Capitolo 5: Il Gran Teatro di Penacony
Eden batté le palpebre, cercando di digerire quella repentina informazione sotto lo sguardo tutto fuorché impressionato della madre.
"Heh, immaginavo una simile reazione. E non è finita qui, perché sarai tu stessa a prendere le redini della coreografia." Maeven Ellis aggiunse con un sorrisetto facendosi sul suo volto.
"C—Cosa? Io? ...Perché proprio io?" Eden non poté fare a meno di esprimere il proprio scetticismo.
Si rendeva perfettamente conto che fu solamente questione di mesi, se non settimane, prima Sunday fosse salito al potere come Capo della Famiglia Oak—nonché Rappresentante dell'intera Penacony. Eden più di tutti, oltre alla signorina Robin, sapeva quanto avesse sudato per guadagnarsi una tale posizione.
Nonostante ciò, la notizia scaturì un ignoto sentimento dentro di sé. Positivo o negativo, questo non poteva ancora dirlo con certezza.
"Perché? Eden, la danza è sempre stata la tua vocazione sin da piccola. Se escludiamo i legami di sangue haloviano che ci legano, è proprio per questo motivo che sei entrata a far parte della Famiglia Iris." Spiegò la donna, il suo tono schietto ma soave, come la voce di un usignolo.
"Non mi stupisce che il futuro Rappresentante della Famiglia abbia scelto proprio te per questo incarico. Dopotutto, sei rinomata a Penacony come la ballerina più talentuosa della Famiglia," Le sue delicati mani agguantate si apprestarono ad avvinghiarsi con quelle della giovane fanciulla, tenendole tra le proprie. "Dovresti esserne fiera, bambina mia, perché per quanto mi riguarda... lo sono eccome."
L'espressione di Eden si ammorbidì, reciprocando quel tenero gesto tra madre e figlia. Un piacevole senso di calore s'innalzò nel suo petto, incitando un sorriso modesto, se non timido, sulle sue labbra.
"Ti ho vista crescere nella donna che sei oggigiorno, e di questo non potrei esserne più grata. È la tua occasione per far valere tutto il sangue, sudore e lacrime che hai dovuto versare per arrivare fino a questo punto."
L'albina sgranò gli occhi, toccata dalla sincerità della madre. La presa sulle sue mani fu ora più risoluta che mai, offrendole un lieve cenno—sebbene tralasciasse evidentemente ancora un briciolo di esitazione, ma ci teneva a non deludere le sue aspettative.
"Sarebbe un onore per me rappresentare la Famiglia Iris, madre. Prometto che farò del mio meglio per far sì che sia uno spettacolo indimenticabile." Asserì con fermezza, seppur il suo tono non fu privato della la sua solita dolcezza.
Maeven Elis sembrò soddisfatta dall'esito della conversazione, accarezzandole preumurosamente la guancia, "Sapevo che non mi avresti delusa, figlia mia. Sono fermamente convinta che un giorno sarai la perfetta sostituta come Capo della Famiglia Iris al mio posto, quando non ci sarò più."
"H—Huh? Capo... della Famiglia Iris? Non fraintendermi, madre, ma non credo di essere portata per essere al comando di qualcosa al di fuori della danza." Eden aggrottò le sopracciglia, la sua momentanea confidenza pervasa da un'improvvisa ondata di insicurezza al solo pensiero.
"È qui che ti sbagli. Proprio come Gopher Wood ha visto del potenziale nel suo figlio adottivo, non vedo perché io non possa fare altrettanto con la mia figlia legittima. La sola rimasta al mio fianco per tutti questi anni... e di cui possa fidarmi." L'haloviana allentò la presa per poi sollevarsi dalla sua lussuosa sedia e, così facendo, dandole le spalle.
Eden sapeva perfettamente che si riferiva a Siobhan, sua figlia adottiva. Decise di non proferire parola riguardo alle sue ultime parole—del resto, non aveva confessato nulla alla madre riguardo al fatto che era solita a visitare la sua sorellastra al Dreamjolt Holstery. L'attività era tutt'ora un segreto alla donna, e per scelta della stessa Siobhan, preferiva non sproloquiare più del dovuto sul suo conto.
A seguito dell'agghiacciante pausa che susseguì quelle parole, Maeven decise di rompere il ghiaccio con un sospiro malcelato.
"Ora va', mia cara. Sei congedata. Dev'essere stata una giornata piuttosto estenuante per te, non vorrei rubare altro del tuo prezioso tempo."
Eden scosse la testa, decidendo di stare al gioco con aria nonchalant. "Nessun problema, madre. Non potresti mai essere un disturbo per me... semmai avessi bisogno di altro, non esitare a ricontattarmi."
