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Capitolo 2: Bronze Melodia

"Guardate! È la signorina Eden!"

Eden sorrise dolcemente in direzione del gruppetto di bambini che l'avevano circondata alla sola vista. Si inginocchiò alla loro altezza affinché potessero avvinghiare le loro piccole braccia attorno a sè in un caloroso abbraccio, dando i loro capi delle premurose carezze.

"Ci sei davvero mancata, signorina!" Esultò una ragazzina con ammirazione genuina nei suoi occhi.

"Tu e la signorina Robin siete sempre così indaffarate con il canto e la danza! Non riusciamo mai ad esercitarci tutti insieme!" Un altro del gruppo si aggiunse, quasi sul punto di scoppiare in lacrime.

La ballerina non potette fare a meno di ridacchiare a quelle tenere affermazioni, malgrado la sollecitata perplessità nei loro sguardi. "Mi spiace tanto, davvero. Anche oggi temo di essere sommersa da altri impegni... ma non temete. Vi prometto che presto tornerò, e con me, porterò la signorina Robin. Danzeremo e canteremo insieme prima di quanto pensiate~"

Quella promessa accese un barlume di speranza nei loro fragili cuori, manifestotosi nella loro malcelata eccitazione. "Evviva! Sei la migliore, signorina!" Esclamarono all'unisono, sommergendola di abbracci e complimenti. Erano visibilmente affezionati all'haloviana, e viceversa.

Di norma ai minorenni era severamente proibito vagare nel Dreamscape, proprio per questo Eden li aveva incontrati nella Terra degli Esiliati. Nonostante il nome apparentemente cupo, qui avevano modo di coltivare una vita serena, lasciandosi alle spalle le loro disabilità; una di loro era cieca, ad un altro era stata amputata una gamba, e così via. Ma qui a Penacony, le loro sofferenze avevano cessato di esistere. Potevano vedere, camminare, vivere la vita come meglio potevano—tutto merito della Famiglia e della loro progettazione, ossia il Dreamscape stesso, pensato appositamente per ospitare persone da ogni parte del cosmo alla ricerca della vera beatitudine.

"Suvvia, bambini, lasciatela respirare." Una voce anziana irruppe nel tenero momento, e i suddetti allentarono la presa. La riconobbe all'istante, poiché si trattava della vecchia Grace. "Ti prego di perdonarmi, giovanotta. Sono davvero felici di rivederti."

"Non deve affatto scusarsi, signora Grace. Sono altrettanto contenta di poter rivedere questi angeli dopo così tanto tempo." L'albina sfoggiò un sorrisetto rassicurante. "Questi bambini... hanno ancora tanta speranza nei loro cuori. Sono certa che un giorno possano anche loro spiegare le loro ali e spiccare il volo tramite la benedizione dell'Armonia."

Grace annuì. "Parole sante, cara. Sia tu che la signorina Robin siete baciate dalla stessa Xipe l'Armonia. Questi bambini non potrebbero chiedere di meglio."

Baciate da Xipe l'Armonia. Tali parole le ribombarono in testa svariate volte come un mantra. Ma in un angolo recondito di sé, si chiese: poteva davvero considerarsi tale? Scosse il capo freneticamente, il suo sorriso imperterrito. "Ne sono onorata. Ora, se voglia scusarmi... ho una faccenda urgente da sbrigare."

Senza attendere una risposta, si lasciò l'anziana ed i bambini alle spalle, ma non prima di averli salutati con la facciata più dolce che potesse mostrare—ma internamente, si sentiva in conflitto per una ragione a lei stessa ignota, ed il sorriso svanì dalle sue labbra non appena il gruppo si perse nell'orizzonte, e la sua solitaria figura vagò nell'oscurità della Terra degli Esiliati.

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Con il tacco che risuonò nella dimora della Famiglia Oak, un quasi nauseante odore di incenso pervase l'olfatto di Eden. Il coro audibile più che mai le procurò un senso di conforto, rammentando le volte in cui era giunta qui come praticante, pregando per i propri cari.

Le dita s'intrecciarono per formare una riverente preghiera. Successivamente, si sistemò il cappuccio nel tentativo di camuffarsi—essendo una celebrità qui a Penacony, tendeva a mantenere un basso profilo onde evitare spiacevoli pettegolezzi o distogliere l'attenzione dalla liturgia. Si fece strada nel sacro tempio con passo lento e conciso, e nel suo percorso, avvistò una fila di credenti ad aspettare dinanzi al confessionale che tanto agognava.

