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XV - 𝔑𝔢𝔩 𝔯𝔢𝔞𝔪𝔢 𝔡𝔢𝔦 𝔰𝔬𝔤𝔫𝔦

Peculiare era il luogo apertosi di fronte agli occhi della piccola Amethyst. Un oceano di eteree e fumose nubi si estendeva fino agli ignoti confini dell'orizzonte, pennellando coi suoi vividi colori l'ambiente circostante. Al di sopra della di lei testa, un cinereo velo puntellato di stelle ricopriva per intero la boffice vastità cromata che, ai confini del mondo, pareva unirsi a essa in una tenue sfumatura. Scure guglie stagliavano oltre i lanuginosi contorni delle nubi, in netto contrasto con la fiabesca atmosfera di quel luogo quanto lo spirito di un defunto dragone tra gli scaffali di una biblioteca, mentre quelle che sembravano lanterne ne evidenziavano la complessa architettura, ben lontana dai normali canoni di Helvory. A completare il surreale quadro, ispidi e spogli rami si estendevano avidi in ogni direzione, con l'imperioso desiderio di far loro il chimerico cielo prima della fine dei tempi.

La piccola strega non aveva idea di come fosse finita in tal luogo nonché quando, il ché le fece subito pensare di esser stata accolta nel mistico Reame dei sogni, accessibile solo a coloro che cercavano rifugio dalla deludente realtà della loro esistenza. Osservava il panorama con occhi ricolmi di meraviglia e il cuore, per qualche insolita ragione, inquieto, benché quella non fosse la prima volta che visitava il regno di Lavinia. Ci era già stata, da bambina.

Mentre il suo sguardo si perdeva nei meandri della morbida e immensa coltre di nuvole, il fatato gatto corvino nella sua mente visitava la Stanza dei ricordi, dalla quale aveva iniziato a pescare i rotoli di pergamena ove era stato riportato ogni momento di tal ardimentoso dì. Rimembrava di esser stata lasciata sola nella biblioteca magica e di aver incontrato prima una mentecatta di nome Harper e poi un leggendario dragone o, meglio, il suo spirito tornato dal Mare delle anime. Era stata poi condotta dinanzi una costruzione dalle nivee mura e vi era entrata, incoraggiata da una strega bellissima di cui non ricordava il nome; le mattonelle a scacchi che rivestivano il suo pavimento le avevano ricordato la stanzetta nel baule di Emilia.

Son Jarek, lieto di fare la tua conoscenza!

Mi piace molto il tuo nome! Il mio è Cloris; mi auguro te lo ricorderai! Nessuno si ricorda mai di me, qual crudeltà...

Newt; piacere.

Quelle parole, accompagnati da un indistinto quanto armonico suono, fecero capolino nella sua mente e sfumate immagini di volti sconosciuti ricordarono ad Amethyst il perché avesse messo piede all'interno della stramba costruzione: conoscere i membri del Concilio.

I soffici cumuli di nuvole sembrarono reagire a quei ricordi tanto nebulosi quanto indistinti e modellarono una parte del fumoso ambiente nella tondeggiante piazza di Ratilia, al cui centro stagliava altera la nivea costruzione. La cerulea porta di legno, sul cui pomello aveva tenuto poggiata la mano in un interminabile attimo di esitazione, si aprì in un prolungato cigolio, che riecheggiò ovattato nella sua mente, e rivelò una tetra oscurità intenta a corroderne gli interni. Una turba di confusi sussurri invitava soave Amethyst a entrare mentre oscure mani d'ombra si protendevano lente verso di ella, pronte ad accoglierla in un caloroso abbraccio che l'avrebbe trascinata nelle buie viscere dell'edificio.

