti e singulti si fecero ancor più disperati. Una cacofonia di indistinte parole, di versi grotteschi, del tutto impossibili da comprendere ma fin troppo chiare nel loro intento. Strazio, disperazione e, forse, terrore parevano nascondersi dietro ai lamenti soffocati e insistenti di colui che altri non poteva essere se non Alain.
«Deve essere lui, Meregil».
D'improvviso, le sconnesse assi del pavimento iniziarono a scricchiolare sotto quelli che sembravano dei passi pesanti; subito dopo nuovi strazianti rumori riempirono la stanza. I due uomini si scambiarono uno sguardo tanto confuso quanto spaventato, mentre un nodo di pura angoscia iniziava a stringersi intorno alla loro gola. Il cuore accelerò d'improvviso, come se volesse fuggire dal corpo prima ancora di conoscere il crudele mostro che stava per mettere loro le mani addosso o, peggio, i suoi strumenti di tortura. L'attenzione di uno dei due ostaggi si spostò poi sulle lame che penzolavano dalle travi sopra di lui, fatte tintinnare da nuovi soffi d'aria che si erano infiltrati nella stanza; aveva l'impressione che si fossero avvicinate. Erano terrificanti. Ammalianti. Letali.
«Ora veniamo a liberarti; resisti!»
Con il terrore che, a poco a poco, iniziava a impossessarsi dei suoi muscoli e del respiro, l'ostaggio seduto accanto agli scaffali provò a divincolarsi dalla stretta morsa che avvolgeva i polsi; tuttavia la seggiola sulla quale era seduto, animata da una qualche sorta di incantesimo, gli impedì qualsiasi movimento. Il costrutto rispose al futile tentativo di fuga stringendo con maggior forza i suoi arti, a un passo dallo spezzargli le ossa. Il sinistro crepitio riecheggiò per tutta la stanza, divenuta d'improvviso silenziosa, intanto che Meregil tratteneva a denti stretti le grida di dolore provenienti più dal profondo del suo animo che dalla gola stessa. Se quello era solo un terribile incubo, desiderava risvegliarsi il prima possibile.
Tra le lacrime che, fuori controllo, rigavano il volto smunto e i violenti spasmi al ventre, l'uomo si voltò verso il compagno seduto alla sua destra, forse in cerca di supporto o soltanto per capire se avesse subito il medesimo trattamento. Lo trovò pietrificato dalla paura, il viso bianco come un cencio e i suoi occhi fissi sul paravento di legno. Continuava a ripetere le stesse parole, ormai un burattino nelle mani delle oscure emozioni: moriremo qui dentro, che gli antichi dèi ci salvino, moriremo qui dentro, che gli antichi dèi abbiano pietà di noi.
«Cosa diamine stai blaterando, Ramon? Ti sei bevuto il cervello?» provò a farlo rinsavire Meregil, il suo tono di voce affilato come come la collezione di coltelli esposta sulla parete in fondo alla stanza. Il lato razionale pareva aver prevalso sulla paura, anche se quest'ultima non ne voleva proprio sapere di abbandonare il suo corpo. Mentre le gambe tremolavano in balia dell'angoscia, la sua mente era rivolta altrove, a una soluzione che potesse, in qualche modo, tirare fuori lui e i suoi compagni dalla tremenda situazione in cui erano finiti. Anche perché era rimasto l'unico a non aver perso il senno.
Tornò a osservare il povero Ramon, divenuto vittima della propria paura. Provava pena per il compagno di una vita e, in quelle condizioni, davvero non aveva idea di come aiutarlo, se non con futili parole che sapeva sarebbero rimaste intrappolate all'interno del padiglione auricolare. La sua mente si era trasformata in un bastione inespugnabile, ogni sentiero verso questo sbarrato da un nemico che soltanto lui poteva vincere. Un nemico tanto infido quanto imprevedibile, pronto a far cadere i tre prigionieri in un baratro senza fondo. Ramon prese un profondo respiro, i suoi occhi che tradivano un'angoscia fuori controllo. L'uomo, che aveva ben compreso, suo malgrado, le intenzioni del compagno, non fece però in tempo a fermarlo.
«Qualcuno può sentirci? Aiutateci, vi prego!»
