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III: Joséphine

Durante le vacanze di Natale non era raccomandato lasciare la scuola e tornare a casa. Non esistevano regole o obblighi al riguardo, ma nessuno voleva perdersi la festa della Vigilia, con la conseguente cerimonia di premiazione dell'anno. Anche chi non aveva nessuna possibilità di ricevere l'anello d'oro in premio desiderava assistere alla premiazione. Forse perché la speranza era sempre stata l'ultima a morire.

A Joséphine il Natale non era mai piaciuto. In casa sua sembrava sempre che fosse esplosa una piñata di colori, luci, decorazioni e stupidi biscotti a forma di Babbo Natale con della glassa al cioccolato sopra. Tutti i parenti, dai nonni, alle prozie, ai cugini di quattro anni che hanno appena iniziato a dire delle frasi di senso compiuto, si ammassavano in casa sua, venti metri quadri di piena "gioia natalizia", e iniziavano a criticare ogni piccolo granello di polvere fuori posto. La mattina di Natale, mentre tutti si scambiavano regali e auguri che per lei non avevano senso, perché non credeva nella fortuna e nel buon augurio, Joséphine si rintanava nella sua cameretta ricavata da una polverosa soffitta, e provava i suoi passi di danza preferiti. Se c'era una sola cosa che apprezzava del giorno di Natale, era il piccolo spettacolo che regalava ai suoi parenti subito dopo il pranzo, sulle note di Mozart e Čajkovskij. Alla fine, ciò che veramente aspettava del Natale erano quegli applausi e quella sensazione di apprezzamento di cui sembrava cibarsi, e ricercava continuamente. Perciò riempì la lettera che inviò a casa, a Nantes, con una falsa tristezza e lacrime da coccodrillo, scusandosi di non poter tornare a casa e assicurandosi che i suoi parenti provassero pena e compassione per lei. Mentre il suo cuore tamburellava felice aspettando il momento in cui il suo sogno si sarebbe coronato.

Domenica 24 Dicembre 1984


Norman Morrice, il direttore artistico della compagnia di danza della Royal Ballet, presenziava ogni anno la festa di Natale, e suo era il compito di premiare il miglior ballerino e la migliore ballerina dell'anno. Era un modo, tra le altre cose, di iniziare ad adocchiare quegli studenti che sarebbero stati abbastanza bravi da entrare a far parte della compagnia ufficiale.

Quell'anno si era vestito in modo particolarmente minuzioso, con lo smoking nero stirato e tirato a lucido da sua sorella quel giorno stesso, lui non ne era mai stato in grado, e un papillon bordeaux a rendere la mise un po' meno seria e un po' più appariscente. Aveva da poco superato i primi "anta" ed era entrato in quella fase mistica in cui i maschi tendono a voler comportarsi come se fossero appena usciti dalla pubertà: la crisi di mezza età.

Con una capigliatura improponibile a completare il tutto, doveva decidersi prima o poi a dare una rasata a quei capelli che sembravano un toupee attaccato alla cute con della colla di scadente fattura, si decise ad uscire di casa ed entrare in macchina.

Entrò nella sua Cadillac rosso fuoco, soddisfatto del lavoro che era stato fatto all'autolavaggio giusto il giorno prima. Non era mai stata così scintillante da quando aveva portato la sua ex moglie all'altare, una decina di anni prima. Probabilmente lo sbaglio più grande della sua vita.

La Royal Ballet School era agghindata a festa, all'interno come all'esterno. La vecchia facciata della villa che costituiva l'edificio principale, era illuminata da lucine colorate, fari e faretti che creavano giochi di ombre e colori come se in città fosse arrivato il circo. Barbara Fewster, direttrice della Royal Ballet School dal 1978, riceveva gli invitati sulla porta d'ingresso, stringendo le mani, baciando guance e scambiandosi convenevoli leziosi. A 43 anni e con due gravidanze alle spalle, Barbara non aveva più il fisico che aveva potuto sfoggiare nei suoi anni d'oro, quando era apparsa sulle copertine di Dance ed Expression. Nonostante ciò, il suo viso era elegante e solcato da rughe di espressione che raccontavano una vita piena di emozioni, i capelli raccolti sotto la nuca con il classico chignon da ballerina, decorato con piccole perle opache. Il signor Morrice la raggiunse salendo la breve scalinata di marmo con passo sicuro e un sorriso sornione impresso sul volto. Era da molto che non vedeva la sua amica, e fu piacevolmente sorpreso di vederla in forma e vestita con un delizioso abito verde in velluto. In tinta con il ramo di vischio che pendeva dal soffitto ad arco.