La piccola strega avanzava a passi cadenzati, incapace di resistere al richiamo delle sommesse e sibilline voci che parevano berciare il suo nome nell'assordante silenzio del reame, e sollevava screziati bioccoli a ogni suo passo, per certi versi simili alle nubi di spore della biblioteca magica. Per quanto provasse ad avvicinarsi alla costruzione al centro della piazza, questa pareva per ella irraggiungibile, distante miglia e miglia. La foschia di tenebre, plumbea prigioniera di una gabbia limacciosa, si insinuava sempre più nella mente di Amethyst e tentava il suo fragile animo come una succube assetata di linfa vitale.

Vieni, Amethyst. Ti stiamo aspettando. Raggiungici.

Avvicinati di più. Non ti faremo nulla, noi. Puoi fidarti.

Sei quasi arrivata. Gli ultimi passi. Lasciati andare.

Ci prenderemo cura di te. Entra pure, siam qui. Amethyst.

Amethyst. Amethyst. Amethyst.

Amethyst.

Un brivido gelido attraversò la spina dorsale di Amethyst, brivido che la destò dall'ammaliante cantilena delle ombre e la riportò alla realtà, per quanto tal reame fosse ben lontano dall'esser definito tale. Fece un passo indietro, poi un altro, nel tentativo di allontanarsi sempre più da quello che tutto sembrava tranne che un luogo confortevole. I sussurri divennero voci e poi straziate grida, lamenti di coloro che erano stati ricacciati ed esiliati in una prigione dalla quale non sarebbero più potuti essere liberati. Un profondo senso di disagio assalì la piccola strega, il cui cuore si riempì d'angoscia. E a tali emozioni, il reame reagì. Il cinereo velo di stelle assunse fosche tinte, come se stessero iniziando a calare le tenebre della notte, mentre la costruzione dalle bianche mura inghiottì in un'onda di evanescente fumo l'inquieta strega, catapultandola in un luogo che, suo malgrado, conosceva fin troppo bene.

Lampade a olio rischiaravano lievi gli stretti corridoi in muratura e proiettavano a terra lunghe e cupe ombre, mentre una leggera foschia si sollevava ritrosa dalle scure pietre che componevano la pavimentazione di tal macabro luogo. Con le gambe che le tremavano per la paura e la gola asciutta come le brulle terre di Darten, Amethyst vagò spaesata per il fitto labirinto di cunicoli, in cerca di una qualsivoglia uscita. Le mancava l'aria, il fiato corto. Urla soffocate, lamenti carichi di sofferenza, singulti e preghiere sommesse riempivano l'aria, già pesante di suo, e spingevano sempre più la piccola strega a voler fuggire di lì, da quell'inferno insinuatosi fin sotto le sue carni. Accelerò il passo, col cuore che le batteva nel petto come una fiera bramosa di liberarsi dalla sua prigionia, e si infilò nella prima galleria alla sua destra.

Amethyst percorse lo stretto corridoio con la testa china in avanti, le orecchie coperte e gli occhi umidi; lacrime amare rigarono il suo volto contorto dal dolore, disperdendosi poi nella foschia come lucciole inghiottite dalle tenebre. Scarne mani, le cui lorde carni parevano aggrapparsi alle ossa in un terribile sforzo, afferravano, o almeno tentavano di farlo, il di lei candido abito; mani prive della forza sufficiente a trattenerla, a ricordarle che anche loro esistevano e meritavano una seconda possibilità. La strega aveva paura di voltarsi, di vedere il dolore nutrirsi dei corpi di coloro che, contro la loro volontà, erano detenuti in un simile inferno, la speranza affievolirsi a ogni battito di palpebre. Mai avrebbe potuto sopportare l'idea di vedere tali dannate esistenze tenderle la mano nella speranza che la loro anima potesse essere, in qualche modo, soccorsa. Ella non poteva farlo, benché lo volesse. Era solo una bambina.