Il danno era stato fatto. Le prede erano cadute nella trappola e il cacciatore sarebbe presto arrivato a reclamare i propri agognati trofei. Il loro incubo era solo all'inizio.
«Vi supplico; qualcuno ci aiuti!» continuava a gridare Ramon in preda alla disperazione, i lumi della ragione del tutto andati a farsi benedire.
«Taci, idiota!»
Il clangore di una chiave che si infilava nella serratura fece calare il silenzio nella stanza, mentre gli occhi dei due prigionieri, quasi inevitabilmente, finirono col posarsi sulla porta in fondo alla stanza, l'unica via d'accesso di cui disponeva quel dannato luogo. Quando questa si spalancò, sulla soglia si palesò una figura dallo scuro mantello, adornato da una cascata di opalescenti piume, e delle fulgenti iridi che, sotto al cappuccio, parevano brillare alla stessa maniera della sostanza nella quale erano conservati gli organi di, solo gli antichi dèi potevano sapere, qual povero malcapitato.
Richiusa la porta alle proprie spalle, quella che sembrava una cacciatrice si incamminò a passo cadenzato verso il bancone da lavoro, facendo scricchiolare le assi del pavimento sotto il suo peso. Ogni tanto gettava un'occhiata ai due uomini, senza, tuttavia, curarsi in particolar modo delle condizioni in cui riversavano. Anzi, fra le sue labbra piene era apparso un ghigno malefico, Meregil poteva esserne quasi certo. La donna, quindi, non era lì per soccorrerli.
«Starnazzare come oche isteriche non vi tirerà fuori di qui, dolci fanciulle. Nessuno potrà udire le vostre patetiche richieste d'aiuto, se non la Dama vestita di nero.»
La misteriosa cacciatrice si mise a sedere sul pianale superiore del bancone e accavallò le gambe con fare piuttosto provocante. Dalla fondina estrasse un raffinato modello di pistola a doppia canna e la poggiò sopra ad alcuni utensili per le torture ammassati alla rinfusa. Un rumore metallico si diffuse per tutta la stanza, immersa in un silenzio irreale, quasi fosse stata strappata dal mondo reale per esser lasciata a fluttuare nel Vuoto Profano.
«Presto pregherete gli antichi dèi affinché lei possa sentirvi davvero, ve lo garantisco».
«Chi sei, donna, e cosa vuoi da noi?» trovò il coraggio di chiederle Meregil, dopo la non tanto velata minaccia della cacciatrice. Per quanto avesse provato a usare un tono di voce che non lasciasse trasparire il terrore che serpeggiava tra le fibre del suo corpo, non risultò affatto convincente. Odiava ammetterlo, ma la donna in questione gli aveva messo addosso un senso d'inquietudine che proprio non riusciva a scrollarsi di dosso.
«Le domande le faccio io» lo fulminò lei, lo sguardo talmente feroce da sconquassargli le viscere. Meregil deglutì. La cacciatrice afferrò una sega dal pianale e la osservò per qualche istante; non era affatto da escludere che stesse pensando a come usarla su uno dei tre uomini. Ramon e Meregil poterono tirare un sospiro di sollievo soltanto nel momento in cui la donna ripose lo strumento al suo posto. «Ordunque, miei gentiluomini; che ne dite di rendere questa lunga notte il più gradevole possibile? Per la sottoscritta, mi pare lampante».
Su una cosa, la cacciatrice aveva ragione da vendere: quella notte sarebbe stata lunga. La tensione avrebbe potuto spezzare i muscoli dei tre prigionieri prima ancora delle affilate lame che ella bramava di affondare nelle loro carni, avrebbe potuto mandare in frantumi le menti stanche, piegare fino a spezzare la loro volontà. Anche quelle, dopotutto, erano delle forme di tortura belle e buone.
La donna posò lo sguardo su Ramon, poi ghignò divertita. Si era accorta di aver ottenuto l'effetto desiderato; il terrore che, come sangue da una ferita maledetta, sgorgava dagli occhi dell'uomo era appena divenuto vitto per il demone del supplizio. «Primo quesito del nostro dilettevole gioco: qual ragione vi ha condotto qui, a Corehorst?»