«Cara Barbara!» la salutò il signor Morrice, aprendo le braccia per stringerla in un abbraccio troppo amichevole per essere dato in pubblico. «Che bello rivederti, come stanno Anthony e i bambini?». Si scambiarono i consueti baci sulle guance, stringendosi a vicenda le braccia, fingendo distacco e serietà.

«Tutto bene, Norman. Sono in salone. Raggiungili pure, io arriverò tra poco». La sue voce sottolineò con potenza il "sono in salone", come per redarguire il suo amico e renderlo consapevole che la sua famiglia fosse presente in quella serata di festa. Norman si staccò velocemente, accorto. Sembrava aver capito, forse. Con un sorriso tirato varcò la porta e si introdusse nell'edificio, togliendosi subito la giacca per affidarla ad uno dei maggiordomi assunti per l'occasione. Prese il primo bicchiere di champagne che gli venne offerto, e lo bevve tutto d'un colpo. Sarebbe stata una lunga serata.

«Inala il cielo» sussurrò Joséphine davanti allo specchio, guardandosi in quegli occhi azzurri limpidi come l'acqua. Inspirò profondamente, rilassando ogni muscolo del suo corpo. Poi rimase otto secondi in apnea, sospesa nel nulla della sua mente. «Esala le stelle». Espirò tutto ciò che aveva in corpo. Non solo l'aria nei polmoni, ma anche il caos della sua mente, l'ansia che gli mordeva le mani, la stanchezza che le pungeva le gambe. Soffiò fuori tutta sé stessa, per sentirsi diversa, per sentirsi migliore.

Inala il cielo, esala le stelle. Era l'unico motto che Joséphine era fiera di poter attribuire a sua madre. Vero era che la ballerina dava a quelle parole un significato del tutto diverso da quello che le aveva insegnato la madre.

«Siamo fatti di polvere di stelle» le diceva spesso, fin da quando era molto piccola e saliva ancora sulle sue gambe ossute. «Ricorda di tirare fuori le tue stelle». La pungolava con le dita, facendola scoppiare in quella risata cristallina che solo i bambini sanno emettere. Lei ci aveva creduto, ci aveva creduto molto. Aveva imparato a vedere il buono nelle persone, e ne era rimasta delusa. Per questo, aveva dato la sua personale versione al motto di sua madre. "Non tutti siamo fatti di polvere di stelle". pensava ogni sera, guardando fuori dalla finestra e immaginandosi a danzare tra la volta celeste. "Solo chi se lo merita. Io sono una stella, e lo farò vedere a tutti". 

Con una grande presenza di spirito e dose di simpatia che riservava solo per le grandi occasioni, Chase Elliott quella sera era l'anima della festa. Intratteneva gli ospiti più importanti, fermandosi a parlare con tutti e informandosi della vita altrui. Indossava il suo sorriso migliore e una quantità poco opportuna di gel nei capelli, ma il suo carisma era talmente accattivante che nessuno glielo fece notare. Tutti lo chiamavano, tutti lo cercavano, tutti volevano parlare con lui. Ma lui, nonostante fosse disposto a scambiare quattro parole con chiunque, allungava continuamente il collo verso l'ingresso principale nel tentativo di adocchiare l'arrivo di una persona in particolare. Aspettava solamente l'ingresso di Norman Morrice, perché la serata potesse iniziare davvero.

E dopo qualche minuto lo vide, nel corridoio d'ingresso, mentre si toglieva la giacca che gli stringeva la pancia pronunciata e in contemporanea beveva un calice di champagne tutto d'un sorso. Chase ne prese due dal tavolo vicino, perché ormai aveva capito che gli adulti andavano presi per la gola, e si diresse verso il signor Morrice destreggiandosi tra gli invitati e cercando di non far rovesciare il vino dolce.