Così chiuse gli occhi e, di colpo, quelli che parevano assordanti lamenti cessarono. Un'immagine ben peggiore, tuttavia, si dipinse dinanzi ella nel momento in cui ritrovò il coraggio di tornare a osservare la realtà. Un trauma che mai avrebbe potuto dimenticare. Vide sé stessa rinchiusa in una cella, troppo piccola per permettere qualsivoglia movimento, troppo grande per ospitare quella dignità andata in frantumi a ogni passo mosso lungo i freddi e semibui cunicoli.

Il suo corpo era livido, gli occhi spenti, privati del barlume che aveva sempre dimorato oltre i di lei occhi; le ciotole ribaltate a terra, il loro contenuto sparso ovunque. Aveva provato a bere, ma la cella era davvero troppo piccola e l'acqua le si era rovesciata addosso; lo sconforto crescente come l'ansia di finire su un palo di legno, divorata dalle fiamme. E la fame era passata, sostituita da un senso di costrizione che le chiudeva la gola e le provocava dolore poco sopra la pancia.

Erano le segrete di Helvory, ove era stata rinchiusa durante i preparativi per la sua esecuzione, ove Wilfred e altri membri della guardia cittadina avevano trovato diletto nel seviziarla, nel farla sentire un mostro meritevole di tale pena.

«Basta... non voglio più provare dolore...»

Scossa da quanto appena visto, Amethyst si rannicchiò contro un umido angolo, nascondendo il viso rigato dalle lacrime dietro le sue gambe. La sua mente annebbiata dal dolore le impediva di domandarsi persino il perché le persone fossero così malvagie; ella aveva fatto un'opera di bene, guarendo un bimbo che avrebbe impiegato interi cicli lunari prima di rimettersi del tutto, eppure nessuno pareva aver apprezzato simile gesto. La crudeltà e l'odio avevano accecato gli uomini, oramai incapaci di discernere il bene dalla loro marcia e corrotta fede.

Qui al sicuro sei, piccola. La landa di nubi ti è benevola.

La piccola strega riconobbe la voce che, soffusa, si diffuse fino all'orizzonte. Nell'istante in cui riaprì gli occhi, scoprì che le grottesche segrete di Helvory si erano dissolte come nebbia al sole, lasciando il suo posto allo screziato mare di nubi. Niente più cunicoli angusti e tenebrosi, torce dal fioco bagliore, suppliche indistinte mescolate a pianti isterici; solo contorni morbidi e dalle screziate sfumature, prive di qualsiasi elemento che potesse catapultarla di nuovo negli inferi di Helvory.

Il reame dei sogni era sensibile alle emozioni e ai ricordi di coloro che vi mettevano piede, ella ne era conscia, eppure tutto quel che si viveva al suo interno pareva reale, non il frutto distorto di una mente fragile, spezzata dalla crudeltà dei vivi. Benché si trattasse soltanto di un'illusione, le sensazioni erano dannatamente vere. Amethyst si asciugò le lacrime con la manica della veste, dopodiché iniziò a guardarsi intorno, alla ricerca dell'entità che, con la soave voce di una nutrice che si prendeva cura dell'altrui pargoli, l'aveva riportata indietro dall'incubo di cui era divenuta la prigioniera.

Una delle rosee nubi iniziò a mutare forma, attirando su di sé gli occhi della strega, non proprio pronta all'ennesima stranezza di quel luogo. Il soffice batuffolo si contorse su sé stesso più e più volte fino ad assumere le medesime sembianze di una corolla di rosa. Amethyst osservò con un velo di meraviglia quello spettacolo tanto insensato quanto affascinante, provando a mettere da parte il terrore provato qualche istante prima. La vibrante e dolce voce pareva aver scacciato dal cuore la sua irrequietezza, dalla mente ogni brutto pensiero.

L'armonia di rosati petali continuò la sua ritmica danza, incurante di aver occhi strabiliati posati su di loro, e assunse, man mano, i lineamenti di un volto umanoide, mentre lo stelo ricoperto di pungenti spine si trasformò nel leggiadro corpo di una giovane fanciulla. Le cerule foglie, infine, avvolsero in un abbraccio la figura ignuda e sinuosa; foglie che cambiarono colore e consistenza in meno di un battito di ciglia, divenendo la comoda veste della strega appena palesatasi dinanzi gli occhi di Amethyst.