Nonostante le attenzioni della cacciatrice fossero tutte per l'uomo biondiccio paralizzato dalla paura, a prendere parola fu invece Meregil, dopo un breve quanto intenso momento di silenzio. Forse lo aveva fatto anche per coprire i singulti disperati di Alain, che cominciavano a dargli i brividi. Il suono della sua voce avrebbero potuto aiutarlo a sopportare quella follia o, almeno, sperava con tutto sé stesso che sarebbe stato davvero così. «Non ho idea di chi tu sia o a chi tu risponda, cacciatrice, ma se speri di ottenere qualsivoglia informazione da uno di noi con le tue minacce, ti sbagli di grosso. Giuro sulla Luna Cremisi che non parleremo».
Lo sguardo della cacciatrice si spostò quindi da Ramon all'uomo che aveva appena dato fiato alla bocca. Un misto di fastidio e diletto rifulgeva sotto il cappuccio di velluto nero, in quei suoi occhi che traboccavano follia, che parevano quasi brillar di luce propria. La donna poggiò il mento sul palmo della propria mano, mentre continuava a osservare il coraggioso Meregil con aria di sfida. «Io credo che parlerete, invece.»
La seggiola sulla quale era seduto l'uomo dalla chioma corvina parve reagire alle ultime parole pronunciate dalla cacciatrice. Questa, difatti, strinse i propri braccioli intorno ai polsi di Meregil fino a quando le ossa non si frantumarono in un sinistro crepitio. Grida disumane impregnarono di dolore e disperazione le pareti della stanza così come l'aria, lamenti ai quali si andarono a mescolare i versi soffocati e indistinti di Alain. Non era chiaro se questi fossero aumentati di intensità in risposta alle grida del compagno o perché anche lui stava soffrendo a causa di un atroce martirio.
Spezzato dal dolore e torturato da spasmi che attraversavano con spietata insistenza il suo corpo, Meregil non riuscì a trattenere il vomito, che si sparse fra le pieghe della tunica cesia e il pavimento. Recuperato quel pizzico di vigore che gli permise di sollevare il capo, lanciò un'occhiata torva alla donna, intenta a godersi la macabra scena mentre giocherellava con un coltello dalla lama. Non aveva nemmeno la forza di dirle qualcosa.
«Uno dei due, perlomeno».
«Ci ucciderai comunque, lurida mondana! Qualsiasi cosa noi diremo o faremo!» si inserì Ramon, ridestatosi dal patetico stato comatoso nel quale si era rifugiato. Altrettanto patetiche furono le grida iraconde che gli uscirono dalla bocca, accompagnate dal furioso quanto vano tentativo di divincolarsi dalla presa. Se avesse continuato ad agitarsi in quel modo, si sarebbe spezzato le ossa prima ancora che fossero le seggiole a assumersi tale responsabilità.
«Lo farò senz'altro» confermò impassibile lei, facendo sembrare quel crudele ed efferato atto una mera bazzecola. «Nel caso in cui decidiate di collaborare, posso promettervi che sarà il più indolore possibile. Ve lo auspico, per lo meno».
La perversa cacciatrice sogghignò. Trovava piuttosto appagante ammirare quei volti che, come caraffe per l'idromele, si riempivano di terrore a ogni singola parola che fuggiva dalle sue labbra. Piegarli non sarebbe stato né facile né tanto meno scontato; dilettarsi nel mentre che li vedeva uscire di brocca, invece, le faceva desiderare solo di infierire ancora e ancora.
Seguita da sguardi angosciati, la donna raggiunse il paravento. Lo scricchiolio delle assi si andò a mescolare col tintinnio delle seghe che si sfioravano tra loro; ogni oggetto, in quel luogo risputato dagli inferi, pareva voler trasformare la loro esistenza in un incubo di dolore fisico senza fine. Quando i due uomini videro quel che si celava oltre il mobile, compresero che la loro idea, per quanto assurda, non era affatto lontana dalla realtà.
Un uomo, trattenuto anch'esso dai braccioli e dalle gambe di una seggiola, era circondato da alcune aberrazioni, simili a oggetti di uso comune, che si nutrivano di lui. Non avevano un volto, degli occhi né, tanto meno, dei tratti anche solo vagamente umanoidi, ma solo bocche spalancate dotate di denti affilati e frastagliati come schegge di legno. L'uomo, che altri non doveva essere se non Alain, emetteva stanchi gemiti, mentre i feroci costrutti strappavano a morsi pezzi della sua carne, lasciando in bella mostra le sanguinanti viscere. Una sofferenza indicibile che non poteva trovare sfogo attraverso la voce o semplici lacrime, un'agonia senza fine che si celava oltre lo spago nero che serrava labbra e palpebre.