«Signor Morrice!» esclamò Chase, andandogli incontro sorridendo gioviale e allungandogli il calice che aveva recuperato apposta per lui. Norman lo accettò con gratitudine, perché il vino era l'unica cosa che l'avrebbe aiutato a superare indenne la serata. «La trovo dimagrito! Cin cin?».

Il viso di Norman si storpiò in una smorfia sofferente. Se c'era qualcuno che proprio non riusciva a sopportare erano i lecchini e i ruffiani. E nella sua vita da artista e direttore di teatro ne aveva incontrati molti. Giovani ragazzi che lo trattavano come un dio greco per ricevere una misera parte in uno spettacolo. Persone anche di talento, come il giovane biondo che stava ridendo davanti a lui, che sceglievano la strada della leccata di culo per facilitarsi la vita. Di certo non disprezzava le lusinghe e le attenzioni di un bel giovane come Chase Elliott, ma sapeva benissimo che nessuno lo vedeva per ciò che era ma solo per il potere che gli era stato conferito. L'arduo compito di decidere la sorte di centinaia di ragazzi ogni anno.

«Chase Elliott, giusto? Pronto a ricevere un altro anello?»

«Più pronto che mai, signor Morrice», Chase prese un sorso di champagne, assaporando il gusto amaro del vino. Chardonnay probabilmente, visto il profumo floreale che gli penetrava perfino il cervello. «Dopo quest'anno non ci saranno più scuse per non prendermi al Royal Ballet».

«Se oltre all'anello ricevesse anche un po' di sale in quella zucca bionda che si ritrova, allora forse potrei pensarci, signor Elliott».

«Non serve il sale in zucca per essere ballerini. Non ha mai sentito parlare di Jules Perrot?» Perrot, uno dei più bravi ballerini mai esistiti, una stella lucente sul palcoscenico. Non così tanto lucente però nella sua vita privata, che ha fruttato fior fiori di quattrini ai giornalisti a causa di tutti gli scandali tra donne e droga.

«Perrot è nato nel 1810 a Lione, non nel 1965 in Michigan» ribadì il signor Morrice, guardando Chase con un sopracciglio alzato. «Inoltre, i suoi comportamenti un po' fuori dal comune sono incominciati a causa della sua immensa fama, non alla ricerca di essa».

«In Ohio, veramente» borbottò Chase, stringendo la mascella stizzito. Non gli piaceva molto parlare delle proprie origini. «Be', la fama arriverà in ogni caso. Tanto vale precederla e godersi un po' la vita». Norman stava proprio per ricordargli che nel caso avesse davvero voluto godersi la vita, allora aveva scelto la professione sbagliata, quando sentì un rumore di tacchi avvicinarsi velocemente.

Ann Stannard aveva sempre avuto un modo di vestire decisamente ricercato. Norman lo avrebbe sicuramente definito antico, poco appariscente, austero. Chase, dal suo canto, avrebbe dato a quel vestito inamidato dallo scollo inesistente degli aggettivi molto meno lusinghieri.

«Signor Chase, sa dov'è la signorina Godart?». Chase alzò le spalle, guardandosi intorno.

«Non la vedo dal pranzo di oggi, ma sa quanto sono lente le donne a prepararsi». La signorina Stannard alzò un sopracciglio, chiaramente non entusiasta del commento. «Be', non tutte, si intende».

«Sono qui».

D'un colpo l'atmosfera nella sala mutò. Tutti, adulti e bambini, ragazzi e ragazze, camerieri e invitati volsero lo sguardo verso la cima della grande scalinata d'ingresso. In piedi davanti a tutti, una mano appoggiata al corrimano e l'altra che evitava il contatto a terra di una lunga gonna coperta di pietre scintillanti, una stella stava nascendo. 