Questa si abbassò e carezzò la guancia della piccola strega, ammutolita da ciò che i suoi occhi erano stati in grado di rimirare.

Dopo immemore tempo, ove il terso cielo incontra lo striato nembo, ci incontriamo; Amethyst - esordì ella, con una calma tale che avrebbe potuto spedire la diretta interessata in un reame ancor più etereo di quello dei sogni. Su di te veglio dal dì in cui la tua fiamma s'è accesa, con tutto il mio amore e la mia saldezza, della tua mente mi curo e mai mi son arresa, la man del mio reame da sempre ti accarezza.

«I... io credo di conoscervi, ma non so quale sia il vostro nome...»

La misteriosa strega, la cui folta chioma rosata pareva fondersi col manto di nuvole del magico reame, inclinò di lato il capo e osservò la piccola con fare perplesso. Persino il vasto cielo reagì a tali ritrose parole; alcuni strati si tinsero d'un intenso azzurro, altri d'un brillante indaco, come se un gigante pittore avesse passato su di esso il suo pennello e avesse lasciato l'opera inconclusa, mentre le puntiformi stelle viaggiarono da un punto a un altro, radunandosi infine sopra la testa della nuova arrivata.

Il mio nome? Oh, che sbadata, non mi son presentata! Lavinia è il mio nome, i sogni la mia dote!

La sua voce riecheggiò nella vastità del boffice mare cromato, come se ogni singola nube di quel reame sconfinato avesse parlato all'unisono per ricreare un unico e armonioso suono.

Al concilio gli altri hai conosciuto, ma il privilegio di incontrar Lavinia non hai avuto!

Amethyst ripensò alle parole di Cassandra prima di mettere piede nella casa dalle bianche mura, quando le accennò il nome dei vari membri che componevano il concilio, e constatò di non aver, in effetti, conosciuto alcuna strega con tal nome.

Le atre nubi iniziarono leste ad addensarsi, bramose di far riviverle un'altra delle scene estratte, contro la sua volontà, dalla Stanza dei ricordi, tuttavia Lavinia, con uno svelto movimento della mano, arrestò l'onda di cinereo fumo che aveva cominciato a sollevarsi minacciosa oltre la linea dell'orizzonte. I ricordi influivano sul Reame dei sogni, per tale ragione, coloro ai quali veniva concesso il privilegio di mettervi piede, ne venivano privati o facevano di tutto affinché questi non riaffiorassero durante la visita. Dentro di sé Amethyst ringraziò Lavinia per averla sottratta da uno dei suoi incubi peggiori; ella parve sorriderle, come se fosse riuscita a leggerle la mente. Era il suo reame, dopotutto.

«N... no, non c'eri...» borbottò la piccola strega, che poi abbassò lo sguardo verso terra, ove dei fumosi e indistinti ciuffi parevano inghiottirle le gambe fino alle ginocchia. Quasi le sembrava di essere uno spettro fluttuante in uno sconfinato mare di nuvole. Mossa da una forte curiosità, le avrebbe voluto chiedere le ragioni per le quali non si era potuta presentare, anche solo per fare conversazione; tuttavia, quando alzò gli occhi verso ella, notò un ampio sorriso prendere forma sul volto di Lavinia.

Se nel mondo materiale mi mostrassi, sui sogni e sugli incubi il controllo perder potrei; e se sola sentirmi dovessi, di scambiar quattro parole fra codeste nubi spererei.

Il modo poetico con il quale la strega dei sogni amava esprimersi dilettava non poco la piccola Amethyst, dimenticatasi oramai del terribile incubo che si era impossessato della sua mente. Il suo continuo parlare in rima la rendeva alquanto unica, un piacere da ascoltare; era quasi certa che avrebbe potuto restare a sentirla parlare per interi giri di clessidra senza mai annoiarsi.