«Sei un mostro...»
«I mostri sono tutt'altra storia, mio dolce pasticcio di carne» replicò con scherno lei, per poi allontanarsi dal violento spettacolo che si stava consumando sotto ai suoi occhi. «Io sono soltanto una strega stufa di carogne come voialtri che cercano di portare l'oscurità ovunque vadano, di divinità immaginarie che sussurrano alle menti di poveri mentecatti di dar fuoco a tutto quel che non riescono a comprendere, di dover vivere la mia esistenza lontana dalla luce del sole».
A quelle parole, Meregil rialzò il capo. Il corpo tremava ancora a causa del dolore, ma la tenacia non gli mancava di certo. «Sciocca d'una strega. Il nostro Signore riporterà presto la vera luce su Chromalia; metterci i bastoni tra le ruote, quindi, danneggia anche te».
Le iridi della strega brillarono di nuovo. Una manciata di lame iniziarono a oscillare con maggior vigore, nonostante il vento avesse smesso di ululare fuori dalla stanza, a stridere fra loro a creare una macabra cacofonia, simile alle risate di dozzine di Masse Gorgoglianti. Non trascorse molto tempo prima che queste si liberassero dai ganci ricurvi sui quali erano appese e si andassero a conficcare nelle viscere di Ramon in uno scrosciante applauso di metallo e sangue.
«Ramon!» gridò Meregil con quel poco di forza che gli era rimasta in gola. «Perché te la sei presa con lui, dannata strega?»
«Hai dato fiato alla tua latrina dentata e un'altra anima ha pagato per tale errore» replicò apatica la cacciatrice, dando le spalle ai due prigionieri. Questa ritornò poi verso il bancone da lavoro e afferrò la pistola che aveva lasciato sopra di esso. «Il medesimo discorso è valido per il tuo signore, quel verme lurido di Noah. Siam noialtri a pagare la pena per i suoi errori, pertanto non venirmi a raccontare fandonie sulla sua presunta bontà».
Caricati i colpi in canna, la strega tornò da Meregil e poggiò l'arma contro la sua tempia pulsante e sudaticcia. I loro volti non erano stati così vicini come in quel momento. «Volete sapere un succoso dettaglio su Cassandra, la strega che sta per spedirvi all'inferno? Ella non ama ripetersi, in genere, ma solo per voi mostrerà un pizzico di indulgenza. Ordunque, qual diabolica mente si cela dietro la vostra missione? In qual diabolico luogo avete creato i Mietitori? Dubito con ogni fibra del mio corpo che tre esecrabili alchimisti come voialtri possano aver architettato un simile piano tutti da soli».
L'uomo sogghignò, forse per l'ultima volta in vita sua, poi sputò in faccia alla strega con fare sprezzante. «Che tu possa esser dannata dal Re degli Inferi, immonda strega».
«Risposta errata».
Un violento boato si propagò per tutta la stanza nel momento in cui Cassandra premette il doppio grilletto. Il cranio dell'uomo si aprì come un fiore di carne vermiglia e le sue cervella si sparpagliarono ovunque: sul pavimento, contro la parete alle sue spalle, sugli scaffali semi vuoti. Brandelli mollicci finirono persino sul mantello della strega, imbrattandolo di sudicio sangue umano. Cassandra non aveva esitato un solo istante nel farlo, il suo volto impassibile come una maschera di cera.
«Giocare col fuoco è per i folli».
Il primo dei tre ostaggi era andato; agli altri due, presto o tardi, sarebbe toccata la stessa sorte. Pallido in volto, il biondiccio pareva quasi un cadavere. Difficile capire se fosse dovuto al terrore, oramai padrone della sua mente, o alle copiose emorragie che, come le sorgenti di Fallcross, sgorgavano dalle ferite che le lame avevano aperto sul suo esile corpo. Annaspava, mentre i suoi occhi si facevano via via più vacui a ogni battito delle palpebre.