Sperava che la pena che la stava divorando dall'interno sarebbe scemata se confessata, eppure si ritrovò a mangiucchiarsi l'unghia del pollice con fare nervoso al solo pensiero.

Non amava particolarmente parlare del proprio passato, poiché quegli stessi incubi l'avrebbero perseguitato la notte dopo, ancora e ancora. Malgrado ciò, sentiva la disperata necessità di liberarsi di quel fardello che soltanto il Bronze Melodia avrebbe potuto smuovere.

"...Il prossimo. Per favore, fatti avanti." Un'angelica voce irruppe il suo sogno ad occhi aperti. Eden batté le palpebre per qualche secondo prima di inalare, come per incanalare la forza nelle gambe per aderire alle parole dall'interno del confessionale, e si ritrovò finalmente seduta di fronte al velo che la separava dall'avvocato di Xipe.

Il cuore cominciò a battere all'impazzata, ma cercò di tenere a bada le proprie emozioni con ogni briciolo di forza di volontà che le era rimasto in corpo.

"Non temere. Ho invocato la LORO presenza qui con noi." Udì il tono rassicurante tipico dello scolaro della Famiglia Oak dall'altro lato del confessionale. Per un momento, ebbe l'impressione di percepire un quasi palpabile briciolo di stanchezza in esso. "Possiamo procedere."

Le dita della ballerina ghermivano inconsciamente la vistosa stoffa del suo vestito, deglutendo. Le labbra erano contorte per formare una sottile linea, esitando per alcuni attimi—con un sospiro, si avvicinò al velo come se stesse confidando un segreto, stringendo delicatamente il materiale in mogano che costituiva la piccola finestra che li sperava.

"Continuo a fare degli strani sogni—no... degli incubi," La ballerina sentì la voce barcollare ai ricordi che riaffioravano con ogni sillaba, ma fece in tempo a riprendersi. "Mi trovo su un palcoscenico, danzando con delle macabre marionette al ritmo di un inno."

"Interessante. Va' avanti." Incoraggiò il Bronze Melodia, Sunday, spronando un lieve sospiro dell'albina.

"Man mano che il sogno procede, questi inni diventano sempre più incessanti... al punto che le marionette che mi circondano cominciano a frantumarsi, una ad una, ed una mela cade ai miei piedi," Continuò, stringendosi il petto con una mano. "...da cui sgorga del sangue, formando un mare rossastro intorno a me."

Ci fu una breve ma intensa pausa che aleggiò tra i due haloviani. "Temo di non seguirti. Si tratta di un incubo come constatato... per cui non vedo nulla da cui assolverti, mia cara."

Eden scosse la testa, malgrado non fosse visibile agli occhi dell'avvocato di Xipe. "C'è di più, veda... si tratta degli inni. Sembrano acquisire una maggiore disarmonia con ogni secondo che passa—in particolare, ripetono incessantemente la stessa frase."

"Hum... una frase, dici? Di cosa potrebbe trattarsi, mi domando?" Sunday chiese tra una trepidante attesa e l'altra, constatando che fosse un argomento più delicato di quel che aveva anticipato.

La ballerina inalò, attese alcuni attimi, ed esalò. Ripeté lo stesso procedimento un paio di volte, facendosi coraggio per arrivare al nocciolo della questione. "U—una voce... continua a ripetermi che quelli come me sono oramai estinti."

L'haloviano batté le palpebre con fare inquisitorio. "Quelli come te? ...Non c'è da preoccuparsi, signorina. La razza haloviana prospera ora più che mai in questa Amber Era. Tu stessa puoi confermarlo."

Eden scosse la testa prontamente, "No, Padre... non mi riferisco agli haloviani."

Ci fu l'ennesima pausa, ma stavolta l'albina continuò senza ulteriori indugi in preda alla disperazione—si sentiva soffocare con ogni secondo che passava, ogni attimo di esitazione.

"Quella voce... continua a ripetermi: l'Ordine è morto."

Udendo quelle parole, Sunday percepì gli occhi sgranarsi quasi istintivamente, ed ogni fibra del suo corpo sembrò immobilizzata nel confine del confessionale in cui sedeva—come se l'incredulità avesse arrestato il corso del tempo stesso.

Eden sentì la testa rimbombarle ad un ritmo quasi agonizzante, ed il silenzio inaspettato da parte di quest'ultimo non aiutò a placare quell'inspiegabile senso di irrequietudine. Le gambe si muovevano come se avessero una volontà propria, e l'ultima cosa che udì fu il frenetico suono dei suoi tacchi mentre corse verso l'uscita, lasciandosi il Bronze Melodia alle spalle senza proferire un'altra parola.

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