«P... posso sapere perché mi avete da sempre osservata?»

Per poter udire ancora la sua voce e per ricollegarsi a quanto dettole poco prima, Amethyst le porse quella fatidica domanda, consapevole del fatto che mai avrebbe ricordato la risposta al suo risveglio. In fin dei conti, doveva esserci una qualche ragione se Lavinia, la millenaria strega dei sogni, aveva vegliato su di ella dal dì della sua venuta al mondo.

Lavinia iniziò a fluttuare festevole a mezz'aria, come un'incantevole sirena libera di danzare tra le dolci acque d'un lago, poi mosse le sue labbra a voler fornire una risposta a tal quesito, ma le parole le morirono in gola. Si girò di scatto verso l'orizzonte, dove vaste nubi e cielo si fondevano in un'unica cosa, e il suo volto venne attraversato da una smorfia. Increspature cupe e irregolari si formarono all'orizzonte, stropicciando i confini del reame come una pergamena letta e subito dopo gettata tra le affamate fiamme di un caminetto, bagliori rapidi come lampi squarciarono lo scuro velo stellato più e più volte, a volerlo strappare in migliaia di lembi con tutta la furia che potevano accumulare.

Il sinistro spettacolo fu breve, tuttavia intenso. Quel che poteva essere denominato "cielo" tornò alla sua normale colorazione, le scabrosità svanite alla stessa maniera di com'erano apparse. Dal nulla. Amethyst rimase a bocca aperta, per l'ennesima volta colpita dalle stranezze del singolare reame dei sogni.

«C... cos'è stato?»

Un incubo, replicò impensierita Lavinia, che continuava a osservare l'esatto punto in cui si erano formate le increspature. Le sue cerule iridi si muovevano rapide, come se stesse leggendo lettere d'inchiostro riportare su una vecchia pergamena. Un favore Lavinia deve chiederti, un'incombenza dagli esiti incerti. Quando i tuoi occhi al mane riaprirai, da Cassandra andar dovrai e un messaggio da Lavinia le riferirai.

La piccola strega asserì con il capo, titubante. Sperava di ricordare quelle parole, al mattino seguente. Quel che si viveva nel Reame dei sogni restava nel Reame dei sogni. Ma Lavinia, per una volta, avrebbe fatto un'eccezione.

Tre son le anime da salvare, in un continente dalla morte presidiato; con voi Harper dovrete portare, o il tutto sarà vanificato.

Presidiato dalla morte. Amethyst si chiese cosa volesse intendere Lavinia con tali parole, più simili a una profezia oscura che a una melodiosa poesia. E perché Harper e non Emilia, la leggendaria strega le cui eroiche gesta erano narrate in molte fiabe che aveva avuto il piacere di ascoltare quand'era ancora piccina?

«E... ed Emilia?»

In un luogo ove nemmeno i sogni possiedono il diritto di esistere è intrappolata Emilia, ed ella soltanto potrà trovare la scappatoia da tale grigia via.

Amethyst abbassò il capo, sconsolata; il suo sguardo di nuovo ancorato a quei piedini immersi in una lieve nebbia cromatica. Avrebbe desiderato conoscere la leggendaria Emilia, era il suo sogno sin dalle primissime fiabe che le erano state narrate dalla cara nutrice prima della buonanotte. Assorta nei suoi pensieri, la piccola Amethyst non si era accorta che il fumoso reame stava man mano dissolvendosi in una sfumatura di indistinti colori. Lavinia le mostrò un caldo sorriso, con l'intenzione di cancellare il senso di inquietudine tornato a crescere prepotente nel suo cuore.

A breve ti sveglierai e un nuovo dì inizierai. La nostra conversazione al termine pare sia giunta, e questa al mio cuore verrà aggiunta. Un addio non è il nostro, ma più un arrivederci, piccola Amethyst.