Qualche minuto prima

Arrivò all'inizio delle scale con il fiato corto per la corsa, e si prese qualche secondo per calmare il respiro e allo stesso tempo osservare la moltitudine di persone sottostante. Il salone era gremito di gente, con gli abiti dai colori i più accesi e particolari. Le donne soprattutto, si erano sbizzarrite sui toni del verde e del rosso, in ricordo al Natale che sarebbe arrivato poche ore dopo. Gli uomini erano per la maggior parte in giacca e cravatta, ma i più audaci portavano camicie colorate, cravatte o papillon a tema natalizio. Diede un veloce sguardo al suo abito, sperando che fosse all'altezza dell'evento. Era un lungo abito a sirena, con la gonna che si allargava solo dopo le ginocchia, di un tenue color crema e decorato con brillantini che andavano intensificandosi sul corpetto e sulla scollatura profonda. Al collo portava una sfarzosa collana di brillanti, eredità della nonna materna che ormai non c'era più.

Scandagliò velocemente la sala, alla ricerca di una faccia conosciuta. Aveva intravisto alcune delle sue compagne di corso, che parlottavano tra di loro e si commentavano a vicenda l'outfit, ma non aveva voglia di unirsi a loro per delle chiacchiere di convenienza. Fare delle amicizie non le era mai interessato granché. Piuttosto, stava cercando con lo sguardo la sua insegnante, che doveva trovarsi da qualche parte tra la folla. Le aveva promesso che, se si fosse comportata come si deve, le avrebbe presentato alcune persone di punta della Londra di alta classe. Be', era giunto il momento di tenere fede alla promessa. Qualche secondo dopo, vide una testa mora, dai capelli racchiusi nello solito chignon alto, attraversare tutto il salone, guardandosi intorno. Joséphine riconobbe subito Ann Stannard, che andava in giro chiedendo a tutti dove fosse finita la sua ballerina preferita. La vide avvicinarsi ad un uomo di mezza età e ad un ragazzo dai capelli biondi, e riconobbe subito il sorriso e il portamento di Chase. Era l'unico che in quella serata così particolare non si sentiva letteralmente schiacciato dall'ansia, ma al contrario rideva e scherzava come se fosse una cosa da tutti i giorni. A volte la sua sfacciataggine e il suo prendere la vita poco sul serio la facevano davvero innervosire. Il vociare della gente si abbassò al punto da permettere a Joséphine di sentire ciò che Ann stava chiedendo loro.

«Signor Chase, sa dov'è la signorina Godart?». Joséphine sorrise divertita, guardando Chase alzare le spalle e scrutarsi leggermente intorno.

«Non la vedo dal pranzo di oggi, ma sa quanto sono lente le donne a prepararsi. Be', non tutte, si intende».

«Sono qui».

La sala girò lo sguardo verso l'inizio delle scale. I muri, le colonne, le piante e il grande lampadario di cristallo sembravano protendersi in avanti attratti da quella figura celestiale che scendeva aggraziata la grande scalinata di marmo. Con una mano si teneva allo corrimano. mentre l'altra teneva leggermente alzata la gonna in modo tale da vedere dove metteva i piedi ed evitare di cadere. Cosa non facile, con i tacchi che portava.

«Chi è quella ragazza?» chiese Norman Morrice, incantato dai lunghi capelli neri e dalla esile figura di quella principessa. Chase sorrise tra sé e sé, dandogli un piccolo colpo sulla spalla, pieno di orgoglio per la sua ballerina.

«Quella, signor Morrice, sarà la vostra prossima prima ballerina».

***

Benvenuti e bentornati!

Prendete questo capitolo come regalo di Natale,
augurio di un buon anno
e promessa che quest'anno sarò più attiva,
sia sulle storie che sui social in generale.

Sono stanca di aspettare, ho voglia di tornare a scrivere, 
di tornare da voi. E come farlo in maniera migliore
se non con la protagonista più amata e allo stesso
tempo più odiata delle mie storie?

Cosa ne pensate di questo strano capitolo
con più punti di vista? E' la prima
volta che lo faccio! 

Quante cose ancora ci nasconde Joséphine?

E Chase? Alla ricerca della fama e della bella vita?
Secondo me ne combinerà ancora qualcuna
delle sue, e qualcosa di davvero grosso.

P.s. ho ricontrollato il capitolo ventimila
volte, ma ci sta che nella smania di
pubblicarlo abbia mancato qualche
errore o strafalcione. Fatemeli notare
senza problemi e provvederò subito
a sistemarli!

Grazie a tutti per l'appoggio e l'affetto che mi
dimostrate ogni giorno e ci vediamo al
prossimo capitolo! Bye!
~Defy~

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