«N... noi non parleremo...»
«Su un paio di voi non avevo alcun dubbio» ironizzò la strega.
Questa, poi, iniziò a ronzare intorno alle seggiole, ogni suo passo abbastanza pesante da far gridare le assi malferme, e carezzava, con una delicatezza che mal le si adduceva, le molli spalle di Ramon ogni qualvolta gli sfilava accanto. Le forze lo stavano abbandonando, così come la sua vita; Cassandra riusciva a vederlo e lo adorava più di quanto avrebbe mai voluto ammettere. Si fermò infine accanto al corpo di Meregil e contemplò con disgusto il suo volto sfigurato, quasi irriconoscibile. «Adesso non blateri più, canaglia».
«Lascialo in... pace, mostro».
La strega ignorò le parole che le erano state appena rivolte. La sua attenzione, tuttavia, tornò a posarsi sul biondiccio, ansimante. Si inginocchiò accanto a lui, il volto disteso in un sorriso forzato. «Dunque? Vuoi rispondere tu alle domande alle quali il tuo compagno non ha voluto fornire una risposta? Il premio sarà un viaggio indolore per l'Oltretomba; non sprecare l'occasione che ti sto offrendo».
Ramon lanciò un ultimo stanco sguardo a Meregil, il compagno di studio col quale aveva condiviso buona parte della sua vita e al quale non era nemmeno riuscito a dare l'addio, poi ad Alain, ridotto a un bagno di sangue e viscere che scivolavano giù dal ventre aperto. Anche lui aveva appena abbandonato il mondo dei vivi, circondato da abomini magici che avevano fatto del suo corpo una sorta di passatempo personale. Come avevano resistito con lodevole audacia loro, lo avrebbe fatto lui.
«Immonda creatura... mi auspico che tu venga impalata... su una picca e poi arsa... tra le festanti grida della piazza». Ogni singola parola, per l'uomo, rappresentò una tortura ulteriore per il suo corpo agonizzante, dilaniato dal lancinante dolore e dalle lame che, a ogni colpo di tosse, parevano affondare sempre di più nelle carni.
«Fremo al sol pensiero».
Delusa, la strega si rialzò da terra. L'uomo sorrideva come se si sentisse il vincitore della contesa, mentre gli angoli della bocca cominciavano a riempirsi di sangue. «La tua stoltezza ti costerà cara».
Dalla scarsella, legata a una delle cinte di cuoio in vita, Cassandra prese alcune monete di bronzo, poi le spinse, una alla volta affinché queste provocassero al biondiccio un indicibile dolore, all'interno delle ferite fino a quando sangue e brandelli di carne non le nascosero alla di lei vista.
Le sue iridi si accesero poi d'un sinistro bagliore. Qualcosa iniziò a muoversi con lestezza al di sotto delle sue carni, incurvando il derma a formare delle bizzarre creste. L'uomo poteva vederle, mentre il dolore lo aveva strappato di colpo dal sonno in cui la Dama vestita di nero lo stava accompagnando. Per lui l'incubo non era ancora terminato. Lancinanti fitte spinsero il suo corpo a contorcersi come un verme nel fango, il rumore di ossa spezzate riempiva il silenzio quasi innaturale che aleggiava nella stanza e si alternava con le strazianti grida che le sue corde vocali non riuscivano a trattenere.
Le monete di bronzo. Queste, una volta spinte dentro il suo corpo, erano state animate da un qualche maleficio lanciato dalla donna e dovevano aver iniziato a divorargli le carni, le ossa e ogni dannato organo. Lo avrebbero dilaniato dall'interno fino a far fuggire l'anima per la disperazione e il dolore.
«Che gli antichi dèi maledicano te... e la tua sozza razza».
«Ancora hai la forza per ciarlare? La tua pertinacia è quasi commovente, sfortuna vuole che tu stia sprecando del prezioso fiato per ricoprirmi di vituperi utili soltanto a solleticare le mie fantasie più lussuriose.»
«I nostri segreti... moriranno... con noi».
Cassandra sollevò le spalle, più per dileggio nei riguardi dell'uomo sulla via del tramonto che rassegnazione. I cultisti della Luna Cremisi per nulla al mondo spezzavano il giuramento solenne fatto al loro Signore, nemmeno di fronte alla tortura più efferata o alla morte stessa. Chiunque avesse mai avuto a che fare con loro era a conoscenza di tale fatto.