Sfoggiò un dolce sorriso, prima di chinarsi e dirigersi all'uscita con solamente lo scricchiolio della porta in mogano a irrompere in quel silenzio tombale.
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Tra i lunghi corridori appartenenti alla dimora della Famiglia Iris, Eden sentì il cuore palpitare. Non poteva fare a meno di percepire una sensazione irriconoscibile dietro alla proposta di Sunday, che aveva richiesto perfino l'attenzione di Maeven Ellis. Al tempo stesso, la sua mente si domandò se si trattasse di una decisione dell'ultimo minuto o se si stesse scervellando per una semplice coincidenza.
Nel bel mezzo del lungo treno di pensieri, un improvviso desiderio ardeva dentro di lei. Lasciò che le sue gambe guidassero il proprio corpo, come una bambola senza vita richiamata da una voce—un'entità nella sua testa.
"P⬜️inc⬜️pes⬜️a dell'O⬜d⬜️n⬜️..."
Un dolore lancinante la fece barcollare per il più flebile degli attimi, ma riacquistò l'equilibrio prontamente. Malgrado ciò, quei pensieri non mostravano alcuna pietà nei suoi confronti, manifestandosi come delle lame incastonate nel suo cranio e lasciandole un allegorico, ma pur sempre lancinante dolore.
"G⬜️o⬜️i⬜️ all'⬜rd⬜️n⬜️e..."
Proprio come accaduto alle gambe, le labbra si mossero per formare delle parole—la sua espressione solitamente dolce e carismatica quasi irriconoscibile. Solo e soltanto in quel momento, aveva l'aria di una marionetta che sottostava alla volontà di un marionettista invisibile all'occhio nudo.
"...Il Gran Teatro di Penacony..." Mormorò a sé stessa, il suo tono a malapena sopra ad un sussurro.
La mente le gridava di trascurare quel pensiero, mentre il corpo agiva per assecondarlo. Nella sua vita non aveva mai provato un senso di conflitto altrettanto enorme, e tra una esitazione e l'altra, scoprì che non aveva alcun controllo dei propri arti.
La sua autonomia la abbandonò con ogni secondo che passava nel dolce sogno, e prima che fu in grado di realizzarlo, si ritrovò a destinazione. Il Grande Teatro di Penacony troneggiava sulla sua minuscola figura, seguita dai svolazzanti fiocchi rosati con ogni aggraziato passo che portava avanti.
I suoi occhi violacei, spenti e apparentemente tutto fuorché senzienti, riacquistarono la propria tonalità come se si fosse risvegliata dal suo sogno ad occhi aperti.
Un involontario sussulto le sfuggì dalle labbra, "Huh? Dove... dove mi trovo?"
Sentiva l'ansia annidarsi sotto le costole, ma perseverò tra i lussuosi corridoi con ogni briciolo di forza di volontà che aveva in corpo. Il pavimento era rivestito da uno strato di tappeto di vistoso scarlatto, e delle tende del medesimo colore fungevano da separatori per svariate stanze. Ai muri vi erano appesi dei quadri raffiguranti varie celebrità che si erano esibite a teatro, tra cui sè stessa e la signorina Robin.
Il cuore rimbombava quasi al punto di minacciare di scoppiarle dal petto, sentendosi pervasa da un sentimento di irrequietudine al solo sguardo—come se gli stessi occhi raffigurati nei quadri potessero scrutarla da ogni direzione.
In un batter d'occhio, Eden corse verso una delle tende, spintonandola a lato. Così facendo, si imbattè in una stanza a lei familiare: una reception, abbandonata al proprio destino, con tre grandi schermi raffiguranti un giovane haloviano, nonché direttore d'orchestra di questo teatro.
"Teatro..." Sussurrò la ballerina incosciamente. Il suo istinto la portò all'uscita, verso la più grande delle tende.
Il suono dei propri tacchi, accompagnato dal frenetico battito cardiaco, fu l'unica cosa a lei audibile nel tragitto—le stoffe cremisi facendosi da parte ad ogni soglia che solcava. Si fermò a metà strada non appena un flebile canto risuonò nella distanza che la separava dal cuore di questo luogo.
Chiuse gli occhi, e prese un bel respiro. Facendosi coraggio, decise lei stessa di afferrare i margini delle ultime tende, separandole l'una dall'altra per rivelare ai propri occhi... un enorme palcoscenico.
Eden si dimenticò di respirare. Lo stesso luogo in cui si sognava continuamente di essere altri non era che il Gran Teatro di Penacony.
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