⋆。°✩*️✮⋆。°✩

Madida di sudore, la piccola strega si risvegliò di soprassalto nel suo letto, il cuore che le batteva all'impazzata nel petto. Se avesse continuato con quel ritmo ancora a lungo, avrebbe presto spiccato il volo verso lo sconfinato cielo; poteva esserne quasi certa. Con fare stracco, si stropicciò gli occhi sonnacchiosi poi osservò la stanza ove, terminato il lungo giro in compagnia di Cassandra, era stata accompagnata. Era esigua, tuttavia aveva il necessario per poter essere definita tale. Non che le importasse davvero; era abituata a dormire in un freddo e sporco fienile per sfuggire alle perquisizioni dei cavalieri della Rosa, quindi mai avrebbe potuto desiderare nulla di migliore.

Intontita e disorientata, Amethyst si calò giù dall'incomodo letto e subito un brivido freddo attraversò il suo corpicino, dai piedi fin la punta dei capelli, come se migliaia di gelidi aghi le fossero penetrati nelle carni. La violenta e fredda frustata l'aveva definitamente strappata dalle braccia di Lavinia e l'aveva riportata alla dura realtà, nella quale un freddo inverno imperversava inarrestabile. Benché Ratilia fosse contenuta, per mezzo di un portentoso incantesimo, dentro un bauletto da viaggio, pareva non essere esente dalle stagioni e da ciò che esse portavano appreso.

Devo fare qualcosa, ma non ricordo cosa...

Come un chiodo battuto con impeto contro delle spesse assi di legno, tale pensiero assillava la mente della piccola strega. Per quanto ella si sforzasse di ricordare, nulla pareva riaffiorare dalla Stanza dei ricordi. Il fatato gatto corvino doveva essersi appisolato.

Mentre spremeva la mente disperata, il di lei sguardo cadde sulla fredda superficie di uno specchio, affisso su una spoglia parete di legno in fondo alla stanza. Non poté fare a meno di osservarsi, attirata dal riflesso che esso proiettava di ella; i suoi lividi erano scomparsi, la sua pelle linda e priva di imperfezioni. Avrebbe tanto desiderato che anche la sua anima potesse essere guarita alla stessa maniera del suo gracile corpo. Ma per quella, ci sarebbe voluto, forse, molto più tempo.

Proprio non ricordo cosa dovessi fare...

Amethyst si passò agitata le mani tra i capelli, scompigliandoli più di quanto già non lo fossero. Sconfortata e incapace di liberarsi del dannato tarlo che provava diletto nel rosicchiare indisturbato la sua testolina, la piccola strega decise di farsi una bella passeggiata per le pittoresche strade di Ratilia, speranzosa che una boccata d'aria gelida potesse risvegliare l'infingarda creaturina nella Stanza dei ricordi. Lanciò un'ultima occhiata allo specchio, come se una voce intrappolata all'interno di quella tetra superficie riflettente l'avesse invitata a farlo.

Per un istante, le era parso di notare una fanciulla dalla fumosa chioma rosea riflessa su di esso, al posto della di lei immagine. Come un fiume in piena, la cui diga era andata in frantumi, i ricordi di quel luogo riaffiorarono, così come le sensazioni e le ultime parole della strega dei sogni, Lavinia.

Tre son le anime da salvare, in un continente dalla morte presidiato; con voi Harper dovrete portare, o il tutto sarà vanificato.

Una soltanto era la destinazione che Amethyst avrebbe dovuto raggiungere tal mane: la costruzione dalle bianche mura, la sede del Concilio.

Spazio autore
Vi piacciono i luoghi dove vi conduco? :') Abbiamo finalmente capito chi è la famosa Lavinia alla quale si stringono tutti quando dormono (un po' come il nostro Morfeo).
Ve la lascio qui sotto ^^

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