Tra indicibili sofferenze, imprecazioni pregne d'odio e torsioni innaturali del busto, anche l'ultimo uomo, alla fine, spirò. Ad attenderlo nell'Oltretomba avrebbe trovato il Traghettatore, forse bramoso di poter condurre un'altra anima dannata alle porte degli inferi o forse affranto per non aver ricevuto un'anima meritevole di attraversare il Vortice di Nubi. Qualunque fosse stato il loro destino nell'Oltretomba, non era più affar di Cassandra ormai; ella aveva ripulito il reame di Lestevia dagli alchimisti che stavano provando a distruggerlo.
«Ci vediamo all'inferno, biondiccio».
Nonostante sembrasse più volte sul punto di cedere, o apparisse come l'anello debole fra i tre, aveva retto fino alla fine, senza lasciarsi sfuggire di bocca alcuna informazione. Tuttavia, né l'incrollabile fede né il tanto adorato Signore lo avevano premiato per un simile coraggio; al contrario, avevano contribuito a scavargli una fossa fredda e anonima, fossa ove non vi era spazio per la gloria alla quale ambivano.
Le lame sospese sopra le loro teste tintinnarono un'ultima volta, dando l'impressione che volessero festeggiare la morte di quegli uomini. Il confuso stridio metallico si protrasse fino a quando non venne spezzato dalle parole di una fanciulla, giunta fin lì senza che alcuno dei suoi passi venisse udito o, quanto meno, percepito dalla cacciatrice.
«Un esito alquanto predicibile, ne convieni?»
«Questa molesta e irritante voce...» si lamentò Cassandra, senza nemmeno voltarsi. «Sei giunta fin qui per ridere del mio fallimento, Emilia?»
La strega incrociò le braccia sotto al seno e posò gli occhi sornioni su Cassandra. Sul suo volto poteva leggere un misto di fastidio e risentimento, accentuato dagli angoli della bocca rivolti verso il basso, le labbra serrate e le palpebre tese. «Sollazzarmi per l'altrui insuccesso? Potrei farlo o potrei radarguirti per aver abbandonato i tuoi sodali nel mezzo d'una battaglia; ma son viva e vegeta, come hai la fortuna di rimirare».
«Sono a Corehorst per i miei interessi» sbottò per tutta risposta lei, puntando poi il dito contro Emilia. «Non per far da nutrice a due perdigiorno o per salvare vite umane, di cui non mi frega alcunché. Per di più, nemmanco la Morte stessa riuscirebbe ad ammazzarti, dunque evita certe lagnanze, di grazia».
Emilia sorrise, del tutto immune alle parole della zotica compagna. «Fingerò di non aver udito siffatte accuse, dacché la qui presente freme dalla voglia di smentirti! Trasmuterò in oro il tuo patetico insuccesso, stai a vedere».
Alle sue spalle comparve Lodovico, affascinante come sempre, con quei ciuffi ribelli che gridavano a gran voce di essere toccati, accarezzati, goduti. Quello che, tempo addietro, era il regnante della piccola nazione di Agnesis si avvicinò con incedere elegante a uno dei due alchimisti, quello il cui cervello era ancora ben conservato all'interno del teschio, e poggiò le mani sul suo freddo volto. Rivolse uno sguardo di disapprovazione nei confronti della donna vestita di nero, rea di aver ridotto in quel pietoso stato i tre uomini. Un atto di pura crudeltà, un atto che nel suo dominio, nella sua epoca, avrebbe punito con severità.
Che l'Oltretomba vi giudichi nel bene e nel male, fratelli.
Sussurrate le dovute onoranze, Lodovico poté tornare a concentrarsi sull'uomo biondo. Il suo aspetto mutò in fretta, con gran stupore di Cassandra, fino a quando i suoi tratti eleganti e mascolini non scomparvero a discapito di quelli più fanciulleschi dell'alchimista. Erano due gocce d'acqua, indistinguibili tra loro. Emilia si accorse del volto esterrefatto della compagna e un ghigno divertito si fece largo fra le sue labbra.
«Ebbene, Mymic, guidaci ove il male ha piantato i suoi semi».
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